“Sia il tuo parlar breve ed arguto”… ovvero note minime sulla chiarezza dei contratti di assicurazione contro i danni da allagamento
17 Gennaio 2024
Massima È insindacabile in sede di legittimità l’interpretazione con cui il giudice di merito ritenga che la clausola (inserita in un contratto di assicurazione contro i danni ad un immobile causati da eventi atmosferici), la quale escluda dalla copertura assicurativa i danni verificatisi all’interno del fabbricato “se causati da rotture, brecce o lesioni provocate al tetto, alle pareti o ai serramenti dalla violenza degli eventi atmosferici”, debba interpretarsi nel senso che siano indennizzabili i danni causati da un accumulo di acqua che, con la forza della pressione, scardini una saracinesca penetrando all’interno del fabbricato. Il caso Piove. No, piove a dirotto. Anzi, diluvia. Anzi, viene giù come non si vedeva da ottant’anni. E il caso vuole che sotto questa pioggia inusitata e torrenziale ci sia un bel paesino della costa ionica calabra; nel paesino ci sia un opificio destinato a sartoria, e all’interno dell’opificio ci siano varie migliaia di capi di vestiario, oltre che una bella vettura. Questa sartoria industriale, purtroppo, non aveva un accesso a livello del piano di campagna, ma ad un livello inferiore. Dunque per accedervi occorreva percorrere una rampa, al fondo della quale si trovava la saracinesca di accesso. Accadde così che l’acqua caduta con la pioggia, eccessiva per i sistemi di smaltimento ordinario, iniziò a raccogliersi sul fondo della rampa come un invaso ed il suo livello iniziò pericolosamente ad alzarsi. Pioveva e cresceva, cresceva e pioveva, fino a che raggiunse una massa tale da sfondare la saracinesca d’accesso alla sartoria ed allagarne l’interno. E qui comincia il nostro processo. La società proprietaria dell’immobile, che aveva stipulato una bella polizza di assicurazione contro i danni da eventi atmosferici, chiese l’indennizzo all’assicuratore. Ma l’assicuratore si tirò indietro, ritenendo che il danno non rientrasse tra quelli previsti dalla polizza. Ed eccepì che non vi rientrava perché la polizza escludeva dall’indennizzabilità:
Naturalmente nel presente scritto non possiamo che attenerci al testo della clausola come trascritto nella sentenza; come vedremo meglio più oltre la prassi commerciale conosce una infinità di varianti di clausole di questo tipo. E poiché nel caso di specie, come anticipato, l’allagamento fu causato dalla pressione esercitata dall’enorme massa d’acqua accumulatasi all’esterno della saracinesca d’accesso, l’assicuratore ritenne non indennizzabile il sinistro. In sostanza, l’assicurato sosteneva che il danno all’interno del fabbricato era stato causato da una “lesione ai serramenti provocata dalla violenza dell’acqua”; l’assicuratore - a quanto è dato comprendere dalla descrizione del fatto contenuta nella sentenza qui in rassegna - replicava che il danno era stato causato da un “accumulo di acqua” e non dalla violenza dell’evento atmosferico. Mentre il giudice di primo grado diede ragione all’assicuratore, quello d’appello capovolse la decisione e diede ragione all’assicurato. Il giudice d’appello ragionò così:
Secondo la Corte d’appello, l’assicuratore avrebbe potuto negare l’indennizzo solo “se l’accumulo fosse rimasto tale e se l’acqua si fosse infiltrata all’interno del fabbricato”, ma non nel caso in “l’accumulo di acqua, con la violenza del suo impeto, rompe e scardina gli infissi di chiusura”. In pratica, la Corte d’appello ha ritenuto che il contratto autorizzasse la distinzione tra danni:
La questione L'assicuratore censurò questa interpretazione dinanzi alla Corte di cassazione, sostenendo che essa violasse due norme sull'interpretazione dei contratti: quella secondo cui il contratto va interpretato secondo l'intenzione delle parti (art. 1362 c.c.) e quella secondo cui le clausole vanno interpretate le une per mezzo delle altre (art. 1363 c.c.). Dedusse che il contratto escludeva espressamente dalla copertura “i danni causati da accumulo esterno di acqua ancorché verificatisi a seguito degli eventi atmosferici di cui sopra” (e cioè pioggia, grandine, ecc.), e che dunque il giudice di merito aveva violato il primo e più importante criterio ermeneutico, quello del rispetto della lettera del contratto. Ma la Corte di cassazione - e starei per dire “ovviamente”, data la natura della censura - ha ritenuto il ricorso inammissibile. Le soluzioni giuridiche Andare in Corte di cassazione a dire che il giudice di merito ha interpretato male il contratto è quasi sempre un harakiri, per molte ragioni. La prima e più evidente ragione è che da ottant'anni in materia di interpretazione del contratto la Corte di cassazione afferma princìpi così riassumibili:
Le regole codicistiche sull'interpretazione dei contratti possono dirsi violate solo quando l'interpretazione proposta dal ricorrente era l'unica consentita dal testo del contratto, e dai criteri legali di ermeneutica. Ma sol che un testo consenta più interpretazioni possibili, il giudice di merito resta libero di scegliere quella che ritiene più corretta, e tale valutazione non è sindacabile in sede di legittimità sol perché di interpretazioni ne esistevano anche altre. Così, ad esempio, in sede di legittimità è sindacabile l'interpretazione:
Non è, invece, sindacabile in sede di legittimità la decisione che sposi “una non implausibile interpretazione, preferita tra altre non implausibili interpretazioni” (ex permultis, in tal senso, Cass. 28 novembre 2017 n. 28319, Cass. 15 novembre 2017 n. 27136, Cass. 17 marzo 2014 n. 6125, Cass. 25 settembre 2012 n. 16254, Cass. 20 novembre 2009 n. 24539, Cass. 2 maggio 2006 n. 10131). Il che è quanto ha puntualmente ribadito la sentenza qui in rassegna, nell'affermare che in sede di legittimità non può darsi ingresso “a censure che si risolvono nella mera contrapposizione tra l'interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest'ultima non deve essere l'unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l'interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l'altra”. La Corte, dunque, non è entrata nel tormentato tema della eteroclita sintassi dei formulari di polizza del ramo incendio (nel quale, per tradizione secolare, viene ricompresa l'assicurazione contro i danni da eventi atmosferici). Si è limitata a ritenere “non implausibile” l'interpretazione della Corte d'appello, secondo cui l'esclusione pattizia dell'indennizzabilità dei “danni da accumulo di acqua” non include i danni causati dallo sfondamento d'una saracinesca, causato da un accumulo, causato dalla pioggia abbondante. Un tema che, per quanto si dirà, da tempo affatica gli interpreti. Osservazioni Quasi tutte le polizze danni del ramo incendio, nella sezione “eventi atmosferici”, delimitano il rischio con una sintassi che potremmo definire la “tecnica della Matrioska”. Il contratto fissa infatti una regola; poi detta un'eccezione alla regola; poi detta un'eccezione all'eccezione (che fa risorgere la regola); e spesso un'eccezione all'eccezione dell'eccezione. Tanto è vero che la stessa Corte di cassazione, in un precedente di qualche anno fa, chiamata a valutare una clausola di questo tipo si lasciò andare ad una bella litote, affermando che la tecnica con la quale era formulata “non è un modello di chiarezza” (Cass. 10 maggio 2016 n. 9383). Vediamo più in dettaglio il perché. La copertura contro i danni da eventi atmosferici solitamente prevede numerosi delimitazioni del rischio. Dal punto di vista oggettivo, sono solitamente esclusi i danni:
Dal punto di vista causale, sono solitamente esclusi i danni causati da:
La clausola-tipo inserita nei contratti di assicurazione contro i danni da allagamento normalmente assume le seguenti forme:
Parrà strano al candido lettore, ma su cosa debba intendersi per “danni da accumulo di acqua” e “danni da formazione di ruscelli” esiste un formidabile contenzioso, e non da ora. Appare dunque singolare che, nonostante questo tipo di clausole continuino ad alimentare contenzioso, esse siano rimaste in uso per sì lungo tempo: se una clausola ingenera contenzioso sulla sua interpretazione infatti, deve desumersi che non è chiara, e se una clausola non è chiara viola per ciò solo il disposto dell'art. 166 c. 1 c.ass., secondo cui “il contratto e ogni altro documento consegnato dall'impresa al contraente va redatto in modo chiaro ed esauriente”. Vediamo allora che fine fanno queste clausole in giudizio. Distinguiamo il problema dei danni da accumulo dal problema della formazione di ruscelli, e cioè le due eccezioni all'indennizzabilità dei danni provocati dall'acqua all'interno del fabbricato. La clausola-tipo sopra trascritta, con riferimento ai danni all'interno del fabbricato, delimita due aree concentriche di indennizzabilità:
La clausola ha tradizionalmente lo scopo di responsabilizzare l'assicurato, per evitare che questi possa pretendere l'indennizzo - ad esempio - per allagamenti causati da acqua penetrata attraverso porte o finestre lasciate incautamente aperte. Ma ovviamente, poiché non potrebbe rimproverarsi all'assicurato di essersi costruito una casa fragile come quella dei tre porcellini rispetto al soffio del lupo cattivo (le condizioni dell'immobile, piuttosto sono circostanza che l'assicuratore deve valutare al fine dell'apprezzamento del rischio, e che se falsamente dichiarate dall'assicurato potrebbero giustificare il rifiuto dell'indennizzo ai sensi dell'artt. 1892 o 1893 c.c.), nemmeno gli si potrebbe rimproverare che l'acqua sia penetrata all'interno del fabbricato dopo averne distrutto porte, finestre o pareti. Questa dunque è la ratio della clausola di cui si discorre: l'autoresponsabilità dell'assicurato. Ciò spiega perché l'allagamento provocato dall'accumulo di acqua che filtri attraverso infissi e serramenti non è un danno indennizzabile, mentre lo è l'allagamento provocato dall'accumulo di acqua che col proprio peso erompa infrangendo porte o finestre. Sebbene la sentenza qui in rassegna non abbia potuto affrontare questo tema a causa della inammissibilità del ricorso, vale la pena sottolineare che questa distinzione, che potremmo chiamare come accennato tra “l'accumulo dirompente” e “l'accumulo infiltrante”, cui si attenne la sentenza di secondo grado, fu altresì recepita dalla stessa Corte di cassazione, un precedente inedito, la quale confermò la sentenza di merito che aveva escluso l'indennizzabilità d'un danno causato dall'acqua che, accumulatasi, era penetrando attraverso i serramenti ed allagato i locali dove l'assicurato svolgeva la sua attività d'impresa (Cass. 14 ottobre 2016 n. 20730, così pure Cass. 3 dicembre 2019 n. 31448). Conforme all'orientamento del giudice di legittimità è l'orientamento della giurisprudenza di merito. In un caso in cui l'assicurato lamentava un danno ad un locale seminterrato, causato da allagamento a sua volta derivante da acqua percolata attraverso una griglia di aerazione, l'assicuratore aveva rifiutato l'indennizzo invocando la clausola sopra ricordata, che escludeva l'indennizzabilità dei danni da “accumuli esterni di acqua”. Il tribunale, tuttavia, ha in quel caso dato ragione all'assicurato: muovendo dal presupposto che le clausole contrattuali vanno interpretate, oltre che secondo il senso delle parole e la volontà delle parti (art. 1362 c.c.), anche secondo buona fede (art. 1366 c.c.), ed in ogni caso a favore della parte che non l'ha unilateralmente predisposta (art. 1370 c.c.), il giudicante ha ritenuto che l'avere accomunato nella stessa clausola i danni derivanti da “formazione di ruscelli, accumulo esterno di acqua, rottura o rigurgito dei sistemi di scarico” rendeva evidente che le parti avevano inteso escludere i danni da esondazione, ovvero di travaso delle acque reflue dai sistemi - naturali od artificiali - che ne assicurano la raccolta ed il convogliamento. Qualunque altra interpretazione avrebbe privato il contratto della maggior parte della sua utilità per l'assicurato, posto che qualsiasi precipitazione atmosferica causa un “accumulo di acqua”. Così interpretata la clausola, il tribunale ne ha desunto che il percolamento di acqua da una griglia di aerazione non rappresenta alcuna esondazione o travaso, ma semplicemente il frutto di un anomalo livello di precipitazioni (Trib. Roma 23 aprile 2002, Promotour c. Winterthur). Analogamente, in altro e diverso precedente, si è ritenuto che la clausola sopra ricordata non esclude l'indennizzabilità dei danni da infiltrazioni d'acqua conseguenti ad eventi atmosferici di particolare violenza, quando l'infiltrazione sia dovuta alla massa d'acqua piovana accumulatasi per un nubifragio. Questo perché l'impossibilità di un regolare deflusso nella rete fognaria ed il mancato smaltimento delle acque piovane nei tombini comunali sono una pura concausa dell'evento, non escludente che il nubifragio sia causa diretta del danno (in tal senso, Trib. Milano 29 settembre 1997). sul tema qui in esame, insomma, la giurisprudenza è assestata, ed appaiono senza speranza le capziose interpretazioni che pretendono di distinguere gli “infissi” dai “serramenti”, per allargare l'ambito dell'indennizzabilità. La Cassazione se ne è occupata di recente, per bocciare seccamente questa bizantina distinzione (Cass. 16 novembre 2021 n. 34647), e ribadire che nel linguaggio corrente il termine “infisso” è un sinonimo di “serramenti” o comunque in quest'ultimo compreso. Pertanto, dinanzi ad una clausola che escludeva i danni causati dall'acqua attraverso “rotture, brecce o lesioni provocate (…) ai serramenti”, è stata ritenuta insostenibile la tesi secondo cui l'assicurato aveva diritto all'indennizzo dal momento che una consulenza d'ufficio aveva accertato che l'acqua era penetrata all'interno dell'immobile “attraverso gli infissi”. E veniamo ora ai ruscelli. Come accennato, la clausola “eventi atmosferici” nel suo schema tipo esclude i danni all'interno del fabbricato; li ammette se causati da brecce; torna ad escluderli se la breccia è causata da “ruscelli”. Normalmente la clausola-tipo è così concepita: sono esclusi i danni da “formazione di ruscelli, accumulo esterno d'acqua, rottura o rigurgito dei sistemi di scarico”. Ora, accadde un giorno che a causa d'un violento nubifragio l'acqua piovana provocò la rottura “dei serramenti di chiusura della botola di aerazione” d'un locale seminterrato dove una società commerciale svolgeva la propria attività, allagandolo. La società, avendo stipulato una polizza contro i danni da eventi atmosferici, richiese l'indennizzo all'assicuratore, il quale però lo negò, eccependo che il contratto escludeva dalla copertura “i danni all'interno del fabbricato, ancorché avvenuti a seguito di rotture, brecce o lesioni provocate al tetto, alle pareti o ai serramenti dalla violenza degli anzidetti eventi atmosferici, qualora causati dalla formazione di ruscelli”. E secondo l'assicuratore un «flusso abbondante di acqua piovana» doveva ritenersi un ruscello. Il giudice di merito accolse questa eccezione, ma la decisione fu cassata molto seccamente dalla Corte di cassazione (Cass. 10 maggio 2016 n. 9383). Questa, dopo avere rilevato che la clausola sopra trascritta “non è un modello di chiarezza” ha ritenuto “irragionevole”, perché lesiva dei “criteri fondamentali della logica” l'interpretazione del contratto consistita nell'affermare che la polizza assicura contro i danni determinati da eventi atmosferici, fra i quali rientra anche la pioggia, e negare nel contempo la copertura assicurativa se la stessa pioggia abbia determinato un allagamento conseguente alla formazione di un ruscello. “Spingendo l'interpretazione data dal giudice di merito alle estreme conseguenze - si legge nella sentenza - si dovrebbe dire che il danno determinato dal nubifragio è risarcito se la pioggia danneggia dall'alto e non se danneggia dal basso (com'è pacificamente avvenuto nella specie), il che non è ragionevolmente sostenibile”. |