Risarcimento danni da ingiuria, sentenza penale assolutoria e valutazione delle prove del giudice civile

26 Febbraio 2024

La questione in esame è la seguente: nel caso di assoluzione perché il fatto non è più previsto dalla legge, quali valutazioni deve fare il giudice civile?

Massima

In tema di azione di risarcimento danni da ingiuria, ove sia stata pronunciata sentenza penale assolutoria perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato (a seguito dell'abrogazione della norma incriminatrice ex d.lgs. n. 7/2016), è doverosa da parte del giudice civile una adeguata valutazione, quantomeno indiziaria, delle acquisizioni fattuali e probatorie già compiute innanzi al giudice del dibattimento penale, onde evitare un'indebita dispersione delle stesse.

Il caso

Una donna era dapprima condannata in sede penale per il delitto di ingiuria e poi assolta per effetto della intervenuta depenalizzazione ai sensi del d.lgs. n. 7/2016.

La persona ingiuriata agiva in sede civile per conseguire il risarcimento dei danni subiti all'onore ed alla reputazione ed il Tribunale, in riforma della sentenza di condanna pronunciata dal giudice di pace, rigettava la domanda.

Proposto ricorso in Cassazione, nel quale era eccepita l'omessa valutazione del fatto introdotto nel giudizio con valore di prova, già accertato in sede penale e nel primo grado in sede civile, i giudici di legittimità hanno disposto l'annullamento con rinvio della sentenza gravata, giacché il giudice civile ha il potere di accertamento, con pienezza di cognizione, e al fine dell'irrogazione di sanzioni, dell'illiceità del fatto.

La questione

La questione in esame è la seguente: nel caso di assoluzione perché il fatto non è più previsto dalla legge, quali valutazioni deve fare il giudice civile?

Le soluzioni giuridiche

L'accertamento contenuto in una sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata perché il fatto non costituisce reato non ha efficacia di giudicato, ai sensi dell' art. 652 c.p.p. , nel giudizio civile di danno, nel quale, in tal caso, compete al giudice il potere di accertare autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti dedotti in giudizio e di pervenire a soluzioni e qualificazioni non vincolate dall'esito del processo penale (Cass. civ. n. 4764/2016).

Già con riferimento all'assoluzione dell'imputato secondo la formula "perché il fatto non sussiste" la Corte di Cassazione ha posto in rilievo come tale decisione non precluda la possibilità di pervenire, nel giudizio di risarcimento dei danni intentato a carico dello stesso, all'affermazione della sua responsabilità civile, considerato il diverso atteggiarsi, in tale ambito, sia dell'elemento della colpa che delle modalità di accertamento del nesso di causalità di materiale (Cass. civ. n. 12225/2019), e tale soluzione a fortiori s'impone in caso di assoluzione per difetto dell'elemento soggettivo del reato nella specie ravvisato da parte del giudice penale (Cass. civ. n. 12164/2021).

L'autonomia e la separatezza tra giudizio civile e giudizio penale dal complessivo sistema normativo è stata sottolineata da ultimo anche dalle Sezioni Unite penali con riferimento all' art. 622 c.p.p. , disciplinante la fase in cui all'esito del giudizio di cassazione la vicenda penale si sia esaurita (per essersi prescritto il reato o per essere irrevocabile la sentenza di assoluzione) e il giudizio debba proseguire con riferimento alle sole statuizioni civili da reato (Cass. civ., sez. un., n. 22065/2021).

Le Sezioni Unite penali hanno sottolineato l'esclusione della perdurante attrazione delle pretese civili nel processo penale una volta che siano definitive le statuizioni di carattere penale: è coerente con l'assetto normativo interdisciplinare che, esaurita la fase penale per essere intervenuto un giudicato agli effetti penali e conseguentemente venuta meno la ragione stessa dell'attrazione dell'illecito civile nell'ambito della competenza del giudice penale, la domanda risarcitoria venga esaminata secondo le regole dell'illecito aquiliano, dirette alla individuazione del soggetto responsabile ai fini civili su cui far gravare le conseguenze risarcitorie del danno verificatosi nella sfera della vittima.

Le Sezioni Unite penali hanno aderito alla prospettazione della terza sezione civile in base alla quale il giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p., deve assecondare le regole processuali, sostanziali e probatorie proprie non già del giudizio penale bensì del giudizio civile (Cass. civ. n. 15859/2019; Cass. civ. n. 16916/2019; Cass. n. 517/2020); le Sezioni Unite penali sono pervenute così ad affermare che - trattandosi di rinvio c.d. improprio e comportando la translatio judicii e la diversa regiudicanda un accertamento dei fatti rilevanti (ai soli fini risarcitori) regolato dai canoni sostanziali e processuali propri del giudizio civile, con potere in capo al giudice civile (di rinvio) di autonoma valutazione dei fatti accertati nel processo penale, mediante l'applicazione dei criteri civilistici della prova, dovendo in questo giudizio trovare applicazione esclusivamente le regole processuali e probatorie civili - il giudice civile non è vincolato nella ricostruzione del fatto a quanto accertato dal giudice penale.

Le Sezioni Unite penali hanno al riguardo sottolineato come il giudice civile sia libero di procedere autonomamente alla ricostruzione dei fatti e alla relativa valutazione facendo applicazione del criterio civilistico del "più probabile che non", in luogo di quello tipico del processo penale dell'alta probabilità logica, quanto all'accertamento del nesso di causalità; non sia tenuto ad osservare lo statuto della prova penale, non potendo anzi fondare la ricostruzione del fatto dannoso sulla testimonianza della parte civile, preclusa in ambito civilistico dall'art. 246 c.p.c., laddove in mancanza di una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova ben può per converso porre a base del proprio convincimento anche prove c.d. atipiche, purché idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti se ed in quanto non smentite dal raffronto critico (riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato) con le altre risultanze del processo; sia libero di scegliere, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a formare il proprio convincimento e a sorreggere la motivazione, essendo pertanto insindacabile in sede di legittimità il "peso probatorio" di alcune testimonianze rispetto ad altre in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto ad un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo giudice.

Nell'ulteriormente sottolineare che il giudizio penale mette al centro dell'osservazione la figura dell'imputato e il suo status libertatis, quello civile il danneggiato e le sue posizioni soggettive giuridicamente protette, le Sezioni Unite penali sono giunte a concludere che, formatosi il "giudicato agli effetti penali", è invero "ragionevole che all'illecito civile tornino ad applicarsi le regole sue proprie, funzionali all'individuazione del soggetto su cui, secondo il sistema del diritto civile, far gravare il costo di un danno e non la sanzione penale: la natura autonoma del giudizio civile comporta conseguenze anche con riferimento all'individuazione delle regole processuali applicabili in tema di nesso causale e di prove, in ragione della diversa funzione della responsabilità civile e della responsabilità penale e dei diversi valori in gioco nei due sistemi di responsabilità" (Cass. civ., sez. un., n. 22065/2021).

Osservazioni

La Corte costituzionale ha delineato la fisionomia generale della disciplina dell'esercizio dell'azione civile nel processo penale, disciplina informata al "principio della separazione e dell'autonomia dei giudizi": "il danneggiato può scegliere se esperire l'azione civile in sede penale o attivare la tutela giurisdizionale nella sede naturale. In questa seconda ipotesi, peraltro, egli non subisce alcuna limitazione di ordine temporale: diversamente che sotto l'impero del codice del 1930, l'esercizio dell'azione penale per lo stesso fatto non comporta, di regola, la sospensione del processo civile, nell'ambito del quale l'eventuale giudicato penale di assoluzione non ha efficacia (art. 652 c.p.p.). Il giudizio civile di danno prosegue, dunque, autonomamente malgrado la contemporanea pendenza del processo penale (art. 75, comma 2, c.p.p.): la sospensione rappresenta l'eccezione, che opera nei limitati casi previsti dall'art. 75, comma 3 (Corte Cost. n. 12/2016).

Il giudice penale in tanto può occuparsi dei capi civili in quanto contestualmente pervenga a una dichiarazione di responsabilità penale, ossia il collegamento in via esclusiva tra decisione sulle questioni civili e condanna dell'imputato: di conseguenza, fuori dai casi in cui la disciplina introduttiva dell'abolitio criminis preveda che il giudice dell'impugnazione decide sulla stessa ai soli effetti civili, nel giudizio sull'impugnazione dell'imputato avverso una sentenza di condanna agli effetti penali e agli effetti civili, il proscioglimento con la formula "perché il fatto non è previsto dalla legge come reato" (nel caso di specie, a seguito dell'abrogazione della norma incriminatrice disposta dall'art. 1 d.lgs. n. 7/2016) preclude l'esame, ai fini dell'eventuale conferma, delle statuizioni civili.

Sotto altro aspetto, si osserva che nel caso di abrogazione a norma del d.lgs. n. 7/2016, la sanzione pecuniaria civile è irrogata dal giudice competente a conoscere dell'azione di risarcimento del danno: di conseguenza, una disciplina processuale analoga a quella dell'art. 9, comma 3, d.lgs. n. 8/2016, (e a quella di cui all'art. 578 c.p.p.), impedendo che il giudice civile sia investito dell'azione di risarcimento del danno con riferimento agli illeciti per i quali sia già intervenuta almeno la sentenza di condanna penale in primo grado, risulterebbe del tutto incoerente con la previsione in forza della quale le disposizioni relative alle sanzioni pecuniarie civili di cui al d.lgs. n. 7/2016 si applicano anche ai fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore dello stesso decreto, salvo che il procedimento penale sia stato definito con sentenza o con decreto divenuti irrevocabili (art. 12, comma 1): per i casi in cui siano intervenuti sentenza o decreto non irrevocabili, l'applicabilità di una disciplina analoga a quella dell'art. 9, comma 3, d.lgs. n. 8/2016, e, dunque, la definizione, dinanzi al giudice dell'impugnazione penale, del giudizio quanto alle statuizioni civili impedirebbero l'esercizio dell'azione davanti al giudice competente sul risarcimento del danno e, con esso, escluderebbero, per gli illeciti oggetto di pronunce non irrevocabili, l'irrogazione della sanzione pecuniaria civile, esito, questo, in contrasto con la disciplina di cui all'art. 12, comma 1, d.lgs. n. 7/2016.

Da quanto precede, risulta l'obbligo per il giudice civile di esaminare e valutare le prove e le risultanze acquisite nel processo penale, dovendo prendere in considerazione le prove assunte nel processo penale o la motivazione della sentenza penale attinente alla stessa vicenda oggetto di cognizione nel processo civile.

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