Codice Civile art. 2059 - Danni non patrimoniali.Danni non patrimoniali. [I]. Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge [185 ss., 598 c.p.; 89 2, 120 c.p.c.]. InquadramentoCollocazione storica e sistematica della disposizione dell'art. 2059 c.c. Il diritto romano e quello intermedio non consideravano la persona umana portatrice di “valori” interiori risarcibili in ambito civile, a prescindere dai profili patrimoniali e reddituali. Secondo il Digesto, infatti, ea enim in obligatione consist(unt) quae pecunia lui praestarique possunt, per cui la persona non è suscettibile di essere convertita in una somma di danaro. Dalla sostanziale irriducibilità dell'individuo ad oggetto del rapporto obbligatorio per il tramite della valutazione pecuniaria che di questo costituisce il metro indispensabile derivava la tradizionale collocazione di ogni remedia doloris nell'area del diritto penale. Il vulnus arrecato all'integrità morale soggiaceva al rimedio dell'actio iniuriarum, intesa sostanzialmente quale pena privata. Solo la graduale scissione tra “corpo” e “persona”, nella quale solo il primo può essere oggetto di rapporti patrimoniali, consentirà di pervenire, a seguito di un lungo e complesso percorso giuridico, alla moderna categoria del danno non patrimoniale risarcibile. A partire dagli studi di Ugo Grozio (1583-1645) e, successivamente, di Samuel Pufendorf (1632-1694) l'illecito civile sarà esaminato nella prospettiva risarcitoria commisurandolo alla somma per la quale il danneggiato sarebbe stato disposto a sopportare il dolore che gli è stato cagionato (Castronovo, 2004). Confrontando il testo dell'art. 2043 c.c, che apre il titolo IX del libro quarto del Codice civile e che fa riferimento al "danno ingiusto", con quello degli artt. 2045 e 2055 c.c., in cui si parla di "fatto dannoso", si evince che il legislatore, partito dall'idea di sanzionare il fatto illecito alla stregua di un reato, capovolgeva poi tale impostazione, ponendo in evidenza non tanto la punizione del colpevole, bensì il risarcimento del danneggiato. Il lemma "ingiusto" fu inserito nel libro IV del progetto del codice, in cui non era previsto, quando ormai il Codice civile stava per essere pubblicato. La posizione tradizionale della dottrina precedente al Codice civile del 1942 muoveva dal disposto dell'art. 1151 del codice del 1865 e, ancor prima, dall'art. 1382 del codice napoleonico, ancorando il presupposto della responsabilità aquiliana al principio del neminem ledere, fondato su una valutazione soggettiva della condotta dell'agente, nella quale l'ingiustizia del danno coincideva con l'illiceità della condotta. L'attenzione dell'interprete era rivolta esclusivamente alla posizione del danneggiante ed alla sua condotta, con la conseguenza che l'indagine non riguardava l'ingiustizia del danno, ma l'attività dell'uomo che dava origine alla produzione del danno. Al centro della responsabilità aquiliana precodicistica vi era soltanto il concetto di fatto ingiusto (cioè, la condotta illecita). Come si è detto, il codice del 1942 ha apportato una rilevante innovazione, prevedendo all'art. 2043 c.c. che “qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto …”. Sebbene la norma si riferisca chiaramente al danno ingiusto (e non al fatto ingiusto), diversamente dal testo dell'art. 1151 del c.c. del 1865, la dottrina degli anni Quaranta e Cinquanta ha continuato a leggere l'art. 2043 c.c. come se il riferimento fosse alla “ingiustizia del fatto” spostando il baricentro sulla condotta dell'agente. D Quanto all'art. 2059 c.c., il legislatore del Codice civile si era discostato dalla tradizione francese favorevole alla generale risarcibilità del danno non patrimoniale, risentendo invece dell'influenza del diritto tedesco per il quale non sarebbe stato possibile tradurre in termini monetari il dolore o la sofferenza provocati dalla lesione di un diritto della personalità (Trimarchi, 2018). L'art. 2059 c.c. limita testualmente la risarcibilità del danno non patrimoniale ai soli casi previsti dalla legge, che, al momento dell'entrata in vigore del Codice civile, erano costituiti soltanto dagli illeciti civili costituenti anche reato (art. 185 c.p.). Il danno non patrimoniale, inteso quale danno morale soggettivo, ossia sofferenza psichica sofferta dalla vittima dell'illecito, non avrebbe ricevuto ristoro al di fuori delle ipotesi in cui fosse integrata una condotta penalmente rilevante. Così, per alcuni decenni l'art. 2059 c.c. ha rappresentato un invalicabile ostacolo alla piena tutela civilistica della persona umana e, quindi, degli enti collettivi. L’evoluzione del concetto di danno non patrimoniale risarcibileSoltanto a partire dagli anni Sessanta (Scognamiglio, 1957) si afferma che il fatto è rilevante, non perché è lesivo del principio del neminem ledere, ma perché determina un danno ingiusto. Il fulcro dell'indagine, quanto meno con riferimento all'art. 2043 c.c., diviene finalmente la nozione di ingiustizia del danno, inquadrata nelle categorie del danno non iure e cioè danno prodotto da una condotta non giustificata dall'ordinamento e del danno contra ius e cioè lesivo di posizioni di diritto soggettivo (inizialmente solo diritto assoluto, e, dopo il noto caso cd. Meroni, anche relativo). Alla fine degli anni Sessanta e all'inizio degli anni Settanta, la Cassazione raccoglieva le inquietudini che i giudici di merito cominciavano a prospettare sull'incongruenza delle conseguenze cui avrebbe portato un'interpretazione letterale delle due norme di cui agli artt. 2043 e 2059 c.c. La nozione di danno patrimoniale in senso lato era ancora opinabile e si fecero i conti con questa difficoltà quando, negli anni Settanta fu enucleata la categoria del danno biologico con il “caso Gennarino” (deciso dal Tribunale di Milano, il 18 gennaio 1971, il figlio di un manovale vittima di un incidente, risarcito assumendo come parametro il reddito di un manovale, sul presupposto che avrebbe seguito la via intrapresa dal padre) e i “camalli di Genova” (Tribunale di Genova, 25 maggio 1974, che si riferisce ad un pregiudizio svincolato dal profilo reddituale). Gli interpreti si posero il problema se il danno biologico potesse essere considerato, a sua volta, un danno patrimoniale in senso lato, oppure un danno non patrimoniale. La Corte costituzionale, con la nota sentenza Dell'Andro, n. 184 del 1986 optò per la prima soluzione, affermando la necessità di una lettura ampia ed aggiornata del concetto di patrimonio di cui all'art. 2043 c.c., in senso non solo economico, ma anche personale, comprensiva del bene salute tutelato dall'art. 32 Cost. Il sistema così delineato ha retto per alcuni anni, finché poi è andato in crisi sulla scorta delle obiezioni raccolte dalla dottrina e dalla giurisprudenza successiva e dalla stessa Corte costituzionale, tese ad allargare l'abito di risarcibilità assicurato dall'art. 2059 c.c., sganciandolo dal tradizionale presupposto del fatto costituente reato. Il primo grimaldello per ampliare gli angusti limiti dell'art. 2059 c.c. fu la creazione della categoria del danno esistenziale. In dottrina si confrontavano tre differenti correnti di pensiero (Bona, 2003). Secondo la scuola triestina (Cendon, 2000; Ziviz, 1994), il danno esistenziale rappresentava la macrocategoria unificante del danno alla persona. Le conseguenze esistenziali pregiudizievoli gravitanti nell'orbita della lesione all'integrità psicofisica andavano ascritte alla categoria del "danno esistenziale-biologico", mentre quelle non dipendenti dalla menomazione della salute, ma conseguenti alla violazione di situazioni soggettive d'altro genere (reputazione, onore, ambiente, privacy, libertà di locomozione, ecc.) si collocavano nella dimensione del "danno esistenziale non biologico", risarcibili entrambe ex art. 2043 c.c. La nuova categoria escludeva dal proprio ambito il danno morale soggettivo (il dolore interiore, la sofferenza, il patema dell'anima, risarcibile ex art. 2059 c.c.), attesa la disomogeneità concettuale rispetto al nuovo danno esistenziale. Secondo la scuola di Torino (si veda l'approfondimento sulla posizione della dottrina del tempo, in Bona, 2003) il danno esistenziale si affiancava alla categoria del danno biologico e abbracciava ogni vulnus di genere non-economico (non altrimenti risarcibile). A differenza della scuola triestina, il danno esistenziale integrava ogni pregiudizio riguardante sia la sfera del "fare" che quella del "sentire," purché collegata alla lesione ingiusta di un interesse del danneggiato. Il danno morale e cioè il coacervo di dolori e patemi individuali, doveva ritenersi risarcibile ex art. 2043 c.c. La scuola pisana (Busnelli, 1996), contraria all'autonomia della categoria esistenziale, ribadiva l'idoneità del modello del cd doppio binario per restituire "dignità contenutistica" all'art. 2059 c.c. e, allo stesso tempo, limitare la portata dell'art. 2043 c.c. al solo danno ingiusto patrimoniale. Il diritto vivente del giudice nomofilatticoInvero, come si legge ancora nella motivazione di Corte cost. n. 205/2022 (Ferraro, 2023) la Corte di legittimità con cinque pronunce, di identico tenore, (terza sezione civile, sentenze 31 maggio 2003, n. 8828 e n. 8827 e 12 maggio 2003, n. 7283, n. 7282 e n. 7281), dopo oltre un ventennio di riflessioni dottrinali incentrate sulla necessità di estendere, a tutela della persona, la risarcibilità dei danni non patrimoniali, ha optato per un'interpretazione adeguatrice alla Costituzione dell'art. 2059 c.c. La lesione dei diritti inviolabili, di cui all'art. 2 Cost. è stata ascritta ai «casi previsti dalla legge», che ai sensi dell'art. 2059 c.c. consentono il risarcimento dei danni non patrimoniali. Ai diritti inviolabili della persona non può negarsi la tutela civile offerta dal risarcimento dei danni non patrimoniali che, non differenziando i danneggiati in base alla loro capacità di produrre reddito, assicura la tutela civile in una visione solidaristico-satisfattiva, talora integrata – in presenza di una particolare gravità soggettiva dell'illecito e relativamente alla componente del danno morale – anche da una funzione individual-deterrente. Tale meditato approdo giurisprudenziale ha consentito di affermare alcuni principi che costituiranno diritto vivente. In primo luogo, il danno patrimoniale è risarcibile ex art. 2043 c.c., quello non patrimoniale ex art. 2059 c.c. in una interpretazione costituzionalmente orientata. Il danno patrimoniale si articola nelle due sotto-voci del lucro cessante e del danno emergente, mentre quello non patrimoniale si declina a sua volta in un sottosistema composto dal danno biologico in senso stretto, dal danno esistenziale e dal danno morale soggettivo. Il danno biologico e quello esistenziale presentano una morfologia omogenea (entrambi integrano una lesione di fattispecie costituzionali, rispettivamente il primo, quella alla salute, il secondo, altri “valori/interessi”). Infine, il danno morale è circoscritto nella sfera interiore del sentire, non destinata all'obbiettiva esteriorizzazione. Tale diritto vivente ha conseguito, due mesi dopo, l'avallo della Corte costituzionale, a fronte della tutela assicurata in via ermeneutica agli «interessi di rango costituzionale inerenti alla persona» (sentenza n. 233 del 2003), consentendo di ritenere non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2059 c.c., sollevata in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost. La Consulta ha riconosciuto alle sentenze della Cassazione (e specificamente alle pronunce n. 8828 e n. 8827 del 2003) «l'indubbio pregio di [aver] ricond[otto] a razionalità e coerenza il tormentato capitolo della tutela risarcitoria del danno alla persona», in virtù di «un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., tesa a ricomprendere nell'astratta previsione della norma ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona», incluso «il danno biologico». Le sentenze di San Martino delle Sezioni Unite della Corte di cassazioneL'intervento nel 2008 di ulteriori sentenze, di contenuto identico, della Corte di cassazione (sezioni unite civili, sentenze 11 novembre 2008, n. 26975, n. 26974, n. 26973 e n. 26972 (Monateri, 2009; Navarretta, 2009; Poletti, 2009) ha ribadito la necessità della dimostrazione della lesione di un diritto inviolabile della persona al fine di poter conseguire il danno non patrimoniale, sulla base del coordinamento tra art. 2059 c.c. e art. 2 Cost, ponendo al di fuori di quel perimetro le offese bagatellari, non idonee a coinvolgere in concreto la categoria di cui all'art. 2 Cost. Non si può prescindere da un accenno ai fondamentali tasselli apportati dalle Sezioni Unite alla costruzione di sistema unitario del danno non patrimoniale. Innanzitutto, l'elaborazione di un concetto di ingiustizia del danno funzionalmente imperniata sulla lesione dei diritti inviolabili della persona. In secondo luogo, l'individuazione di un filtro ulteriore alla risarcibilità del danno non patrimoniale, costituito dalla serietà della lesione e dalla gravità del danno che ne sia derivato. La enucleazione di un principio di tendenziale risarcibilità del danno non patrimoniale anche in ambito contrattuale, sia pure entro i limiti, anche in questo caso dettati dal criterio della sussistenza o meno di diritti inviolabili della persona. La regola della necessaria allegazione e dimostrazione del danno non patrimoniale con tutti i mezzi di prova offerti dall'ordinamento, anche, pertanto, per presunzioni. Infine, il vero cuore della nuova categoria, incentrata sull'unitarietà della fattispecie del danno non patrimoniale e la conseguente derubricazione a fini meramente descrittivi di tutte sottocategorie che erano venute proliferando nell'elaborazione giurisprudenziale e nella riflessione dottrinale precedente. Quelle decisioni delle Sezioni Unite inaugurarono -però- un progressivo restringimento della nozione di danno relazionale, propria del danno biologico, enfatizzando il profilo della “lesione medicalmente accertabile”, lasciando così fuori tutta una serie di pregiudizi tradizionalmente connessi al danno non patrimoniale. Passava così in secondo piano il dato fattuale secondo cui la violazione dei valori costituzionalmente garantiti ha sempre, come sua conseguenza, la sofferenza umana, che costituisce l'effetto del dolore interiore (concetto assimilabile al tradizionale danno morale) e del profilo relazionale della “vita che cambia”. A prescindere da ciò, quelle sentenze hanno consentito alla giurisprudenza successiva di maturare la consapevolezza della rilevanza e della funzione del risarcimento dei danni non patrimoniali a tutela dei diritti inviolabili della persona e dei soggetti collettivi (persona giuridica, ente, società, associazione ecc.). Per la giurisprudenza successiva costituirà un passaggio obbligato il richiamo al principio di solidarietà previsto all'articolo 2 della Costituzione per evidenziare che l'individuo, quale essere sociale, è comunque tenuto a tollerare alcune condotte che si pongono al di sotto della soglia minima di apprezzabilità del danno. Infatti, al di là della “nomenklatura” e della classificazione, quello che rileva è l'indagine sulla reale fenomenologia del danno alla persona. La natura unitaria del danno non patrimoniale, ribadita in quelle decisioni delle Sezioni Unite, è stata correttamente intesa come omogeneità nell'accertamento e nella liquidazione del danno causato dalla lesione di un diritto costituzionalmente protetto, sia esso costituito dalla lesione della reputazione, della libertà religiosa o sessuale, piuttosto che del rapporto parentale. Sotto altro profilo, la natura onnicomprensiva declinata da quelle sentenze imponeva al giudice di merito, in sede di liquidazione del pregiudizio non patrimoniale, di tener conto di tutte le conseguenze derivate dall'evento di danno, nessuna esclusa. Il giudice dovrà valutare congiuntamente, ma distintamente, la reale fenomenologia della lesione non patrimoniale, e cioè, tanto l'aspetto interiore del danno sofferto (cd. danno morale) quanto quello dinamico-relazione (danno alla vita di relazione, o danno esistenziale) atteso che il legislatore (come meglio si vedrà più avanti) modificherà gli artt. 138 e 139 del C.d.A. con la legge annuale per il Mercato e la Concorrenza del 2 agosto 2917, sostituendo significativamente l'originaria rubrica “danno biologico” in quella di “danno non patrimoniale”. Sul piano sovranazionale l'assetto normativo della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea consentiva di ritenere inviolabili tutti i diritti della persona che attengono al nucleo essenziale della sua “dignità”. La dottrina non dubitava della sussistenza di situazioni giuridiche soggettive che la Carta costituzionale non qualificava espressamente come inviolabili e che però dovevano ritenersi tali, attenendo all'essenza stessa del valore della persona, come il diritto alla salute, il diritto a professare liberamente la fede religiosa che si è scelta, il diritto a manifestare liberamente il proprio pensiero. Si poneva, piuttosto, il problema dell'enucleazione di un criterio attraverso il quale svolgere un test di inviolabilità che fosse elastico. Un riferimento è stato individuato nella Carta Europea dei Diritti Fondamentali che, a seguito delle modifiche apportate dal Trattato di Lisbona al Trattato istitutivo dell'Unione Europea, si inscriveva a pieno titolo ed allo stesso livello dei Trattati, tra le fonti del diritto in termini non più trascurabili dall'interprete. La giurisprudenza, anche di merito, ha avuto il merito di utilizzare con intelligenza le previsioni della Carta, proprio al fine di individuare nuove aree di tutela della persona umana. Il titolo I della Carta, significativamente rubricato "Dignità", si apre all'art. 1 con l'enunciazione secondo la quale la dignità umana è inviolabile e deve essere rispettata e tutelata, cui fanno seguito, inseriti nello stesso titolo, gli articoli che riconoscono, in particolare, il diritto alla vita (art. 2) ed il diritto all'integrità fisica e psichica della persona (art. 3). L'elaborazione giurisprudenziale della Suprema Corte successiva alle Sezioni Unite mostrerà esempi suggestivi di moduli argomentativi che muovono dalla qualificazione della dignità umana come diritto inviolabile. L’attuale orientamento di legittimità in tema di danno non patrimonialeNeanche con le pronunce dell'11 novembre del 2008 il processo di ridefinizione dello statuto del danno non patrimoniale è approdato ad un assetto definitivo; ed anzi, è proseguito nell'elaborazione giurisprudenziale attraverso un indirizzo che, valorizzando la concreta fenomenologia del danno non patrimoniale, ne ha proposto la scomposizione nel duplice pregiudizio della sofferenza interiore e delle ripercussioni sulla vita quotidiana nel suo aspetto dinamico-relazionale, da valutarsi autonomamente nella liquidazione del ristoro pecuniario. Secondo tale ultima impostazione, che costituisce ormai un condiviso orientamento dei giudici di legittimità, il danno morale non è più concepito come mera componente del danno biologico, liquidabile mediante personalizzazione in aumento dei valori tabellari, ma come voce di pregiudizio concettualmente autonoma e, in quanto tale, oggetto di liquidazione differenziata. E questi principi sono stati sviluppati esattamente undici anni dopo quelle decisioni delle Sezioni Unite, attraverso dieci sentenze pubblicate dalla Terza Sezione della Cassazione il giorno 11 novembre 2019 (Cass. III, 11/11/2019, dalla n. 28985 alla n. 28994), nell'ambito del cd progetto sanità, per la dichiarata finalità di realizzare una tendenziale uniformità delle future decisioni in tema di risarcimento del danno non patrimoniale, ex artt. 2059 e 2043 c.c. (De Mauro, Cigna, Positano, 2020). Il nuovo orientamento prede consapevolmente le distanze da una serie di principi affermati undici anni prima dalle cd SU di San Martino rimarcando la differenza tra danno morale e danno dinamico-relazionale o esistenziale. Se la liquidazione di quest'ultimo (esistenziale) in aggiunta al danno biologico integra duplicazione risarcitoria - proprio perché verrebbero considerate due volte le conseguenze pregiudizievoli afferenti agli aspetti dinamico-relazionali della persona - tale duplicazione non è ravvisabile laddove si attribuisca al danneggiato, oltre al danno biologico, un'ulteriore somma a titolo di risarcimento delle ripercussioni non aventi fondamento medico-legale quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione, la tristezza, la malinconia. Questo rilevante mutamento di giurisprudenza non ha richiesto un nuovo passaggio attraverso le Sezioni Unite, perché nelle more era mutato l'assetto legislativo (la modifica degli artt. 138 e 139 C.d.A. ad opera dell'art. 1, comma 17, della legge 4 agosto 2017, n. 124,) offrendo un rilevante addentellato normativo all'autonomia della categoria del danno morale, inteso proprio nei termini che precedono. Già la Corte cost. con la sentenza n. 235 del 2014 (punto 10.1.) aveva affermato "E' pur vero che l'art. 139 cod. ass. fa testualmente riferimento al danno biologico, e non fa menzione del danno morale. Ma la norma denunciata non è chiusa, come paventano i rimettenti, alla risarcibilità anche del danno morale … ricorrendone i presupposti il giudice può avvalersi della possibilità di incremento dell'ammontare del danno biologico, secondo la previsione, e nei limiti, di cui alla disposizione del comma 3 (aumento del 20%). Si puntualizza in quella decisione che “l'introdotto meccanismo standard di quantificazione del danno attiene al solo, specifico e limitato settore delle lesioni di lieve entità, e lascia comunque spazio al giudice per personalizzare l'importo risarcitorio". La rubrica dell'art. 138 cod. ass. è stata modificata da quella di danno biologico in quella, onnicomprensiva, di danno non patrimoniale. Il meccanismo standard di quantificazione del danno (cioè, quello previsto dal terzo comma dell'art. 139 Cod. ass. in materia di micropermanenti, con la determinazione del danno morale nella misura del 20%) attiene, difatti, “al solo, specifico, limitato settore delle lesioni di lieve entità” dell'art. 139 (il giudice delle leggi rafforza il concetto con l'aggiunta di ben tre diversi aggettivi). Questo significa che nelle macrolesioni ex art. 138 cod. ass. non opera il limite del 20% per la determinazione del danno morale, poiché la disposizione (lett. e) accenna solo ad un incremento a titolo di danno morale. Il riconoscimento della risarcibilità di danni non patrimoniali da lesione dei diritti inviolabili della persona non equivale a un ampliamento del raggio dell'illecito, ma implica soltanto un'estensione dei danni risarcibili. Nell'illecito aquiliano, i danni risarcibili sono sottratti alla sfera di controllo del danneggiante e sono unicamente circoscritti dall'elemento oggettivo costituito dal nesso di causalità giuridica. Ente collettivo e diritti fondamentaliEnte collettivo e diritti fondamentaliL’evoluzione della giurisprudenza su questo tema consente di individuare un principio di simmetria tra la progressiva risarcibilità del danno non patrimoniale in capo alle persone giuridiche e il graduale superamento dell’equazione tra danno non patrimoniale e danno morale soggettivo inteso quale “sofferenza morale o psichica” della vittima (cd. pretium doloris). Tesi, quest’ultima, sostenuta dall’orientamento giurisprudenziale più risalente e tradizionale (Trib. Roma, 17.12.1976, in Giur. it., 1978, II, c. 26 ss.), che ne escludeva la risarcibilità in favore delle persone giuridiche, in quanto ritenute incapaci di sentimenti e sensazioni (Scognamiglio, 1957). Il progressivo allargamento dell’area del danno non patrimoniale sino ad ora illustrato in termini generali, ha consentito di affrontare il tema specifico dell’equiparazione, quantomeno a fini risarcitori, fra persone fisiche e persone giuridiche e quello dell’identificazione dell’oggetto reale del pregiudizio subito da una società o da un ente collettivo. Anche la dottrina ha riconosciuto alle persone giuridiche private o pubbliche la legittimazione ad agire per ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale (Castronovo, 1996; Navarretta, 1996; Schlesinger, 2002; Zoppini, 2002; Fusaro, 2002; Perlingeri, 2008; Delli Priscoli, 2008). Il tema della sensibilità della persona giuridica e quello della conseguente configurabilità della percezione di un danno non patrimoniale, viene risolto in dottrina considerando che il danno è una conseguenza della lesione di un interesse e quello non patrimoniale consiste, non soltanto nelle sofferenze d’animo del soggetto leso, ma comprende qualunque pregiudizio insuscettibile di valutazione economica. Le singole fattispecie esaminate dalla giurisprudenzaAll'interprete, di volta in volta, è stato chiesto di identificare la situazione soggettiva protetta a livello costituzionale (oltre alla salute, il rapporto familiare e parentale, l'onore, la reputazione, la libertà religiosa, il diritto di autodeterminazione al trattamento sanitario, quello alla salubrità dell'ambiente, alla libera espressione del proprio pensiero, il diritto di difesa, quello di associazione e di libertà religiosa ecc.). Decidendo sulla nota vicenda del disastro della diga del Vajont, la giurisprudenza di legittimità, ha affrontato il tema del danno all'immagine ed ha ritenuto configurabile un danno non patrimoniale in favore di un ente comunale (Cass. n. 3807 del 15/04/1998, in Resp. civ. e prev., 1998, 04, 992). La gravità del reato, il numero rilevante delle vittime e le devastazioni ambientali dei centri storici interessati, hanno consentito alla Corte di ravvisare la lesione del diritto dell'ente territoriale esponenziale (il Comune di Castellavazzo) alla sua identità storica, culturale, politica, economica, costituzionalmente protetta. Da ciò è conseguita la lesione della posizione soggettiva e la legittimazione piena dell'ente comunale ad esigere il risarcimento del danno. La sentenza Cass. III, n. 12929/2007 ha affermato che anche la persona giuridica, come la persona fisica, è titolare dei diritti della personalità, come il diritto all'onore, alla reputazione, all'identità, al nome, all'immagine, alla riservatezza e che, in caso di lesione di tali diritti, la persona giuridica ha diritto al risarcimento del danno non patrimoniale. Secondo la Cassazione, dalla lettura dell'art. 2 Cost., secondo cui «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali...» può infatti ricavarsi il riconoscimento costituzionale dei diritti della personalità deigruppi intermedi tra l'essere umano e lo Stato, a prescindere dal fatto che essi siano o meno dotati di personalità giuridica. In relazione alla violazione dei termini di durata ragionevole del processo (ai sensi della legge 24.3.2001, n. 89, c.d. legge Pinto), la giurisprudenza ha riconosciuto in capo all'ente la sussistenza di un danno non patrimoniale per i disagi e i turbamenti di carattere psicologico subiti dalle persone preposte alla gestione dell'ente o dai suoi membri (Cass 30.8.2005 n. 17500; Cass 28.1.13 n. 1923). In particolare, Cass. III, n. 8604/2007 ha equiparato integralmente le persone giuridiche alle persone fisiche quanto al diritto al risarcimento del danno da eccessiva durata del processo. In relazione ad una indebita segnalazione di una società alla Centrale Rischi della Banca d'Italia, il danno dovuto alla diminuzione della considerazione della persona giuridica è stato individuato “sotto il profilo della incidenza negativa che tale diminuzione comporta nell'agire delle persone fisiche che ricoprano gli organi della persona giuridica o dell'ente e, quindi, nell'agire dell'ente, sia sotto il profilo della diminuzione della considerazione da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali la persona giuridica o l'ente di norma interagisca” (Cass. n. 12929/2007). Negli stessi termini, la giurisprudenza amministrava, nel caso di illegittima risoluzione del contratto di appalto, disposta in ragione di un'informativa antimafia rivelatasi infondata, ha riconosciuto in favore della società originaria aggiudicataria anche il danno c.d. esistenziale, a prescindere dalla esecuzione in forma specifica. Difatti, il diritto all'immagine, integrato dalla considerazione che un soggetto ha di sé e dalla reputazione di cui gode, non può essere considerato appannaggio esclusivo della persona fisica e va riconosciuto anche alle persone giuridiche. (Cons. St., V, n. 491/2008). Secondo la Cassazione (sentenza n. 22396 del 01/10/2013, Il lavoro nella giurisprudenza, 2014, fasc.5, pag. 480) anche nei confronti delle persone giuridiche ed in genere degli enti collettivi, è configurabile il risarcimento del danno non patrimoniale qualora il fatto lesivo incida su una situazione giuridica della persona giuridica o dell'ente che sia equivalente ai diritti fondamentali della persona umana costituzionalmente protetti, qual è il diritto all'immagine, determinando una diminuzione della considerazione dell'ente o della persona giuridica da parte dei consociati in genere, ovvero di settori o categorie di essi, con le quali il soggetto leso di norma interagisca. Cass. III, n. 20643/2016 ribadisce che anche nei confronti delle persone giuridiche ed in genere degli enti collettivi è configurabile il risarcimento del danno non patrimoniale, da identificare con qualsiasi conseguenza pregiudizievole della lesione – compatibile con l'assenza di fisicità del titolare – di diritti immateriali della personalità costituzionalmente protetti, ivi compreso quello all'immagine. Così l'ente collettivo ha titolo al risarcimento del danno non patrimoniale, qualora l'altrui condotta ne leda i diritti della personalità, compatibili con l'assenza di fisicità e costituzionalmente protetti, che identificano il soggetto dell'ordinamento o ne individuano la dimensione nel contesto sociale, quale il diritto alla reputazione e all'identità, determinando una diminuzione della considerazione e della stima di cui il soggetto gode nell'ambito sociale ed economico di appartenenza (Cass. I, n. 2039/2018, relativa alla tutela dell'opera di un artista costituente il compito istituzionale di una fondazione; v. pure, sebbene in un obiter, Cass. VI, n. 9662/2018, vicenda in cui un soggetto è stato condannato, nei confronti della Lega per l'abolizione della caccia, al risarcimento del danno per il reato di maltrattamento di animali). Pertanto, anche le persone giuridiche e gli enti esponenziali possono essere lesi nei diritti immateriali della personalità, che sono compatibili con l'assenza di fisicità, quali i diritti all'immagine, alla reputazione, all'identità storica, culturale, e politica costituzionalmente protetti. Così, di fronte all'inerzia della società, il Comune aveva agito in giudizio chiedendo la risoluzione del contratto e il risarcimento dei danni provocati, tra cui quelli non patrimoniali per la lesione dell'immagine subita a causa della non tempestiva disponibilità dell'opera appaltata (Cass. III, n. 4542/2012). Gli ultimi approdi della giurisprudenzaDa ultimo, si pone nello stesso solco Cass. I n. 6876 del 2023 che ribadisce che ove il pregiudizio riguardi l'immagine e l'apprezzamento che i consumatori nutrono per i prodotti commercializzati con un determinato segno distintivo, il risarcimento è parametrato anche sul danno non patrimoniale, oltre che sul danno da lucro cessante, sempreché la condotta lesiva abbia determinato una contrazione dei ricavi del danneggiato o abbia avuto, comunque, un'incidenza sul relativo importo (nella specie, la S.C. ha affermato il principio anzidetto a fronte di una preordinata commercializzazione di prodotti con marchi contraffatti di un noto stilista). Nel percorso di progressiva espansione dei diritti della persona fisica e giuridica un cenno a parte merita la già citata sentenza della Corte costituzionale n. 205/2022, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, della l. n. 117/1988, nella parte in cui limita il risarcimento dei danni non patrimoniali alla sola lesione della libertà personale, escludendo dalla medesima tutela tutti gli altri diritti inviolabili della persona garantiti dall'art. 2 Cost. La Consulta richiama proprio le riflessioni illustrate nel precedente paragrafo, relative all'estensione dei danni non patrimoniali, originariamente vincolati alla formulazione letterale dell'art. 2059 c.c., realizzatasi attraverso la lettura costituzionalmente orientata di tale norma. Un ordinamento giuridico che riconosce massima espansione ai diritti della persona e alla tutela dei suoi valori, non può fare dipendere il riconoscimento o l'esclusione del risarcimento per poste afferenti alla medesima categoria di pregiudizio non patrimoniale, dal solo fatto che l'illecito che ha determinato il danno, sia o non sia costituito da un provvedimento limitativo della libertà personale, con irrilevanza delle conseguenze di attività giudiziarie eventualmente fortemente invasive della sfera dell'individuo e lesive di valori di rango costituzionale. Proprio l'evoluzione ermeneutica maturata intorno all'art. 2059 c.c. ha reso evidente, secondo la Consulta, il contrasto tra quanto disposto all'art. 2 della l. n. 117/1988 e l'esigenza di una sempre più ampia tutela risarcitoria, atteso che “l'attuazione di una maggiore protezione dei diritti dell'uomo è connessa con lo sviluppo globale della civiltà umana”. L'impostazione funzionale all'irrinunciabilità dell'allargamento dell'area risarcibile è stata recepita dalla Corte di legittimità (Cass. III, n. 5381/2023) secondo cui il danno da lesione dei diritti inviolabili è risarcibile anche in assenza di condotte lesive della libertà personale. Un altro ambito di progressivo riconoscimento del pregiudizio non patrimoniale in favore di enti esponenziali è quello della tutela dell'ambiente. Con l'entrata in vigore del d. legis. n. 152 del 2006 (c.d. T.U ambiente), che, in sede di attuazione della dir. n. 2004/35/CE36, il legislatore ha dato priorità delle misure di ‘‘riparazione'' rispetto al risarcimento per equivalente, riservando al Ministro della transizione ecologica il potere di agire, esercitando anche l'azione civile in sede penale, per il risarcimento del danno ambientale (art. 311, d. lgs. n. 152 del 2006), pur mantenendo «il diritto dei soggetti danneggiati dal fatto produttivo di danno ambientale nella loro salute o nei beni di loro proprietà`, di agire giudizialmente nei confronti del responsabile a tutela dei diritti e degli interessi lesi» (art. 313, comma 7, d.lgs. n. 152 del 2006). I singoli cittadini, le associazioni ambientaliste e, per quello che qui interessa, gli enti territoriali ed esponenziali in genere, possono comunque agire ex artt. 2059, oltre che ex artt. 2043 e 2050 c.c. per chiedere anche il risarcimento dei danni non patrimoniali conseguenti all'illecito. Danni ulteriori e diversi rispetto al danno ambientale. Il ridimensionamento del ruolo degli enti territoriali appare, però, in controtendenza rispetto alla crescente e generale centralità del concetto di sviluppo sostenibile. Sostenibilità da intendere, secondo la connotazione emersa grazie all'Agenda 2030, anche quale dimensione sociale, economica e istituzionale (Franzoni, 2022). A riguardo, merita di essere segnalata, inserendosi in questo orientamento, la ponderosa decisione del Tribunale di Taranto del 27 giugno 2022 che ha affrontato i profili di risarcimento del danno non patrimoniale conseguenti al disastro ambientale cd Ilva (Garaci, 2023). Nella fattispecie, l'ente territoriale esponenziale è stato preso in considerazione, non tanto come organizzazione amministrativa compromessa, ma come ente rappresentativo di una comunità la cui immagine è stata lesa a seguito del verificarsi del disastro ambientale. La lesione rileva, sia in termini di diminuzione del prestigio e della reputazione dell'ente presso i suoi stessi consociati, sia quale ente rappresentativo di un territorio e di una comunità la cui immagine è stata gravemente compromessa in conseguenza dell'alta risonanza mediatica data alla questione ambientale e sanitaria. Si evidenzia in sentenza che «la storia gloriosa e millenaria di Taranto, che l'aveva vista ‘‘capitale della Magna Grecia'' tra le più antiche, floride e potenti colonie fondate nell'Italia meridionale e nella Sicilia orientale, è stata soppiantata nella sua storia recente, da una cronaca nera fatta di immagini terrorizzanti e record percentuali indesiderati». Considerazioni conclusivePer tutto quanto si è detto l'art. 2059 c.c. ha costituito il banco di prova di un confronto serrato sui diritti fondamentali dell'individuo, consentendo agli interpreti di ampliare progressivamente l'area del danno non patrimoniale, fino a pervenire al riconoscimento di un diritto vivente fondato su una lettura costituzionalmente orientata della norma. Il graduale superamento della tradizionale equiparazione tra danno non patrimoniale e danno morale soggettivo, inteso quale “sofferenza morale o psichica” della vittima, ha permesso di aprire la strada alla configurazione di un danno non patrimoniale in capo alle persone giuridiche ed, in genere, degli enti collettivi. Lo snodo giuridico decisivo, come sempre, ha preso le mosse da un fatto giuridico rilevante per l'ordinamento. Quell'evento deve essere rappresentato da un fatto lesivo che incida su una situazione giuridica della persona giuridica o dell'ente che sia equivalente ai diritti fondamentali della persona umana costituzionalmente protetti. Intorno a quel fatto l'interprete ha individuato la lesione di diritti della personalità, compatibili con l'assenza di fisicità e costituzionalmente protetti, che identificano il soggetto dell'ordinamento o ne individuano la dimensione nel contesto sociale. La giurisprudenza ha progressivamente affermato la risarcibilità di una serie di diritti della personalità, come quello all'immagine, alla reputazione, all'identità storica, culturale, e politica costituzionalmente protetti. In alcuni ambiti si è giunti ad una totale sovrapposizione della legittimazione della persona fisica e di quella giuridica collettiva (si pensi alla sostanziale equiparazione delle persone giuridiche alle persone fisiche in tema di danno da eccessiva durata del processo), ma, in genere, mantenendo il rigoroso e duplice criterio della compatibilità con l'assenza di fisicità e della rilevanza costituzionale degli interessi protetti, quest'ultima ritenuta configurabile anche in ambito economico o ambientale in termini di diminuzione della considerazione da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali la persona giuridica o l'ente di norma interagisca. 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