Dies a quo della prescrizione dell’attività professionale e violazione di doveri di informazione dell’avvocato

14 Febbraio 2024

Le questioni, in ordine alle quali la Corte di cassazione svolge importanti precisazioni, sono le seguenti: quando decorre il termine di prescrizione della responsabilità del difensore? La diligenza del difensore riguarda anche doveri di informazione?

Massima

La valutazione dell'inadempimento professionale, quantomeno per l'attività giudiziale decorre dall'esito del processo e dalla definitività di tale esito perché l'inadempimento consiste nel danno effettivo giacché fino a che non si è formato il giudicato la conseguenza dannosa è solo potenziale.

L'obbligo di diligenza, ai sensi del combinato disposto di cui agli art. 1176, comma 2, e 2236 c.c., impone all'avvocato di assolvere, sia all'atto del conferimento del mandato, sia nel corso dello svolgimento del rapporto, anche ai doveri di sollecitazione, dissuasione e informazione del cliente, essendo il professionista tenuto a rappresentare a quest'ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di richiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; di sconsigliarlo dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito probabilmente sfavorevole. Incombe al professionista l'onere di fornire la prova della condotta mantenuta, e che al riguardo non è sufficiente il rilascio da parte del cliente delle procure necessarie all'esercizio dello ius postulandi, trattandosi di elemento che non è idoneo a dimostrare l'assolvimento del dovere di informazione in ordine a tutte le circostanze indispensabili per l'assunzione da parte del cliente di una decisione pienamente consapevole sull'opportunità o meno di iniziare un processo o intervenire in giudizio.

Il caso

Un avvocato notificava due decreti ingiuntivi nei confronti di un cliente per ottenere pagamento di compensi professionali per attività svolta in suo favore.

L’intimato propose opposizione rappresentando di aver già pagato dette competenze e, in via riconvenzionale, chiese la condanna del legale al risarcimento dei danni patiti in conseguenza dell’inadempimento all’incarico ricevuto di assisterlo in sede di stipula di un contratto preliminare per l’acquisto di un complesso industriale, bene risultato oggetto di procedure esecutive in ordine alle quali il difensore aveva avuto il mandato per estinguerle.

Il Tribunale rigettava le opposizioni perché la domanda di danni era prescritta.

La Corte di Appello ha ritenuto che la domanda risarcitoria non fosse prescritta ritenendo sussistente la responsabilità professionale, identificando il danno nell’esborso sostenuto per estinguere, con l’assistenza di altro legale, l’esecuzione immobiliare.

I giudici di legittimità, investiti del ricorso dal difensore, hanno confermato la pronuncia di secondo grado, rilevando che il difensore non aveva presentato l’istanza di estinzione della procedura esecutiva a seguito di rinunce depositate dai creditori, non informando l’ingiunto che anzi era stato sempre rassicurato sul buon esito di tutti i giudizi.

La questione

Le questioni in esame sono le seguenti: quando decorre il termine di prescrizione della responsabilità del difensore? La diligenza del difensore riguarda anche doveri di informazione?

Le soluzioni giuridiche

Molteplici sono i punti di interesse della pronuncia in commento.

In primo luogo, i giudici di legittimità si occupano della individuazione del dies a quo di decorrenza della prescrizione.

L'art. 2935 c.c., recita: la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.

Questa sintetica espressione è stata oggetto di una notevole elaborazione giurisprudenziale, in quanto quel che rileva ai fini dell'esercizio del diritto, per il dettato di questa norma, non è soltanto la durata del termine prescrizionale, bensì anche l'identificazione del "giorno in cui il diritto può essere fatto valere", che aggiunge all'elemento temporale, quale suo presupposto, l'elemento della percepibilità ("può essere fatto valere") da parte del soggetto titolare del diritto.

E se il criterio della durata del termine prescrizionale, è quanto mai rigido e predeterminato di per sé - salvi naturalmente i fenomeni giuridici della interruzione e della sospensione che su di esso si riverberano -, l'altro, che si pone a priori, esige una maggiore specificità di analisi della fattispecie, perché la natura del diritto incide proprio sulla sua percepibilità.

Le Sezioni Unite hanno centrato il problema interpretativo rimarcando che l'individuazione del dies a quo (o exordium praescriptionis) nel codice civile è affidata "ad indicazioni piuttosto scarne e molto generiche", per l'illecito contrattuale rinvenibili esclusivamente nell'art. 2935 c.c., "norma assolutamente aperta a molteplici e contrapposte interpretazioni" - per quello aquiliano incide pure l'art. 2947, comma 1, c.c. (Cass. civ., sez. un., n. 576/2008).

Per il caso di danno biologico che era in esame, le Sezioni Unite sono pervenute a individuare il dies a quo avvalendosi unitariamente dei principi della "conoscibilità del danno" e della "rapportabilità causale". In tal senso si sono espresse anche per il danno da inadempimento: "l'individuazione del dies a quo ancorata solo ed esclusivamente al parametro dell'"esteriorizzazione" del danno può rivelarsi limitante ed impedire una piena comprensione delle ragioni che giustificano l'attività (incolpevole) della vittima rispetto all'esercizio dei suoi diritti. E' quindi del tutto evidente come l'approccio all'individuazione del dies a quo venga a spostarsi da una mera disamina dell'evolversi e dello snodarsi nel tempo delle conseguenze lesive del fatto illecito o dell'inadempimento - e cioè delle diverse tappe che caratterizzano il passaggio del danno "occulto" a quello che si manifesta nelle sue componenti essenziali ed irreversibili - ad una rigorosa analisi delle informazioni, cui la vittima ha avuto accesso o per la cui acquisizione si sarebbe dovuta diligentemente attivare, della loro idoneità a consentire al danneggiato una conoscenza, ragionevolmente completa, circa i dati necessari per l'instaurazione del giudizio (non solo il danno, ma anche il nesso di causa e le azioni/omissioni rilevanti) e della loro disponibilità in capo al convenuto, con conseguenti riflessi sulla condotta tenuta da quest'ultimo...".

Applicando, allora, quest'ottica alla responsabilità da inadempimento professionale, già si rinvengono alcune pronunce di legittimità che hanno coerentemente identificato il dies a quo in relazione al tipo di prestazione professionale oggetto dell'inadempimento e quindi fonte del danno (così, per esempio, Cass. civ. n. 22059/2017, in un caso di azione risarcitoria per responsabilità professionale di un notaio per erronea iscrizione di ipoteca, ha identificato il dies a quo prescrizionale per il creditore che aveva subito il danno dell'inesistenza della garanzia ipotecaria non nella data dell'iscrizione dell'ipoteca, bensì nella data della scoperta di ciò da parte del creditore stesso; Cass. civ. n. 18606/2016, ancora in una fattispecie di azione risarcitoria per responsabilità professionale di un notaio, qui per aver indicato erroneamente il valore catastale degli immobili in una dichiarazione di successione, ha posto il dies a quo nella data di notifica dell'avviso di accertamento della maggiore imposta, laddove il giudice di merito l'aveva ravvisato nella data della denuncia di successione).

La Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare che, in tema di responsabilità professionale dell'avvocato per inadempimento al mandato difensivo in ambito giudiziario, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno inizia a decorrere non dal momento in cui la condotta del professionista determina l'evento dannoso, bensì da quello nel quale essa è oggettivamente percepibile e conoscibile dal danneggiato, vale a dire dalla formazione del giudicato; al contrario, tale decorrenza non è prospettabile nel diverso caso di inadempimento del mandato professionale in ambito stragiudiziale (Cass. civ. n. 24270/2020, nella specie, la S.C. ha chiarito che il principio massimato riguarda non solo la figura dell'avvocato, ma ogni altro professionista che presti assistenza nel giudizio al proprio mandante, in ragione della peculiarità dell'inserimento dell'esecuzione del rapporto professionale nella struttura del processo).

Da tali premesse, la pronuncia in commento rileva che nel caso in cui l'illecito contrattuale consista nell'inadempimento del mandato di difesa in un ambito giudiziario, si ha la certezza del conseguente danno soltanto quando si forma il giudicato del processo, per cui solo a partire dalla formazione di tale giudicato decorre la prescrizione del diritto risarcitorio ai sensi dell'art. 2935 c.c., identificato nel caso di specie dal deposito della sentenza della Corte di Cassazione con cui è stata respinta in via definitiva la domanda del cliente di ottenere l'estinzione dell'esecuzione, giacché anche l'intervento nel procedimento esecutivo da parte dei creditori del venditore di per sé non rappresentava una inequivocabile manifestazione del danno poiché tale manifestazione si sarebbe avuta solo quando, a causa degli stessi interventi, il bene fosse stato venduto all'asta.  

Analogamente, nelle prestazioni rese nell'esercizio di attività professionali al professionista è richiesta la diligenza corrispondente alla natura dell'attività esercitata (art. 1176 c.c., comma 2) vale a dire è richiesta una diligenza qualificata dalla perizia e dall'impiego di strumenti tecnici adeguati al tipi di prestazione dovuta. La valutazione dell'esattezza delle prestazioni da parte del professionista, naturalmente, varia secondo il tipo di professione.

Per gli avvocati, la responsabilità professionale deriva dall'obbligo (art. 1176, comma 2, c.c. e art. 2236 c.c.) di assolvere, sia all'atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto (anche) ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, ai quali sono tenuti: a rappresentare tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di chiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; a sconsigliarlo dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito probabilmente sfavorevole (Cass. civ. n. 14597/2004).

Il problema si è già posto con riferimento alle ipotesi di inadeguata o insufficiente attività come difensore, per omissione di impugnazioni, ecc., o nella violazione di regole ricavabili dal codice deontologico, come quelle del mancato assolvimento dell'obbligo di dare al cliente le informazioni chieste e della violazione del segreto professionale (Cass. civ. n. 2701/1994).

Nella specie, si è ritenuto che l'attività del difensore non poteva essere limitata al deposito delle rinunce dei creditori soddisfatti presso la cancelleria delle esecuzioni immobiliari del Tribunale, in quanto compito del difensore era anche quello di tutelare i diritti del cliente in sede di opposizione all'esecuzione in primo e secondo grado nonché in cassazione, informando tempestivamente il clienti dello stato della procedura.

Altro aspetto di rilievo della sentenza è quello relativo alla quantificazione del danno sofferto dal cliente, ritenendo applicabile la liquidazione equitativa.

Infatti, il ricorrente aveva eccepito l'insussistenza dei presupposti per la liquidazione equitativa, tenuto conto che il danneggiato non aveva provato né in punto di an né in punto di quantum il pregiudizio subìto.

I giudici di legittimità hanno ritenuto corretto il ricorso del giudice di appello alla liquidazione equitativa, tenuto conto della difficile determinazione del preciso ammontare del danno, e che, in particolare fosse congrua la quantificazione corrispondente all'esborso ulteriore dovuto ai creditori intervenuti nell'esecuzione non estinta per procedere definitivamente alla sua chiusura.

In altri termini, la quantificazione del danno è stata parametrata: a) alla somma pagata per saldare i debiti dell'alienante ed evitare la vendita coattiva del bene; b) alle spese legali sostenute in procedimenti giudiziari privi di utilità intrapresi nei 16 anni di mandato professionale; c) alle somme pagate per ottenere la rinuncia agli interventi.

Sul punto la Corte di Cassazione ha precisato che, in tema di responsabilità professionale dell'avvocato per omesso svolgimento di un'attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, opera la regola della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile" da applicarsi non solo all'accertamento del nesso di causalità fra l'omissione e l'evento di danno, ma anche all'accertamento del nesso tra quest'ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili, atteso che, trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell'omissione, lo stesso può essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull'esito che avrebbe potuto avere l'attività professionale omessa (Cass. n. 23434/2021, nella specie, relativa al mancato espletamento del mandato in una nell'ambito di un sinistro stradale, una volta stabilito che il danno da risarcire corrispondeva al probabile esito positivo della richiesta di risarcimento del danno per l'incidente stradale di cui al mandato professionale, il Tribunale aveva l'obbligo di motivare la liquidazione equitativa, indicando i criteri adoperati e gli elementi di fatto valorizzati, criteri ed elementi rispetto ai quali doveva fornire la dimostrazione della loro attinenza alla liquidazione, pur senza essere tenuto a una dimostrazione minuziosa e particolareggiata degli elementi valorizzati).

Osservazioni

La pronuncia in epigrafe ha chiaramente scisso e distinto, ai fini del dies a quo prescrizionale, il momento della sua effettuazione con modalità non corretta, ovvero inadempiente, dal momento della sua oggettiva percepibilità da parte del danneggiato. Sicché, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da responsabilità professionale inizia a decorrere non dal momento in cui la condotta del professionista determina l'evento dannoso, bensì da quello in cui la produzione del danno si manifesta all'esterno, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile da chi ha interesse a farlo valere.

Invero, nel caso in cui l'inadempimento è commesso in relazione ad un incarico di difesa processuale, l'esito del processo e la definitività di tale esito non possono non incidere sulla identificazione del dies a quo del termine prescrizionale per l'esercizio del diritto risarcitorio del soggetto difeso.

L'inserimento dell'esecuzione del rapporto contrattuale entro la complessiva struttura processuale non può certo essere privo di conseguenze: l'effetto dannoso dell'inadempimento, a ben guardare, non discende esclusivamente dall'inadempimento stesso, ma altresì dall'esito definitivo del processo, qualora questo sia tale da attribuirgli una causalità concreta ed effettiva. Il complesso fenomeno giuridico processuale, infatti, può raggiungere esiti anche causalmente svincolati dall'inadempimento del mandato da parte del difensore: è ovvio che un esito potrebbe essere comunque favorevole al mandante che ha subito l'inadempimento, come nell'ipotesi in cui il giudice a sua volta erroneamente decida e la sua decisione non sia oggetto di impugnazione o non sia impugnabile.

Sotto altro aspetto, l'obbligazione assunta mediante la stipulazione di un contratto di prestazione d'opera intellettuale è ritenuta comunemente di mezzi e non di risultato, poiché il professionista, assumendo l'incarico, si impegna ad espletare la sua attività onde porre in essere tutte le condizioni tecnicamente necessarie a consentire al cliente la realizzazione dello scopo perseguito ma non il conseguimento effettivo di tale risultato.

Occorre quindi fare riferimento al criterio della diligenza esigibile ai sensi dell'art. 1176, comma 2, c.c. rapportata alla natura dell'attività esercitata, cosicché la diligenza da impiegare nello svolgimento dell'opera prestata in favore del cliente è quella posta in essere nell'esercizio della propria attività da parte del professionista di preparazione tecnica e di attenzione medie.

L'art. 2236 c.c. prevede poi una specifica qualificazione della prestazione d'opera professionale, e quindi una deroga alle norme generali che disciplinano l'inadempimento, giustificata dalla natura e dal contenuto della prestazione richiesta, allorché quest'ultima comporti la soluzione di questioni tecniche di particolare difficoltà; in tal caso, infatti, la responsabilità del professionista può essere affermata solo nelle ipotesi di dolo o colpa grave.

Nondimeno l'evidenziata natura della obbligazione assunta dal professionista come obbligazione di mezzi non esime quest'ultimo dal dovere di prospettare al cliente tutti gli elementi contrari, (ipotizzabili in virtù di quella preparazione tecnica e di quell'esperienza medie caratterizzanti l'attività professionale alla luce degli evidenziati parametri normativi) per i quali, nonostante il regolare svolgimento di tale attività, gli effetti a questa conseguenti possano essere inferiori a quelli previsti, oppure in concreto nulli o persino sfavorevoli, determinando in tal modo un pregiudizio rispetto alla situazione antecedente.

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