Accordo sui compensi dell’avvocato: verba volant, scripta manent
19 Gennaio 2024
Massime Ai sensi dell'art. 2233 c. 3 c.c., l'accordo di determinazione del compenso professionale tra avvocato e cliente deve rivestire la forma scritta ad substantiam a pena di nullità, senza che rilevi la disciplina introdotta dall'art. 13 c. 2 L. 247/2012. Invero, quest'ultima disposizione, nell'innovare il solo profilo del momento della stipula del negozio (individuato, di regola, nella data del conferimento dell'incarico), ha lasciato invariato quello sul requisito di forma, con due conseguenze: (i) da un lato, l'accordo, quando non trasfuso in un unico documento sottoscritto da entrambe le parti, si intende formato quando la proposta, redatta in forma solenne, sia seguita dall'accettazione nella medesima forma; (ii) dall'altro lato, la scrittura non può essere sostituita con mezzi probatori diversi e la prova per presunzioni semplici, al pari della testimonianza, sono ammissibili nei soli casi di perdita incolpevole del documento ex artt. 2724 e 2725 c.c. L'art. 13 L. 247/2012, per quanto concerne i criteri di determinazione del compenso professionale, accorda la preferenza alla volontà delle parti e ribadisce la natura meramente sussidiaria dei “parametri” forensi, i quali “si applicano quando all'atto dell'incarico o successivamente il compenso non sia stato determinato in forma scritta”. Sotto il profilo processuale e, in particolare, del riparto dell'onere probatorio, ciò significa che, ove dovessero sorgere contestazioni in ordine alla debenza o all'entità del compenso, spetta alla parte che vi ha interesse dimostrare l'esistenza di un valido accordo sul punto. Grava quindi sul committente-cliente la prova dell'eventuale accordo sulla gratuità della prestazione o sulla pattuizione di un compenso inferiore rispetto a quello che deriverebbe dall'applicazione dei parametri forensi, mentre grava sul professionista-avvocato l'onere della prova di aver pattuito un compenso in misura superiore rispetto all'applicazione dei medesimi. Il caso Tempo ed energie profuse per la strenua difesa del cliente, esito del giudizio diverso da quello sperato, incasso irrisorio di € 600,00 e nulla più. Inizia così la triste storia dell'avvocato “a bocca asciutta” che, ben lungi dal rassegnarsi al proprio destino, ricorre al Tribunale di Salerno in via monitoria per ottenere il pagamento del maggior compenso che, alla luce dei parametri forensi, risultava consono rispetto all'attività svolta. La pretesa creditoria dell'avvocato viene accolta, ma la soddisfazione è breve: la ex-cliente oppone il decreto ingiuntivo, sostenendo che il versamento di € 600,00 fosse stato effettuato a saldo del complessivo compenso pattuito per l'attività, come attestato dal fatto che la fattura emessa dal professionista recasse la causale "compenso totale”. La tesi convince il Tribunale di Salerno che, sul presupposto che l'avvocato non fosse riuscito a dimostrare l'avvenuto pagamento della somma di € 600,00 a titolo di acconto, revoca il decreto ingiuntivo e lo condanna alla rifusione delle spese di lite. Oltre al danno, la beffa. L'avvocato, però, non si ferma e, nella speranza di ottenere la riforma della sentenza sfavorevole, ricorre per Cassazione. La decisione viene allora censurata, nella misura in cui:
Il tutto, senza considerare: (i) né l'art. 2233 c. 3 c.c. che richiede la forma scritta a pena di nullità per gli accordi tra avvocati e clienti sugli onorari, (ii) né l'art. 13 c. 6 L. 247/2012 (c.d. Legge Professionale Forense) che prevede l'applicazione dei parametri forensi per l'ipotesi in cui il compenso non sia stato determinato in forma scritta al momento del conferimento dell'incarico o successivamente. Le Questioni e le Soluzioni Giuridiche 1. La forma scritta è requisito di validità per l'accordo sui compensi dell'avvocato? La prima questione giuridica affrontata dalla Corte di Cassazione nella sentenza in esame attiene al "se" la forma scritta sia requisito imprescindibile per la validità dell'accordo tra avvocato e cliente sui compensi. Al riguardo, giova ricordare che:
Dinanzi al descritto quadro normativo, gli interpreti si sono interrogati sul se, a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 13 c. 2 L. 247/2012, la forma scritta fosse ancora richiesta a pena di nullità per l'accordo sui compensi dell'avvocato. In dottrina si sono registrate opinioni contrastanti. Infatti:
In giurisprudenza, si è affermata in modo pressoché unanime la piena compatibilità tra l'art. 2233 c. 3 c.c. e l'art. 13 c. 2 L. 247/2012, aderendo così alla prima interpretazione dottrinale richiamata: se il legislatore avesse voluto cancellare dall'ordinamento il requisito della forma scritta ad substantiam per gli accordi sul compenso degli avvocati, allora avrebbe abrogato esplicitamente l'art. 2233 c. 3 c.c. che commina la sanzione della nullità per l'ipotesi in cui manchi tale requisito formale (v., tra molte: Cass. 9 giugno 2023 n. 16383, Cass. 12 gennaio 2023 n. 717, Cass. 16 maggio 2022 n. 15563, Cass. 8 settembre 2021 n. 24213). Nella fattispecie concreta, la Suprema Corte dà seguito alla proposta lettura ermeneutica, sottolineando che l'espressione “di regola” di cui all'art. 13 c. 2 L. 247/2012 si riferisce alla generale contestualità tra la stipulazione del patto sui compensi e il conferimento dell'incarico professionale, con la conseguenza che il requisito della forma scritta per tale patto, stante il disposto dell'art. 2233 c. 3 c.c., continua a essere previsto a pena di nullità. Dunque, la Corte di Cassazione esclude che la prova dell'accordo sui compensi dell'avvocato possa essere fornita per presunzioni o con altri mezzi (e.g. testi), salvo che negli eccezionali casi di perdita incolpevole del documento di cui agli artt. 2724 e 2725 c.c. 2. Su chi incombe l'onere di provare l'accordo sui compensi? Ferme le limitazioni probatorie appena descritte, l'ulteriore questione affrontata dalla Corte di Cassazione nella decisione analizzata attiene al riparto dell'onere della prova dell'esistenza dell'accordo sui compensi nel giudizio tra avvocato e cliente. In ossequio ai principi sanciti dalla giurisprudenza consolidata (tra le altre: Cass. SU 8 luglio 2021 n. 19427, Cass. 16 gennaio 2023 n. 1145, Cass. 23 novembre 2016 n. 23893, App. Milano 26 aprile 2023 n. 1334, App. Napoli 20 gennaio 2023 n. 220), il tema è trattato dalla pronuncia sulla base dei seguenti passaggi argomentativi:
Di qui, la Suprema Corte cassa la sentenza impugnata, rilevandone l'erroneità anche per aver onerato l'avvocato di dimostrare l'esistenza di un accordo sul compenso inferiore rispetto a quello che sarebbe risultato dal ricorso ai parametri forensi. La causa viene allora rinviata al Tribunale di Salerno che, stante l'assenza di un accordo scritto sui compensi professionali, dovrà determinare l'onorario spettante all'avvocato sulla base dei parametri forensi applicabili al momento dell'esecuzione della prestazione. Osservazioni La pronuncia in commento, oltre a offrire un lieto epilogo per l’avvocato ricorrente, affronta temi di grande utilità pratica nei rapporti fra i professionisti del settore legale e i clienti. In effetti, la decisione chiarisce che:
L’avvocato non è allora privo di tutela: una volta dimostrata l’esecuzione dell’attività, in mancanza di pattuizioni scritte, il professionista potrà invocare i parametri forensi e, se mira a ottenere un onorario maggiore senza contestazioni, dovrà solo ricordarsi del principio di buon senso per cui "verba volant, scripta manent”.
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