Finanziamento soci enunciato in sede di aumento di capitale e imposta di registro
16 Febbraio 2024
Massima Ai fini dell'applicazione della causa di esclusione dell'imposta di registro di cui all'art. 22, comma 2, del d.p.r. 131 del 26 aprile 1986 (Testo unico delle disposizioni sull'imposta di registro) per i contratti verbali enunciati in altri atti è necessario che gli effetti delle disposizioni enunciate siano integralmente “già cessati o cessano in virtù dell'atto che contiene l'enunciazione”. Non può considerarsi cessato l'effetto di un finanziamento socio che sia solo parzialmente utilizzato ai fini della sottoscrizione di un aumento di capitale, residuando quindi una porzione di credito del socio dopo l'operazione di aumento del capitale. Se l'imposta per atti scritti od orali enunciati in un atto notarile è dovuta, l'Agenzia delle Entrate può legittimamente emettere un avviso di liquidazione al notaio che ha redatto l'atto, qualificandosi anche l'imposta di registro degli atti enunciati alla stregua di una imposta “principale”. Il caso I fatti di causa sono appena accennati nella sentenza in commento che ha accolto uno dei due motivi di ricorso avanzati dal notaio ricorrente, cassando quindi la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Regione Lombardia. Dalla lettura della sentenza si desume che il contenzioso sia sorto a seguito della ricezione, da parte del notaio, di un avviso di liquidazione dell'Agenzia delle Entrate funzionale a recuperare l'imposta di registro su di un finanziamento soci enunciato in un verbale assembleare di aumento di capitale. L'operazione in questione riguardava, appunto, un aumento di capitale sociale deliberato dai soci e da questi (o uno di questi) liberato mediante utilizzo, in compensazione, di un finanziamento soci in essere, precedentemente erogato alla deliberante società e finalizzato solo in forma orale (vale a dire, con mera trasmissione del denaro a mezzo bonifico e senza un puntuale contratto regolante la disciplina del credito). Le questioni L'interessante sentenza in esame è da leggersi “in scia” alla recente pronunzia delle Sezioni Unite sullo stesso tema (Cass. Sez. Unite 24 maggio 2023 n. 14432) e ritorna, in termini sostanzialmente analoghi, su quanto oggetto di pronuncia da parte della stessa sezione tributaria della Cassazione con le sentenze “gemelle” del febbraio 2023 (Cass. Civ. Sez. Trib. 8 febbraio 2023 n. 3839 e n. 3841, su cui si rimanda a: Liva, La tassazione del finanziamento soci in forma verbale in compensazione per la sottoscrizione dell'aumento di capitale, in questo portale. Due sono le questioni oggetto di analisi da parte di giudici della Cassazione. La prima, più di rilevanza notarile, concerne l'interpretazione dell'art. 57, comma 1, d.p.r. 131 del 26 aprile 1986 in tema di responsabilità del notaio circa la tassazione degli atti enunciati in un atto da lui rogato o autenticato. È noto, infatti, che la norma citata pone in capo al notaio l'obbligo di versare, per conto delle parti sostanziali, le imposte relative all'atto notarile. Meno chiaro è se lo debba fare anche per gli atti (precedentemente non registrati) solo enunciati nell'atto notarile e posti in essere dalle stesse parti. Sul punto, la sentenza in commento si conforma (e probabilmente non potrebbe fare diversamente) al recente e già citato orientamento delle Sezioni Unite del maggio 2023 per cui (a) anche l'imposta – ove dovuta – derivante dall'atto enunciato “deve qualificarsi come imposta principale” e, conseguentemente, (b) il notaio “che ha ricevuto l'atto enunciante, pur in via dipendente, è responsabile per il pagamento dell'imposta solidalmente con le parti dell'atto stesso”. Rispetto a ciò, pertanto, non è stato accolto il ricorso del notaio, che aveva ritenuto di non essere il corretto destinatario dell'avviso di liquidazione emesso dall'Agenzia delle Entrate per l'imposta dell'atto enunciato nell'atto notarile. La seconda questione, invece, riguarda la corretta applicazione dell'art. 22, comma 2, del d.p.r. 131 del 26 aprile 1986. La norma è nota per definire gli elementi qualificanti che consentono di applicare la cd. regola dell'enunciazione. In sintesi, il legislatore tributario prevede che siano soggetti al versamento dell'imposta di registro (ove non versata in precedenza) gli “atti scritti o contratti verbali” che (a) siano compiutamente enunciati in un diverso atto, (b) presentino la caratteristica dell'identità di parti tra l'atto enunciante e l'atto enunciato e (c) abbiano effetti che permangono anche a seguito della firma dell'atto enunciante. Se i punti sub (a) e (b) sono meno controversi – quanto meno, nel caso in esame – i giudici di legittimità, alla luce del ricorso presentato dal notaio, si concentrano sulla causa di esclusione della tassazione prevista dal secondo comma della norma citata – il punto sub (c) - che è chiara nell'escludere l'imposta per i contratti verbali "quando gli effetti delle disposizioni enunciate sono già cessati o cessano in virtù dell'atto che contiene l'enunciazione". Questa è, in altri termini, la fattispecie perfettamente integrata nel caso in esame, in cui i soci della società avevano definitivamente imputato le somme versate in società, con contratto verbale, a titolo di finanziamento alla liberazione dell'aumento di capitale sottoscritto. Con mutazione della causa originaria dell'operazione di versamento e verificazione di una vera e propria compensazione tra i crediti dei soci finanziatori e il credito della società verso tali soci relativo alla sottoscrizione dell'aumento di capitale sociale (per approfondire il tema dell'aumento di capitale mediante compensazione crediti, cfr. Massima del Consiglio Notarile di Milano n.125/2013). Osservazioni La sentenza in commento non analizza il concetto di “identità di parti”, ai fini dell'applicabilità della disposizione tributaria di cui all'art. 22 del D.P.R. 131 del 26 aprile 1986. Nei fatti, si allinea però all'impostazione dalla nota sentenza di Cassazione (Cass. Civ. Sez. Trib. 30 giugno 2010 n. 15585 in Riv. notariato 2011, 1, 145), successivamente confermata dai giudici di legittimità (da ultimo, Cass. Civ. Sez. Unite, 25 luglio 2022, n. 23051) secondo la quale anche un verbale assembleare può far sorgere una “identità di parti”, dal momento che ai fini fiscali la norma citata allude a un concetto di parti da leggersi in senso non contrattualistico. Aspetto interessante della sentenza è la qualificazione giuridica dell'utilizzo del finanziamento soci ai fini della liberazione dell'aumento di capitale. Per i giudici, l'imputazione della somma di danaro data a titolo di mutuo a capitale fa divenire “il denaro un conferimento societario”. Pertanto, ne desumono che tale imputazione a capitale “non integra un effetto dell'originario contratto [di mutuo n.d.r.]” ma “un elemento che attiene alla sua conclusione [del contratto di mutuo n.d.r.]”. È quindi compiutamente integrata la causa di esclusione di cui alla norma tributaria che esclude la tassazione per i contratti verbali anche quando gli effetti cessano proprio in virtù dell'atto (nel caso di specie, il verbale assembleare) che contiene l'enunciazione. Altro elemento prezioso ricavabile dalla pronuncia è la breve analisi fatta dai giudici a commento della citata recente Cass. Sez. Unite 24 maggio 2023 n. 14432. In quella sede, le Sezioni Unite precisarono che la cessazione degli effetti dell'atto enunciato deve essere integrale, perché si applichi la causa di esclusione del pagamento del tributo cui alla norma fiscale. Di conseguenza, se il finanziamento enunciato in un verbale assembleare è solo parzialmente utilizzato, residuando, ad esito dell'assemblea, un ammontare da rimborsare a carico della società, allora non può applicarsi la causa di esclusione, dato che gli effetti dell'atto enunciato (il finanziamento) restano in vigore. Conclusioni È noto che la prassi societaria, dopo il 2010, tende a evitare qualsiasi enunciazione di finanziamenti soci in sede di verbale assembleare e dare esecuzione all'aumento di capitale solo ad assemblea chiusa, con lettere “private” di rinuncia al rimborso del finanziamento e sua imputazione ai fini della sottoscrizione dell'aumento del capitale. La sentenza in commento potrebbe contribuire a ridurre questa prassi. Non vi sarebbe infatti motivo di “nascondere” dal verbale l'imputazione del finanziamento socio all'aumento del capitale, laddove tale finanziamento (a) derivi da un contratto verbale (cioè, sia consistito in un mero trasferimento di denaro) e (b) sia utilizzato integralmente (e non parzialmente) per la liberazione dell'aumento di capitale deliberato, cessando così del tutto i suoi effetti con la chiusura del verbale stesso. |