I presupposti del conflitto di interessi nel settore della c.d. rappresentanza organica

04 Marzo 2024

Per la rilevanza del conflitto di interessi nella rappresentanza organica di una persona giuridica non occorre l’accertamento ulteriore anche della produzione di conseguenze dannose, in quanto l’art. 1394 c.c., dettato in materia di rappresentanza volontaria, può ritenersi applicabile pure all’operato delle società.

Massima

Per la sussistenza del conflitto di interessi ex art. 1394 c.c., e quindi ai fini dell’annullamento del contratto concluso tra due società, è richiesta la sua riconoscibilità da parte dell’altro contraente e non è, invece, imposta anche la necessità dell’arrecamento di un danno conseguente.

La violazione dell’art. 1394 c.c. può essere desunta da una serie di circostanze univocamente indizianti idonee a rappresentare un complessivo quadro fattuale conducente al raggiungimento di un idoneo supporto probatorio che consente di accertare la situazione di conflitto di interessi in cui aveva operato il rappresentante nello stipulare l’indiziato contratto”.

Il caso

La Suprema Corte ha deciso una vicenda in cui l’amministratore di una S.a.s. di famiglia ha venduto un immobile di tale società (all’insaputa degli altri soci) in favore di una S.r.l. di cui il medesimo era socio di maggioranza (in quanto titolare di una partecipazione pari al 95% del rapporto sociale), statuendo che, per potersi pronunciare l’annullabilità del contratto di compravendita immobiliare ex art. 1394 c.c. non assumono rilevanza le considerazioni relative all’entità del prezzo della compravendita (alias: “le conseguenze dannose che possono anche consistere, oltre che in una diminuzione patrimoniale, in qualsiasi lesione subita dal soggetto passivo”) ma ‘altro’.

L’ordinanza riferisce di un orientamento di legittimità “consolidato” in tal senso quando invece si registrano altrettante pronunce che assegnano una differente rilevanza al conflitto di interessi in àmbito di rappresentanza volontaria e organica.

La questione

La questione affrontata dalla pronuncia che si esamina fornisce riscontro alla seguente domanda: per potersi legittimamente annullare un contratto concluso in conflitto di interessi, a mente dell'art. 1394 c.c., è sufficiente l'accertamento di una situazione di conflitto in sé considerata oppure è necessario valutare l'abuso che, in concreto, il rappresentante ha fatto del potere rappresentativo (rilevando, perciò, il conflitto, in questo caso, unicamente come presupposto per valutare l'abuso)?

Osservazioni

La soluzione data dalla cassazione alla vicenda in oggetto desta nell'osservatore talune non trascurabili perplessità.

Infatti, secondo detta pronuncia, il conflitto di interessi è sanzionabile - e, quindi, il contratto è annullabile - se il rappresentante è portatore di interessi incompatibili con quelli del rappresentato, “cosicché la salvaguardia della tutela dei detti interessi gli impedisce di tutelare adeguatamente gli interessi del dominus, con la conseguenza che non ha rilevanza, di per sé, che l'atto compiuto sia vantaggioso o svantaggioso per il rappresentato e che non è necessario provare di aver subito un concreto pregiudizio, perché il rappresentato possa domandare o eccepire l'annullabilità del negozio”.

Sempre per tale provvedimento “i vincoli di solidarietà e la comunanza di interessi fra rappresentante e terzo sono indizi che consentono al giudice di ritenere, secondo l'id quod plerumque accidit e in concorso con altri elementi (come l'inesistenza di qualsiasi interesse al contratto ovvero la sussistenza di un pregiudizio non correlato ad alcun vantaggio), sia il proposito del rappresentante di favorire il terzo, sia la conoscenza effettiva o quantomeno la conoscibilità di tale situazione da parte del terzo”.

Perciò, secondo tale prospettiva, appoggiata alla formula pass par tuo omnibus dell'id quod plerumque accidit (che però, in ispecie, si traduce in un pregiudizio pieno), determinerebbe senz'altro l'annullabilità del negozio concluso con il terzo l'esistenza di un mero rapporto di affinità tra rappresentante e terzo; così come sarebbe annullabile il contratto di alienazione per il solo fatto di essere stato concluso dall'amministratore unico della società Alfa, rappresentante del venditore Beta, con la stessa acquirente Alfa (e quale dei due conflitti astrattamente ipotizzabili dovrebbe mai ricevere tutela ex ante: quello verso la società o quello verso il rappresentato?); inoltre, “l'inesistenza di un qualsiasi interesse al contratto”, condizione in realtà fisiologica per il rappresentante (almeno quando la procura non è accompagnata da un mandato in rem propriam), sarebbe sufficiente a corroborare l'accertamento di un intervento meramente strumentale del procuratore in pregiudizio del rappresentato; infine, sintomatico sarebbe il richiamo alla “sussistenza di un pregiudizio” (o, più correttamente, di una perdita economica) per il rappresentato - che, in realtà, potrebbe anche disporre legittimamente per procura ai sensi dell'art. 1333 c.c. - “non correlato ad alcun vantaggio” corrispettivo.

In proposito, consideriamo, innanzitutto, l'evoluzione maturata in dottrina in tema di art. 1394 c.c. (ritenuto applicabile, in presenza di date condizioni che escludono l'attivazione dell'art. 2391 c.c., anche alla c.d. rappresentanza organica).

Il nodo che la dommatica si è impegnata a sciogliere è il seguente: l'art. 1394 c.c. prevede un intervento postumo e legittimato dalla mera esistenza del conflitto (a prescindere da ogni valutazione circa i risultati concreti dell'atto) o dalla valutazione delle conseguenze che l'atto ha prodotto nella sfera del dominus?

Ossia, una volta concluso il contratto in conflitto di interessi, il negozio è sempre annullabile o si deve valutare se in concreto il rappresentante, pur in conflitto di interessi, ha curato effettivamente nel modo migliore possibile l'interesse del dominus sacrificando il proprio?

Inizialmente gli studiosi ritenevano che, nella rappresentanza volontaria, il conflitto di interessi rilevasse in quanto tale per la sua sola esistenza, ossia indipendentemente da una qualsiasi valutazione in concreto dell'atto. In altri termini, tradizionalmente si è ritenuto che il conflitto rilevasse in sé, a prescindere dalla valutazione degli effetti che l'atto ha prodotto in concreto nella sfera del dominus. Ebbene, tale posizione classica è quella sposata dalla Cassazione che qui si commenta.

Solo relativamente di recente la migliore dottrina ha messo in luce che il conflitto rileva unicamente in concreto e si risolve in un abuso di potere da parte del rappresentante (inteso come sviamento di potere).

Difatti, la “conoscenza o riconoscibilità del conflitto da parte del terzo” richiesta per l'invalidazione dell'atto (art. 1394 ult. parte c.c.) chiarisce che il legislatore ha preso in considerazione non la situazione di conflitto in sé, ma l'abuso concreto perché solo dalla valutazione delle conseguenze del contratto, il terzo può fare una valutazione in termini di conoscenza/conoscibilità del conflitto tra rappresentante e rappresentato (l'attore che impugna il contratto per l'annullamento può provare la conoscenza o conoscibilità del conflitto nel terzo solo in base e in riferimento alle conseguenze che il contratto ha prodotto; difatti, su quali altre basi, altrimenti, il rappresentato potrebbe mai provare che il terzo avrebbe potuto conoscere il conflitto?).

Del resto, lo stesso rimedio dell'annullamento è nella disponibilità della parte interessata (costituisce una manifestazione assoluta del potere di libertà privata): il contratto impegna il dominus in modo “claudicante” e può essere annullato in base a una valutazione che può essere fatta solo in considerazione dei risultati che sono derivati dal contratto e non dal conflitto di interessi in sé.

Il dominus, per valutare se annullare o meno il contratto (proprio in quanto rimedio rimesso alla libera azionabilità del privato), deve valutare il pregiudizio: come potrebbe altrimenti determinarsi se si arrestasse alla valutazione in sé del conflitto di interessi? Il rappresentato, per decidere se rimuovere o meno un atto a lui riferito, deve vedere i risultati di quel conflitto di interessi.

Si consideri, d'altronde, che il rappresentante potrebbe trovarsi in una situazione di conflitto ma poi, in concreto, concludere il contratto nel modo migliore per il dominus (per inciso, proprio quanto appare accaduto nella vicenda giudiziale che si commenta): in questo caso, il conflitto nemmeno sarebbe riconoscibile dal terzo in quanto il procuratore sta realizzando nel miglior modo possibile l'interesse del rappresentato.

Perciò, nella rappresentanza volontaria (dove volontaria e disponibile è anche la tutela rappresentata dal rimedio dell'eliminazione del contratto), il conflitto di interessi non ha una rilevanza pregiudizievole per se stesso (e una differente scelta legislativa di sanzionare il conflitto ex ante si rivelerebbe manifestamente antieconomica): è vero che esso può inquinare la decisione del rappresentante, ma questo dev'essere verificato inevitabilmente in concreto.

Il conflitto rileva solo quando, in concreto, c'è stato abuso del potere rappresentativo, cioè quando il contratto è stato concluso dal rappresentante abusando effettivamente della propria facoltà per realizzare interessi diversi da quelli del dominus.

Se ne conclude che il conflitto si colora di disvalore giuridico solo quando il contratto in concreto ha pregiudicato un interesse giuridicamente rilevante del dominus: unicamente questo consente l'annullamento del negozio concluso dal rappresentante volontario od organico.

Assai differente, invece, è il caso della rappresentanza legale, ove il legislatore, in considerazione della funzione di “Ufficio” (ossia della doverosità che la connota), anticipa la tutela al prospettarsi di un conflitto anche solo potenziale, rilevando esso per sé ed ex ante quale causa di annullamento del contratto.

In giurisprudenza, anche se le pronunce spesse volte non sono inequivoche, si trovano affermati entrambi i succitati indirizzi dottrinali.

In particolare, come esistono pronunce per cui la “comunanza di interessi tra rappresentante e terzo” rappresenta “indizio, secondo l'id quod plerumque accidit”, dell'illegittimo favoreggiamento di quest'ultimo se solo “possa seguire [corsivo nostro, n.d.a.] il danno del rappresentato” (in realtà, tale orientamento confonde il conflitto che rileva ex post nella rappresentanza volontaria e in quella organica con il conflitto che rileva ex ante nella rappresentanza legale), così vi sono decisioni secondo le quali il rapporto di incompatibilità di interessi tra rappresentante e rappresentato non dev'essere dimostrato in modo astratto o ipotetico ma richiede di essere verificato in concreto dal giudice mediante l'accertamento di una condotta abusiva del rappresentante (orientamento al quale si aderisce in quanto preferibile proprio alla luce del dettato scolpito nell'art. 1394 c.c.).

Infine, è opportuno segnalare (ancorché l'istituto non sia stato esaminato dal pronunciamento qui annotato) che l'art. 1395 c.c. (fattispecie a struttura unilaterale fonte di un rapporto bilaterale) costituisce una specificazione del conflitto di interessi di cui all'art. 1394 c.c., trattandosi di figure entrambe ispirate alla stessa ratio (anzi, si può a ragione affermare che nel “contratto con se stesso” il conflitto di interessi giunge al suo culmine), nella previsione del medesimo rimedio dell'annullabilità.

Guida all'approfondimento

GIURISPREUDENZA

1) Sul piano sostanziale: 

  • per il conflitto anche solo potenziale (art. 1394 c.c.): Cass. 3 agosto 2022, n. 24156, Cass. 10 gennaio 2017 n. 271, Cass. 15 marzo 2012 n. 4143, Cass. 17 ottobre 2008, n. 25361Cass. 18 luglio 2007 n. 15981, Cass. 5 maggio 2003 n. 6755, Cass. 10 aprile 2000 n. 4505, Cass. 7 dicembre 1999 n. 13708, Cass. civ. 17 aprile 1996 n. 3630 e Cass. 19 settembre 1992 n. 10749;
  • per il conflitto in concreto: Cass. 5 gennaio 2022 n. 255, Cass. 6 dicembre 2021 n. 38537, Cass. 31 gennaio 2017 n. 2529, Cass. 30 maggio 2008 n. 14481, Cass. 8 novembre 2007 n. 23300, Cass. 29 settembre 2005 n. 19045, Cass. 20 febbraio 2004 n. 3385, Cass. 26 agosto 1998 n. 8472Cass. 7 aprile 1992 n. 4257;
  • per l'applicabilità dell'art. 1394 c.c. alla rappresentanza organica: Cass. 21 marzo 2022 n. 9054, Cass. 10 ottobre 2013 n. 23089, Cass. 13 febbraio 2013 n. 3501, Cass. 4 ottobre 2010 n. 20597, Cass. 21 novembre 2008, n. 27783, Cass. 17 luglio 2007 n. 15879, Cass. 26 gennaio 2006 n. 1525, Cass. 26 settembre 2005 n. 18792, Cass. 10 aprile 2000 n. 4505, Cass. 10 aprile 1999 n. 3514Cass. 19 settembre 1992 n. 10749, Cass. 1 febbraio 1992 n. 1089Cass. 5 luglio 1984 n. 3945;
  • in tema di contratto con se stesso (art. 1395 c.c.): cfr., tra le altre, Cass. 8 aprile 2022 n. 11439 e cit. Cass. 15 marzo 2012 n. 4143;

2) sul piano processuale:

  • in ordine all'interesse a contraddite del rappresentante: Cass. 17 settembre 2002 n. 13571;
  • quanto alla legittimazione del terzo: Cass. 17 ottobre 1973 n. 2608.

DOTTRINA

  • C. Donisi, Il contratto con se stesso, Napoli, 1982, 146, ss.
  • L. Crotti, Il conflitto di interessi nell'attività dell'avvocato, in R.T.D.P.C., I, 2021, 204, ss.
  • M.R. Nuccio, Conflitto di interessi e autonomia negoziale, Napoli, 2016, 38, ss. nonché 321, ss.
  • D. Maffeis, Conflitto di interessi nel contratto e rimedi, Milano, 2002, 56, ss.
  • Santi Romano, Organi, in Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1947, 145, ss.

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