Responsabilità da cosa in custodia e caso fortuito: quando la condotta del danneggiato assorbe integralmente il nesso causale

08 Febbraio 2024

Il Tribunale di Rovigo effettua una valutazione comparativa della incidenza causale di due fattori: la condizione di un determinato luogo e la condotta del danneggiato per come palesatasi nell’affrontare lo stato dei luoghi in questione, sempre valutata in relazione alle circostanze del caso concreto, sia oggettive, sia soggettive.

Massima

In tema di responsabilità da cosa in custodia, allorquando il danneggiato è a conoscenza delle peculiarità dello stato dei luoghi, a maggiore ragione se si tratta di luoghi oggetto di abituale e quotidiana frequentazione da parte del medesimo, ed inoltre il luogo in questione, con tali sue peculiarità, gli si presenta in condizioni di piena visibilità, è richiesto al danneggiato di improntare la propria condotta, nel percorrere detto luogo, ad un livello di prudenza, diligenza ed attenzione superiore, in quanto un luogo conosciuto, che presenta caratteristiche note ed anche attese, ben difficilmente può essere considerato insidioso. Consegue a tanto che, ove il danneggiato non abbia adottato quelle cautele che, in relazione delle peculiarità del caso concreto, era lecito attendersi dal medesimo, la sua condotta si pone quale causa esclusiva dell’evento, integrando l’esimente del caso fortuito e giustificando il rigetto della relativa domanda risarcitoria.

Il caso

Gli eredi di Tizia convenivano dinanzi al Tribunale di Rovigo il medesimo Comune, invocandone la condanna al risarcimento dei danni conseguenti al decesso di un loro congiunto, avvenuto qualche mese dopo una caduta del medesimo, occorsa in centro cittadino, su una sconnessione del marciapiedi, in una condizione ambientale di piena visibilità, caduta e relative conseguenze dai medesimi ascritta a responsabilità dell'ente pubblico art. 2051 c.c. ovvero, in subordine, art. 2043 c.c.: la causa civile era stata preceduta dalla proposizione di querela per i fatti connessi alla caduta, querela poi archiviata.

Il convenuto Ente pubblico si costituiva in giudizio eccependo in via preliminare la prescrizione dell'azionato diritto al risarcimento, ed in ogni caso, nel merito, negando in via principale la propria responsabilità, con il dedurre che l'accaduto era da ascriversi alla condotta esclusiva della de cuius, come tale idonea ad integrare la esimente del caso fortuito; in subordine, eccepiva in ogni caso il concorso di colpa ex art. 1227 comma 1 c.c., invocando proporzionale riduzione dell'eventuale risarcimento, ed infine contestava siccome eccessivo il quantum della pretesa attorea.

Il Tribunale adito, ritenendo sufficiente ai fini della decisione il materiale probatorio raccolto nella fase delle indagini preliminari in sede penale, all'esito dello scambio di comparse conclusionali e memorie di replica, rigettava la domanda attorea ritenendo sussistente, nel caso di specie, la esimente del caso fortuito, integrata dalla condotta della danneggiata, visto anche il fatto che le risultanze istruttorie non avevano consentito la individuazione del punto esatto in cui la caduta si era verificata, compensando comunque le spese di lite.

La questione

Per quello che rileva nel contesto di questo contributo, il caso descritto propone, in particolare, una questione di indubbio interesse, ovvero quella relativa alla valutazione comparativa della incidenza causale sul verificarsi di un determinato evento, di due fattori: da un lato, della condizione di un determinato luogo (declinata sub specie del relativo stato manutentivo nelle circostanze temporali in cui si assume verificato un dato evento di danno); dall’altro, della condotta del danneggiato per come palesatasi nell’affrontare lo stato dei luoghi in questione, sempre valutata in relazione alle circostanze del caso concreto, sia oggettive, sia soggettive.

Le soluzioni giuridiche

La questione sottoposta all'esame del giudice veneto è stata dal medesimo risolta con l'affermare la impossibilità di predicare la sussistenza, nel caso di specie, né di una responsabilità da cosa in custodia, e nemmeno di una responsabilità ex art. 2043 c.c., a carico dell'ente pubblico convenuto, in ragione della efficacia assorbente, rispetto all'eziologia dell'evento (ed ovviamente delle sue conseguenze) spiegata in concreto dalla condotta tenuta dalla parte che si assume danneggiata, seppur in presenza di una non perfetta condizione manutentiva dello stato dei luoghi, rispetto alla quale, comunque, la condotta del danneggiato medesimo è stata ritenuta assorbente dal punto di vista del nesso causale.

Nello specifico, infatti, il giudice veneto ha ritenuto che elementi sia di carattere <soggettivo> quali, la pregressa conoscenza dello stato dei luoghi, sia di carattere <oggettivo>, quali  condizioni di ottimale visibilità dello stato dei luoghi e delle sue peculiarità nel giorno e nell'ora del sinistro, visibilità anche in termini di potenziale pericolosità – tali da dover indurre un soggetto di media prudenza e diligenza ad improntare la propria condotta, nell'affrontare tale luogo, ad un superiore livello di prudenza e diligenza – conducevano a ritenere che l'accaduto era da ascrivere ad un evento fortuito, rappresentato, nel caso specifico, dalla condotta del danneggiato medesimo, ritenuta priva della indispensabile prudenza e diligenza.

In definitiva, per il tribunale, dato che il tratto di marciapiedi si trovava non solo molto vicino all'abitazione del danneggiato, ma anche sullo stesso lato della strada, le peculiarità della condizione dei luoghi in questione non poteva che essere nota al medesimo – escludendo quindi che potesse trattarsi di una insidia inaspettata - che con una maggiore attenzione avrebbe potuto evitare l'inciampo.

Osservazioni

La sentenza qui commentata appare senza dubbio da condividere in quanto affronta e risolve correttamente la questione sottoposta al suo esame.

Non vi è dubbio che una situazione fattuale che caratterizza un dato stato dei luoghi (nel caso di specie una strada e sue pertinenze - un marciapiedi - posta nel centro cittadino) possa astrattamente costituire un pericolo per gli utenti che con tale stato dei luoghi vengono in contatto.

Tuttavia, l'astratta idoneità a costituire fonte di pericolo non può costituire, in re ipsa, fonte di responsabilità per il soggetto custode, necessitando la verifica, nel caso concreto, di come il preteso danneggiato si è rapportato con tale condizione e con tale astratta idoneità, scrutinando quindi la condotta del danneggiato per come manifestatasi nel concreto contesto fattuale – del quale vanno di certo analizzate tutte le peculiarità - al fine di accertare se condotta in questione non possa ascriversi nemmeno una minimale responsabilità, ovvero se, all'opposto, la stessa si sia rivelata in grado di assorbire interamente il nesso causale con l'evento e le lamentate conseguenze, interrompendo il nesso eziologico con eventuali precedenti condotte di terzi astrattamente idonee a causare il verificarsi dell'evento in questione.

Invero, è nella verifica dell'interazione e contrapposizione tra tali due contrapposte condotte (e, conseguentemente, nella verifica dell'efficacia causale che, nel caso concreto, ciascuna di esse ha spiegato) che si incentra il fulcro dell'accertamento della sussistenza o meno della responsabilità da cosa in custodia, e sulla possibilità che la stessa possa essere <neutralizzata> dalla esimente del caso fortuito, su cui concreto configurarsi, come si è osservato, è suscettibile di incidere in modo determinante la condotta del danneggiato, la quale avrà un peso diverso sull'esito della decisione a seconda del se – e quanto – abbia inciso nella verificazione dell'evento, oppure no.

In tale ottica, mentre rileva la condotta del danneggiato ai fini della valutazione della sussistenza o meno della esimente di cui all'art. 2051 c.c., per altro verso autorevole dottrina ritiene irrilevante la condotta del custode e la sua valutazione, affermando che, onde la responsabilità ex art. 2051 c.c. possa ritenersi esistente, nessun rilievo va attribuito alla condotta eventualmente colposa del custode, bastando a tal fine il solo fatto dell'accadimento dell'evento dannoso, con affermazione, pertanto, della natura oggettiva di tale responsabilità (C. CASTRONOVO, La responsabilità civile, Milano, 2018, p. e ss.); in conseguenza, viene ad essere riconosciuto che, proprio in considerazione di tale sua natura, la configurabilità della predetta responsabilità non dipende, né tantomeno subisce, alcun condizionamento da tale suddetto elemento psicologico, come afferma autorevole dottrina (C. CASTRONOVO, op. loc. cit).

Ben si comprende, allora, perché i giudici di legittimità, con una serie di decisioni del 2018, abbiano avuto modo di chiarire, nella prospettiva sopra indicata, innanzitutto come sia differente il modo di atteggiarsi della condotta del danneggiato che entri in interazione con la cosa, e che tale diverso atteggiarsi della suddetta condotta sia diretta conseguenza dall'entità dell'incidenza eziologica di tale condotta con il prodursi dell'evento di danno (Cass. civ., sez. III, 1.2.2018, nn. 2479, 2480, 2481, 2482, 2483); inoltre, che nella valutazione della condotta del danneggiato il giudice di merito debba tenere in particolare considerazione il rispetto, da parte del danneggiato, del generale dovere di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà emergente dall'art. 2 Cost. (Cass. civ., sez. III, 1.2.2018, nn. 2479, 2480, 2481, 2482, 2483) con la conseguenza che, allorquando da tale scrutinio emerga che la situazione di possibile verificazione del danno sia suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, allora alla condotta imprudente di quest'ultimo andrà ascritta una proporzionalmente maggiore incidenza eziologica nel dinamismo causale del danno (Cass. civ., sez. III, 1.2.2018, nn. n. 2479, 2480, 2481, 2482, 2483); incidenza, questa, che può estendersi sino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, ovviamente ove risulti accertato come debba escludersi che lo stesso comportamento del danneggiato possa costituire un'evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l'esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro (Cass. civ., sez. III, 1.2.2018, nn. n. 2479, 2480, 2481, 2482, 2483) anche pèrchè, come si è osservato in dottrina, <<l'esistenza del nesso causale presuppone ovviamente che la res presenti un'apprezzabile idoneità lesiva, tale non potendo considerarsi una qualsivoglia modesta anomalia della cosa>> (G.ANNUNZIATA, Responsabilità civile e risarcibilità del danno, Padova, 2010, p. 435).

In definitiva, allora, il solo accertamento della condotta colposa del danneggiato non è sufficiente per ritenere integrata la esimente del caso fortuito prevista dall'art. 2051 c.c., occorrendo, a tal, fine indagare un ulteriore aspetto, ovvero l'incidenza causale di tale condotta colposa sull'eziologia dell'evento.

A tanto va poi aggiunta la rilevanza della ricostruzione operata dalla giurisprudenza di legittimità del concetto di caso fortuito e della sua incidenza causale: infatti, con recente decisione, la Corte ha affermato che sia il fatto (fortuito) che l'atto (del terzo o del danneggiato) si pongono in relazione causale con l'evento di danno non nel senso della (solo descrittivamente definita) "interruzione del nesso tra cosa e danno", bensì alla luce del principio disciplinato dall'art. 41 c.p., che relega al rango di mera occasione la relazione con la "res", deprivata della sua efficienza di causalità materiale, senza peraltro cancellarne l'efficienza causale sul piano strettamente naturalistico (Cass. civ., sez. III, 23.5.2023, n. 14189) e ciò tanto nell'ipotesi di efficacia causale assorbente, quanto di causalità concorrente di tali condotte, poiché, senza la preesistenza e la specifica caratterizzazione della "res", il danno non si verificherebbe (Cass. civ., sez. III, 23.5.2023, n. 14189); simile ricostruzione era stata in parte anticipata dai giudici di merito, i quali, nel delineare i caratteri fondamentali della nozione, avevano affermato che esso deve essere: a) autonomo; b) eccezionale; c) imprevedibile; d) inevitabile; e) infine, in grado di provocare il danno senza il concorso di ulteriori eventi e/o condotte (Trib. Milano, sez. X, 6.7.2021, n. 5886).

In concreto, allora, come da alcuni osservato, la condotta del danneggiato deve essere scrutinata avendo come parametro di riferimento quello del livello di diligenza concretamente pretendibile, dal medesimo, in relazione alle circostanze specifiche del caso concreto (G. CASCELLA, Contenuto e ripartizione dell'onere della prova nelle azioni ex art. 2051 c.c., in Il Processo, 2021, 3, p. 603 e ss.): il che appare assumere un rilievo ancora maggiore ove si tenga presente che, a leggere la decisione qui si commenta, nel caso di specie la res in custodia ben poteva essere qualificata come <inerte>, cioè priva di intrinseca pericolosità, come tale suscettibile di diventare potenzialmente pericolosa solo per l'intervento di un fattore esterno, con la conseguenza che, come osserva autorevole dottrina, in simili casi il giudizio circa l'eventuale pericolosità della cosa «non può prescindere da un modello relazionale per cui la cosa venga vista nel suo interagire col contesto dato» (R. PARDOLESI, Responsabilità da custodia in cerca di identità: intrinseca pericolosità, dinamismo connaturato oppure rilevante rischio di pregiudizio nel normale contesto di interazione della cosa?, in Danno e resp., 2004, 161); ben si comprende, allora, perché in giurisprudenza si sia affermato che il danneggiato, ove si limiti a provare che esiste una situazione di anomalia nella res oggetto di custodia non può ritenersi abbia validamente assolto l'onere probatorio che su di lui grava (App. Firenze, 30.8.2021, n. 1655, in www.cassazione.net) poiché prova dell'esistenza dell'anomalia e prova del nesso causale sono due aspetti differenti, tra loro non sovrapponibili né fungibili (App. Firenze, 30.8.2021, n. 1655, cit.).

Il tutto, non trascurandosi di evidenziare che, come osservato da altro autore, a prescindere dalle misure adottate dal custode con finalità di prevenzione degli eventi di danno – in relazione alle quali non può ritenersi che tale soggetto sia obbligato ad adottare quelle volte a prevenire/evitare condotte di terzi potenzialmente autolesionistiche, che in quanto tali si collocano all'opposto di quello che deve ritenersi l'auspicabile ossequio, da parte di ciascun consociato, del dovere di prudenza e diligenza – occorre comunque considerare che, per il custode, risulta impossibile prevedere, ex ante, e conseguentemente evitare, ogni ipotetico comportamento, seppur connotato da colpa, di qualsiasi soggetto che interagisca con la cosa in custodia (F.AGNINO, Responsabilità aquiliana, responsabilità per danni da cosa in custodia:il diverso regime probatorio, in www.ridare.it), il che, allora, sembra riportare l'attenzione sull'aspetto soggettivo della fattispecie, e quindi attribuire rilevanza al requisito della <colpa> del custode-

Tale ricostruzione, invero, viene sostenuta anche da autorevole dottrina, la quale – ponendosi in disaccordo con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, oltre che della maggior parte della dottrina – sostiene che quella di cui all'art. 2051 c.c. è una responsabilità aggravata, e non oggettiva (C.M BIANCA, Diritto Civile, vol. V, La responsabilità, 3^ed.. Milano, 2021,  p. 692 e ss.) in quanto, da un lato, se realmente il legislatore avesse inteso configurarla come oggettiva, non avrebbe previsto la possibilità, per il custode, di fornire la prova del fortuito al fine di andare esente da responsabilità, per cui è proprio la previsione della suddetta prova che osta a tale qualificazione (C.M BIANCA, op. loc. cit.); per altro verso, poi, si afferma cha la ricostruzione di tale responsabilità in termini di responsabilità <aggravata> deve ritenersi connesso con il carattere che presenta il danno che in simili casi viene in rilievo, con l'affermare che <<L'aggravamento della responsabilità del custode trova ragione nel carattere normalmente colposo che presenta il danno derivante dalla cosa custodita. Il generale dovere di diligente rispetto dei diritti altrui impone a chi ha la disponibilità di una cosa di tenerla in condizioni di non pericolosità. Se un danno deriva dalla cosa è quindi normale che non siano state adottate le misure idonee ad evitare la produzione di quel danno e che sia il custode a dover provare di non aver potuto evitare il danno o che lo stesso si sia verificato per il concorso di concause imprevedibili ed insuperabili>>(C.M BIANCA, op. cit., p. 695).

Calando i suddetti criteri nel caso concreto esaminato dalla decisione qui in commento, innanzitutto occorre rilevare come, nel caso di specie, la condotta del danneggiato abbia integrato quella particolare ipotesi di caso fortuito che si caratterizza per la sua idoneità ad assorbire integralmente il nesso causale tra la condotta e l'evento, rendendo irrilevante, e/o neutralizzando l'eventuale incidenza causale di condotte precedenti ascrivibili ad altri soggetti.

Si è trattato, quindi, di quello che autorevole dottrina definisce come <fortuito autonomo> per distinguerlo dalle diverse ipotesi di <fortuito concorrente> e <fortuito incidente> (M. FRANZONI, L'illecito, in Trattato della Responsabilità Civile, diretto da M. Franzoni, Milano, 2010, p. 493-494): nello specifico, secondo tale Autore, si è in presenza di fortuito <autonomo> allorquando sussiste una relazione eziologica esclusiva tra il danno e l'evento che integra il fortuito, di fortuito <incidente> allorquando la partecipazione della cosa al prodursi dell'evento resta confinata al livello di mera occasione, mentre esso risulterà <concorrente> allorquando ha spiegato anch'esso incidenza eziologica nel provocare il danno, al pari dell'evento fortuito (M. FRANZONI, op. loc. cit).

Fatta tale premessa ricostruttiva, il giudice veneto appare essersi conformato a quelle ricostruzioni giurisprudenziali da cui emergono i seguenti principi: a) “Compete al danneggiato fornire, ai sensi dell'art. 2051 c.c., in via prioritaria, la prova del nesso di causalità tra l'evento dannoso lamentato e il bene in custodia, per cui qualora questi non assolva in modo soddisfacente a tale onere probatorio, diviene superflua la prova del caso fortuito da parte del custode"(Trib. Lamezia Terme, sez. I, 27.4.2023, in banca dati De Jure); b) allorquando sussistano la presenza di illuminazione nel tratto di strada oggetto del sinistro, la intrinseca staticità dell'anomalia e le condizioni della stessa risultino tali da renderla agevolmente percepibile in quanto ampia e non occultata da ostacoli, tali elementi obiettivamente impongono al danneggiato un dovere di ragionevole cautela, di guisa che la caduta  occorsa al danneggiato deve ritenersi accaduta a causa della sua imprudenza e distrazione e sia unicamente da ascrivere alla sua condotta, idonea ad interrompere il nesso causale riducendo la res a mera occasione dell'evento, con conseguente esenzione dell'ente da ogni responsabilità sia ai sensi dell'art. 2051 c.c., sia, per le stesse ragioni, ai sensi dell'art. 2043 c.c. (Cass. civ., sez. III, 2.11.2023, n. 30394).

A tanto va poi aggiunto che la decisione non appare censurabile per avere ritenuto raggiunta la prova del caso fortuito sulla scorta di un ragionamento presuntivo, atteso che, come affermato di recente dalla giurisprudenza di legittimità, detta prova ben può essere fornita tramite presunzioni, dal momento che “la prova di un fatto esterno al rapporto tra il custode e la cosa, e come tale in grado di costituire di per sé causa del danno, grava sullo stesso Comune-custode, il quale ha l'onere di allegare elementi, anche se semplicemente fonti di presunzioni, tali da consentire di affermare l'incidenza del caso fortuito nella causazione del sinistro”(Cass. civ., sez. III, 15.3.2019, n.7361); possibilità, questa, ammessa anche da autorevole dottrina, secondo la quale è proprio la relazione intercorrente tra nesso di causa e prova liberatoria da parte del custode che conduce a ritenere possibile che la relativa prova possa venire fornita anche attraverso l'allegazione di circostanze fattuali suscettibili di sostenere l'applicazione del meccanismo della prova per presunzioni, assurgendo al rango di prove utilizzabili dal giudice ai fini della decisione (M. FRANZONI, op. cit., p. 489).

In definitiva, ad avviso di chi scrive, la decisione in questione costituisce ulteriore conferma della indubbia difficoltà insita, in particolare sotto il profilo della corretta allegazione dei fatti costitutivi della domanda e del correlato (almeno) sufficiente assolvimento dell'onere probatorio che grava sul danneggiato, nelle azioni ex art. 2051 c.c.; difficoltà riconosciuta anche da un autore già citato, secondo il quale il danneggiato che assume essere accaduto l'evento per responsabilità ex art. 2051 c.c. del convenuto è tenuto sia ad allegare che la propria caduta è stata causata da sconnessione e/o dislivello di un determinato punto sede stradale (proprio come accaduto nella vicenda oggetto della decisione qui in commento) sia a fornire valida prova di tale allegazione, onde consentire al giudice di individuare il punto esatto in cui si è verificata la caduta, dal momento che solo in presenza di una simile prova potrà ritenersi che l'evento si sia verificato quale conseguenza <normale> di una simile condizione dello stato dei luoghi (G. CASCELLA, op. loc. cit.).

Opinione dottrinale, quella innanzi richiamata, che ha trovato ampia condivisione nella giurisprudenza, innanzitutto in quella di merito, che al riguardo ha affermato in modo inequivoco che <<È infatti erroneo, in particolare, l'assunto in base al quale l'affermata natura oggettiva della responsabilità da cosa in custodia legittimi il danneggiato a ritenere assolto l'onere della prova gravante a suo carico dimostrando di essere caduto, in corrispondenza di una anomalia, qualunque essa sia, e senza alcuna indagine sulle caratteristiche della dedotta insidia, riferendo per ciò solo al custode ogni altro onere, sub specie di prova liberatoria del caso fortuito>> (App. Firenze, 30.8.2021, n. 1655, cit.); inoltre – il che appare, indubbiamente, di ancora maggiore interesse – risulta essere stata condivisa anche da recentissima decisione di legittimità, secondo cui <<La prova che deve fornire il danneggiato, ai fini del riconoscimento della responsabilità oggettiva speciale di cui all'art. 2051 c.c., è quella della sussistenza di un effettivo e concreto nesso di causa tra la cosa in custodia e l'evento dannoso, cioè la prova che l'evento sia stato concretamente provocato dalla cosa. Non può quindi ritenersi sufficiente, a tal fine, specie in caso di cadute o altri eventi che si verificano in aree destinate alla circolazione pedonale o dei veicoli e che siano nella custodia di un determinato soggetto, la prova che l'evento si sia semplicemente verificato in quell'area (vale a dire, che il sinistro e la cosa custodita si collocassero, genericamente e complessivamente, in un medesimo contesto) essendo necessario dimostrare che lo stesso sia stato concretamente provocato proprio dalla cosa in custodia e non da altri diversi fattori causali. In tale ottica e, quanto meno, a tal fine, in queste ipotesi, è dunque sempre necessario che sia allegata e provata dall'attore la dinamica del fatto, per quest'ultima intesa la successione dei fatti e l'insieme dei fattori che determinano lo sviluppo di un evento, producendo determinati effetti>> (Cass. civ., sez. III, 27.12.2023, n. 35991).

In questa prospettiva, allora, da parte del danneggiato <<è dunque sempre necessario che sia allegata e provata dall'attore la dinamica del fatto, per quest'ultima intesa la successione dei fatti e l'insieme dei fattori che determinano lo sviluppo di un evento, producendo determinati effetti>> (Cass. civ., sez. III, 27.12.2023, n. 35991).

Il che equivale ad affermare, conclusivamente, che, in una fattispecie del tipo di quella esaminata dalla decisione qui in commento, il danneggiato è onerato di provare: i) che la caduta è avvenuta proprio in un determinato punto della cosa in custodia, non potendosi limitare ad allegare, genericamente, che essa sia avvenuta sulla cosa in custodia; ii) che la caduta è avvenuta secondo una determinata modalità (ad esempio, per scivolamento ovvero per inciampo, e non altra causa), non potendosi limitare ad allegare genericamente che la caduta si era verificata sic et simpliciter; iii) infine, che la caduta sia stata causata dalle peculiari condizioni che la res in custodia presentava nel punto in cui è avvenuta (ad esempio, strada sdrucciolevole, ovvero con pendenza eccessiva, oppure con pavimentazione rotta e/o dissestata), non potendosi limitare ad allegare che la stessa integrasse gli estremi della insidia; l'assolvimento di tale onere, come appare intuibile, possiede una valenza duplice, in quanto rileva anche nella prospettiva di consentire al custode di potersi difendere in modo appropriato, mettendolo a conoscenza, nel modo più preciso e puntuale possibile, di tutti gli elementi fattuali su cui si fonda l'addebito di responsabilità che viene formulato nei suoi confronti.

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