Cessione del credito e causa di finanziamento ex art. 106 TUB

30 Gennaio 2024

Nella pronuncia in commento la Cassazione ribadisce che è possibile cedere, ai sensi dell'art. 1260 e s. c.c., il credito da risarcimento del danno da sinistro stradale, e che il cessionario può, in base a tale titolo, domandarne anche giudizialmente il pagamento al debitore ceduto.

Massima

1. Il credito da risarcimento del danno da sinistro stradale è suscettibile di cessione ai sensi dell'artt. 1260 ss. c.c., e il cessionario può, in base a tale titolo, domandarne anche giudizialmente il pagamento al debitore ceduto, costituendo la cessione non già un'operazione di finanziamento, bensì il mero mezzo di pagamento da parte del cedente della prestazione professionale di carrozziere, anche quando il cessionario assume vesti consortili.

2. La norma di cui all'art. 106 TUB, che riserva agli intermediari finanziari autorizzati “l'esercizio nei confronti del pubblico dell'attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma”, in quanto prescrittiva di limiti e vincoli, va interpretata in senso restrittivo, trovando applicazione soltanto in presenza della concreta erogazione di prestiti e di aiuti economici, contraddistinti dalla corresponsione di “interessi” corrispettivi e di mora a carico del finanziato e in favore del finanziatore.

Il caso

Il proprietario di un'autovettura, danneggiata in un sinistro stradale, cedeva il credito risarcitorio a un consorzio, costituito da officine artigiane di autoriparazione; quale corrispettivo della cessione, il consorzio prometteva di farsi carico delle spese per la riparazione del veicolo incidentato, eseguita da una delle imprese consorziate.

Il consorzio cessionario conveniva così in giudizio il danneggiante e la compagnia assicuratrice, chiedendone la condanna al risarcimento del danno. L'adito Giudice di Pace accoglieva la pretesa attorea.

In accoglimento dell'appello dell'assicurazione, il Tribunale riformava la decisione di primo grado, rigettando la domanda risarcitoria: riteneva infatti che quella posta in essere dal consorzio, mediante l'acquisto di crediti risarcitori, costituisse attività di concessione di finanziamenti agli effetti dell'art. 106 TUB, come tale soggetta ad autorizzazione -nella specie mancante-, e la conseguente nullità del contratto di cessione (pertanto inefficace e inidoneo a trasferire il credito) per violazione di norma imperativa.

In particolare, ad avviso del Tribunale, attraverso la complessiva operazione negoziale, il consorzio cessionario:

  1. anticipava (ovvero si accollava) i costi di riparazione del veicolo incidentato, permettendo al danneggiato di fruire del servizio senza esborso di denaro;
  2. acquistava il credito del cedente nei confronti del danneggiante, cioè un credito comprensivo di voci ulteriori (ad. es, fermo tecnico e custodia) rispetto a quelle attinenti ai costi di riparazione, lucrando sulla differenza tra l'ammontare globale del risarcimento e le spese di riparazione anticipate;
  3. svolgeva tale attività su larga scala.

Avverso la sentenza d'appello, il consorzio proponeva ricorso per cassazione, lamentando tra  la violazione e falsa applicazione dell'art. 1260 c.c. e dell'art. 106TUB, per avere il Tribunale erroneamente considerato la cessione del credito quale attività di finanziamento riservata agli intermediari autorizzati, ravvisandone la nullità ai sensi dell'art. 1418 c. 1 c.c.

La questione

La questione giuridica in esame è così riassumibile:

a) la cessione del credito risarcitorio, da parte del danneggiato da sinistro stradale, al consorzio cessionario che, quale corrispettivo, si accolli le spese di riparazione dell’autovettura, costituisce attività di finanziamento agli effetti dell’art. 106 TUB e, di conseguenza, è nulla in mancanza di autorizzazione ex art. 107 TUB?

oppure

b) la cessione del credito, lungi dal costituire attività finanziaria, integra soltanto il mezzo di pagamento della prestazione di riparazione (c.d. cessione solvendi causa), anche qualora tra il cedente e l’impresa di riparazione si frapponga l’ente consortile-cessionario?

Le soluzioni giuridiche

Con la decisione in commento, la Suprema Corte ha cassato la sentenza d'appello, ritenendo che, nella fattispecie, la cessione del credito non evidenziasse una causa di finanziamento, non costituendo attività soggetta alla disciplina del TUB e restando quindi pienamente valida ed efficace. In particolare, secondo il percorso argomentativo della Corte:

  • vige in questa materia il principio della libera cedibilità del credito ai sensi dell'art. 1260 c.c., a più riprese riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, sia con riguardo al danno patrimoniale (cfr. Cass. 28 agosto 2019 n. 21765, Cass. 13 maggio 2009 n. 11095, Cass. 5 novembre 2004 n. 21192), sia rispetto al danno non patrimoniale (cfr. Cass. 3 ottobre 2013 n. 22601);
  • il diritto al risarcimento del danno da sinistro stradale è quindi suscettibile di cessione, cosicché “il cessionario è […] legittimato ad agire, in vece del cedente, per l'accertamento giudiziale della responsabilità dell'autore del sinistro e per la conseguente condanna”;
  • lo stesso legislatore, con l'art. 149 bis D.Lgs. 209/2005 (c.d. codice delle assicurazioni private), ha espressamente contemplato l'ipotesi della “cessione del credito derivante dal diritto al risarcimento di danni causati dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti”;
  • come già affermato da Cass. 14 febbraio 2019 n. 4300, la cessione del credito risarcitorio derivante da sinistro stradale “costituisce (non già un'operazione di finanziamento, bensì) il mero mezzo di pagamento da parte del cedente della prestazione professionale di carrozziere”;
  • l'applicazione di tale principio non è preclusa dall'interposizione, tra il danneggiato-cedente e l'impresa di riparazione, di un soggetto terzo -cioè il consorzio cessionario, costituito dalle imprese di riparazione; e ciò poiché, all'esito, il cedente ha conseguito la riparazione della vettura, quale prestazione in cambio della quale ha ceduto il credito;
  • attesa la funzione “essenzialmente rappresentativa ed organizzativa svolta dal consorzio”, la fattispecie è sovrapponibile a quella della cessione del credito direttamente all'impresa di riparazione;
  • quanto al perimetro applicativo dell'art. 106 TUB, “trattandosi di norma che stabilisce limiti e vincoli (prevedendo l'autorizzazione e l'iscrizione), essa va interpretata in senso restrittivo”, venendo in rilievo “soltanto in presenza della concreta erogazione di prestiti e di aiuti economici, contraddistinti dalla corresponsione di “interessi” corrispettivi e di mora a carico del finanziato e in favore del finanziatore”;
  • nel caso concreto, il consorzio cessionario non aveva erogato una sovvenzione al cedente, con pattuizione di interessi; diversamente, si era impegnato a gestire le cause risarcitorie nell'interesse delle consorziate, ottenendo come vantaggio quello di poter azionare e recuperare un credito di ammontare superiore al mero costo delle riparazioni; una “anticipazione finanziaria” era stata semmai effettuata all'impresa consorziata, che otteneva pagamento della prestazione di riparazione, non quindi “nei confronti del pubblico” ai sensi dell'art. 106 TUB.

Osservazioni

La pronuncia in commento è di notevole interesse, poiché -con specifico riguardo alla cessione del diritto risarcitorio da sinistro stradale, ma delineando principi di più ampia portata - ha esaminato i presupposti di riconducibilità del negozio di cessione del credito alla nozione di “attività finanziaria”, ai sensi dell'art. 106 TUB, escludendo ogni automatismo nella qualificazione in termini di finanziamento, e privilegiando l'indagine della concreta causa negoziale.

La questione è di indubbio rilievo, e il dictum della Suprema Corte quanto mai chiarificatore, viste sia le oscillazioni della giurisprudenza di merito (che in casi analoghi ha espresso orientamenti alquanto estensivi della disciplina del TUB); sia l'ampia diffusione, nella prassi commerciale, di operazioni di acquisto di crediti (risarcitori e non), che suscitano negli attori coinvolti l'interrogativo pratico circa la necessità di autorizzazione ai sensi dell'art. 107 TUB.

Ed è appena il caso di sottolineare che il tema non presenta risvolti solo civilistici -sub specie di nullità del negozio di cessione -, ma anche penali, visto il reato di “abusiva attività finanziaria”, previsto e punito dall'art. 132 TUB.

Invero, dispone l'art. 106 TUB che “l'esercizio nei confronti del pubblico dell'attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma è riservato agli intermediari finanziari autorizzati”; inoltre, ai sensi dell'art.  2 DM 2 aprile 2015 n. 53, tale attività include “ogni tipo di finanziamento erogato”, tra le altre ipotesi, anche “nella forma di […] acquisto di crediti a titolo oneroso”.

Secondo la ratio decidendi della sentenza in esame, l'art. 106 TUB non pone alcuna presunzione assimilativa del negozio di cessione del credito a un'operazione di finanziamento, dovendosi piuttosto individuare il concreto assetto causale della cessione (inteso quale “scopo pratico del negozio, la sintesi, cioè, degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare (c.d. causa concreta), quale funzione individuale della singola e specifica negoziazione, al di là del modello astratto utilizzato”: così Cass. n. 10490/2006).

In quest'ottica, perché trovi applicazione la disciplina del Testo Unico Bancario, dovrà riscontrarsi la causa concreta di finanziamento, perseguita attraverso l'atto di cessione; di talché il prezzo pagato dal cessionario costituisca, in realtà, erogazione di un prestito verso interessi.

La prospettiva adottata dalla pronuncia in commento si mostra coerente con il generale principio per cui la cessione del credito è negozio a causa variabile, potendo assolvere a diverse funzioni (Cass. 3 aprile 2009 n. 8145): così, a seconda dei casi, si avrà cessione a causa di vendita, di donazione, di garanzia, di adempimento, e talora anche di finanziamento (come può avvenire, ad es., nel factoring).

Per contro, come accennato, la fattispecie della cessione del credito risarcitorio da sinistro stradale è stata oggetto di alcune pronunce di merito che, ai fini dell'assoggettamento al regime del TUB, hanno accolto una nozione assai lata di “attività finanziaria”. Si è così affermato, ad es., che l'esercizio professionale dell'attività di cessione di crediti risarcitori, correlata all'assunzione dell'obbligo di anticipare le spese di riparazione dei veicoli, anche senza corresponsione di denaro a titolo di interessi, costituirebbe “attività finanziaria”, ai sensi dell'art. 106 TUB (Trib. Venezia 13 febbraio 2013 n. 316); vi sarebbe dunque “attività di concessione di finanziamenti […] ogni qual volta, indipendentemente dalla forma adottata, il finanziatore eroghi direttamente ovvero indirettamente utilità economicamente valutabili e ciò faccia a fronte di un corrispettivo” (Trib. Venezia 2 settembre 2014 n. 1758). Si noti peraltro che, descritta in termini così generici, la causa di finanziamento faticherebbe a distinguersi dalla causa di scambio che connota la più parte dei contratti tipici e non. Sulla scia di tali arresti, vi è chi ha sostenuto che l'art. 106 TUB si presti a interpretazioni estensive, miranti a “intercettare tutte le possibili forme di “attività finanziaria”” (Giampaolo Miotto, Cessione di crediti risarcitori, attività finanziaria e nullità ex art. 1418 c.c., in Danno e Responsabilità, 4/2015).

A queste letture, che impropriamente dilatano il concetto di finanziamento (quasi a sovrapporre tout-court la cessione del credito allo schema del finanziamento, trascurando il principio di variabilità causale), si contrappone l'orientamento di legittimità, di cui è espressione la sentenza in commento.

Nella prospettiva della Suprema Corte, rilievo centrale assume, insieme all'indagine sul profilo causale, il principio della libera cedibilità del credito (cfr. in proposito Cass. 10 dicembre 2018 n. 31896/2018, che lo ha esteso anche ai crediti futuri ed eventuali, ritenendo che “nel nostro ordinamento giuridico, la cessione dei crediti futuri, anche di quelli aventi causa risarcitoria, è possibile senza che rilevi la probabilità della venuta in essere del credito ceduto”).

Invero, con Cass. 14 febbraio 2019 n. 4300, la Suprema Corte aveva già evidenziato come, “nell'affermare che la cessione del credito implica attività finanziaria soggetta ad autorizzazione ex art. 106 D.Lgs. 385/1993”, il giudice d'appello fosse incorso nella violazione del principio per cui “il credito di risarcimento del danno da sinistro stradale è suscettibile di cessione ai sensi dell'art. 1260 e s. c.c., e il cessionario può, in base a tale titolo, domandarne anche giudizialmente il pagamento al debitore ceduto, pur se assicuratore per la r.c.a., non sussistendo alcun divieto normativo in ordine alla cedibilità del credito risarcitorio risarcitorio (v. Cass. 10 gennaio 2012 n. 51; Cass. 10 gennaio 2012 n. 52; Cass., 3 ottobre 2013 n. 22601)”.

Ribaditi tali principi, con la sentenza in esame (Cass. 3 ottobre 2023 n. 27892), la Suprema Corte si è espressamente soffermata sul contenuto e sulla portata dell'art. 106 TUB, escludendo ogni interpretazione di segno estensivo. Al contrario, la norma “va interpretata in senso restrittivo”, proprio perché essa pone “limiti e vincoli ([…]l'autorizzazione e l'iscrizione)”  -limiti e vincoli destinati a comprimere il generale principio di libera cedibilità del credito. Sicché, la disciplina del TUB non dovrebbe trovare applicazione al di fuori delle ipotesi di “concreta erogazione di prestiti e di aiuti economici, contraddistinti dalla corresponsione di “interessi” corrispettivi e di mora a carico del finanziato e in favore del finanziatore” (così sempre l'ordinanza della Cassazione in commento).

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