Codice di Procedura Civile art. 473 bis 58 - Procedimenti in materia di amministrazione di sostegno 1

Roberto Masoni

Procedimenti in materia di amministrazione di sostegno1

[I]. Ai procedimenti in materia di amministrazione di sostegno si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni della presente sezione.

[II]. Contro i decreti del giudice tutelare è ammesso reclamo al tribunale ai sensi dell'articolo 739.

[III]. Contro il decreto del tribunale in composizione collegiale è ammesso ricorso per cassazione.

[1] Articolo inserito dall'art. 3, comma 33,  del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022 , il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n.197,  che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.".

Inquadramento

Come hanno sottolineato gli interpreti, la disciplina procedurale del procedimento di sostegno non riveste particolare pregio tecnico e si caratterizza, piuttosto, per sciatteria e pressapochismo (Chizzini, 372; Tommaseo, 116),  che sono evidenziati, anzitutto, dall'avere suddiviso, tanto nel codice di diritto sostanziale (art. 407 c.c.), quanto in quello di rito (art. 720- bis c.p.c., con una discutibile relatio alla normativa dettata per il processo di interdizione, quasi una sorta di modello di riferimento) la disciplina di riferimento.

In termini sintetici e riassuntivi, le disposizioni procedurali dettano la disciplina di un procedimento semplificato, caratterizzato da passaggi processuali deformalizzati e ridotti all'essenziale.

Lo stesso è dominato dall'impulso officioso, cosicché , in seguito a sollecitazione di parte, il prosieguo del procedimento si sviluppa automaticamente. Anticipando nozioni fornite in prosieguo, si può ritenere che il procedimento si inserisca a pieno titolo nell'ambito volontaria giurisdizione, dato che il provvedimento conclusivo riveste forma di decreto motivato e che lo stesso risulta sempre modificabile e revocabile.

Prima di approfondire natura e presupposti del procedimento di nomina di amministratore di sostegno e di tratteggiare i profili dinamici che lo caratterizzano, vanno individuati gli essenziali dati normativi di riferimento.

Ebbene, la disciplina di governo del procedimento di sostegno non è unicamente quella contenuta nella norma per prima riportata, dato che la stessa va congiuntamente esaminata con la corrispondente disposizione processuale collocata nel codice di rito, sotto la rubrica « procedimenti in materia di amministrazione di sostegno»

Il rimando alle disposizioni dettate in tema di processo di interdizione ed inabilitazione chiarisce il senso delle prime applicazioni giurisprudenziali dell'istituto, che hanno sottolineato l' omogeneità strutturale e funzionale intercorrente da una parte tra amministrazione di sostegno e, dall'altra, interdizione ed inabilitazione; omogeneità che sarebbe riscontrabile, tanto sotto il profilo processuale, quanto sotto quello sostanziale (App. Milano 11 ottobre 2005, in Giur. it., 2006, 1161 e 1611).

In contrario rispetto a questa assimilazione, è stato sottolineato che la distanza che separa l'istituto dell'amministrazione di sostegno da quello dell'interdizione appare siderale ed è incolmabile. Si tratta di discipline giuridiche appartenenti a mondi lontanissimi, frutto di concezioni filosofiche e dei valori umani molto distanti tra loro, espressione di fasi di sviluppo della coscienza collettiva assai diversi; l'una rappresenta ormai il passato, l'altra, il presente ed il futuro, oltre che riflettere la sensibilità dell'uomo moderno. I due mondi sono inconciliabili, nonostante gli aggiustamenti compiuti dal legislatore del 2004 per temperare gli aspetti più arcigni ed anacronistici dell'interdizione.

La Corte Regolatrice , concordando sulle radicali novità, sostanziali e procedurali, del neo istituto di protezione, non assimilabile alle vecchie risposte protettive, ha chiarito che la l. n. 6 del 2004 ha introdotto una figura la cui disciplina presenta caratteristiche che lo distinguono e lo contrappongono, nella sua stessa essenza ontologica, alle altre figure di « protezione degli impediti ad agire» ed ai corrispondenti modelli procedimentali già presenti nel nostro ordinamento positivo e rimasti peraltro in vigore (Cass. n. 25366/2006 ).

A questo riguardo, si è chiarito che, sul piano del « modello del procedimento» relativo all'amministrazione di sostegno, si individuano precetti che – mentre sono sicuramente armonici e coerenti al nuovo istituto – risultano del tutto antinomici rispetto al pregresso sistema processuale ed alla sua ricostruzione da parte della dottrina e della giurisprudenza.

In questo assetto normativo, variegato e ricco di ambiguità procedurali, non è rinvenibile assimilazione di sorta tra procedimento di nomina dell'amministrazione e quello di interdizione ed inabilitazione, a dispetto della richiamata relatio (sulla quale v. infra).

La riforma processuale del 2022

La riforma processuale del 2022 (d.lgs. n. 149 del 2022), dando attuazione a sollecitazioni dottrinali univocamente espresse nel corso dell'ultimo decennio, nell'ottica di introdurre un modello ed un rito unico ed unitario  in materia di famiglia e persone, ha recepito tali esigenze, introducendo nel capo I del II libro del codice di rito un nuovo titolo IV bis, intitolato “Norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie”. Sono stati così inseriti i nuovi art. 473 bis e segg. c.p.c.

In forza dell'art. 35 d.lgs. n. 149/2022 le nuove disposizioni processuali innovate, e quindi anche quelle afferenti il nuovo rito unitario per le persone e la famiglia sono entrate in vigore il 28 febbraio 2023 con riferimento ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Viceversa, il nuovo tribunale per le persone, i minorenni e la famiglie, con le relative disposizioni di ordinamenti e di governo, avranno effetto decorsi due ani dalla data di pubblicazione del d.lgs. sulla Gazzetta Ufficiale (art. 49 d.lgs. cit.), ovvero a far data dal 18 ottobre 2024.

In quest'opera di unificazione del rito è stato coinvolto anche il procedimento di amministrazione di sostegno.  Abrogato dalla riforma del 2022 l'art. 720-bis, come pure gli artt. 712 e segg c.p.c. (disposizioni a cui il primo articolo rimandava), oggi il procedimento di di interdizione, inabilitazione ed amministrazione di sostegno, trova disciplina  nella sezione III del titolo IV bis, e in particolare negli art. 473 bis. 52 e segg., che rappresenta “una sostanziale trasposizione all'interno del nuovo modello processuale delle disposizioni di cui agli arti. 712 -720 bis c.pc., che vengono conseguentemente abrogate” (Relazione Illustrativa).

Ai fini di disciplina, rileva l'art. 473 bis. 58, intitolato ai “procedimenti in materia di amministrazione di sostegno”, il cui contenuto richiama per relatiole disposizioni della presente sezione” in quanto compatibili. La norma, salvo lievi modifiche, ricalca il precedente testo (CARRATTA, 165 ss).

Il giudizio di compatibilit à

Il legislatore, prima con l’art. 720-bis c.p.c. ed oggi con l’art. 473 bis.58, tende a modellare il procedimento riguardante la nomina dell’amministratore di sostegno sulla falsariga di quello di interdizione ed inabilitazione, mediante esplicita relatio (alle norme contenute nella sezione III), col prudenziale temperamento della clausola di compatibilità. In tal modo, il legislatore processuale prescinde dalla divergenza di fondo riguardante la forma conclusiva del procedimento e della autonoma disciplina dettata per il gravame, concernente, rispettivamente, l’una e l’altra misura protettiva.

Tuttavia, il richiamo alle disposizioni dettate per il modello processuale dell’interdizione/inabilitazione  non è particolarmente significativo, né determinante, agli effetti dell’individuazione della natura giuridica del procedimento di sostegno.

 Già diversi anni or sono, un decreto del tribunale modenese aveva opportunamente segnalato «l’esigenza per l’interprete di evitare l’errore di una trasposizione acritica» della trama procedurale dell’interdizione all’amministrazione di sostegno (Trib. Modena 22 febbraio 2005, in Dir. giust, 25 febbraio 2005; in Giur. Merito, 2005, 515; in Giur. It, 2005, 2077, con nota di Grasselli).

Similmente, la migliore processualistica ha evidenziato che, tra le disposizioni richiamate (in passato dall’art. 720-bis c.p.c. ed oggi dal novellato art. 473 bis. 58), «ben poche sembrano reggere al giudizio di compatibilità previsto dalla legge».

In particolare, la forma della domanda (art. 712 c.p.c., ed oggi art. 473 bis. 52), il ricorso, è già indicata dall’art. 406, comma 1, c.c., mentre, per la determinazione specifica dei requisiti, vale il richiamo integratore al contenuto dell’art. 125 c.p.c.

La fase preliminare innanzi al presidente del tribunale (art. 713, comma 1, c.p.c., oggi abrogata; su cui l’art. 473 bis 53, 1° comma) non sembra «compatibile» con la figura dell’amministrazione di sostegno (su cui infra).

La previsione di intervento del P.M. trovasi contenuta nell’art. 407, comma 5, c.c.

La capacità processuale dell’infermo di mente (art. 716 c.p.c.; oggi art. 473-bis. 55) trova disciplina nella norma speciale che, abilitandolo alla presentazione del ricorso, evidentemente, lo legittima al compimento di ogni attività processuale connessa (art. 406, comma 1, c.c.), come pure il reclamo.

E’ stato chiarito che il beneficiario di amministrazione di sostegno è "dotato di autonoma legittimazione processuale, non solo ai fini dell'apertura, ma anche per impugnare i provvedimenti adottati dal g.t. nel corso di tale procedura” (Cass. n. 5380/2020, in Jus processo civile con nota di MASONI).

Giacchè «un potere di promuovere il procedimento senza possibilità di seguirne lo svolgimento sarebbe illogico, oltre che costituzionalmente inammissibile» (Chizzini, 383).

La decorrenza del termine di impugnazione del decreto del g.t. innanzi alla corte d’appello (specificamente previsto dall’art. 720 bis, comma 2, c.p.c.), più che nell’art. 719 c.p.c., trova disciplina nell’art. 739 c.p.c.

Infine, la disciplina della revoca della nuova misura (art. 720 c.p.c., dettata per la revoca dell’interdizione ed inabilitazione; oggi dall’art. 473-bis. 57), trova disciplina speciale nel codice civile (art. 413 c.c.).

La natura del provvedimento conclusivo della procedura, il decreto (e non già la sentenza, come per interdizione ed inabilitazione; art. 718 c.p.c. ed oggi 473 bis. 56), risulta dall’art. 405, comma 1, c.c.

Anche la particolare connotazione «inquisitoria» dell’istruttoria del procedimento, elemento distintivo dei procedimenti camerali (rispetto a quelli contenziosi), è ravvisabile nella disciplina codicistica (art. 407 c.c.), piuttosto che nella previsione concernente il giudizio di interdizione.

Unico aspetto procedimentale non espressamente disciplinato dalla normativa dettata dal c.c., per il quale vale il richiamo alle regole del processo di interdizione, attiene alle modalità di instaurazione del contraddittorio, che si istituisce notificando ricorso e decreto di fissazione d’udienza entro il termine perentorio stabilito dal giudice (art. 713, comma 2, c.p.c.; oggi art. 473 bis. 53,  comma 2).

La tipologia processuale

Le disposizioni speciali dettate dal codice civile evidenziano i tratti distintivi e specializzanti della procedura di amministrazione di sostegno, rispetto all’antinomico (per ripetere la terminologia rinvenibile in Cass. n. 25366/2006) giudizio di interdizione; ossia, la natura del provvedimento conclusivo, che ha veste formale di decreto (da pronunciare nei successivi sessanta giorni dalla presentazione del ricorso; art. 405, comma 1, c.c.) e pure la modificabilità e revocabilità in ogni tempo (art. 407, comma 4, c.c.).

Dal punto di vista strutturale, entrambi i profili evidenziano che il procedimento a piene diritto va collocato nella volontaria giurisdizione.

La prevalente dottrina ha evidenziato come il procedimento, soggetto alla disciplina camerale (artt. 737 e segg. c.p.c.), sia funzionale all’efficace gestione degli interessi del beneficiario tramite intervento del g.t., non mirando all’accertamento di uno status (Masoni, 1616; Chizzini, 394).

Il procedimento di nomina di un amministratore di sostegno riveste natura volontaria (e non contenziosa) dato che il provvedimento conclusivo non incide su uno status, posto che «non esiste lo status dell’amministrato di sostegno» (Montserrat Pappalettere, Amministrazione di sostegno: la giurisdizione al servizio dei soggetti svantaggiati, in Giur. it., 2005, 719).

A fronte della «conservazione» della capacità di agire in capo al beneficiario (art. 409 c.c.), l’amministratore di sostegno si limita a prestare ausilio a chi non è autosufficiente, in affiancamento o talvolta in sostituzione, nel compimento di taluni specifici atti (individuati dal decreto del giudice; art. 405 c.c.) per i quali la persona menomata necessita di «sostegno temporaneo o permanente» (come si esprime l’art. 1 della l. n. 6 del 2004).

Se le premesse date sono corrette, la funzione del procedimento è limitato alla nomina di un soggetto (l’amministratore) affinché «sostenga» la persona che «non ce la fa», non autonoma nell’espletamento degli atti quotidiani, mediante un intervento gestorio dei suoi interessi individuali, per il compimento degli atti della «vita quotidiana».

Seppur autorevolmente contrastata (Tommaseo, 117 e segg.), la prevalente dottrina specialistica ha concluso affermando che «considerata la revocabilità dei provvedimenti, la loro inidoneità al giudicato, la funzionalità assunta ai meri fini della gestione dell’interesse del soggetto, appare conforme alla legge ricostruire detto procedimenti nei termini di volontaria giurisdizione» Chizzini, 394; Campese, 366; Farolfi, 119). Tale impostazione trova conferma anche nella manualistica generale (Mandrioli, Carratta, III, 152, nota 223; Picardi, 581).

A tenore dell’art. 92 O.G., i procedimenti di amministrazione di sostegno non sono sottoposti alla sospensione feriale dei termini nel periodo 1-31 agosto di ogni anno.

La deroga riguarda i soli casi in cui “la ritardata trattazione potrebbe produrre un grave pregiudizio alle parti” (Cass. n. 12801/2021)

La S.C. ha precisato che l’eccezione concerne i provvedimenti che dispongono l’apertura o la chiusura della procedura di a.d.s., non anche i provvedimenti aventi carattere gestorio (Cass. n. 784/2017). E ha poi chiarito che non rientrano in ambito gestorio, invece, le autorizzazioni all’esercizio di diritti personalissimi, quali quelle concernenti la cessazione degli effetti civili del matrimonio religioso (Cass. n. 14148/17; Cass. n. 12801/2021, in DeG).

Il giudice tutelare

La nomina dell’amministratore di sostegno è rimessa alla competenza funzionale del giudice tutelare (art. 404 c.c.).

Al g.t. è conferita una posizione eminente in tema di cura delle persone incapaci e di amministrazione del loro patrimonio. In particolare, lo stesso è individuato nel giudice del tribunale cui sono rimesse, tabellarmente (a termini dell’art. 43, lett. c), Ord. Giud.), le funzioni e gli affari civili in materia di tutela e curatela delle persone, come pure le altre funzioni affidategli dalla legge, come ha cura di precisare l’art. 344 c.c.

Le funzioni del g.t., nel procedimento di amministrazione di sostegno, si caratterizzano per «l’ascolto» del beneficiario (v. art. 407, comma 2, c.c.) e per l’individuazione di connessi, specifici profili d’incapacità gestionale, che trovano tutela nel decreto di nomina di a.d.s., il quale costituisce la cornice giuridica entro cui può operare il beneficiario (che delinea lo «statuto del disabile», o progetto di protezione), come pure il suo vicario.

Il g.t. deve vagliare, anzitutto, il grado di disabilità della persona, coglierne le esigenze concrete (quali, ad es., riscossione della pensione, amministrazione degli affitti, pagamento di bollette, gestione del patrimonio, etc.), se del caso, anche di natura esistenziale (connesse, ad es., al collocamento residenziale, all’abitazione, al ricovero in casa protetta, in pensionato), ovvero, di salute (interventi chirurgici da autorizzare, cure mediche da praticare, etc.), che devono trovare equilibrata risposta nel decreto di nomina.

Per la risoluzione dei piccoli e grandi problemi personali, quotidiani, ovvero esistenziali, il giudice deve «tener conto dei bisogni e delle richieste della persona», che, in questa moderna prospettiva, non è più mero oggetto, ma piuttosto il soggetto attivo della procedura, l’attore primario e principale, su cui indirizzare il focus.

In questo senso il g.t., nell’espletamento di questo innovativo ruolo istituzionale, può qualificarsi «giudice sensibile» (Farolfi, op. cit., 117).

Egli dovrebbe essere persona dotata di umanità e della giusta sensibilità, necessaria a cogliere le effettive esigenze, aspirazioni e bisogni della persona bisognosa, in grado di fornire la corretta «lettura» ai problemi emersi in sede istruttoria, oltre che dotato del necessario pragmatismo, scevro da superflui burocraticismi ed in grado di rispondere con umanità ed equilibrio, oltre che ragionevole celerità, alle istanze dei cittadini.

Competenza per territorio

Come si è notato nel precedente §, la competenza materiale è riservata in via esclusiva al giudice tutelare del tribunale, impersonato da un magistrato dell'ufficio tabellarmente proposto all'espletamento delle funzioni tutelari.

La competenza per territorio è radicata innanzi al giudice del «luogo in cui (la persona) ha residenza o domicilio» (art. 404 c.c.).

Quelli indicati sono fori alternativi. Essi «operano a prescindere dal contenuto specifico del provvedimento richiesto, patrimoniale o non patrimoniale» (Chizzini, 398 e nota 64).

Il collegamento della competenza territoriale col luogo di residenza o domicilio della persona rimarca l'esigenza di prossimità e facilità di accesso al giudice monocratico investito della richiesta di sostegno (Farolfi, 127).

In modo particolare, la competenza per territorio si radica nel luogo di dimora abituale del beneficiario, più che nel luogo di residenza anagrafica in considerazione dell'indicata esigenza di prossimità della persona con disabilità rispetto al giudice tutelare (Cass. n. 9388/2013).

  Dato che la legittimazione attiva per l'introduzione del procedimento compete anche al P.M., il quale può essere attore (art. 70, n. 1, c.p.c.) (Chizzini, 398; Tommaseo, 151; Campese, 368.), la competenza territoriale è inderogabile (art. 28 c.p.c.), cosicché l'eventuale incompetenza è rilevabile anche d'ufficio da parte del giudice, seppur «non oltre la prima udienza» (art. 38, comma 1, c.p.c.).

In definitiva, agli effetti della competenza per territorio rileva la residenza effettiva della persona, cosicché le risultanze anagrafiche non assurgono a dato preminente, se vengano superate da evenienze di fatto conclamanti un diverso effettivo domicilio della persona nel cui interesse si chiede l'apertura del procedimento (Cass. n. 16544/2013; Cass. n. 9389/2013). La giurisprudenza ripete il criterio enucleato dagli interpreti per il processo di interdizione ex art. 712 c.p.c. In sostanza, «il domicilio del beneficiario dell'assistenza di sostegno si determina alla stregua dell'ordinario criterio di cui al primo comma dell'art. 43 c.c.» (Cass. n. 23743/2007); ossia, «il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi» (art. 43 c.c.).

Laddove la persona di che trattasi si trovi in collocata in casa di riposo, in modo non transitorio, la competenza territoriale si radica presso il giudice ove trovasi la sede dell'istituto (Cass. n. 19431/2020).

Più chiaramente Cass. VI, ord. n. 19431/2020 ha precisato che ai fini dell'individuazione del giudice territorialmente competente si presume la coincidenza della residenza effettiva e del domicilio con la residenza anagrafica dell'amministrando, salvo risulti accertato non solo il concreto spostamento della sua dimora abituale o del centro principale dei suoi rapporti economici, morali, sociali e familiari ma anche la volontarietà di tale spostamento. La regola della residenza effettiva non trova applicazione per la persona che si trovi in stato di detenzione manicomiale (Cass. n. 588/2008).

Nel caso in cui il beneficiario dell'amministrazione di sostegno si trovi in stato di detenzione in esecuzione di una sentenza definitiva di condanna, la competenza territoriale va riconosciuta al giudice del luogo in cui il detenuto aveva la sua dimora abituale prima dell'inizio dello stato detentivo, non potendo trovare applicazione il criterio legale che individua la residenza (con la quale coincide, salva prova contraria, la dimora abituale) nel luogo in cui è posta la sede principale degl'interessi e degli affari della persona, dal momento che, tale criterio, implicando il carattere volontario dello stabilimento, postula un elemento soggettivo la cui sussistenza resta esclusa per definizione nel caso in cui l'interessato, essendo sottoposto a pena detentiva, non possa fissare liberamente la propria dimora (Cass. VI, ord. n. 18943/2020. Conformi: Cass. n. 7241/2020; Cass. n. 18272/2016).

In tema di amministrazione di sostegno, l'istanza di regolamento di competenza può essere sottoscritta anche dalla parte personalmente, atteso che il relativo procedimento, a differenza di quelli d'interdizione o inabilitazione, non richiede il ministero di un difensore, almeno nelle ipotesi, corrispondenti al modello legale tipico, in cui l'emanando provvedimento abbia ad oggetto esclusivamente l'individuazione di singoli atti, o categorie di essi, in relazione ai quali è richiesto l'intervento dell'amministratore e non incida sui diritti fondamentali della persona attraverso la previsione di effetti, limitazioni o decadenze analoghi a quelli previsti da disposizioni di legge per l'interdetto o per l'inabilitato (Cass. VI, ord. n. 7241/2020). Conforme: Cass. n. 6861/2013.

Il beneficiario può essere anche un minore non emancipato nell'ultimo anno della minorità (art. 405, comma 2, c.c.). Ci si è domandati quale sia il giudice competente a provvedere sulla nomina dell'amministratore di sostegno; al giudice tutelare o al tribunale per i minorenni.

Pare maggiormente omogeneo al sistema della neo-protezione ipotizzare la competenza del primo giudice tenendo anche conto del fatto che la nomina avrà effetto al compimento del diciottesimo anno di età (Tommaseo, 151; Campese, 369; Masoni, 476).

Problema peculiare veniva ravvisato laddove il disabile cittadino italiano risiedesse all'estero.

Ebbene, la Corte Costituzionale ha ritenuto che siano devolute al console le funzioni in materia di nomina dell'amministratore di sostegno, in forza di un'interpretazione evolutiva della disciplina di riferimento (Corte cost. n. 51/2010, in Dir. Fam., 2010, 1523, con nota di Masoni e Bulgarelli, L'amministrazione di sostegno estera).

Trasferimento del procedimento per trasferimento di residenza dell’amministratore di sostegno o dell’amministrato

L'inapplicabilità del criterio dettato dall'art. 45, comma 2 e 3, c.c., preclude l'applicazione analogica all'amministrazione di sostegno ed in particolare all'amministratore di sostegno della regola contenuta nell'art. 343, comma 2, c.c., che dispone il trasferimento della tutela (del minore o dell'interdetto), con decreto del tribunale, «se il tutore è domiciliato o trasferisce il domicilio in altro mandamento».

La Corte ha escluso l'applicazione analogica della disposizione, non richiamata dall'art. 411 c.c. tra quelle applicabili al procedimento di a.d.s., tenuto conto della sostanziale diversità intercorrente tra questa forma di protezione e l'interdizione (Cass. n. 23743/2007). Mentre in quest'ultima misura il tutore sostituisce l'interdetto in tutti gli atti della vita quotidiana, nell'amministrazione di sostegno il beneficiario conserva capacità di agire per gli atti non attribuiti alla competenza dell'a.d.s. (art. 409, comma 1, c.c.), potendo interloquire col giudice tutelare nell'adozione dei provvedimenti ritenuti più adeguati alla sua protezione (artt. 410,411,413 c.c.).

È pure ipotizzabile che il trasferimento del domicilio dell'amministratore di sostegno in luogo lontano rispetto a quello di residenza o domicilio dell'amministrato, il quale sia rimasto immutato, possa, nei congrui casi, legittimare la sostituzione dall'incarico a norma dell'art. 407,comma 4, c.c., tenuto conto della difficoltà di espletamento dell'ufficio a distanza spaziale rispetto al beneficiario.

È ipotizzabile il trasferimento del luogo di domicilio/residenza del beneficiario.

In tal caso, il g.t., con proprio decreto, può disporre il trasferimento del procedimento avanti all'ufficio tutelare del tribunale ove il beneficiario ha posto la nuova residenza (Campese, 369 e nota 8).

Il ricorso

L'atto introduttivo del procedimento di nomina dell'amministratore di sostegno ha veste formale di ricorso (artt. 407 c.c. e 712 c.p.c. ed oggi art. 473-bis. 52).

Il ricorso, esente dal versamento del contributo unificato previsto dal t.u. in materia di spese di giustizia di cui al d.p.r. 20 maggio 2002, n. 115 (art. 46-bis att. c.c.), e soggetto unicamente all'apposizione di una marca da bollo di € 27,00 (oltre al versamento dei diritti di cancelleria sulle copie autentiche), va depositato nella cancelleria del tribunale e, in particolare, in quella della volontaria giurisdizione.

A partire da questo momento insorge la pendenza del procedimento ed inizia a decorrere il termine (ordinatorio di sessanta giorni) entro cui lo stesso andrebbe definito (art. 405, comma 1, c.c.).

Nonostante autorevoli voci in contrario, deve ritenersi che il ricorso debba rivestire unicamente forma scritta (Tommaseo, 189; Campese, 374).

Il contenuto del ricorso introduttivo è indicato in questi termini: «il ricorso deve indicare le generalità del beneficiario, la sua dimora abituale, le ragioni per cui si richiede la nomina dell'amministratore di sostegno, il nominativo ed il domicilio, se conosciuti dal ricorrente, del coniuge, dei discendenti, degli ascendenti, dei fratelli e dei conviventi del beneficiario» (art. 407, comma 1, c.c.).

Oltre all'indicazione dell'ufficio tutelare competente per territorio, nel ricorso vanno indicate «le generalità del beneficiario», specificandone la «sua dimora abituale». L'indicazione della dimora abituale del beneficiario non è in contraddizione con il criterio di competenza territoriale indicato dall'art. 404 c.c. (riferito al domicilio o alla residenza dell'interessato). Ciò perché, come è stato esattamente sottolineato, l'indicazione della dimora serve agli effetti pratici e d'istruttoria, quando cioè il beneficiario, pur conservando una certa residenza anagrafica, tuttavia, sia dimorante altrove, ad es., in luogo di cura, o in casa protetta (Chizzini, 425).

La precisazione appare utile laddove, ad es., il beneficiario risulti intrasportabile ed il giudice debba procedere ad esame domiciliare.

Nel ricorso vanno indicati «il nominativo ed il domicilio, se conosciuti dal ricorrente, del coniuge, dei discendenti, degli ascendenti, dei fratelli e dei conviventi del beneficiario». L'indicazione di tali soggetti ha finalità meramente istruttorie, non individuando parti necessarie del processo.

Non ricorrendo un litisconsorzio necessario nei loro confronti, l'omessa indicazione in ricorso del nominativo di essi e l'omessa successiva evocazione in giudizio non determina nullità del procedimento, ma può unicamente incidere sulla completezza dell'istruttoria.

Nel procedimento di nomina non vi sono parti necessarie ad esclusione del beneficiario, cosicché non sarebbe configurabile litisconsorzio necessario, tra quanti vi partecipano (Cass. n. 14190/2013).

In attuazione della direttiva posta dall'art. 404 c.c., vanno specificate le cause di disabilità della persona (infermità fisica, ovvero, psichica, specificando esattamente il tipo di affezione dell'amministrando), indicando se l'affezione incida negativamente sulla cura degli interessi del soggetto e quali siano le specifiche e concrete esigenze, oltre che i bisogni cui debba farsi fronte (cura personae, ovvero, cura patrimonii).

V'è da chiedersi se e quali conseguenze giuridiche siano enucleabili in ipotesi di ricorso difforme rispetto al paradigma legale.

Secondo taluni interpreti, il difetto delle generalità del beneficiario, dell'indicazione della sua dimora abituale o delle ragioni per cui si chiede la nomina dell'amministratore indurrebbe nullità del ricorso, in applicazione dei criteri generali dettati per la nullità degli atti processuali (art. 156 c.p.c.), principio già affermato in materia di interdizione.

In contrario va considerata la tipologia del procedimento in oggetto, di natura camerale e non contenziosa, nel quale sono implicati interessi pubblicistici (confermati, tra l'altro, dalla necessaria partecipazione del P.M.) di protezione civilistica di persone con disabilità. Tali interessi sembrano escludere l'applicazione meccanicistica dei canoni dettati per i processi contenziosi. Cosicché in materia pare giustificata una soluzione «mite» in diritto (Chizzini, 428; Masoni, 485; Farolfi, 127).

Pur in difetto di indicazione normativa, unitamente al ricorso, vanno depositati i documenti idonei a supportare la domanda di nomina dell'amministratore di sostegno (anzitutto, i certificati medici specialistici attestanti la tipologia dell'affezione mentale o fisica del beneficiario, l'eventuale relazione del servizi sociali avente ad oggetto la situazione personale del beneficiario, l'estratto dell'atto di nascita dello stesso, e pure, per evidenti ragioni di garanzia e sicurezza, fotocopia di documento di identità del ricorrente).

La difesa tecnica

Una questione cruciale, sulla quale il dibattito in passato si è forse troppo lungamente focalizzato, concerne la necessità o meno del patrocinio legale del ricorrente, laddove il ricorso sia presentato dall'interessato.

La legge n. 6 del 2004 non detta alcuna disposizione chiarificatrice, cosicché gli interpreti hanno ritenuto di richiamare i principi generali della materia; principi che inizialmente hanno dato adito a divergenti interpretazioni scientifiche e giurisprudenziali.

Riassuntivamente, alla non necessità della difesa tecnica, si sono espressi taluni uffici giudiziaria (Trib. Modena 22 febbraio 2005, in Giur. it., 2005, 2077; 120; in Giur. merito, 2005, 1515; Trib. Roma 19 febbraio 2005, in Giur. it., 2005, 2077; 2006, 120; App. Venezia 16 gennaio 2006, in Giur. it., 2006, 1611); in contrario, e perciò restrittivamente, il Tribunale di Milano (Trib.Milano 2 marzo 2005, in Giur. It., 2005, 2070; App. Milano, 11 ottobre 2005, in Giur. It,2006, 1611). e quello di Padova (Trib.Padova 21 maggio 2004, in Fam. dir., 2004, 607; in Giur. It., 2006, 120). In ogni caso, il difensore revocato dal mandato continua, ai sensi dell'art. 85 c.p.c., a svolgere il suo mandato finché interviene la sostituzione con un nuovo difensore, sì che è irrilevante la ridotta o compromessa capacità di intendere e di volere del mandante intervenuta medio tempore (Cass. VI, ord. n. 12249/2020).

In dottrina prevale la soluzione liberale, con riguardo alla non necessità della difesa tecnica (Chizzini, 430; Mandrioli, Carratta, 152; Farolfi, 120), per quanto la stessa sia stata autorevolmente contrastata (Tommaseo, 189 e segg.).

 

La soluzione della Corte di Cassazione

A fronte delle riferite divergenti interpretazioni, il contrasto è stato risolto dalla Corte di legittimità.

La S.C. ha in particolare affermato che in materia di nomina nomina dell'amministratore di sostegno il patrocinio legale di regola non è necessario: «il procedimento per la nomina dell'amministratore di sostegno, il quale si distingue, per natura, struttura e funzione, dalle procedure di interdizione e di inabilitazione, non richiede il ministero del difensore nelle ipotesi, da ritenere corrispondenti al modello legale tipico, in cui l'emanando provvedimento debba limitarsi ad individuare specificamente i singoli atti, o categorie di atti, in relazione ai quali si richiede l'intervento dell'amministratore; necessitando, per contro, della difesa tecnica ogni qualvolta il decreto che il giudice ritenga di emettere, sia o non corrispondente alla richiesta dell'interessato, incida sui diritti fondamentali della persona, attraverso la previsione di effetti, limitazioni o decadenze, analoghi a quelli previsti da disposizioni di legge per l'interdetto o l'inabilitato, per ciò stesso incontrando il limite del rispetto dei principi costituzionali in materia di diritto di difesa e del contraddittorio» (Cass. n. 25366/2006).

La pronunzia ha riconosciuto, sistematicamente, piena autonomia procedurale oltre che sostanziale al procedimento rispetto ai corrispondenti istituti ed alla corrispondente regolamentazione processuale rinvenibile nell'interdizione e nell'inabilitazione.

La Corte ha ricordato che, dato che il procedimento è di competenza del giudice tutelare cui è affidata l'amministrazione di interessi, l'ordinamento non conosce ipotesi in cui sia richiesto il patrocinio del difensore.

Ancora, portando il ragionamento alle logiche conseguenze, si è chiarito: «in presenza di interventi che, come si è visto, si limitano all'attribuzione all'amministratore di sostegno di compiti di mera «assistenza», a volte solo fattuale, si profila del tutto incongrua – ferma, ovviamente, la possibilità, da riconoscersi a chiunque, di farsi assistere da un patrocinante, ove lo ritenga opportuno – la previsione del necessario ministero del difensore a favore di un soggetto che non fa valere una sua pretesa nei confronti di un altro soggetto, ma chiede l'intervento del giudice in funzione attuativa di un proprio interesse, tra l'altro coincidente con l'interesse generale».

In conclusione, la Corte ha ritenuto non necessaria la presenza del difensore in un procedimento nel quale non è normalmente ipotizzabile una contestazione tra le parti su una posizione di diritto, dato che si tratta, piuttosto, di gestire ed amministrare interessi, secondo i canoni tipici e le funzioni esplicate dal g.t.

Notifica

Il ricorso diretto alla nomina dell'a.d.s. va depositato in cancelleria.

Il cancelliere forma il fascicolo d'ufficio, contenente ricorso e documenti allegati, attribuisce il numero di ruolo; lo presenta al g.t., il quale fissa l'udienza di comparizione (oggi adottando, preferibilmente, modalità telematiche).

Lo sviluppo del successivo iter procedimentale rispetto alla presentazione del ricorso non viene puntualmente delineato dall'art. 407 c.c., il quale, con un trasparente salto logico, si limita a disporre che « il g.t. deve sentire personalmente la persona cui il procedimento si riferisce...» (comma 2) e « sentire i soggetti di cui all'art. 406» (comma 3).

Affinch é il giudice possa sentire tali soggetti, è evidentemente necessario previamente evocarli avanti a s é , per quanto la legge taccia sulle modalità di convocazione.

Analogamente ai procedimenti introdotti con ricorso, risultano omogenee le modalità di instaurazione del contraddittorio.

Il giudice fissa pertanto innanzi a s é (ovvero, « nel luogo in cui la persona si trova»; comma 2) l'udienza per l'audizione del beneficiario, dei suoi parenti ed affini, assegnando termine per la notificazione di ricorso e decreto di convocazione, previa comunicazione degli atti al P.M.

R icorso e decreto di fissazione dell'udienza vanno notificati, a cura del ricorrente, entro il termine assegnato dal giudice alle persone di cui è disposta la comparizione (Tommaseo, 205; Farolfi , 118).

La notifica va effettuata tramite ufficiale giudiziario, a norma degli artt. 137 e segg. c.c., o in forza della l. 21 gennaio 1994, n. 53, in tema di notifica di atti civili ad opera degli avvocati.

A questo riguardo ci si è chiesti se, nell'ottica di semplificazione caratterizzante il procedimento di nomina, sia ammissibile la sostituzione della notifica tradizionale dell'atto, mediante ufficiale giudiziario, valendosi di strumenti conoscitivi/comunicativi alternativi rispetto ad essa, nell'ottica di favorire l'utenza non professionale.

In passato erano state criticate le prassi devianti rispetto al canone processuale archetipico che in taluni uffici tutelari sono ravvisabili, talvolta semplicemente tollerate (Masoni, 500).

Si pensi alla possibilità, richiesta soprattutto da parte degli enti assistenziali territoriali, di procedere a notifica tramite messo comunale.

In vero, alla pubblica amministrazione è riconosciuta la facoltà di valersi, per la notifica di propri atti (amministrativi), di figure interne all'amministrazione, quali sono i messi di conciliazione. Tale facoltà è riconosciuta alla p.a. quando la stessa notifichi un suo atto amministrativo, non un atto giurisdizionale, qual è il ricorso per nomina di a.d.s., che apre un procedimento giurisdizionale innanzi al tribunale (Trib. Modena 7 aprile 2015). Da ciò consegue l'inammissibilità di siffatta prassi.

Taluni uffici giudiziari seguono un'ulteriore prassi difforme rispetto al canone codicistico.

Ebbene, è prassi talvolta tollerata quella di far sottoscrivere ai familiari del beneficiario moduli di formale assenso alla nomina, con dichiarazione di non opposizione alla nomina di una certa persona quale a.d.s. e susseguente omessa notifica del ricorso.

Anche tale modus procedendi non è condivisibile.

Non solo per la deviazione dal canone positivo fissato che impongono la notifica del ricorso tramite ufficiale giudiziario per tutti i giudizi che si svolgono avanti al tribunale, ma anche perch é tale modalità comunicativa non è garantista rispetto ai familiari del beneficiario che sottoscrivono tale dichiarazione.

Dato che costoro non vengono informati della pendenza della procedura e neppure hanno possibilità di partecipare alle udienze che concernono il loro familiare, apportando le necessarie conoscenze istruttorie, con riferimento alla condizione personale del beneficiario.

Patente è la violazione delle regole di evocazione in giudizio. Senza dire che costoro potrebbero in seguito dolersi della mancata evocazione innanzi al giudice quali informatori, impugnando per nullità il decreto di nomina.

Destinatari della notificazione Destinatari della notificazione

Dispone l'art. 473 bis.53, comma 2, c.p.c., che il ricorso va notificato «alle persone indicate nel primo comma», ossia all'interdicendo o all'inabilitando ed «alle altre persone indicate nel ricorso, le cui informazioni ritenga utili».; ossia, «i parenti entro il quarto grado e gli affini entro il secondo», oltre «al coniuge ed alla persona stabilmente convivente», i quali tutti vanno ascoltati in udienza (art. 473-bis, 52, comma 2).

La notifica di ricorso e decreto di fissazione dell'udienza va notificato, in primis e, sotto pena di nullità, alla persona che si intende porre sotto amministrazione di sostegno, entro il termine assegnato dal giudice.

La notifica al beneficiario, sempre che non sia lui stesso a ricorrere, costituisce requisito posto a pena di nullità dell'intero procedimento, in quanto formalità idonea alla costituzione del rapporto processuale (Tommaseo, 206, nota 70). Mentre la mancata comparizione della persona in udienza, in difetto di notifica non può sanare il difetto di notifica (Napoli, 159, con specifico riguardo al giudizio di interdizione).

D'altro canto la notifica all'interessato va posta in stretta correlazione con l'obiettivo perseguito dal procedimento, di limitarne la capacità di agire (per quanto nella minor misura possibile ed in ottica protettiva). Al soggetto principale del procedimento deve essere garantita la possibilità di contrastare ed opporsi a tale iniziativa giudiziaria, costituendosi in giudizio tramite patrocinio del difensore.

Ormai da più di mezzo secolo, la S.C. opina (con riguardo al procedimento di interdizione) che unica parte del giudizio sia l'interdicendo (Cass. n. 1643/1967, in Foro it, 1967, I, 2077, con osservazione di Salmè); ovvero che, nel procedimento di nomina di amministrazione di sostegno, «parte necessaria» sia il beneficiario di amministrazione, escludendo la sussistenza di un litisconsorzio necessario rispetto alle altre persone indicate nell'art. 713 c.p.c. (Cass. n. 14190/2013, in Dir. giust., con nota di Tantalo).

Notifica a parenti ed affini

La notifica ai familiari, parenti fino al quarto grado ed affini entro il secondo, assume rilevanza diversa nel contesto del procedimento di nomina, rispetto alla notifica alla persona beneficiaria. Non agli effetti della costituzione del rapporto processuale.

Tali soggetti non sono parti necessarie del procedimento dato che, come testè anticipato, unica parte necessaria è il beneficiario (oltre che il P.M.).

Parenti ed affini esplicano un mero ruolo istruttorio.

Per il processo di interdizione, si suole ripetere che costoro rappresentano semplici «fonti di informazione» del giudice (Napoli, 196), «più testimoni che parti» (Tommaseo, 207, nota 74); dato che le stesse esplicano mere funzioni consultive, senza essere «parti in senso tecnico-giuridico» del relativo processo (Cass. n. 1023/1982; Cass. n. 2218/1989; Cass. n. 2401/2015, tutte pronunziate in materia di interdizione).

Da quest'affermazione si trae ulteriore conclusione.

Se a costoro non viene notificato ricorso e decreto, non si verifica nullità del procedimento, fatta salva la possibilità di impugnazione, ma «solo se (l'omissione) concerna un congiunto in grado di fornire informazioni tali da far decidere il giudizio diversamente» (come precisa l'ultima pronunzia di legittimità in precedenza richiamata). In altre parole, sussiste nullità unicamente laddove l'apporto conoscitivo ed informativo del congiunto pretermesso, per effetto dell'omessa notificazione, sia ritenuto determinante ai fini della decisione, venendo a mancare un'essenziale apporto conoscitivo.

Il principio affermato per il processo di interdizione, mutatis mutandis, è applicabile all'istruttoria del procedimento di sostegno (Farolfi, 124).

In conclusione, la notifica di ricorso e decreto al beneficiario è sempre indispensabile (sempre che ad agire non sia lui medesimo), dato che quest'ultimo è parte necessaria del procedimento.

La notifica a parenti ed affini (che l'art. 473-bis.53 c.p.c. rimetterebbe alla scelta discrezionale del Presidente del Tribunale, in forza del parametro della «utilità delle informazioni» che essi sono in grado di apportare), nel procedimento in discorso, resta affidata al criterio dell'utilità istruttoria delle informazioni che i parenti prossimi possono apportare alla pronunzia finale. È quindi trasparente che la notifica ad un lontano parente, ovvero a persona trasferitasi a vivere lontano dal centro di interessi del beneficiario, more solito, ben poco materiale informativo potrebbe apportare al decidente, con possibilità di escluderne la notificazione.

Audizione del beneficiario

La dottrina ha sottolineato che nel procedimento di sostegno «l'atto istruttorio più importante è l'audizione del futuro beneficiario» (Campese 388; Farolfi, 140).

Dispone l'art. 407, comma 2, c.c. che: «il giudice tutelare deve sentire personalmente la persona cui il procedimento si riferisce, recandosi, ove occorra, nel luogo in cui questa si trova e deve tener conto, compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione della persona, dei bisogni e delle richieste di questa».

La previsione fa il paio con quella dettata in tema di interdizione («all'udienza, il giudice istruttore, con l'intervento del pubblico ministero, procede all'esame dell'interdicendo o dell'inabilitando...»: art. 473 bis. 54 c.p.c.).

In realtà, la temperie culturale ed il significato delle due disposizioni normative appaiono, nella sostanza, profondamente diverse, per quanto, in termini generali, entrambe dispongano l'ascolto dell'interessato prima dell'adozione di un provvedimento che lo concerne (Masoni, 501-502).

È stata rilevata la profonda diversità intercorrente tra le due previsioni.

Mentre l'esame previsto dagli artt. 419 c.c. e 714 c.p.c. trasforma il ruolo dell'interdicendo da soggetto del processo in mero oggetto di un'ispezione giudiziale con l'eventuale assistenza di un consulente tecnico, diversamente avviene nell'amministrazione di sostegno; qui, infatti, non vi è propriamente un esame ma un'audizione che si svolge in un procedimento nel cui ambito il giudice deve tenere costantemente conto, come vuole l'art. 407, comma 2, dei bisogni e delle stesse richieste della persona con disabilità, quando ciò sia compatibile, s'intende, con gli interessi e le aspirazioni di questi e con le esigenze di protezione della sua persona.

Nel processo di interdizione, l'esame dell'interdicendo serve a saggiarne la capacità di intendere e volere; maggiormente ampia e complessa risulta la funzione esplicata dall'audizione del beneficiario nella procedura di amministrazione di sostegno. Non si tratta tanto o solamente di saggiare il tasso di autonomia della persona in correlazione alla sua disabilità, ma piuttosto di «ascoltare» l'interessato per raccoglierne «i bisogni e le richieste», individuandone le effettive, concrete esigenze esistenziali e personali (Piccinni, 506).

Le indicazioni fornite dal beneficiario in sede di ascolto sono estremamente significative ed il giudice ne deve «tener conto» agli effetti, ad es., della designazione dell'amministratore di sostegno, per la determinazione degli atti che l'amministratore di sostegno può compiere in sostituzione o in assistenza alla persona con disabilità e che quest'ultimo non è in grado di effettuare in modo autonomo, come pure agli effetti dell'istituzione di un'amministrazione di natura prettamente patrimoniale, ovvero, anche (o esclusivamente) di tipo personale, volta alla protezione di esigenze esistenziali, ovvero, alla cura della salute della persona.

Da quanto precede si comprende la centralità, oltreché la rilevanza dell'audizione del beneficiario della procedura, assai maggiore rispetto all'essenzialità dell'esame dell'interdicendo, nel processo di interdizione.

Il principio è stato ribadito dalla novella processuale che ha precisato: “l'udienza per l'esame dell'interdicendo o dell'inabilitando si svolge in presenza” (art. 473-bis. 54, comma 2).

Omissione dell’audizione

In concreto possono evidenziarsi difficoltà nell'effettuazione dell'audizione del beneficiario.

L'art. 715 c.p.c. disciplinava l'ipotesi in cui l'interdicendo non comparisse in udienza, obbligando il giudice ad effettuarne l'esame domiciliare.

Il testo del comma 2 dell'art. 407 c.c. dispone, invece, l'audizione a domicilio dell'amministrando «ove occorra» e, nel comma 3, che, «in caso di mancata comparizione (il giudice: n.d.a.) provvede comunque sul ricorso».

Ci si chiede se l'audizione del beneficiario risulti imprescindibile in ogni procedimento di nomina, oppure, se da essa possa prescindersi in dati casi e situazioni.

Lessicalmente, da un canto, il giudice ha un dovere istituzionale di procedere all'audizione della persona («il g.t. deve sentire...»); dall'altro, egli deve procedervi «personalmente», dovendo provvedere lui solo, non potendo delegare ad altri l'incombente.

L'omissione dell'audizione della persona, non giustificata da ragioni obiettive di cui va dato conto in motivazione, determina nullità del procedimento e della susseguente nomina (Tommaseo, 210-211).

In caso di necessità («ove occorra»), il giudice è tenuto a recarsi «nel luogo in cui la persona si trova» per procedere alla sua audizione.

La previsione positiva fa il paio con l'art. 473-bis. 54, che dispone l'esame domiciliare dell'interdicendo o dell'inabilitando, impossibilitati a comparire in udienza «per legittimo impedimento» o quando la comparizione possa “arrecare grave pregiudizio”.

La previsione trova applicazione tutte le volte in cui la persona, per effetto della gravità della patologia che l'affligge, non possa essere trasferita, neppure temporaneamente, dal luogo di dimora (ad es., reparto di ospedale, casa protetta, etc.) senza recargli un danno.

In tali casi, il giudice deve spostarsi, non il beneficiario.

A fronte del combinato disposto degli (abrogati) artt. 714 e 715 c.p.c., si domandava quali effetti discendano dall'omesso esame dell'interdicendo.

A fronte di impedimento dell'infermo di mente con susseguente omissione dell'esame, in passato si affermava che ciò non impediva la prosecuzione del processo di interdizione (App. Roma, 16 dicembre 1953, in Foro it., 1954, I, 1679; Trib. Milano, 24 giugno 1954, in Foro pad., 1956, I, 404; Trib. Messina, 28 febbraio 1956, in Giur. it., 1957, I, 2, 1039).

Analogamente, si era espressa la Corte Costituzionale, ritenendo che «l'irreperibilità (dell'interdicendo) ritualmente accertata non ha l'effetto di paralizzare il corso del procedimento di interdizione» (Corte cost. n. 382/1988).

Con riguardo all'amministrazione di sostegno, l'imperativo contenuto nel 2° comma dell'art. 407 c.c. («il giudice tutelare deve sentire...») sembra rendere imprescindibile l'audizione dell'interessato, per quanto il principio vada inteso in termini flessibili, dato che il comma successivo dispone che, «in caso di mancata comparizione (il giudice: n.d.a.) provvede comunque sul ricorso».

Autorevole dottrina ammette che in «ipotesi limitatissime» ed «in particolarissime situazioni» (Chizzini, 443) possa prescindersi dall'audizione dell'amministrando, quando il soggetto sia irreperibile, ovvero si rifiuti di presenziare all'audizione ovvero, ancora, «non sia in grado di comunicare» col g.t.

In ogni caso, il necessario accertamento della disabilità del soggetto e della sua inidoneità nell'espletamento di talune o tutte le funzioni della vita quotidiana può venire soddisfatto utilizzando ulteriori fonti informative (documentali: quali, cartelle cliniche, relazioni dei servizi sociali, perizie mediche di parte, etc.: ovvero, orali, con l'audizione dei parenti); mentre, in tal caso non è possibile tenere conto «dei bisogni e delle richieste della persona».

L'ammissibilità dell'omessa audizione della persona, nei congrui casi, ha trovato conferma giurisprudenziale in situazioni peculiari (Trib. Modena 21 marzo 2005, in Corr. merito, 2005, 753; Trib. Modena 14 ottobre 2014, in Dir. fam. pers., 2015, 600).

In alternativa all'audizione del beneficiario in sede domiciliare, la novella ha introdotto la possibilità per il g.t. “valutata ogni circostanza”, di disporre che l'udienza “si svolga mediante collegamento audiovisivo a distanza”, tuttavia con l'avvertenza che vanno individuate “modalità idonee ad assicurare l'assenza di condizionamenti” (art. 473bis. 54, comma 3).

Partecipazione del P.M.

Nel procedimento di nomina l’intervento del p.m. (che non rivesta qualità di ricorrente) è necessario (art. 407, comma 5, c.c.). Ci si è chiesti se tale organo debba fisicamente intervenire all’udienza di audizione del beneficiario, come il codice disponeva in materia di interdizione (ex art. 714 c.p.c.), relativamente al quale era discusso se la mancata partecipazione all’esame sia causa di nullità dell’esame (per la nullità dell’esame, Cass. n. 111752/2003, in Fam. dir., 2005, 51, con nota adesiva di Onnibooni. In senso opposto, Cass. n. 15346/2000; Cass. n. 5492/2018; Cass. n. 3708/2008, in Foro it., 2008, I, 1466, con nota adesiva di Casaburi).

Al dubbio si dava risposta negativa, sempre che il p.m. fosse stato posto in condizioni di intervenire nel procedimento, pena altrimenti la nullità del procedimento, con remissione al giudice primo grado (Cass. S.U., n. 1093/2017).

Si argomentava dal fatto che l’art. 714 c.p.c., non era stato richiamato dall’art. 720-bis c.p.c. (Tommaseo, 210, e nota 83; Campese, 388-389; Farolfi, 143), con susseguente inapplicabilità al procedimento di amministrazione di sostegno.

Ulteriori mezzi istruttori

In seguito ad audizione del beneficiario, nei termini indicati nei precedenti §, il g.t. ascolta i «soggetti di cui all'art. 406», quali ascendenti o discendenti dell'interessato, ovvero il convivente stabile. Queste persone, data la loro (normalmente) maggiore vicinanza di vita col beneficiario, meglio di altri possono riferire, non solo delle sue condizioni personali, come pure delle sue esigenze e necessità quotidiane. Costoro, come già anticipato, hanno qualità di informatori del giudice, svolgendo un ruolo meramente istruttorio nel procedimento di nomina, senza assurgere alla qualifica di parti necessarie di esso.

Nella seconda parte del comma 3 la disposizione ha cura di precisare che il giudice «dispone altresì, anche d'ufficio, gli accertamenti di natura medica e tutti gli altri mezzi istruttori utili ai fini della decisione».

L'individuazione del mezzo di prova maggiormente idoneo alla pronunzia è rimesso alla valutazione discrezionale del giudicante, il quale può scegliere l'adozione «del mezzo istruttorio (più) utile ai fini della decisione».

La disposizione richiama il novero di mezzi di prova del codice di rito, tutti utilizzabili in materia con l'unico limite dell'indisponibilità del diritto. Col ché resta precluso il deferimento del giuramento decisorio, come pure l'interrogatorio formale (Chizzini, 445).

I mezzi di prova ammissibili possono essere assunti con modalità particolarmente libere, tipiche di questo procedimento nel quale, come in tutti procedimenti camerali (art. 738 c.p.c.), vengono «assunte informazioni» (art. 407, comma 3, 1° parte) e nel quale il principio dell'onere della prova non ha ragion d'essere (Tommaseo, 209 e nota 80).

Col richiamare gli «accertamenti di natura medica», la disposizione normativa ha inteso riferirsi alla consulenza tecnica d'ufficio, nell'ottica di verificare le condizioni psico-fisiche del beneficiario.

Si precisa che il giudice dispone di ampi poteri ufficiosi, “fra cui la possibilità di disporre tutti i mezzi istruttori utili ai fini della decisione, e di ordinare accertamenti di natura medica, costituiti dai riscontri peritali necessari per acclarare le condizioni fisiche e psichiche dell'inabile” (Cass. n. 4266/2020).

Il riferimento normativo non è limitato unicamente alla consulenza medica d'ufficio, dato che, ai sensi dell'art. 344, comma 2, c.c., «il giudice tutelare può chiedere l'assistenza degli organi della pubblica amministrazione...».

Tra questi organi della P.A., il riferimento corre immediatamente alle relazioni dei servizi sociali, articolazioni comunali, e di quelli sanitari, che, su istanza del g.t., ed anche per finalità istruttorie, possono essere invitati a redigere relazioni scritte su aspetti particolari e situazioni riscontrate nell'espletamento degli istituzionali compiti di assistenza e cura delle persone in stato di disagio (Farolfi, 139).

Fase decisoria

Nel procedimento di sostegno, come in genere nei procedimenti camerali, dove molteplici passaggi procedurali non sono normati, non risulta regolata la fase decisoria. È compito all'interprete tentare di colmare la lacuna, ricostruendo il sistema.

La disposizione sul «procedimento» (art. 407 c.c.), in modo del tutto anodino, si limita a precisare che «il giudice tutelare provvede», una volta conclusa la fase istruttoria, con «decreto motivato» (art. 404 c.c.).

Le ulteriori disposizioni procedurali sono sparse nel microsistema del capo I, titolo XII, del c.c. in modo disordinato, confermando la scarsa attenzione del legislatore del 2004 ai profili processuali.

Si deve far capo agli artt. 405, comma 1, e 404 c.c. per avere contezza della forma del provvedimento conclusivo del procedimento, che ha la forma di «decreto motivato», da depositare «entro sessanta giorni dalla data di presentazione della richiesta di nomina dell'amministratore di sostegno», e della sua «efficacia immediata».

Data la forma del provvedimento conclusivo, il decreto, resta esclusa l'applicabilità di moduli procedimentali tipicamente contenziosi, come nel processo di interdizione, quando la decisione assuma la veste formale di sentenza. Laddove le parti hanno possibilità di precisare le conclusioni in udienza, con susseguente applicabilità del regime decisorio previsto per le controversie a riserva collegiale.

Le modalità decisorie del procedimento di sostegno, nella specie non disciplinate dal legislatore, sono rimesse alla discrezione del giudice (Chizzini, 447), nell'esercizio dei poteri di direzione dell'udienza nell'ottica del «più sollecito svolgimento del procedimento» (art. 175 c.p.c.) (Masoni, 510).

Più che la necessità di precisare le conclusioni, un'attività che suppone l'applicabilità della regola della corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.) e che oggi è stato soppressa quale adempimento autonomo e ben lontana dalle caratteristiche strutturali di questo procedimento, il giudice può autorizzare le parti a discutere oralmente la richiesta di nomina, conformemente alla caratteristica informali e semplificate del procedimento, nel quale non sono riscontrabili momenti di scrittura ed il deposito di memorie scritte, ovvero, nei casi più complessi, disporre lo scambio di memorie esplicative.

Terminata la fase decisoria, il g.t. accoglie la richiesta di nomina o la rigetta con «decreto motivato», da depositare entro sessanta giorni dalla presentazione della domanda.

Il decreto ha il contenuto indicato dall'art. 405, comma 5, c.c.

L'art. 405 (comma 4) precisa che il decreto «di nomina» è «immediatamente esecutivo».

La norma deroga al regime generale previsto per i provvedimenti di volontaria giurisdizione, i cui effetti si producono, normalmente, una volta decorsi i termini del reclamo (art. 741 c.p.c., il cui comma 2, fa salva l'efficacia immediata in presenza di «ragioni d'urgenza»).

Gli effetti dell'apertura non retroagiscono al momento della proposizione del ricorso, ovvero della domanda, come è constatabile nel processo contenzioso (Chizzini, 450).

La decorrenza degli effetti del provvedimento di nomina avviene ex nunc, dal deposito del decreto in cancelleria, ed appare omogenea rispetto alla disciplina dell'interdizione (il cui art. 421 c.c. richiama il «giorno della pubblicazione della sentenza»). Per quanto, poi, in concreto, l'attività dell'amministratore di sostegno, di assistenza o di sostituzione e rappresentanza a favore del beneficiario, possa esplicarsi solo a seguito della prestazione del giuramento.

Spese processuali

Come per molteplici profili processuali, anche per quello riguardante le spese processuali, la l. n. 6 del 2004 ha omesso di fornirne disciplina, forse ritenendo sufficiente il richiamo alla regolamentazione (o, meglio, all'assenza di regolamentazione) riscontrabile per la volontaria giurisdizione; ovvero, ritenendo sufficientemente esplicativa la forma del provvedimento conclusivo della procedura, un decreto, non una sentenza.

In tema di procedimenti camerali, la giurisprudenza è orientata a ritenere inapplicabili i principi del processo contenzioso (artt. 91 ss. c.p.c.), quando il provvedimento definitivo si esaurisca in un intervento del giudice di tipo sostanzialmente amministrativo. Viceversa, tali principi sarebbero applicabili quando il procedimento camerale rivesta contenuto contenzioso, in presenza di un contrasto su diritti: «l'art. 91 c.p.c., secondo cui il giudice con la sentenza che chiude il processo dispone la condanna alle spese giudiziali, intende riferirsi a qualsiasi provvedimento che, nel risolvere contrapposte pretese, definisce il procedimento, e ciò indipendentemente dalla natura e dal rito del procedimento medesimo; pertanto, la norma trova applicazione anche ai provvedimenti di natura camerale e non contenziosa, come quelli in materia di revoca dell'amministratore di condominio, tant'è vero che mentre la decisione nel merito del ricorso di cui all'art. 1129 c.c. – avendo sostanzialmente natura cautelare e tale da non pregiudicare il diritto dell'amministratore – non è ricorribile in cassazione, la consequenziale statuizione relativa alle spese, in quanto dotata dei caratteri della definitività e della decisorietà, è impugnabile ai sensi dell'art. 111 Cost.» (Cass. n. 14.747/2006; Cass. n. 1416/1989; Cass. n. 11320/2007).

Appare esatta l'affermazione secondo cui, «il provvedimento (conclusivo del procedimento di sostegno: n.d.a.) di norma non contiene un capo di condanna alle spese» (Chizzini, 451).

Morte della parte, inattività e rinuncia agli atti

Nel processo di interdizione e di inabilitazione la morte della persona del cui procedimento si tratta determina la cessazione della materia del contendere (Cass. n. 1001/1989).

Lo stesso provvedimento va adottato in caso di morte della persona sottoposta al procedimento volto alla nomina dell'amministratore di sostegno, come risulta pacifico in dottrina (Chizzini, 440; Campese, 390; Masoni, 508; Napoli, 139; Farolfi, 144; Tommaseo, 201, nota 51. Per la giurisprudenza, Cass. n. 7414/2022).

Laddove il beneficiario deceda a seguito della nomina dell'amministratore di sostegno, quest'ultimo è tenuto a depositare il rendiconto finale, potendo eventualmente chiedere la liquidazione dell'indennità ex art. 379 c.c. Il g.t., a sua volta, è tenuto a provvedere alla chiusura della procedura.

Sulla scorta di un non recente insegnamento della nomofilassi formatosi per il giudizio di interdizione e di inabilitazione, univocamente si afferma che, tenuto conto della natura indisponibile degli interessi implicati nella richiesta di nomina dell'a.d.s. volta alla protezione individualizzata della persona con disabilità, nel relativo procedimento non sono applicabili gli istituti della rinuncia agli atti (art. 306 c.p.c.), come pure dell'estinzione per inattività delle parti (artt. 307 e 309 c.p.c.) (Chizzini, 440; Tommaseo, 200; Campese, 390.; Napoli, 139).

A fronte della mancata partecipazione all'udienza delle parti private, costituisce prassi degli uffici giudiziari disporre la chiusura del procedimento, con contestuale invio degli atti all'ufficio di procura, in quanto legittimato attivo alla procedura, affinché possa valutare se, in presenza di esigenze di protezione dell'inabile, dare ulteriore impulso al procedimento.

Il reclamo

Il comma 2 dell'art. 720-bis c.p.c. dispone: «contro il decreto del giudice tutelare è ammesso reclamo alla corte d'appello a norma dell'art. 739». E l'ultimo comma: «contro il decreto della corte d'appello pronunciato ai sensi del secondo comma può essere proposto ricorso per cassazione».

L'art. 720-bis c.p.c., al primo comma, tra le disposizioni del processo di interdizione ed inabilitazione applicabili al procedimento di sostegno, «in quanto compatibili», per la fase d'impugnazione, richiama unicamente l'art. 719, titolato al «termine di impugnazione».

Tuttavia, per tale disposizione normativa, il giudizio di compatibilità risulta negativo.

In contrario soccorrono significativi argomenti testuali.

Da un canto, il reclamo avverso il decreto del g.t., per espresso disposto, è proponibile «a norma dell'art. 739» c.p.c.; dall'altro, l'art. 719 concerne il termine di «impugnazione», non già il «reclamo».

Tale ultima previsione positiva si riferisce infine all'impugnazione delle «sentenze», mentre in materia di amministrazione di sostegno la nomina avviene tramite decreto.

A ciò aggiungasi che la disposizione rimanda all'art. 718 c.p.c. (in tema di legittimazione all'impugnazione), che neppure è applicabile in materia, dato che l'art. 720-bis, 1° comma, non la richiama.

In conclusione, l'art. 719 Oggi la norma di riferimento è l'art. 473-bis.56, 2° comma), per evidente incompatibilità, risultano applicabili al regime del gravame proposto avverso decreto pronunziato in materia di amministrazione di sostegno (Masoni, 521).

Reclamo: legittimazione

Competente a decidere il reclamo proposto avverso il decreto del g.t. in materia di amministrazione di sostegno è la corte d'appello, che pronuncia in camera di consiglio, a norma dell'art. 739, comma 1, parte 2, c.p.c. (Cass. n. 18634/2012). Per individuare il giudice competente a decidere l'impugnazione non occorre indagare la natura ordinatoria o decisoria dei provvedimenti perché l'art. 720-bis c.p.c. (norma speciale rispetto all'art. 739 c.p.c.) prevede espressamente che il reclamo debba essere proposto sempre innanzi alla corte d'appello e non al tribunale (Cass. I, n. 32409/2019).

La riforma processuale all'art. 473-bis.58, capoverso, ha reso destinatario del reclamo il tribunale, non più la corte d'appello.

In tema di reclamo contro il provvedimento di chiusura dell'amministrazione di sostegno, ai fini dell'instaurazione del rapporto processuale deve considerarsi irrilevante la mancata notificazione del ricorso al P.M. presso il giudice «a quo», avendo l'impugnazione ad oggetto un provvedimento emesso all'esito di un procedimento unilaterale in cui l'unica parte necessaria è il beneficiario dell'amministrazione, con la conseguenza che la mancata partecipazione del P.M. non comporta la pretermissione di un litisconsorte necessario, costituendo tale notificazione un requisito di ammissibilità dell'impugnazione esclusivamente per i giudizi contenziosi, o comunque per i procedimenti con pluralità di parti, e non è estensibile al procedimento in esame, nel quale non è individuabile un interesse diverso da quello del soggetto istante, dal momento che in tal caso non esiste una controparte cui notificare il ricorso, non potendosi legittimamente qualificare come parte il P.M. (Cass. VI, ord. n. 7241/2020).

Secondo i principi generali, la legittimazione all'impugnazione è riconosciuta a chi è stato parte nel procedimento di nomina dell'amministratore di sostegno (Chizzini, 455) e perciò al P.M., parte necessaria del procedimento di primo grado, analogamente a quanto dispone l'art. 740 c.p.c.

Non convince la tesi, pure autorevolmente sostenuta, da parte di chi attribuisce la facoltà impugnatoria, a norma dell'art. 718 c.p.c., «a tutti coloro che avrebbero avuto diritto di proporre la domanda, anche se non parteciparono al giudizio» (Tommaseo, 540).

Come si è già notato, depone in senso ostativo all'applicazione della previsione non solo l'omesso richiamo dell'art. 718 c.p.c. da parte dell'art. 720-bis c.p.c., ma pure la pacifica natura eccezionale dell'estensione della legittimazione all'impugnazione a quanti non furono parti nel processo di primo grado; previsione, come tale, inestensibile analogicamente.

Si era ulteriormente osservato che l'esclusione del rinvio all'art. 718 c.p.c. comportava l'esclusione della facoltà di gravame in capo all'amministratore di sostegno nominato col decreto.

Questi, del resto, può compiere unicamente gli atti che gli sono demandati sulla scorta del provvedimento di nomina, oltre che avanzare istanza di revoca dell'amministrazione ai sensi dell'art. 413 c.c.; quest'ultimo istituto ben diverso rispetto al reclamo contro il decreto istitutivo o di rigetto della domanda (Chizzini, 456).

Il reclamo si propone con ricorso, che va necessariamente avanzato tramite patrocinio del difensore.

La facoltà di impugnazione del decreto istitutivo della misura di protezione compete anche al beneficiario della misura, posto che la legittimazione ad impugnare è null'altro che il riflesso dell'interesse ad agire.

Il principio è stato affermato claris verbis (Cass. n. 5380/2020, in Il processo civile, con nota di Masoni).

Oggetto

Sul piano letterale, l'art. 473-bis.58 c.p.c. (come già il precedente testo normativo)non precisa quale tipologia di decreto sia reclamabile, se quello conclusivo della procedura, ovvero, anche quelli di tenore interlocutoria e gestoria.

In quella sede si ritiene ammissibile il reclamo unicamente avverso i provvedimenti «finali», «con esclusione di tutti quei provvedimenti a contenuto strumentale, di natura essenzialmente istruttoria, che servono a definire il procedimento, a consentire, cioè, al giudice camerale di esercitare i poteri tipicamente previsti dalla legge» (Chizzini, 462-463).

Gli ulteriori decreti pronunziati dal giudice tutelare nel corso della procedura di amministrazione, quali, ad es., quelli di revoca, sostituzione, sospensione dall'incarico, approvazione del rendiconto; ovvero, ancora, in materia di liquidazione dell'equa indennità di cui all'art. 379 c.c., soggiacciono alla regola generale della volontaria giurisdizione, non derogata in materia, ed affidata all'art. 739, comma 1, c.p.c.

Ovvero, quella del la reclamabilità innanzi al tribunale in composizione collegiale.

Quello testè riferito era l'orientamento decisamente maggioritario in giurisprudenza, il quale tradizionalmente poneva questa distinzione contenutistica agli effetti dell'individuazione del giudice competente per il reclamo.

Solo di recente questo idem sentire ha scontato una «voce dissonante», che ha evidenziato la natura speciale della previsione affidata all'art. 720-bis c.p.c., rispetto alla norma generale dettata in materia di volontaria giurisdizione di cui all'art. 739 c.p.c. Ritenendo in particolare, che debba prevalere la prima disposizione normativa richiamata con conseguente generale reclamabilità avanti la Corte d'Appello di tutti i decreti del g.t. in materia di a.d.s. a prescindere dall'oggetto che essi rivestano (Cass. n. 32409/2019, in Il processo civile, con nota di Amendolagine).

Con importante revirement le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. n. 21986/2021, in DeG) hanno aderito a quest'ultimo orientamento (seguito poi da Cass. n. 32321/2022).

Si è così affermato così che i decreti del g.t. in materia di a.d.s. sono reclamabili unicamente innanzi alla Corte d'appello, quale ne sia il contenuto, ordinatorio o gestorio. Mentre, agli effetti del ricorribilità per cassazione, la lettera della legge ne impone la verifica del carattere della decisorietà, «quale connotato intrinseco» dei provvedimenti suscettibili di essere sottoposti al vaglio del giudice di legittimità.

L'ambito oggettivo di estensione del gravame avverso i decreti pronunziati dal giudice tutelare in materia di a.d.s. è stato di recente ampliato da una pronunzia nomofilattica, la quale ha precisato che: «nei procedimenti in materia di amministrazione di sostegno è ammesso il reclamo alla Corte d'appello, ai sensi dell'art. 720-bis c.p.c., comma 2, avverso il provvedimento con cui il giudice tutelare si sia pronunciato sulla domanda di autorizzazione – proposta dall'amministratore di sostegno in sede di apertura della procedura o in un momento successivo – ad esprimere, in nome e per conto dell'amministrato, il consenso o il rifiuto alla sottoposizione a terapie mediche, avendo il provvedimento medesimo natura decisoria in quanto incidente su diritti soggettivi personalissimi» (Cass. n. 14158/2017).

Le decisioni assunte dal g.t. in materia sanitaria e di cure mediche incidono su diritti personalissimi della persona, in quanto tali «espressione di un diritto personalissimo fondamentale potenzialmente suscettibile di essere compresso dal provvedimento del giudice», e, pertanto vengono qualificate dalla Corte pronunzie decisorie, come tali suscettive di gravame.

Analogo principio è stato ribadito con riferimento al decreto che estende al beneficiario il divieto matrimoniale ex art. 85 c.c., dato che lo stesso incide “in maniera definitiva, sia pure rebus sic stantibus, sulla capacità di autodeterminazione della persona e quindi su un diritto personalissimo” (Cass. n. 4733/2021).

A seguito della riforma del 2022, il reclamo è proponibile avanti al tribunale “ai sensi dell'art. 739”.

Quest'ultima disposizione normativa, novellata, dispone che il reclamo si propone al tribunale in composizione monocratica quando il provvedimento del g.t. rivesta “contenuto patrimoniale o gestorio”, mentre “negli altri” casi si propone al tribunale in composizione collegiale.

Termine

Secondo l’opinione maggioritaria (Chizzini, 459), il termine di reclamo decorre «dalla notificazione fatta nelle forme ordinarie, a tutti coloro che parteciparono al giudizio» (Campese, 401, nota 61).

Tuttavia, in precedenza è stata esclusa l’applicabilità di dell’art. 719, ritenuta incompatibile col procedimento di nomina.

Resta l’applicazione diretta dell’art. 739, comma 2, c.p.c., a tenore della quale, «il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di dieci giorni dalla comunicazione del decreto, se è dato in confronto di una sola parte, o, dalla notificazione, se è dato in confronto di più parti».

La prima regola è applicabile nell’ambito dei procedimenti unilaterali, privi di contraddittorio, la seconda, a quelli bilaterali o plurilaterali, nei quali sono ravvisabili più parti contrapposte.

Solo in questo secondo caso, è ipotizzabile la notificazione del provvedimento idoneo alla decorrenza dei termini, mentre in entrambi vi è sempre comunicazione da parte del cancelliere.

Nei procedimenti camerali con pluralità di parte, secondo la Cassazione (Cass. S.U., 3670/1997; Cass. n. 4260/1998), solo la notificazione ad istanza di parte è idonea a determinare la decorrenza del termine di impugnazione, all’uopo non essendo sufficiente la comunicazione eseguita ad opera del cancelliere del giudice a quo (Masoni, 524).

In difetto di notificazione, è applicabile il termine lungo di impugnazione, di sei mesi, decorrente dalla pubblicazione del provvedimento di cui all’art. 327 c.p.c., conformemente alla regola applicabile ai decreti pronunziati in camera di consiglio (Tommaseo, 543; Campese, 401).

Contrariamente ad un’autorevole opinione, sembra preferibile escludere dalla sospensione dei termini feriali «i procedimenti per l’adozione di provvedimenti in materia di amministrazione di sostegno», ai sensi dell’art. 92 Ord. Giud. (novellato dall’art. 19 della l. n. 6 del 2004), anche per la fase di gravame.

Sviluppo dinamico della fase di reclamo

Il reclamo in materia di a.d.s. determina l'effetto sostitutivo, di sostituzione del provvedimento reclamato, oltre a quello devolutivo.

Si ritiene che il giudice di appello possa estendere il proprio sindacato anche d'ufficio a questioni assorbite nel provvedimento emesso dal primo giudice che non siano state espressamente riproposte; nonché a quegli eventuali capi del provvedimento reclamato per i quali nessun vizio o censura sia stata mossa, né dal reclamante né dall'eventuale soggetto che resiste al reclamo.

La materia oggetto del procedimento di primo grado si devolve al giudice del gravame in modo pieno ed automatico, onde consentirgli un esaustivo riesame del decreto prime cure (Tommaseo, 543).

In conseguenza dell'effetto sostitutivo, la corte, nel riformare il decreto di rigetto del g.t., può disporre l'amministrazione di sostegno e viceversa (Chizzini, 460-461; Tommaseo, 543).

Le regole concernenti lo sviluppo dinamico del procedimento di gravame sono estrapolabili dal succinto riferimento, contenuto nell'art. 739, comma 1, c.p.c. «alla pronuncia del tribunale, in camera di consiglio».

Sono perciò applicabili le regole camerali già sperimentate prime cure (Chizzini, 460).

Consegue che l'udienza camerale (non pubblica) di comparizione delle parti è fissata dal presidente della corte con decreto, in seguito a deposito del ricorso in cancelleria. L'effettuazione di quest'ultimo adempimento rende tempestivo il reclamo, laddove avvenga nei dieci giorni dalla notificazione.

La parte resistente può costituirsi in udienza depositando la comparsa nella quale possono essere formulati nuovi motivi di censura.

Anche in fase di reclamo va rispettato il principio del contraddittorio, che si attua mediante notifica del reclamo e del decreto di fissazione dell'udienza (Cass. n. 12720/2000).

Per la fase di gravame non è menzionata, quale indispensabile atto istruttorio, l'audizione del beneficiario. Questa omissione potrebbe significare che la stessa non sia necessaria (essendo già stata espletata prime cure) (Masoni, 528), pur non essendo, evidentemente, vietata.

Si è chiarito che il procedimento di reclamo si “connota per la sommarietà della cognizione la semplicità delle forme”: ciò comporta l'esclusione della piena applicazione delle norme che regolano il processo ordinario dovendo ritenersi ammissibile l'acquisizione di nuovi mezzi di prova, in specie di documenti, alla sola condizione che sia assicurato un pieno e completo contraddittorio tra le parti” (Cass. n. 17931/2022).

Il provvedimento conclusivo assume veste formale di decreto motivato (art. 737 c.p.c.).

Il giudice del reclamo, anche quando riscontra vizi o violazioni del contraddittorio compiute dal giudice di primo grado, è tenuto a decidere nel merito, senza rimettere le parti avanti al giudice di primo grado (Tommaseo, 214; Chizzini, 460-461).

Connaturata alla proposizione del gravame contro un provvedimento esecutivo, quale quello reso dal g.t., ai sensi dell'art. 405, comma 1, c.c., è la possibilità per il giudice superiore di sospenderne l'efficacia, per quanto l'interpretazione oscilli nell'individuazione del più corretto fondamento normativo (Chizzini, 458; Masoni, 524).

Ricorso per cassazione Ricorso per cassazione

Dispone l’art. 473-bis.58, comma 3, c.p.c.: «contro il decreto del tribunale in composizione collegiale è ammesso ricorso per cassazione».

In tal modo, la disposizione normativa si discosta dai principi dettati per i procedimenti camerali («salvo che la legge disponga altrimenti, non è ammesso reclamo reclamo contro i decreti della corte d’appello e contro quelli del tribunale pronunziati in sede di reclamo»; art. 739, comma 3, c.p.c.).

Tendenzialmente i provvedimenti camerali sono insuscettibili di ricorso per cassazione, che è rimedio tipico dei provvedimenti idonei al giudicato, dato che, ai sensi dell’art. 742 c.p.c., i decreti sono in ogni tempo revocabili e modificabili.

Al principio la giurisprudenza deroga solo per i provvedimenti incidenti su diritti soggettivi dotati del carattere della decisorietà.

La scelta del legislatore del 2004 di rendere ricorribile per cassazione il decreto pronunciato dal tribunale in sede di reclamo in materia di a.d.s., sembra denotare scarsa coerenza sistematica. Tale scelta non era imposta dalla Costituzione e tuttavia sembra garantire la piena esplicazione della funzione nomofilattica della Cassazione anche al campo, invero, spesso abbandonato ai più variegati stili municipali, della volontaria giurisdizione (Chizzini, 461).

In più occasioni si era affermato il seguente principio di diritto: «è ammissibile la proposizione del ricorso per cassazione unicamente avverso decreti che dispongono l’apertura o la chiusura dell’amministrazione di sostegno ovvero di contenuto corrispondente alla sentenza pronunziata in materia di interdizione o inabilitazione, a norma degli artt. 712 e seg. c.p.c.» (v., Cass. n. 2985/2016; Cass. n. 14983/2016).

Il decreto della corte (oggi tribunale) pronunziato in sede di reclamo è suscettibile di ricorso per cassazione, sempre che lo stesso rivesta carattere decisorio (Cass. n. 13.747/2011; Cass. n. 18.320/2012; Cass. n. 2985/2016), escludendolo per quelli che tale carattere non rivestano, ovvero, per i provvedimenti avente carattere meramente gestorio o amministrativo (Cass. n. 11657/2012).

In particolare, era stato dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione avverso i provvedimenti emessi in sede di reclamo in tema di designazione o nomina di un amministratore di sostegno, trattandosi di provvedimenti distinti, logicamente e tecnicamente, da quelli che dispongono l’amministrazione e che vengono emanati in applicazione dell’art. 384 c.c. (richiamato dal successivo art. 411, comma 1, c.c.), dovendo invero limitarsi la facoltà di ricorso, concessa dall’art. 720-bis, ultimo comma, c.p.c., ai decreti di carattere decisorio, quali quelli che dispongono l’apertura o la chiusura dell’amministrazione, assimilabili, per loro natura, alle sentenze emesse in materia di interdizione ed inabilitazione, mentre tale facoltà non si estende ai provvedimenti a carattere gestorio (Cass. VI, ord. n. 9839/2018; Cass. n. 13747/2011; Cass. n. 11657/2012; Cass. n. 2985/2016; Cass. n. 22693/17, in Il processo civile, con nota di Masoni).

In questo senso era stato dichiarato inammissibile (Cass. VI, ord. n. 3493/2018) il ricorso per cassazione avverso il decreto emesso dalla corte d’appello all’esito del reclamo su un provvedimento del giudice tutelare in tema di autorizzazione alla riscossione di somme capitali da parte del beneficiario di amministrazione di sostegno, dovendosi limitare la facoltà di ricorso ai soli decreti di carattere decisorio, assimilabili alle sentenze di interdizione od inabilitazione, senza estensione a quelli aventi carattere gestorio.

Dopo talune incertezze, il principio della ricorribilità per cassazione dei decreto pronunziati in sede di appello sempreché che rivesta carattere decisorio è stato ribadito dalle Sezioni Unite: “...la lettera della legge impone in ogni caso la verifica del carattere della decisorietà, quale contenuto intrinseco dei provvedimenti suscettibili di essere sottoposti al vaglio del giudice di legittimità” (Cass. S.U., 21985/2021).

Il ricorso per cassazione è proponibile per tutti i motivi indicati all’art. 360 c.p.c., non solo per violazione di legge, ma pure per difetto di motivazione (Chizzini, 465; Farolfi, 156).

Risulta applicabile il termine di impugnazione di sessanta giorni stabilito dall’art. 325 c.p.c., con decorrenza, non già dalla notificazione della decisione (ex art. 326 c.p.c.), ma, data la struttura tendenzialmente unilaterale del procedimento di sostegno, dalla notificazione operata dall’ufficio o eventualmente ad istanza di parte (Chizzini, 465; Farolfi, 156).

In difetto di notificazione, vale il termine lungo decorrente dalla pubblicazione del decreto della corte (Tommaseo, 545; Campese, 401).

Nel giudizio di cassazione avverso il decreto della corte d’appello, ai sensi dell’art. 365 c.p.c., sussiste l’onere del patrocinio (Masoni, 531-532).

Bibliografia

  AMENDOLAGINE, Evoluzioni giurisprudenziali sull'amministrazione di sostegno, in Giur. it., 2023, 8-9, 1940 ss.; Campese, Il giudice tutelare e la protezione dei soggetti deboli, Milano, 2008; CARRATTA, Le riforme del processo civile, Torino, 2023;Chizzini, in Bonilini, Chizzini, Lamministrazione di sostegno, Padova, 2007; Farolfi, Amministrazione di sostegno, Milano, 2014; Mandrioli, Carratta, Diritto processuale civile, Torino, 2014; ; MASONI, Il giudice tutelare, Milano, 2018; Masoni, Lamministrazione di sostegno, a cura di Masoni, Rimini, 2009; Napoli, Linfermità di mente linterdizione linabilitazione, Milano, 1995; Picardi, Manuale del processo civile, Milano, 2013; Piccinni, in Mazzoni, Piccinni, La persona fisica, Milano, 2016; Tommaseo, in Bonilini, Tommaseo, in Dellamministrazione di sostegno, in Il codice civile Commentario, Milano, 2008.

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