Codice di Procedura Civile art. 473 bis 54 - Udienza di comparizione1Udienza di comparizione1 [I]. All'udienza il giudice relatore, con l'intervento del pubblico ministero, procede all'esame dell'interdicendo o dell'inabilitando, sente il parere delle altre persone citate interrogandole sulle circostanze che ritiene rilevanti ai fini della decisione, e può disporre anche d'ufficio l'assunzione di ulteriori informazioni, esercitando tutti i poteri istruttori previsti nell'articolo 419 del codice civile. [II]. L'udienza per l'esame dell'interdicendo o dell'inabilitando si svolge in presenza. [III]. Se l'interdicendo o l'inabilitando non può comparire per legittimo impedimento o la comparizione personale può arrecargli grave pregiudizio, il giudice, con l'intervento del pubblico ministero, si reca per sentirlo nel luogo in cui si trova. Valutata ogni circostanza, può disporre che l'udienza si svolga mediante collegamento audiovisivo a distanza, individuando le modalità idonee ad assicurare l'assenza di condizionamenti. [1] Articolo inserito dall'art. 3, comma 33, del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022 , il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022 , come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n.197, che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.". InquadramentoL’art. 473-bis.54 c.p.c. ha assorbito le disposizioni contenute negli abrogati artt. 714 e 715 c.p.c. Queste disposizioni sono state trasportate nella norma citata quasi per intero, salvo per alcune precisazioni. Il primo comma del detto art. 473-bis.54 riprende senza modifiche quanto stabiliva l’art. 714. Il giudice, oggi indicato come relatore anziché come istruttore, tiene l’udienza con l’intervento del pubblico ministero; procede all’esame dell’interdicendo o dell’inabilitando; assume informazioni dalle persone che sono state convocate, interrogandole sulle circostanze rilevanti ai fini della decisione. Nel ricorso il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti assunti a fondamento della decisione e queste circostanze costituiscono il naturale oggetto dell’accertamento da compiersi dal giudice. Ma questi ha poteri istruttori ampi, esercitabili d’ufficio, come consentito dall’art. 419 c.c. e dall’art. 473-bis.2 c.p.c. La prima di queste norme dispone che l’esame dell’interdicendo o dell’inabilitando è condizione in difetto della quale non si può pronunciare l’interdizione o l’inabilitazione e che al riguardo il giudice può farsi assistere da un consulente tecnico; inoltre, essa stabilisce che d’ufficio possono essere disposti i mezzi istruttori utili ai fini del giudizio e assumere le necessarie informazioni. Questa generica previsione è completata dall’altra norma, secondo cui il giudice può adottare i provvedimenti opportuni in deroga all’art. 112 e disporre mezzi di prova al di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dal codice civile. Partecipazione doverosa del pubblico ministero (che ha anche il potere di chiedere l’interdizione di sua iniziativa, quando nel procedimento di inabilitazione si rivedano la sussistenza delle condizioni per pronunciare l’interdizione) ampi poteri istruttori del giudice costituiscono elementi indicatori della natura inquisitoria del procedimento (Mandrioli). La dottrina ha evidenziato la necessità di un adempimento che, non espressamente richiamato nella specie, pure deve intendersi momento ineliminabile della fase introduttiva dell’udienza di comparizione. Il giudice relatore, si è affermato, deve in primo luogo verificare la regolarità e la completezza delle notificazioni di cui all’art. 713, secondo comma, attualmente divenuto art. 473-bis.53, secondo comma (Andrioli, Jannuzzi). Il pubblico ministeroCome era previsto in precedenza, la normativa presuppone la presenza del pubblico ministero nell'udienza di comparizione. Questa comparizione personale è presentata nel testo come fisiologica all'udienza ed alle operazioni che vi si compiono, tanto che essa va mantenuta anche nel caso in cui debba essere il giudice a recarsi presso l'interdicendo o l'inabilitando. La giurisprudenza ha tuttavia talvolta offerto una lettura diversa, probabilmente motivata dalla cronica scarsità degli organici e dall'esigenza di non disperdere energie in attività non propriamente contenziose e considerate di natura pressoché amministrativa. Si era infatti affermato che la mancata partecipazione del Pubblico Ministero all'esame personale dell'interdicendo non determina la nullità della sentenza, una volta che siano state osservate le norme che ne impongono a pena di nullità l'intervento necessario. La reiterata previsione di intervento personale, di cui agli artt. 714 e 715 c.p.c., non può essere letta come introduttiva di una imposizione di presenza condizionante la stessa validità del rapporto processuale ma solo come previsione di una presenza – tanto nell'aula di udienza quanto in ambiente esterno – qualificata dall'interesse pubblico ed autorizzata alla partecipazione attiva all'indagine personale quand'anche la partecipazione al processo non si sia (ancora) tradotta in una comparsa di costituzione (Cass. I, n. 15346/2000). Si è, per verità, sostenuta anche la tesi contraria: «L'intervento del pubblico ministero all'esame dell'interdicendo o dell'inabilitando costituisce – in considerazione delle conseguenze che il procedimento è diretto ad avere, a tutela degli interessi dell'interdicendo o dell'inabilitando, con possibile incidenza sullo status della persona e sui suoi diritti fondamentali – un atto dovuto per l'ufficio del pubblico ministero, e nessun margine di discrezionalità gli è attribuito al riguardo, stante la previsione di cui agli artt. 714 e 715 c.p.c.; con la conseguenza che, ove la sua partecipazione non abbia luogo, si verifica una nullità insanabile a norma dell'art. 158 c.p.c., il quale, comminando tale nullità in relazione ai vizi relativi all'intervento del pubblico ministero, rende nullo l'esame dell'interdicendo o dell'inabilitando. Peraltro, detto vizio non colpisce né gli atti processuali antecedenti, né gli atti istruttori successivi indipendenti da tale atto; cosicché, quantunque la sentenza di interdizione o di inabilitazione vada annullata per essere stata emessa senza il valido compimento dell'esame, il giudice del gravame deve procedere alla rinnovazione di tale atto, ai sensi dell'art. 354, ultimo comma, c.p.c., e decidere la causa nel merito» (Cass. I, n. 11175/2003). E questa tesi si è nel tempo affermata. Si vedano: «sez. I, n. 3708/2008 (Rv. 602069 -01) Nel giudizio di interdizione, la mancata partecipazione del P.M. all'esame personale dell'interdicendo o dell'inabilitando non determina la nullità della sentenza, una volta che siano state osservate le norme che ne impongono a pena di nullità l'intervento necessario, le quali sono finalizzate non ad un determinato atto, ma alla sua partecipazione al processo, rimanendo nella sua discrezionalità come modularla» (Cass. I, n. 3708/2008). In altri casi si è ricorsi a soluzioni di compromesso: l'intervento obbligatorio è stato considerato compiuto con la semplice trasmissione degli atti all'ufficio del pubblico ministero (Cass. II, n. 19727/2003). In ogni caso, si è anche affermato, nei procedimenti in cui sia prescritto l'intervento obbligatorio in causa del P.M., l'omessa partecipazione dello stesso al giudizio di primo grado dà luogo a nullità della sentenza che si converte, ai sensi degli artt. 158 e 161 c.p.c., in motivo di impugnazione, potendo essere fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole dell'appello; ne consegue che, ove manchi il motivo di gravame sul punto, la questione non può essere rilevata d'ufficio dal giudice di appello, né dare luogo a vizio denunciabile con ricorso per cassazione» (Cass. III, n. 7423/2011). Va osservato che dal tenore della norma in esame potrebbe desumersi la necessità di una effettiva partecipazione del pubblico ministero all'udienza di comparizione. Il secondo comma dispone, infatti, che l'udienza per l'esame dell'interdicendo o dell'inabilitando si svolge in presenza. Poiché è ovvio che debba essere presente chi deve essere interrogato il requisito in oggetto deve essere riferito a chi deve assistere oltre al soggetto da interdire o da inabilitare e al giudice. Però l'ultimo comma dell'art. 473-bis.54 c.p.c. consente al giudice di disporre che l'ascolto dell'interdicendo o dell'inabilitando avvenga mediante collegamento audiovisivo, quando tale soggetto non può comparire per legittimo impedimento o se la comparizione personale può arrecargli grave pregiudizio. Anche ammettendo che l'applicazione pratica di questa disposizione resti riservata ai soli casi di impedimento della persona da ascoltare, e non anche all'ascolto dei parenti e degli affini, è evidente come la compresenza indicata come regola di principio irrinunciabile sia esposta a facili inosservanze. Il parere dei parenti e degli affiniIl testo dell'art. 473-bis.54 ha conservato l'espressione «sente il parere» delle persone citate a comparire in udienza che era contenuta nell'abrogato art. 714 c.p.c. Il compito del giudice, per tal modo, è descritto non tanto quale acquisizione di informazioni presso persone a conoscenza dei fatti per cui è ricorso: ma piuttosto quale ascolto di opinioni personali dei soggetti interrogati e di sollecito all'espressione di indicazioni e suggerimenti. La dottrina già aveva desunto dal tenore letterale della precedente disposizione la convinzione che essa consentisse alle persone ascoltate di esprimere i loro convincimenti in ordine alle condizioni mentali dell'interdicendo o dell'inabilitando e proporre le soluzioni da adottare (Poggeschi). Parenti e affini possono, tra l'altro, suggerire i nominativi di altre persone informate e proporre il ricorso a consulenze mediche non richieste nel ricorso. L'esame vero e proprio riguarda specificamente i soggetti nei cui confronti è proposta la domanda di interdizione o di inabilitazione. A costoro sono dunque proposte domande per riceverne risposte. Le altre persone vanno più semplicemente sentite, circostanza che non esclude la formulazione di domande ma che sposta l'ascolto sul piano della raccolta dei pareri, delle opinioni, delle convinzioni, dei giudizi soggettivi e delle indicazioni propositive sulle misure possibili, opportune o necessarie. Certamente in nessuno di questi casi occorre la predisposizione di capitoli di prova né è richiesta la conduzione di un interrogatorio formale, Spetta, in definitiva, al giudice regolare secondo la sua discrezione e la sua esperienza tanto l'esame quanto l'ascolto in udienza (Andrioli). L’esame dell’interdicendoRisalente giurisprudenza, nel ribadire che l'esame dell'interdicendo costituisce un presupposto necessario per la pronuncia di interdizione o di inabilitazione, aveva affermato che anche soltanto da esso il giudice può trarre gli elementi utili per la propria decisione. Già il Chiovenda aveva asserito che l'esame in questione rappresenta la prima fonte di convincimento del giudice. Questo non significa che il decidente possa esimersi dalla valutazione dell'altro materiale probatorio raccolto e che di questa valutazione debba dare atto nella motivazione della sentenza. Può dirsi che l'esame è necessario quale importante passaggio processuale e quale ineliminabile elemento probatorio per il convincimento ma anche che esso assume una funzione meramente orientativa nel contesto di tutti i dati acquisiti, orali, documentali e tecnico-medici. La riforma di cui al d.lgs. n. 149/2022 ha ripreso e conservato la regola per la quale nel caso di impedimento a comparire dell'interdicendo o dell'inabilitando è il giudice a doversi recare nel luogo in cui costui si trova per assumerne l'esame. La disposizione in tal senso vietava la rogatoria ad altro giudice e legava l'esame del soggetto all'ispezione diretta e personale del giudice procedente. Per questa ragione la dottrina aveva affermato che la rogatoria ad altro ufficio doveva escludersi anche se il giudice procedente avesse dovuto recarsi fuori dalla propria giurisdizione (Vellani, Jannuzzi, Andrioli; Trib. Cagliari 28 febbraio 1994 ). Alla precedente regola l'art. 473-bis.54 ha aggiunto alle ragioni che impongono al giudice di recarsi presso l'interdicendo o l'inabilitando la previsione della possibilità che la comparizione di costoro in udienza rechi ai medesimi un grave pregiudizio. Poiché i soggetti in argomento versano in condizioni debilitate per infermità di mente deve ritenersi che un siffatto pregiudizio temuto abbia riguardo all'aggravamento di siffatte condizioni. Secondo una risalente pronuncia, poiché l'esame diretto, ad opera del giudice, dell'interdicendo o dell'inabilitando costituisce un presupposto necessario per la pronuncia d'interdizione o d'inabilitazione, il legittimo impedimento dell'interdicendo o dell'inabilitando, che, a norma dell'art. 715 c.p.c., impone al giudice istruttore di recarsi, con l'intervento del pubblico ministero, a sentire tali soggetti nel luogo in cui si trovano, non è da valutare con criteri formalistici e può identificarsi anche con una ripulsa a comparire che sia in relazione con la malattia mentale degli esaminandi medesimi. Pertanto, anche nel caso che l'esame predetto non abbia avuto luogo per il reiterato rifiuto dell'interdicendo a comparire innanzi il giudice istruttore, questi ha sempre l'obbligo di recarsi, con il pubblico ministero, a sentirlo nel luogo in cui si trova e, solo se il soggetto insiste ancora nel rifiuto di farsi esaminare, soltanto allora il giudice - dato atto, nel verbale, del comportamento dell'interdicendo - può ritenersi sciolto dall'obbligo di procedere all'espletamento del mezzo istruttorio (Cass. I, n. 4650/1979). La rimessione al collegioLa vecchia e la nuova normativa non dettano disposizioni riguardanti le modalità e le forme di partecipazione al processo delle persone convocate a comparire all'udienza davanti al giudice relatore e relative al passaggio dalle attività istruttorie a quelle della decisione. La dottrina si era divisa sulla necessità che il ricorrente dovesse costituirsi nel procedimento in maniera formale, contrastando tra loro orientamenti rigorosi (Vellani) ed altri faceti leva sulla semplicità del procedimento (Poggeschi). Secondo l'opinione più rigida la necessità della costituzione dovrebbe riguardare anche l'interdicendo, l'inabilitando e le altre persone cui è notificato il decreto di fissazione dell'udienza di comparizione (Vellani, Andrioli). Dall'una e dall'altra parte si sottolineano gli interessi pubblicistici in gioco e la natura inquisitoria della procedura; di certo può dirsi che non avrebbe senso dichiarare in questo procedimento speciale la contumacia di taluno dei soggetti privati che in vario modo ne sono protagonisti. Analogo contrasto si era formato in ordine alla necessità che nel procedimento debbano essere assunte formali conclusioni con successiva rimessione al collegio (Andrioli) piuttosto che alla sufficienza della mera rimessione d'ufficio al collegio non appena il giudice relatore ritenga esaurita la raccolta delle informazioni (Poggeschi). Si vedano anche gli artt. 418 e 427 c.c. BibliografiaAmadio, Macario, Diritto di famiglia, Milano 2016; Bartolini, La riforma del processo civile, Piacenza, 2023, p. 98; Bianca, Diritto civile, I, Milano, 2002; Bonilini, Manuale di diritto di famiglia, 10a ediz., Torino; Bonilini, Amministrazione di sostegno e interdizione giudiziale, in Pers. Fam. Succ., 2007, 488; Calò, Il discrimen tra amministrazione di sostegno e interdizione, in Not., 2004; Canata, I requisiti soggettivi dell’interdizione e dell’inabilitazione, in Ferrando (a cura di), Amministrazione di sostegno, interdizione, inabilitazione, incapacità naturale, Bologna, 2012, 411 ss.; Cascone, Ardesi, Gioncada, Diritto di famiglia e minorile, Milano, 2021; De Filippis, Il nuovo diritto di famiglia dopo la riforma Cartabia, Milano, 2023; Galgano (a cura di), Commentario compatto al codice civile, 2012, 662 ss.; Ferrando, Diritti di natura personale e familiare, in Ferrando (a cura di), Amministrazione di sostegno, interdizione, inabilitazione, incapacità naturale, 167 ss.; Ferrando-Lenti (a cura di), Soggetti deboli e misure di protezione. Amministrazione di sostegno e interdizione, Torino, 2006; Forchielli, Infermità di mente, interdizione e inabilitazione, in Commentario Scialoja - Branca, Artt. 414-432, Bologna-Roma, 1988, 5; Galgano, Diritto civile e commerciale, Padova, 2010; Giordano, Simeone (a cura di), La riforma del diritto di famiglia: il nuovo processo, Milano, 2023; Jannuzzi-Lorefice, Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 2004; Mattioni, Forza espansiva dell’amministrazione di sostegno e disapplicazione dell’interdizione e dell’inabilitazione, in Nuova giur. civ. comm., 2017, 4, I, 479; Maurini, L’incapacità naturale, Padova, 2002; Napoli, L’infermità di mente, l’interdizione, l’inabilitazione, in Commentario Schlesinger, Artt. 414-432, Milano, 1991, 30; Paladini, Amministrazione di sostegno e interdizione giudiziale: profili sistematici e funzionalità della protezione alle caratteristiche relazionali tra il soggetto debole e il mondo esterno, in Riv. dir. civ., 2005, II, 585; A.M. Parisi, Manuale di diritto di famiglia, Torino, 2020; Rescigno (diretto da), Trattato breve delle successioni e donazioni, Padova, 2010; Sesta, Manuale di diritto di famiglia, 10a ediz., Padova, 2023; Pomodoro, Giannino, Avallone, Manuale di diritto di famiglia e dei minori, 2009, Torino; Sesta (a cura di), Codice della famiglia, Milano, 2015, 1519 ss.; Spangaro, in Balestra (a cura di), Della famiglia, sub artt. 414-432, Commentario del codice civile, diretto da Gabrielli, Torino, 2009. |