Danno da prodotto difettoso tra sicurezza, innocuità, pericolosità e obblighi informativi

04 Marzo 2024

La decisione in esame si segnala per aver affrontato due aspetti delicati. La prima questione di diritto, quella principale, riguarda cosa debba intendersi per “prodotto difettoso” a mente del codice del consumo (d.lgs. n. 206/2005). La seconda questione riguarda la valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c. e i suoi presupposti di applicazione.

Massima

L'accertamento della "difettosità" d'un prodotto, per i fini di cui all'art. 117 d.lgs. n. 206/2005, non consiste nell'accertamento della pericolosità di esso (in quanto i prodotti pericolosi non sono, per ciò solo, "difettosi"), né consente al giudice di stabilire come quel prodotto debba a suo avviso progettarsi o costruirsi.

Il suddetto accertamento va invece compiuto stabilendo se il prodotto che si assume difettoso sia stato progettato e costruito rispettando gli standard minimi richiesti dalle leges artis dettati dalla normativa di settore o dalle regole di comune prudenza.

Il caso

La fattispecie affrontata può definirsi di comune ricorrenza o comunque estendibile a casi del tutto similari e frequenti: un elevatore per disabili non si era arrestato a livello del piano, ma ad un livello inferiore di circa 20 cm; il sistema non si era bloccato, ma aveva consentito egualmente l'apertura della porta di accesso, consentendo al danneggiando di accedere all'elevatore e cadere nel dislivello sottostante, cagionandogli effettivamente danni.

Si comprende, quindi, che si tratta di ipotesi ricorrente e di grande interesse, estendibile agli ascensori in genere.

Al di là di alcune sfumature specifiche del caso concreto, parte attrice adduceva un vizio progettuale e costruttivo, poiché l'elevatore non avrebbe dovuto consentire l'apertura della porta se la piattaforma non era allineata al piano.

Il produttore naturalmente contestava la ricostruzione, rilevando per quanto ci interessa che non si trattava di difetto perché consentito dalle leges artis e dalla normativa tecnica di settore; al massimo era un vizio di installazione, ma non di costruzione; il prodotto non può ritenersi “difettoso” solo perché ne esistono altri più efficienti.

Il Tribunale rigettava la domanda, ritenendo l'elevatore privo di vizi o difetti costruttivi.

La Corte d'Appello, al contrario, ritenne che:

a) l'elevatore era viziato progettualmente, in quanto non avrebbe dovuto consentire l'apertura della porta, se la piattaforma non era allineata al piano;

b) poiché era mancata l'esatta prova del danno alla salute patito dalla vittima primaria, il pregiudizio patito dall'attrice andava liquidato in via equitativa;

c) era "equo" un risarcimento pari al costo dell'impianto.

La questione

La decisione in esame si segnala per aver affrontato due aspetti delicati.

La prima questione di diritto, quella principale, riguarda cosa debba intendersi per “prodotto difettoso” a mente del codice del consumo (d. lgs. n. 206/2005).

La seconda questione riguarda la valutazione equitativa del danno exart. 1226 c.c. e i suoi presupposti di applicazione.

In sé la decisione si inserisce in un quadro interpretativo consolidato e pacifico e potrebbe sembrare di minor interesse. Tuttavia, il fatto che la Suprema Corte sia tornata a pronunziarsi funditus è segno che vi sono ancora dubbi applicativi. Consegue che anche questa seconda questione va tenuta in adeguata considerazione.

Le soluzioni giuridiche

Per quanto riguarda l'accertamento del difetto di un prodotto a mente del codice del consumo, molto spesso vi è una sovrapposizione di concetti o comunque una loro interferenza reciproca: difetto, vizio, standard di sicurezza, innocuità.

In termini generali, la responsabilità da prodotto difettoso ha natura presunta, e non oggettiva, poiché prescinde dall'accertamento della colpevolezza del produttore, ma non anche dalla dimostrazione dell'esistenza di un difetto del prodotto. Incombe, pertanto, sul soggetto danneggiato - ai sensi dell'art. 120 del d.lgs. n. 206/ 2005 (cd. codice del consumo), come già previsto dall'8 del d.P.R. n. 224 del 1988 - la prova del collegamento causale non già tra prodotto e danno, bensì tra difetto e danno e, una volta fornita tale prova, incombe sul produttore - a norma dell'art. 118 dello stesso codice - la corrispondente prova liberatoria, consistente nella dimostrazione che il difetto non esisteva nel momento in cui il prodotto veniva posto in circolazione, o che all'epoca non era riconoscibile in base allo stato delle conoscenze tecnico-scientifiche (Cass. civ., sez. III, 7 aprile 2022, n.11317; Trib. Firenze sez. IV, 04/11/2022, n.3068).

La nozione di prodotto difettoso, ex art. 117 codice del consumo, non riguarda ogni prodotto genericamente insicuro, ma, piuttosto, quello che non raggiunga lo standard di sicurezza che il consumatore può legittimamente attendersi, in relazione ad una pluralità di elementi, quali le modalità con cui è stato messo in circolazione, la sua presentazione, le sue caratteristiche estrinseche, le istruzioni o avvertenze fornite dal produttore ai consumatori e l'uso cui lo stesso è destinato. Il concetto di sicurezza del prodotto, pertanto, è strettamente connesso all'assenza o carenza di istruzioni ed è differente da quello di vizio del prodotto, di cui all'art. 1490 c.c., che può invece coincidere anche con un'imperfezione, che non ne determini la pericolosità per il consumatore (Cass. Civ. sez. III, 10/05/2021, n.12225).

Il livello di sicurezza al di sotto del quale il prodotto deve ritenersi difettoso non corrisponde a quello della sua innocuità, dovendo piuttosto farsi riferimento ai requisiti di sicurezza generalmente richiesti dall'utenza in relazione alle circostanze tipizzate dalla suddetta norma, o ad altri elementi valutabili ed in concreto valutati dal giudice di merito, nell'ambito dei quali rientrano anche gli standard di sicurezza eventualmente imposti da normative di settore (Cass. Civ. sez. III, 20/11/2018, n.29828; Cass. Civ. sez. III, 29/05/2013, n.13458; Cass. Civ. sez. III, 15/03/2007, n.6007).

Sulla valutazione equitativa del danno, è pacifico che in tema di liquidazione del danno ex art. 1226 c.c., ove il danno non possa essere provato nel suo preciso ammontare, esso è liquidato dal giudice in via equitativa. La liquidazione equitativa del danno presuppone l'accertamento dell'esistenza di un danno risarcibile, l'impossibilità o rilevante difficoltà di una stima esatta del danno, il fatto che tale impossibilità non dipenda dall'inerzia della parte gravata dell'onere della prova; ciò poiché la richiesta di condanna ex art. 1226 c.c. non può risolversi in uno strumento processuale per sottrarsi all'ordinario onere della prova di cui all'art. 2697 c.c. (Trib. Milano sez. IV, 25/08/2023, n.6851; Trib. Napoli sez. XII, 31/05/2023, n.5618; Trib. Pisa sez. I, 16/05/2023, n.692; C.A. Roma sez. V, 17/03/2023, n.1960; Trib. Bergamo sez. IV, 27/01/2023, n.195; Cass. civ., sez. III, 22 giugno 2022, n.20177; Cass. civ., sez. III, 8 gennaio 2016, n.127; Cass. civ., sez. III, 30 aprile 2010, n.10607; Cass. civ., sez. I, 29 luglio 2009, n.17677; Cass. civ., sez. II, 7 giugno 2007, n.13288).

La sentenza in esame ribadisce e fissa i termini della questione.

La Cassazione si pronunzia sostanzialmente su due interrogativi posti dal “fatto”:

a) se possa costituire un "difetto", se è consentito dalle leges artis e dalla normativa tecnica di settore che la porta di una piattaforma elevatrice possa aprirsi non solo quando la piattaforma si trovi a livello di piano, ma anche quando si trovi leggermente più in alto o più in basso;

b) se un prodotto possa dirsi "difettoso" sol perché ne esistano altri più efficienti.

Tali interrogativi prospettano una questione di diritto principale: cosa debba intendersi per "prodotto difettoso" ai fini dell'applicabilità della disciplina prevista dal d.lgs. 206/2005.

La Corte di appello aveva ritenuto che il "corretto funzionamento" di un ascensore "dovrebbe prevedere che il rientro della piattaforma al piano terra avvenga solo a porta perfettamente chiusa o che il meccanismo di blocco delle porte impedisca l'apertura delle stesse a piattaforma in abbassamento oppure che il controllo di posizione che rileva la mancata chiusura delle porte si attivi prima di creare il dislivello potenzialmente pericoloso". Dunque, il prodotto era difettoso.

Tuttavia, la Suprema Corte ha censurato tale impostazione, perché, così statuendo, la Corte d'appello in pratica ha ritenuto che, per i fini di cui all'art. 117 cod. cons. sia consentito al giudice stabilire come un determinato prodotto debba essere progettato.

Questa affermazione è giuridicamente non corretta.

Infatti la Cassazione ha ripetutamente affermato che un prodotto non può dirsi difettoso:

- né per il solo fatto che sia pericoloso;

- né per il solo fatto che ne esistano commercio di migliori.                

Sotto il primo aspetto, il cod. cons. non identifica la mancanza di difetti con la "innocuità" del prodotto. Infatti, possono esistere prodotti difettosi ma non pericolosi, allo stesso modo in cui possono esistere come prodotti pericolosi, ma non difettosi (esempio della stessa Cassazione, una sega circolare progettata e venduta senza protezione delle parti rotanti è certamente un prodotto pericoloso, ma non per questo deve essere ritenuto difettoso).

Sotto il secondo aspetto, un prodotto non può dirsi "difettoso" sol perché ne esistano di analoghi più efficienti o più sicuri.

Infatti "il livello di sicurezza al di sotto del quale il prodotto deve ritenersi "difettoso" non corrisponde a quello della sua innocuità, dovendo piuttosto farsi riferimento ai requisiti di sicurezza generalmente richiesti dall'utenza in relazione alle circostanze tipizzate dalla suddetta norma, o ad altri elementi valutabili ed in concreto valutati dal giudice di merito, nell'ambito dei quali rientrano anche gli standard di sicurezza eventualmente imposti da normative di settore".

Pertanto, il giudice:

- non poteva ritenere "difettoso" l'ascensore sol perché consentiva il movimento della piattaforma in presenza d'una porta socchiusa;

- avrebbe, invece, dovuto indagare se questa eventualità era consentita dalle normative di settore.

Nel caso di specie le normative di settore consentivano la suddetta eventualità, come emerso in sede di c.t.u. secondo cui "l'impianto ha funzionato e funziona in rispetto della normativa"; "quella che potrebbe sembrare un'anomalia di funzionamento è da considerarsi in realtà una precauzione di sicurezza" e la piattaforma fu progettata "rispettando le regole di buona progettazione della ingegneria meccanica".

Dunque, l'errore commesso dalla sentenza d'appello è stato duplice:

- avere ritenuto un prodotto "difettoso" sol perché non corrispondente alla massima sicurezza esigibile;

- avere da un lato recepito in facto una consulenza d'ufficio che escludeva la difformità dell'ascensore rispetto alle leges artis della tecnica costruttiva; ed avere dall'altro lato ritenuto in iure "difettoso" il suddetto ascensore.

Cassata la sentenza, è stato affermato il seguente principio di diritto:

"l'accertamento della "difettosità" d'un prodotto, per i fini di cui all'art. 117 d.lgs. n. 206/2005, non consiste nell'accertamento della pericolosità di esso (in quanto i prodotti pericolosi non sono, per ciò solo, "difettosi"), né consente al giudice di stabilire come quel prodotto debba a suo avviso progettarsi o costruirsi.

Il suddetto accertamento va invece compiuto stabilendo se il prodotto che si assume difettoso sia stato progettato e costruito rispettando gli standard minimi richiesti dalle leges artis dettati dalla normativa di settore o dalle regole di comune prudenza".

Sulla seconda questione, ossia sull'art. 1226 c.c., la Cassazione esprime un orientamento consolidato, da cui però, la sentenza gravata si era discostata.

In questa sede pare opportuno rinviare alla lettura della sentenza, che offre una dettagliata e attenta ricostruzione dell'art. 1126 c.c., della sua natura e funzione, anche con un'analisi storica, letterale e sistematica molto interessante e utile.

Osservazioni

L'oggetto del presente approfondimento è la nozione di prodotto difettoso a mente del codice del consumo.

Tuttavia, può essere interessante coordinare tale nozione con un altro diritto (con corrispondente obbligo) dei consumatori.

Infatti, come visto, si è anche ritenuto che la nozione di prodotto difettoso, ex art. 117 codice del consumo non riguarda ogni prodotto genericamente insicuro, ma, piuttosto, quello che non raggiunga lo standard di sicurezza che il consumatore può legittimamente attendersi, in relazione ad una pluralità di elementi, quali le modalità con cui è stato messo in circolazione, la sua presentazione, le sue caratteristiche estrinseche, le istruzioni o avvertenze fornite dal produttore ai consumatori e l'uso cui lo stesso è destinato. Il concetto di sicurezza del prodotto, pertanto, è strettamente connesso anche all'assenza o carenza di istruzioni (Cass. civ. n.12225/2021cit.).

Infatti, ogni prodotto si basa sulla disponibilità di informazioni valide e complete del prodotto.

Può essere centrale l'informazione di buona qualità.

La responsabilità del produttore può essere fondata sull'insufficiente (o non tempestiva) attività di informazione.

Pertanto, il consumatore può agire su due fronti:

- a mente del cod. cons., provare il difetto (oltre il nesso e il danno);

- sempre a mente del cond. cons., agire sull'obbligo di informazione del produttore.

Come noto, nel rapporto tra produttore (o, in generale, professionista) e consumatore, quest'ultimo è sempre stato considerato la parte debole del rapporto. Per tale motivo, la tutela ai consumatori è pervasiva ed estesa a tutte le fasi del rapporto. Il favor è evidentemente visibile in materia di obblighi informativi.

Sicuramente, gli obblighi informativi assumono un ruolo fondamentale nel codice del consumo. Questo è visibile fin dalle prime disposizioni: l'art. 2, nel disciplinare i diritti fondamentali riconosciuti ai consumatori, elenca il diritto “ad una adeguata informazione e ad una corretta pubblicità” e “alla correttezza, trasparenza ed all'equità nei rapporti contrattuali”.

L'art. 5, invece, definisce il contenuto degli obblighi informativi e specifica che essi debbano essere adeguate, chiare e comprensibili, “tali da assicurare la consapevolezza del consumatore”. L'obbligo informativo del produttore è disciplinato dall'art. 104.2 cod. cons., per il quale il produttore deve fornire al consumatore tutte le informazioni utili ai fini della valutazione e della prevenzione “dei rischi derivanti dall'uso normale o ragionevolmente prevedibile del prodotto”. Questo dovere comprende le istruzioni, le indicazioni sulle modalità di impiego dei prodotti e le avvertenze relative agli usi propri e prevedibili del prodotto. L'adempimento di tali obblighi non funge da causa esonerativa di responsabilità; serve, invece, a ridurre l'asimmetria informative e a far sì che il consumatore possa effettuare scelte consapevoli.

L'informazione riveste anche un ruolo fondamentale per definire il “prodotto sicuro”. La nozione di prodotto difettoso, disciplinata ex art. 117 cod. cons. prevede, alla lettera a) comma 1, che tra le circostanze da tenere in considerazione al fine di considerarlo come tale ci sono le “istruzioni e le avvertenze fornite”. Questo cd. duty to warn incombente sul produttore è di fondamentale importanza, giacché nel caso in cui egli sorvoli sui rischi del prodotto fornendo informazioni incomplete, poco chiare o eccessivamente sintetiche, il prodotto potrebbe essere considerato non ragionevolmente sicuro e, quindi, difettoso.

Dunque sicurezza e informazione sono collegati o, almeno, possono esserlo.

Pertanto, può essere utile coinvolgere il produttore non solo sotto il profilo della sicurezza del prodotto, ma anche sul piano dell'assolvimento degli obblighi informativi rispetto alla particolare situazione occorsa.

In questo modo, i due campi (sicurezza e informazione) possono interagire, perché l'adempimento degli obblighi informativi può implicare anche la circostanza che il prodotto sia sicuro.

In questo modo si potrebbe alleggerire l'onere probatorio che incombe sul consumatore.

Infatti, se si fa valere il difetto del prodotto, questo deve essere dimostrato dal consumatore, ma può essere una prova ardua.

Viceversa, tramite il diritto all'informazione si può cercare di capovolgere la situazione, mettendo il produttore nella condizione di dover dimostrare di aver assolto al suo obbligo (e che quindi il prodotto è anche sicuro).

Astrattamente, quindi, si possono configurare diverse ipotesi:

- il prodotto sicuro, ma con assenza di informazioni/avvertenze che cagionano il danno;

- il prodotto effettivamente difettoso;

- il prodotto scoperto successivamente difettoso.

Sotto tale ultimo aspetto, tramite gli obblighi informativi si può giungere a far valere la responsabilità del produttore, che deve dimostrare di avervi assolto e, in particolare, di aver monitorato e informato lo stato della scienza e della tecnica, escludendo il c.d. “rischio da sviluppo” al momento in cui il prodotto è stato messo in circolazione, nonché di aver prontamente ritirato il prodotto o aver informato nel caso in cui il prodotto si fosse scoperto pericoloso.

Il produttore può eccepire il rischio da sviluppo per sottrarsi da responsabilità, ossia il non potere accertare il difetto del prodotto allo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche del tempo.

Al di fuori di questa ipotesi, che non era oggetto della controversia, rimane il fatto che il concetto di sicurezza può essere collegato anche agli obblighi informativi.

Rimane, quindi, da interrogarsi se, pur accertato il prodotto sicuro e rispondente agli standard, un'omessa informazione (sulla possibilità di un arresto non a livello dell'ascensore), anche rispetto ad altri prodotto più efficienti, possa essere fonte di responsabilità risarcitoria.

Lasciamo questa suggestione per un eventuale prossimo approfondimento, non essendo questo il tema specifico trattato dalla sentenza annotata, non fosse altro che richiederebbe ulteriori considerazione e di valutare anche il possibile concorso colposo del danneggiato.

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