Legge - 21/01/1994 - n. 53 art. 3 bis
1. La notificazione con modalita' telematica si esegue a mezzo di posta elettronica certificata all'indirizzo risultante da pubblici elenchi, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. La notificazione puo' essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi. 1-bis. Fermo restando quanto previsto dal regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, in materia di rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato, la notificazione alle pubbliche amministrazioni è validamente effettuata presso l'indirizzo individuato ai sensi dell'articolo 16-ter, comma 1-ter, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 1. 2. Quando l'atto da notificarsi non consiste in un documento informatico, l'avvocato provvede ad estrarre copia informatica dell'atto formato su supporto analogico, attestandone la conformita' con le modalita' previste dall' articolo 196-undecies delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie. La notifica si esegue mediante allegazione dell'atto da notificarsi al messaggio di posta elettronica certificata 2. 3. La notifica si perfeziona, per il soggetto notificante, nel momento in cui viene generata la ricevuta di accettazione prevista dall' articolo 6, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68 , e, per il destinatario, nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna prevista dall' articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, fermo quanto previsto dall'articolo 147, secondo e terzo comma, del codice di procedura civile3 . 4. Il messaggio deve indicare nell'oggetto la dizione: «notificazione ai sensi della legge n. 53 del 1994». 5. L'avvocato redige la relazione di notificazione su documento informatico separato, sottoscritto con firma digitale ed allegato al messaggio di posta elettronica certificata. La relazione deve contenere: a) il nome, cognome ed il codice fiscale dell'avvocato notificante; [b) gli estremi del provvedimento autorizzativo del consiglio dell'ordine nel cui albo e' iscritto; ]4 c) il nome e cognome o la denominazione e ragione sociale ed il codice fiscale della parte che ha conferito la procura alle liti; d) il nome e cognome o la denominazione e ragione sociale del destinatario; e) l'indirizzo di posta elettronica certificata a cui l'atto viene notificato; f) l'indicazione dell'elenco da cui il predetto indirizzo e' stato estratto; g) l'attestazione di conformita' di cui al comma 25. 6. Per le notificazioni effettuate in corso di procedimento deve, inoltre, essere indicato l'ufficio giudiziario, la sezione, il numero e l'anno di ruolo. [1] Comma inserito dall'articolo 12, comma 1, lettera a), numero 1), del D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, con effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023, come stabilito dall'articolo 35, comma 1, del D.Lgs. 149/2022 medesimo, come modificato dall'articolo 1, comma 380, lettera a), della Legge 29 dicembre 2022, n. 197. [2] Comma modificato dall'articolo 19, comma 1-bis, del D.L. 27 giugno 2015 n. 83, convertito, con modificazioni, dalla Legge 6 agosto 2015, n. 132 e successivamente dall'articolo 12, comma 1, lettera a), numero 2), del D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, con effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023, come stabilito dall'articolo 35, comma 1, del D.Lgs. 149/2022 medesimo, come modificato dall'articolo 1, comma 380, lettera a), della Legge 29 dicembre 2022, n. 197. [3] Comma modificato dall'articolo 12, comma 1, lettera a), numero 3), del D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, con effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023, come stabilito dall'articolo 35, comma 1, del D.Lgs. 149/2022 medesimo, come modificato dall'articolo 1, comma 380, lettera a), della Legge 29 dicembre 2022, n. 197. [4] Lettera soppressa dall'articolo 46, comma 1, lettera b) del D.L. 24 giugno 2014, n 90, convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 agosto 2014, n. 114. [5] Articolo inserito dall'articolo 16-quater, comma 1, lettera d), del D.L. 18 ottobre 2012, n.179, come introdotto dall' articolo 1, comma 19, punto 2), della Legge 24 dicembre 2012, n. 228 con la decorrenza di cui al comma 3 del medesimo articolo 16-quater. I pubblici elenchiIl primo comma dell'articolo 3-bis, che nel suo complesso rappresenta la norma principale della l. 53/1994 in tema di notificazioni per via telematica, si occupa di definire due requisiti essenziali per il corretto perfezionamento della notifica a mezzo PEC, entrambi previsti — in virtù del disposto dell'art. 11 l. 53/1994 — a pena di nullità. Orbene l'indirizzo di posta elettronica del destinatario — in primis — nonché quello del Professionista mittente, debbono entrambi risultare da pubblichi elenchi. Di definire quali siano i pubblici elenchi utilizzabili ai fini della notificazione via PEC exl. 53/1994, si occupa l'art. 16-terd.l. 179/2012, il quale, in una prima formulazione, indicava i seguenti pubblici registri: a) ANPR (Anagrafe della popolazione nazionale) — introdotto dall'art. 4 del medesimo d.l. 179/2012 e ad oggi pressoché inutilizzato in quanto mai alimentato, lasciando di fatto inattuata la previsione normativa per cui detto elenco sarebbe dovuto entrare a regime dal 31 dicembre 2014. Oggi il predetto elenco è stato sosituito dall'INAD (Indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato non tenuti all'iscrizione in albi professionali o nel Registro Imprese) istituito ai sensi dell'art. 3-bis, comma 1-bis, del codice dell'amministrazione digitale, di cui al d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, che raccoglie l'elenco dei domicili digitali delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato non tenuti all'iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese ai sensi dell'art. 6-quater del medesimo decreto. Il predetto elenco al momento in cui si scrive non è ancora consultabile; b) Registro PP.AA. (Registro delle Pubbliche Amministrazioni) — introdotto dall'art. 16 comma 12 del d.l. 179/2012 e contenente gli indirizzi comunicati dalle PA al Ministero della Giustizia. Si tratta di un registro ad accesso limitato (per la consultazione è necessaria l'autenticazione tramite certificato CNS sul Portale dei Servizi Telematici) ed è purtroppo scarsamente alimentato; c) Registri detenuti da Ordini e Collegi Professionali; d) Registro delle imprese — tenuto presso le Camere di Commercio, peraltro ritenuto qualificabile dalla Suprema Corte come pubblico elenco ai sensi della l. n. 53/1994, anche prima dell'entrata in vigore dell'art. 16-ter d.l. 179/2012 (15 dicembre 2013) che ha puntualizzato la nozione dei pubblici elenchi per la consultazione degli indirizzi PEC da utilizzare per la notifica telematica (cfr. Cass. civ., 26 febbraio 2019, n. 5652)); e) IPA (Indice delle Pubbliche Amministrazioni) — previsto dall'art. 16, comma 8 del d.l. 185/2008 e contenente gli indirizzi PEC di tutte le Pubbliche Amministrazioni; f) INI-PEC (Indice Nazionale degli Indirizzi PEC) — previsto dall'art. 6-bis d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 e contenente gli indirizzi di professionisti ed imprese; g) ReGIndE (Registro Generale degli Indirizzi Elettronici) — contenente, in virtù delle specifiche tecniche DGSIA del 16 aprile 2014, gli indirizzi PEC di tutti i soggetti che vantino un accesso esterno ai registri di telematici di cancelleria, quali — ad esempio — Avvocati e Consulenti Tecnici. Questo originario elenco, come detto, è stato radicalmente modificato dal d.l. 90/2014, il quale ha eliminato il riferimento sia ai registri tenuti da Albi e Collegi professionali che quello al registro IPA. Benché la ragione che ha portato — per lo meno da un punto di vista formale — a tale taglio sia stata quella di snellire il numero di elenchi previsti dall'art. 16-ter, gli effetti — in realtà — sono stati per molti versi estremamente gravi (sul punto si veda V. Carollo, Lo stato dell'arte delle notifiche a mezzo PEC ad indirizzi non estratti da pubblici elenchi in Portale del Processo Telematico, Giuffrè, 2016). Se da un lato, infatti, l'eliminazione dei registri degli albi professionali non ha comportato alcun disservizio (tali dati sono ad oggi integralmente contenuti nel registro INI-PEC) dall'altro, l'esclusione del registro IPA, ha portato per lungo tempo importanti effetti negativi in ordine alla possibilità di notificare atti e provvedimenti nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni. Tuttavia, l'art. 28 del d.l. n. 76/2020 recante “Misure urgenti per la semplificazione e l'innovazione digitale” (c.d. d.l. semplificazioni) e convertito con la legge dell'11 settembre 2020, n. 120, in vigore dal 17 luglio 2020 è nuovamente intervenuto sulle notificazioni telematiche indirizzate alle pubbliche amministrazioni. In particolare, il predetto articolo è intervenuto nel modificare il comma 12 dell'art. 16 del d.l. n. 179/2012 con il quale si sancisce che “le amministrazioni pubbliche possono comunicare altresì gli indirizzi di posta elettronica certificata di propri organi o articolazioni, anche territoriali, presso cui eseguire le comunicazioni o notificazioni per via telematica nel caso in cui sia stabilito presso questi l'obbligo di notifica degli atti introduttivi di giudizio in relazione a specifiche materie ovvero in caso di autonoma capacità o legittimazione processuale. Per il caso di costituzione in giudizio tramite propri dipendenti, le amministrazioni pubbliche possono altresì comunicare ulteriori indirizzi di posta elettronica certificata, riportati in una speciale sezione dello stesso elenco di cui al presente articolo e corrispondenti a specifiche aree organizzative omogenee, presso cui eleggono domicilio ai fini del giudizio”. Inoltre, il decreto legge è andato a sostituire anche il comma 13 dell'art. 16 prevedendo che “in caso di mancata comunicazione ai sensi del comma 12, le comunicazioni e notificazioni a cura della cancelleria si effettuano ai sensi dei commi 6 e 8 e le notificazioni ad istanza di parte si effettuano ai sensi dell'art. 16-ter, comma 1-ter”. La profonda innovazione riguarda dunque le notificazioni telematiche a istanza di parte che, fermo restando quanto previsto dal r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, in materia di rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato, possono essere effettuate estrapolando l'indirizzo PEC dall'IPA (http://indicepa.gov.it). Infatti, il d.l. in parola è intervento modificando altresì l'articolo 16-ter del d.l. n. 179/2021 aggiungendo il comma 1-bis e stabilendo che, “in caso di mancata indicazione dell'indirizzo PEC della PA nell'elenco di cui all'art. 16, c. 12, la notificazione alle pubbliche amministrazioni degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale è validamente effettuata, a tutti gli effetti, al domicilio digitale indicato nell'elenco previsto dall'art. 6-ter del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, e, ove nel predetto elenco risultino indicati, per la stessa amministrazione pubblica, più domicili digitali, la notificazione è effettuata presso l'indirizzo di posta elettronica certificata primario indicato, secondo le previsioni delle Linee guida di AgID, nella sezione ente dell'amministrazione pubblica destinataria. Nel caso in cui sussista l'obbligo di notifica degli atti introduttivi di giudizio in relazione a specifiche materie presso organi o articolazioni, anche territoriali, delle pubbliche amministrazioni, la notificazione può essere eseguita all'indirizzo di posta elettronica certificata espressamente indicato nell'elenco di cui all'art. 6-ter del d.lgs. n. 82/2005, per detti organi o articolazioni”. Ne consegue che l'avvocato sarà in ogni caso tenuto a verificare la presenza dell'indirizzo PEC all'interno dell'indice PP.AA. consultabile dal portale dei servizi telematici (pst.giustizia.it); laddove però detto indirizzo non sia presente nell'elenco de quo non sarà costretto ad optare per una notificazione cartacea ma potrà utilizzare l'indirizzo primario dell'amministrazione presente sul registro IPA. Tuttavia, si rimarca l'attenzione sulla necessità da parte dell'avvocato di effettuare una preliminare verifica circa la presenza dell'indirizzo PEC della PA sul Registro PP.AA., in quanto, se questo fosse presente in detto registro e l'avvocato optasse malauguratamente per una notificazione indirizzata ad un indirizzo estratto dall'IPA, potrebbe profilarsi un caso di nullità. Sul punto la Suprema Corte con ordinanza del 25 agosto 2021 n. 23445 si è pronunciata su una notifica effettuata ad una pubblica amministrazione all'indirizzo estrapolato dall'IndicePA ritenendola valida qualora la Pubblica Amministrazione, anche con colpa, non abbia inserito il proprio registro di posta elettronica certificata nel ReGinDE. Tale normativa, in assenza di una indicazione in proposito e di una interpretazione autentica, non si applica alle notifiche effettuate in precedenza alla entrata in vigore. Come sopra evidenziato, infatti, la violazione della prescrizione di cui al primo comma dell'articolo in commento, comporterà la nullità della notificazione in virtù dell'art. 11 della l. n. 53/1994 e ciò non solo qualora, per effettuare una notificazione nei confronti di un'amministrazione pubblica, si utilizzi un indirizzo censito nel registro IPA ancorché presente nel registro PP.AA, ma anche qualora si utilizzi — ad esempio — un indirizzo PEC pubblicato da un'azienda sul proprio sito internet ma difforme da quello che, la medesima azienda, ha comunicato poi al Registro delle imprese e — di conseguenza — anche al Registro INI-PEC. Anzi, in tale ultimo caso potrebbe addirittura prospettarsi un caso di inesistenza della notificazione. Infatti, la lettura della norma in commento in combinato con quanto statuito dall'art. 11 della legge n. 53/1994 e dall'art. 16-ter del d.l. 179/2012, non potrà che portare alla logica conclusione che, una notifica effettuata ad un indirizzo PEC non risultante in alcun pubblico elenco, debba considerarsi nulla o, come visto, addirittura inesistente. Così si sono già espresse, oltre alla Suprema Corte, anche alcune Corti di merito, in primis il Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche presso la Corte d'Appello di Napoli con Ordinanza del 12 marzo 2015 e poi il Tribunale di Milano con Ordinanza del 23 giugno 2015. In entrambi i casi la Giurisprudenza ha rilevato il mancato perfezionamento della notificazione ma ha altresì ordinato la rinnovazione della stessa, permettendo — di fatto — al Difensore di parte notificante, di ovviare all'intervenuta nullità. Sul punto, per quanto le problematiche circa l'inutilizzabilità dell'IPA appaiono superate dall'evoluzione normativa, appare comunque opportuno richiamare in questa sede la giurisprudenza formatasi in vigenza della vecchia normativa. Riguardo al caso di notifica alla PA ad un indirizzo risultante dall'IPA il Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche presso la Corte di Appello Napoli, con ordinanza del 12 marzo 2015 ordinava la rinnovazione della notifica nelle forme tradizionali alla parte ricorrente che aveva notificato un ricorso in riassunzione alla Regione Campania ad indirizzo estratto dall'IPA. Appare poi calzante anche alla luce dell'evoluzione normativa il principio espresso dalla Suprema Corte, con sentenza del 9 gennaio 2019, n. 287, laddove gli Ermellini hanno affermato che la notificazione dell'atto introduttivo a mezzo PEC all'Avvocatura dello Stato è nulla se effettuata a un indirizzo contenuto nel registro IPA, anche considerando che il predetto indirizzo è diverso da quello istituito per il processo telematico e inserito nel Registro PA. Né è idonea a integrare un'ipotesi di errore incolpevole la circostanza meramente allegata che in altri processi l'Avvocatura si era regolarmente costituita (in senso conforme Cass. civ, 11 maggio 2018 n. 11574). Sempre secondo la Suprema Corte non è sanabile per raggiungimento dello scopo la notifica del provvedimento finale del giudizio effettuata direttamente al funzionario delegato della PA che sta in giudizio personalmente, e non agli indirizzi di posta elettronica certificata comunicati ai fini di comunicazioni e notificazioni (cfr. Cass. sez. lav., 24 maggio 2021, n. 14195). Tale conseguenza potrà inoltre verificarsi anche nella ipotesi di notifica ad imprese, laddove, come nel caso affrontato dall'ordinanza del Tribunale di Milano del 23 giugno 2015, la notificazione avvenga ad un indirizzo PEC risultante da semplice corrispondenza e non dal pubblico elenco INIPEC o visura camerale. Anche in tal caso il Tribunale di Milano, ritenendo la notifica non perfezionata, ha disposto la rinnovazione della notificazione dell'atto di citazione e dei successivi verbali, fissandosi nuova udienza di comparizione. In particolare il Tribunale di Milano ha ritenuto: « ...rilevato che ai sensi dell'art. 3-bis comma 1 della l. 53/1994 la notificazione con modalità telematica si esegue a mezzo posta elettronica certificata all'indirizzo risultante da pubblici elenchi; considerato che nel caso di specie l'indirizzo di posta elettronica certificata al quale risulta pervenuta la comunicazione email costituente notifica non corrisponde a quello risultante dai pubblici elenchi, ove figura un altro indirizzo pec inattivo; ritenuto quindi che la notifica non possa ritenersi perfezionata, dispone la rinnovazione della notificazione dell'atto di citazione e dei successivi verbali... ». Sul punto la Cassazione con ordinanza del 15 settembre 2021 n. 24048 ha dichiarato nulla la notifica effettuata ad un indirizzo PEC estrapolato dal sito web del destinatario diverso da quello risultante dal Reginde. Con ordinanza del 30 maggio 2022, n. 17464 la Suprema Corte ha invece sancito che la notifica di un atto non processuale può essere eseguita personalmente alla società intimata all'indirizzo PEC risultante dal Registro delle imprese, essendo tale indirizzo assimilabile alla sua sede legale.Sempre in materia di notifica ad imprese il Tribunale di Bologna, con sentenza del 29 marzo 2022, n. 824 ha sancito che la notifica degli atti mediante PEC deve eseguirsi “esclusivamente” all'indirizzo risultante dai pubblici elenchi quali individuati dall'art. 16-ter, comma 1, d.l. n. 179/2012.
In tema di notifiche all'Avvocatura dello Stato invece la Suprema Corte con ordinanza interlocutoria del 16 giugno 2022 n. 19352 ha ribadito che la notificazione del ricorso presso un indirizzo di posta elettronica dell'Avvocatura dello Stato diverso da quello inserito nel ReGIndE non è idonea ad una corretta istaurazione del contraddittorio, e va pertanto dichiarata la nullità disponendo la rinnovazione della notificazione stessa presso l'Avvocatura Generale presso l'indirizzo PEC risultante dal ReGIndE. Logicamente, vi è infine da precisarlo, tali pronunce sono maturate in procedimenti ove la parte che ha ricevuto la notificazione non si è poi costituita o presentata in udienza posto che, in virtù del chiaro disposto dell'art. 156 c.p.c. e della maggiore giurisprudenza in tema di notificazioni, la costituzione avrebbe in ogni caso sanato la nullità della notificazione per raggiungimento dello scopo da parte dell'atto notificato. In particolare hanno creato molto clamore le pronunce della Suprema Corte di Cassazione n. 3709/2019 e n. 24160/2019, quest'ultima fortunatamente oggetto di procedimento di correzione di errore materiale conclusosi con l'ordinanza 15 novembre 2019 n. 29749. La pronuncia n. 3709/2019 enunciava, infatti, il seguente principio di diritto: “Il domicilio digitale previsto dal d.l. n. 179 del 2012, art. 16-sexies, conv. con modif. in l. n. 221 del 2012, come modificato dal D.L. n. 90 del 2014, conv., con modif., in l. n. 114 del 2014, corrisponde all'indirizzo PEC che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell'Ordine di appartenenza e che, per il tramite di quest'ultimo, è inserito nel Registro Generale degli Indirizzi Elettronici (ReGIndE) gestito dal Ministero della giustizia. Solo questo indirizzo è qualificato ai fini processuali ed idoneo a garantire l'effettiva difesa, sicché la notificazione di un atto giudiziario ad un indirizzo PEC riferibile — a seconda dei casi — alla parte personalmente o al difensore, ma diverso da quello inserito nel ReGIndE, è nulla, restando del tutto irrilevante la circostanza che detto indirizzo risulti dall'Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica Certificata (INI-PEC).” Come poi rilevato a seguito della correzione per errore materiale la Corte ha erroneamente scambiato il registro INI-PEC, espressamente annoverato all'interno dell'art. 16-ter d.l. n. 179/2012 fra i pubblici elenchi utilizzabili per le notificazioni in proprio via PEC exL. 53/1994, con il registro IPA (indice delle pubbliche amministrazioni), che, come si è detto, non è più considerato pubblico elenco valido per le notificazioni in proprio a mezzo PEC. Per molti mesi, tuttavia, l'incertezza generata dal predetto errore materiale, ha posto numerosi dubbi sulla sorte delle notifiche effettuate ad indirizzi estrapolati dal registro INI-PEC, soprattutto perché non è raro imbattersi in soggetti che non abbiano il proprio indirizzo censito nel ReGIndE, quali ad esempio imprese e professionisti diversi da avvocati e consulenti tecnici d'ufficio. Successivamente alla predetta pronuncia, sono intervenute numerose voci di protesta ed in particolare associazioni quali il Centro Studi Processo Telematico, numerosi Consigli degli Ordini ed infine il CNF che, tramite il Presidente Mascherin, ha fatto pervenire al Primo Presidente della Corte di Cassazione la seguente missiva: “Illustre Primo Presidente, ritengo doveroso attirare la Sua attenzione sulla sentenza n. 3709/2019 della III sezione di codesta Corte pubblicata l'8.2.2019, in materia di notifiche telematiche a mezzo PEC. In essa infatti si afferma il principio di diritto per il quale in tema di notifiche telematiche solo l'indirizzo tratto dal Registro generale degli Indirizzi Elettronici — ReGindE — sarebbe idoneo a produrre effetti, con esclusione di ogni diverso indirizzo anche se tratto dall'Indice Nazionale degli indirizzi di posta certificata (INI-PEC). Tale sentenza, anche alla luce delle difese svolte in corso di causa, pare contenere un errore materiale, laddove si sostiene la nullità delle notifiche effettuate ad un indirizzo estratto da INI-PEC: in realtà la decisione intendeva far riferimento alla nullità di un indirizzo estratto dall'Indice delle Pubbliche Amministrazioni —iPA, come peraltro emerge dall'esame del contesto della parte motiva. Infatti mentre INI-PEC è espressamente qualificato dal Codice dell'Amministrazione Digitale come pubblico elenco, dal quale è pertanto possibile estrarre l'indirizzo PEC ai sensi dell'art. 3-bis della l. n. 53/ 1994), tale non è l'iPA. E la circostanza è incontroversa sia in punto di fatto che di diritto anche secondo quanto affermato in precedenti sentenze di codesta Corte. Superfluo precisare quali possano essere le immediate ripercussioni negative in tema di notifica telematica. Auspico pertanto che Ella possa valutare le modalità di intervento idonee a porre rimedio all'accaduto, confermandoLe la disponibilità del Consiglio Nazionale Forense ad assumere le necessarie iniziative.” Fortunatamente pur essendosi susseguite ulteriori pronunce viziate da errore materiale, ovvero l'ordinanza n. 24160 del 27 settembre 2019 che richiamava pedissequamente il principio enunciato dalla sentenza 3709/2019, oltre ad un pericoloso precedente di merito del Tribunale di Cosenza che, con ordinanza del 1° marzo 2019, rigettava l'esecutorietà di un decreto ingiuntivo notificato ad un indirizzo estrapolato da INI-PEC, la cui utilizzabilità è stata comunque ribadita in altre pronunce della suprema corte tra cui la n. 9893/2019 emessa della sesta sezione della Corte di Cassazione. Nel caso di specie, la Suprema Corte ha dichiarato la validità di una notificazione via PEC — in materia fallimentare — effettuata a indirizzo estratto dal registro INIPEC: “Invero, è incontroverso che il menzionato ricorso di fallimento della [omissis] fu ritualmente notificato, unitamente al pedissequo decreto di fissazione dell'udienza prefallimentare, a cura della cancelleria dell'adito tribunale, L. fall. ex art. 15, comma 3, (come sostituito dal d.l. n. 179 del 2012, art. 17, comma 1, lett. a), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 221 del 2012, qui applicabile ratione temporis), all'indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) della debitrice — [omissis] risultante dall'indice nazionale degli indirizzi di Posta Elettronica Certificata (INIPEC) istituito dal Ministero dello Sviluppo Economico, entro l'anno dall'avvenuta cancellazione (in data 8 settembre 2016) della predetta società dal Registro delle Imprese”. Inoltre, i principi enunciati nelle richiamate pronunce devono essere riletti alla luce della rettifica contenuta nell'ordinanza del 15 novembre 2019, n. 29749. In detta ordinanza, infatti, la Corte rileva che l'errore materiale interessa la parte in cui l'ordinanza sopracitata, pur assumendo una condivisibile “inidoneità soggettiva” del registro INI-PEC da giustificarsi con esclusivo riferimento alla qualità del soggetto destinatario della notifica (un magistrato del Tribunale di Firenze), ha poi riferito l'inidoneità al registro INIPEC nella sua oggettività, indicandolo espressamente come “dichiarato non attendibile” dalla Cass. civ., n. 3709/19. Nell'ordinanza di correzione si sottolinea che, nella pronuncia n. 24160, la Corte avrebbe voluto solo evidenziare che le due notifiche del ricorso indirizzate al magistrato destinatario (sia come domiciliato presso un indirizzo INI-PEC riferito al Tribunale di Firenze, sia come domiciliato presso un indirizzo estratto dal REGINDE) riguardavano indirizzi soggettivamente non riferibili quali pretesi luoghi di elezione di domicilio al magistrato. La Corte ritiene, infatti, che l'affermazione generica della inattendibilità di quello che comunemente viene definito elenco INI-PEC, quale obiter dictum che, pur in apparenza in linea con il precedente, isolato, n. 3709 del 2019, non è suscettibile di mettere in discussione il principio, enunciato dalle Sezioni Unite n. 23620/2018 (ma nello stesso senso, già Cass. civ. n. 30139/2017), per cui « in materia di notificazione al difensore, in seguito all'introduzione del “domicilio digitale”, previsto dall'art. 16-sexies del d.l. n. 179/2012, conv. con modif. dallal. n. 221/2012, come modificato dald.l. n. 90/2014, conv. con modif. dallal. n. 114/2014, è valida la notificazione al difensore eseguita presso l'indirizzo PEC risultante dall'albo professionale di appartenenza, in quanto corrispondente a quello inserito nel pubblico elenco di cui all'art. 6-bis del d.lgs. n. 82/2005, atteso che il difensore è obbligato, ai sensi di quest'ultima disposizione, a darne comunicazione al proprio ordine e quest'ultimo è obbligato ad inserirlo sia nei registri INI PEC, sia nel ReGindE, di cui ald.m. 21 febbraio 2011 n. 44, gestito dal Ministero della Giustizia. Pertanto le sopracitate ordinanze, alla luce della correzione di errore materiale effettuata, oltre a ribadire inequivocabilmente la validità del registro INI-PEC ai fini delle notificazioni in proprio ai sensi della legge 53 del 1994, hanno sancito che per la validità delle notifiche alle pubbliche amministrazioni gli unici elenchi utilizzabili sono il ReGinDE ed il registro P.P.A.A. presente sul portale dei servizi telematici, a cui oggi è possibile affiancare l'IPA solo laddove le PA omettano di comunicare al Ministero della Giustizia il proprio indirizzo PEC, come peraltro già ribadito dalla Suprema Corte (cfr. Cass. civ., 5 aprile 2019, n. 9562 (conforme a Cass. civ., 11 maggio 2018, n. 11574; Cass. civ., 25 maggio 2018, n. 13224) In particolare, relativamente all'articolo in commento, e sempre con riferimento alla precedente normativa, è di particolare interesse la sentenza 5 aprile 2019 n. 9562, laddove la corte analizza il rapporto fra registri PEC che annoverino diversi indirizzi, facenti però capo al medesimo soggetto. La questione si incentra infatti sulla validità della notificazione — effettuata dal ricorrente nei confronti dell'INPS — a seguito di espressa ordinanza della Corte d'Appello di Bari che disponeva il rinnovo della notifica alla sede romana dell'INPS. Nel caso di specie, il legale del ricorrente provvedeva alla notificazione cartacea alla sede INPS di Bari e via PEC alla sede INPS di Roma ma, come si intuisce dalla lettura della pronuncia, senza indicare in relata il registro da cui avrebbe provveduto a reperire l'indirizzo di Posta Elettronica Certificata. La Suprema Corte ha evidenziato la carenza di specificità in relazione alla presunta valida notifica mediante PEC, poiché non era stato dedotto che l'indirizzo al quale veniva inviata la notifica fosse quello risultante dal Registro Generale degli indirizzi elettronici (ReGindE), né era stata prodotta copia di detto registro. Tale punto è assolutamente criticabile nella parte in cui fa riferimento alla mancata produzione dell'estratto del registro poiché, come noto, il difensore che effettua la notificazione in proprio a mezzo PEC è Pubblico Ufficiale in virtù dell'espresso disposto dell'art. 6 della legge n. 53/1994 e — di conseguenza — non necessita (a meno che non sia stata proposta querela di falso) di provare ulteriormente la presenza dell'indirizzo utilizzato all'interno del registro PEC di riferimento. Tuttavia, dalla lettura della pronuncia sembrerebbe che il legale del ricorrente abbia omesso — all'interno della relata di notificazione — l'indicazione espressa del registro da cui veniva estrapolato l'indirizzo, rendendo quindi pienamente condivisibile la censura della Suprema Corte. Infatti, l'indicazione del registro PEC utilizzato per reperire l'indirizzo, è espressamente richiesta dall'articolo in commento e la mancata indicazione è sanzionata con la nullità — oltretutto rilevabile ex officio — ai sensi dell'art. 11 della medesima legge che così recita: “Le notificazioni di cui alla presente legge sono nulle e la nullità è rilevabile d'ufficio, se mancano i requisiti soggettivi e oggettivi ivi previsti, se non sono osservate le disposizioni di cui agli articoli precedenti e, comunque, se vi è incertezza sulla persona cui è stata consegnata la copia dell'atto o sulla data della notifica”. La pronuncia in esame, però, risulta di particolare interesse anche perché analizza il rapporto che intercorre fra i vari pubblici registri utilizzabili ai fini delle notificazioni a mezzo PEC ai sensi dell'articolo in commento. La Suprema Corte, riprendendo due precedenti orientamenti della medesima sezione, evidenzia come: “In tema di notificazione a mezzo PEC, ai sensi del combinato disposto dell'art. 149-bis c.p.c. e dell'art. 16-ter del d.l. n. 179 del 2012, introdotto dalla legge di conversione n. 221 del 2012, l'indirizzo del destinatario al quale va trasmessa la copia informatica dell'atto è, per i soggetti i cui recapiti sono inseriti nel Registro generale degli indirizzi elettronici gestito dal Ministero della giustizia (Reginde), unicamente quello risultante da tale registro. Ne consegue, ai sensi dell'art. 160 c.p.c., la nullità della notifica eseguita presso un diverso indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario”. Gli Ermellini, ribadiscono la presenza di una gerarchia fra i registri PEC, incentrata sulle specialità e specificità di ciascun registro. Potrebbe ben capitare — difatti — che uno stesso soggetto abbia più indirizzi censiti all'interno di altrettanti registri PEC. Normalmente tali indirizzi collimano, ciò in virtù della presenza di un medesimo organismo trasmittente; nel caso degli avvocati — ad esempio — sia il ReGIndE che l'INI-PEC sono alimentati dall'Ordine di appartenenza e quindi sarà quanto mai rara una discrepanza fra detti registri, il medesimo ragionamento — però — non può essere replicato per altre categorie di soggetti come, sempre ad esempio, alcuni Consulenti Tecnici di Ufficio che, magari, appartengono a Ordini o Collegi che non provvedono direttamente alla comunicazione degli indirizzi PEC. Orbene, in caso di difformità, la Corte di Cassazione ritiene che il ReGIndE debba considerarsi prevalente per i soggetti censiti nel registro medesimo, poiché specificatamente creato per censire i soggetti che siano presenti, indipendentemente dal ruolo, all'interno del processo. Nel caso di specie, però, vi è da evidenziare un piccolo errore — probabilmente di carattere materiale — posto in essere dagli Ermellini in fase di redazione della pronuncia. La Suprema Corte, infatti, cita il proprio precedente di cui alla sentenza n. 11574 del 2018 nella quale la controparte del giudizio era l'Avvocatura dello Stato che — come è noto — è censita all'interno del ReGIndE in quanto soggetto attivo in ambito giudiziale; lo stesso — però — non può dirsi per l'INPS (controparte nel caso di specie) che dovrebbe invece essere censita all'interno del registro PP.AA. che raccoglie gli indirizzi PEC delle Pubbliche Amministrazioni. Tralasciando, in ogni caso, l'errore materiale de quo, la pronuncia rimane certamente di primario interesse sia per quanto riguarda l'ambito delle nullità in materia di notificazione, sia per i rapporti di gerarchia e specialità che possono sussistere fra i vari registri di posta elettronica certificata. Tuttavia, circa l'utilizzabilità del registro IPA, prima dell'avvento del d.l. 16 luglio 2020, n. 76 (c.d. Decreto Semplificazioni), appare opportuno segnalare in questa sede una giurisprudenza più innovativa, che seppur minoritaria ha contributo ad aprire la strada alle modifiche normative soprammenzionate. Infatti, con l'ordinanza dell'8 dicembre 2016 il Tribunale di Milano ha ritenuto valida la notificazione effettuata ad un'amministrazione pubblica all'indirizzo PEC censito nel registro IPA, benché il medesimo indirizzo non fosse anche censito nel registro PP.AA., ritenendo nello specifico che: “anche se il registro indicato dal difensore non fosse questo [Registro PP.AA. n.d.r.], ma il registro IPA, che era indicato fra gli elenchi pubblici sino al 18 agosto 2014 ed è pubblicamente consultabile all'indirizzo http://www.indicepa.gov.it/documentale/index.php, la notifica dovrebbe intendersi comunque valida”. Difatti sotto un primo profilo l'elenco oggi indicato dall'art. 16 comma 12 d.l. 179/2012 non è pubblico, ma esplicitamente ristretto alla consultazione “esclusivamente dagli uffici giudiziari, dagli uffici notificazioni. esecuzioni e protesti, e dagli avvocati”; soprattutto, sotto un secondo profilo, se imperativa ed esclusiva è la prescrizione di utilizzare un pubblico registro, non “esclusiva” è invece la elencazione dei pubblici registri, che deve ritenersi essere fondata più sul carattere della pubblica riconducibilità dell'indirizzo al soggetto, per sua dichiarazione, che su una elencazione tassativa. L'indicazione nell'IPA, questo sì di carattere pubblico, è difatti operata dalla PA che deve aver previamente aperto la casella e che con la pubblicazione ne assume la riferibilità. Tale precedente si pone dunque in forte contrasto con la giurisprudenza formatasi negli ultimi anni, che benché non particolarmente copiosa, è in prevalenza chiara nell'escludere la validità della notificazione fatta ad un indirizzo PEC contenuto nell'IPA e non nel registro PPAA. Ciò ovviamente prima per fattispcecie antecedenti alle modifiche normative esaminate nel presente commento. Tuttavia, un'apertura all'utilizzo di registri diversi da quelli indicati nell'articolo in commento la si ritrovava anche in una isolata giurisprudenza della Suprema Corte che, con ordinanza del 1° ottobre 2018, n. 23738 aveva sancito il seguente principio: “Alla stregua del criterio di residualità delle ipotesi di inesistenza della notifica (Cass. civ., sez. un. n. 14916/2016), il vizio della notifica a mezzo PEC derivante dall'essere stata la stessa effettuata presso un indirizzo di posta elettronica diverso da quello risultante dal RegInde determina la nullità, e non l'inesistenza della stessa, con conseguente applicabilità del principio della sanatoria per raggiungimento dello scopo di cui all'art. 156 c.p.c.”. Nel precedente sopra richiamato, la parte aveva notificato il decreto di liquidazione in una procedura per equa riparazione all'Avvocatura dello Stato, presso l'indirizzo PEC di quest'ultima tratto dall'Indice degli indirizzi delle pubbliche amministrazioni (IPA), quale previsto dal codice dell'amministrazione digitale (art. 57-bis d.lgs. n. 82/2005, vigente al tempo dell'adempimento), e non presso il diverso indirizzo della stessa Avvocatura contenuto nel c.d. RegInde di cui all'art. 3-bis, l. n. 53/1994 e art. 16-ter, d.l. n. 179/2012, convertito con la legge n. 221/2012. La Corte d'Appello, investita della opposizione proposta dall'Avvocatura, dichiarava l'inefficacia del decreto, qualificando il vizio della notificazione in termini di inesistenza. Ebbene, la Suprema Corte, nel riformare il verdetto della Corte territoriale, ritiene la predetta notifica affetta non da inesistenza bensì da nullità e pertanto ritenuta suscettibile di applicazione del principio del raggiungimento dello scopo. Secondo dottrina (Nardelli), appare condivisibile la conclusione contraria alla tesi della inesistenza, sia perché la sanzione processuale della nullità è espressamente prevista dal dato normativo, e sia perché l'indirizzo PEC tratto dal registro Ipa non è comunque privo di collegamento con la parte destinataria della notificazione, non consentendo quindi di affermare che ci si trovi di fronte a un “non atto”, rammentandosi in proposito quanto già affermato, in motivazione, da Sez. Un., 20 luglio 2016, n. 14916, laddove è stato chiarito che « l'inesistenza della notificazione è configurabile, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell'atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un'attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile quell'atto. L'inesistenza non è, dunque, in senso stretto, un vizio dell'atto più grave della nullità, poiché la dicotomia nullità/inesistenza va, alla fine, ricondotta alla bipartizione tra l'atto e il non atto », e laddove soprattutto è stato chiarito che « Le forme degli atti, cioè, sono prescritte al fine esclusivo di conseguire un determinato scopo, coincidente con la funzione che il singolo atto è destinato ad assolvere nell'ambito del processo, e così, in definitiva, con lo scopo ultimo del processo, consistente nella pronuncia sul merito della situazione giuridica controversa: che il principio del “giusto processo”, di cui all'art. 111 Cost. ed all'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, comprenda, tra i valori che intende tutelare (oltre alla durata ragionevole del processo, all'imparzialità del giudice, alla tutela del contraddittorio, ecc.), il diritto di ogni persona ad un “giudice” che emetta una decisione sul merito della domanda ed imponga, pertanto, all'interprete di preferire scelte ermeneutiche tendenti a garantire tale finalità, costituisce affermazione acquisita nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass., sez. un., n. 15144 del 2011, n. 17931 del 2013, n. 5700 del 2014, nonché Cass. nn. 3362 del 2009, 14627 del 2010, 17698 del 2014, 1483 del 2015), anche alla luce di quella della Corte EDU, la quale ammette limitazioni all'accesso ad un giudice solo in quanto espressamente previste dalla legge ed in presenza di un rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e Io scopo perseguito, ponendo in rilievo la esigenza che tali limitazioni siano stabilite in modo chiaro e prevedibile ». Ulteriori profili di apertura sulle notifiche effettuate alle PA estraendo il relativo indirizzo dall'IPA, li ritroviamo nella giurisprudenza amministrativa, dove alcune pronunce hanno comunque riconosciuto l'errore scusabile e rimesso il ricorrente in termini per la notifica, per poi affermare espressamente la validità della notificazione effettuata a un indirizzo estratto dall'IPA. Su quest'ultimo punto, si segnala la sentenza del Consiglio di Stato V, 12 dicembre 2018 n. 7026 che ha riconosciuto l'ammissibilità della notifica telematica a un indirizzo contenuto nell'IPA. Il principio fa leva sui concetti di autoresponsabilità e legittimo affidamento ai quali deve uniformarsi la condotta della P.A., deducendosi che, a fronte del disposto normativo che pone a carico di quest'ultima l'obbligo (disatteso) di indicare un indirizzo PEC da inserire nel registro PPAA, l'Amministrazione non può trincerarsi dietro a un proprio inadempimento per trarre da ciò benefici in termini processuali. Ciò, secondo il Supremo Collegio, impedisce di fatto alla controparte di effettuare la notifica nei suoi confronti con modalità telematiche. Alcuni commentatori (cfr. Calorio in nota a Cass. civ. 9 gennaio 2019, n. 287 in processotelematico.it) ritengono che l'IPA sia a tutti gli effetti considerato dalla giurisprudenza amministrativa, quale pubblico elenco in via generale e, come tale, utilizzabile ancora per le notificazioni alle P.A. Tale conclusione viene affermata, tuttavia, prevalentemente per i casi in cui la P.A. è rimasta inadempiente al proprio obbligo di indicare un indirizzo PEC da inserire nel registro tenuto dal Ministero della Giustizia. Peraltro in una recente sentenza del Consiglio di Stato, sia pure a livello di obiter dictum, è stato affermato che “dall'eventuale assenza nell'elenco ufficiale dell'indirizzo PEC di una Pubblica Amministrazione non potrebbero comunque derivare preclusioni processuali per la parte privata” (Cons. Stato, 5 febbraio 2018, n. 744). Un ulteriore interessante precedente sempre proveniente dalla giustizia amministrativa è quello del TAR Sicilia sez. Catania sentenza n° 1426/2019. Nel caso di specie, l'Unione Nazionale degli Avvocati Amministrativisti, l'Associazione Camera Amministrativa Siciliana, e molti Avvocati personalmente, hanno proposto ricorso contro il Comune di Catania per “l'accertamento dell'inottemperanza del Comune di Catania (CT) rispetto all'obbligo di comunicare al Ministero della Giustizia un valido indirizzo di posta elettronica certificata ove ricevere le comunicazioni e le notificazioni al fine di farlo inserire nell'apposito elenco di cui all'art. 16 comma 12 del d.l. n. 179/2012, nonché per l'accertamento della fondatezza dell'istanza presentata dai ricorrenti nei confronti del suddetto Comune, con la conseguente condanna per l'amministrazione inadempiente a provvedere entro un termine non superiore a giorni trenta, con contestuale nomina di un commissario ad acta in caso di perdurante inadempimento.” Il Tribunale Amministrativo ha dichiarato cessata la materia del contendere avendo — il Comune di Catania — medio tempore provveduto all'iscrizione di un proprio indirizzo PEC nel registro PP.AA. Ciò posto, sempre ad avviso del Tribunale siciliano, gli enti avrebbero dovuto — come previsto dalla norma — dare comunicazione del proprio indirizzo di posta certificata entro il 30 novembre 2014 e quindi “è di tutta evidenza come il contegno omissivo serbato dall'Amministrazione rispetto all'obbligo di comunicazione dell'indirizzo PEC sancito dalla predetta norma, pur non precludendo radicalmente la notifica dell'atto processuale (residualmente possibile, infatti, mediante le tradizionali modalità cartacee), vanifichi il raggiungimento degli obiettivi di digitalizzazione della giustizia posti dal legislatore, rispetto ai quali la telematizzazione delle comunicazioni funge da fattore trainante. Una tale inerzia, come puntualmente rappresentato nella diffida del 26 ottobre 2017, non potendo trovare ammissibile giustificazione in ragioni di carattere organizzativo, si riverbera d'altra parte negativamente sulla generalità degli operatori del processo amministrativo. Costoro, che prima della novella del 2014 avrebbero potuto comunque giovarsi di una modalità di comunicazione telematica rappresentata dalla notifica presso l'indirizzo PEC estratto dal registro IPA, attualmente, in caso di inerzia della PA nella comunicazione dell'indirizzo ex art. 16, co. 12, cit., potranno ricorrere esclusivamente alle tradizionali modalità di notifica cartacee, con un aggravio in termini materiali ed economici e in spregio alla normativa vigente e in particolare all'art. 16, comma 12, del d.lgs. 179/2012.” Per tali ragioni, pur essendo — come detto — nel frattempo cessata la materia del contendere, il TAR Sicilia ha comunque condannato il Comune di Catania alla refusione delle spese di giudizio. Un ulteriore precedente sempre mutuato dalla giustizia amministrativa è quello del TAR Piemonte che, con sentenza del 27 settembre 2017, n. 1066 ha accolto un'istanza di accesso agli atti, ritenendo sussistente il diritto di visionare ed estrarre copia dei documenti conservati dal Comune, in capo alla parte, coinvolta in altra vertenza, in cui l'Ente abbia eccepito la nullità della notifica dell'atto introduttivo del giudizio. Infatti, secondo il TAR piemontese, la Pubblica Amministrazione, secondo un principio consolidato in giurisprudenza, deve consentire l'accesso al documento se questo contiene notizie e dati che, secondo l'esposizione dell'istante ed alla luce di un esame oggettivo, attengano alla situazione giuridica tutelata, fondandola, integrandola, rafforzandola o citandola, ovvero con essa interferiscano, ledendola, diminuendone gli effetti o ancora documentino parametri, criteri e giudizi rilevanti al fine di individuare il metro di valutazione utilizzato. Conseguentemente, accertato il collegamento, ogni altra indagine sull'utilità ed efficacia in chiave difensiva del documento o sull'ammissibilità o tempestività della domanda di tutela prospettata è sicuramente ultronea, così come è ultronea l'indagine sulla natura degli strumenti di tutela disponibili poiché essi possono essere giurisdizionali, ma anche amministrativi e di natura non rimediale (Cons. Stato n. 1211/2014). La questione appare di particolare interesse ai fini della presente analisi. Infatti, la società vittoriosa in primo grado, riceveva in sede di appello contestazione circa la validità della propria notifica telematica dell'atto di citazione introduttivo dell'originaria vertenza di primo grado, ciò in quanto l'appellante, Ente Locale, riferiva la mancata inclusione, nell'elenco pubblico di cui all'art. 16-ter d.l. n. 179/2012, dell'indirizzo PEC ove veniva effettuata, lamentando dunque la nullità della notifica effettuata ad indirizzo non risultante da pubblico registro e conseguentemente richiedendo alla Corte di Appello la riforma dell'impugnata sentenza. In ragione di ciò, la ricorrente presentava all'Ente appellante mediante raccomandata domanda di accesso ai documenti amministrativi exl. n. 241/1990, richiedendo espressamente le note e/o informazioni di registrazione a Protocollo e segnatura sul documento in questione in riferimento alla ricezione della notifica effettuata in relazione alla causa di primo grado. A tale richiesta, il Comune formulava risposta negativa, affermando che la medesima istanza avesse natura generica ed esplorativa, altresì rilevando carenza di interesse dell'istante ad ottenere quanto richiesto, avendo il legale attestato sotto la propria responsabilità l'avvenuta notificazione per via digitale dell'atto in questione. In motivazione veniva statuita la fondatezza del ricorso, meritevole di accoglimento, poiché: « l'interesse attuale e concreto all'accesso al documento in capo alla società ricorrente discende dalla titolare del rapporto, prima contrattuale e poi processuale, con il Comune convenuto », ciò, secondo un principio consolidato in giurisprudenza (Cons. Stato, sez. IV, 13 maggio 2014 n. 1211), per cui la PA deve consentire l'accesso al documento contenente notizie e dati che secondo l'esposizione dell'istante attengano alla situazione tutelata, oppure interferiscano con la stessa o anche documentino aspetti circa le valutazioni effettuate dalla PA: con la conseguenza che una volta accertato il collegamento, ogni ulteriore indagine circa utilità ed efficacia del documento, ammissibilità o tempestività della richiesta, è da intendersi ultronea. Sicché nel caso, « l'istanza di accesso presentata è puntuale e ben circoscritta, poiché a fronte del motivo di appello avversario costituito dall'eccepita nullità della notifica dell'atto introduttivo del giudizio, viene richiesta la visione delle risultanze documentali del Protocollo, con riferimento ad una data determinata ». La conseguenza giuridica finale è dunque l'accoglimento del ricorso, con condanna dell'Ente al pagamento alle spese processuali ed ordine al medesimo di consentire l'accesso al documento mediante visione ed estrazione di copia come da richiesta della ricorrente. In ambito processuale, si evidenzia come di principale interesse, per le ricadute sull'intero Processo Telematico, è la questione relativa al mancato utilizzo, per le notifiche via PEC, di un indirizzo collocato nel registro pubblico previsto dalla legge (nel caso di specie, il registro di cui all'art. 16-ter d.l. n. 179/2012, quale ad esempio il Registro delle PA tenuto dal Ministero della Giustizia), ma presente su altro Registro (nel caso, il Registro IPA, oggetto della celebre Nota del Dipartimento Affari di Giustizia del 20 giugno 2016). La sentenza del TAR Piemonte analizza la questione del diritto di accesso e ritiene, in ossequio all'orientamento giurisprudenziale maggioritario, meritevole di accoglimento la richiesta avanzata da un soggetto, parte sostanziale e processuale in altri rapporti con l'Ente oggetto della medesima domanda, in quanto strettamente correlata ad un interesse concreto ed attuale, non essendo necessitato lo svolgimento di ulteriori valutazioni circa l'utilità ed efficacia in sede di strategia processuale del documento così acquisito. Viene infatti dato risalto, ai fini della valutazione di tale interesse, ad alcuni aspetti: • sussistenza della titolarità di un rapporto, contrattuale e processuale, tra parte istante ed Ente; • attinenza delle notizie o dei dati alla situazione giuridica, sotto un profilo di carattere positivo (circostanze in grado di fondare, integrare, rafforzare o anche solo citare la posizione della parte), negativo (circostanze in grado di interferire, ledere o diminuire l'efficacia di quanto fatto valere dalla parte) oppure meramente fattuale (quale un dato documentale relativo a parametri, criteri e giudizi applicati per valutare la fattispecie); • non rilevanza di ulteriori indagini circa il merito della richiesta ed in particolare, con riguardo ad utilità ed efficacia in chiave difensiva del documento richiesto, ammissibilità e tempestività della richiesta stessa, possibilità di ricorrere ad altri strumenti giurisdizionali ed amministrativi; • modalità di svolgimento dell'istanza, puntuale e circoscritta, poiché riferita alla richiesta di visione delle risultanze documentali del Protocollo con riguardo ad una data determinata ed in ragione del motivo di appello presentato dal Comune. Da ciò discende conseguentemente l'autorizzazione in capo all'istante ad accedere alle informazioni richieste, riguardanti il Protocollo Informatico del Comune ed i relativi dati, generati dalla ricezione della notifica a mezzo PEC presso un indirizzo reperito sull'Indice delle Pubbliche Amministrazioni. Si può dunque concludere che, il tentativo portato avanti con la richiesta di accesso agli atti, fosse mirato a dimostrare la eventuale acquisizione della notifica stessa nel protocollo informatico e di conseguenza della effettiva conoscenza da parte dell'amministrazione. Non è raro, infatti, che la mancata costituzione da parte della PA nel giudizio civile derivi da una vera e propria scelta, dettata dalla altissima probabilità che quella notifica, effettuata ad un indirizzo non censito nel registro PP.AA., possa venir dichiarata nulla. Com'è noto, infatti, la giurisprudenza più recente della Suprema Corte ha esteso anche alle notifiche in proprio a mezzo PEC il principio del raggiungimento dello scopo sancendo che la nullità non può essere dichiarata tutte le volte che l'atto, malgrado l'irritualità della notificazione, sia venuto a conoscenza del destinatario (cfr. Cass. civ. sez. un., n. 7665/2016). Secondo la Suprema Corte sarebbe dunque inammissibile l'eccezione con la quale si lamenti un mero vizio procedimentale, senza prospettare anche le ragioni per le quali l'erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o possa comportare altro pregiudizio per la decisione finale della corte. Appare evidente dunque come, la costituzione della PA avrebbe fatto venir meno la possibilità di dichiarare la nullità della notifica. Prima che entrassero in vigore le modifiche normative che ora consenton l'utilizzo dell'IPA, sia pur con la cautele esposte, il tema su cui interrogarsi era dunque se, in assenza di costituzione della PA, la prova del raggiungimento dello scopo dell'atto potesse desumersi da eventi diversi dalla costituzione in giudizio, quali ad esempio la protocollazione dell'atto. Ebbene, a detta del ricorrente, tale protocollazione dimostrerebbe in maniera inequivocabile l'ingresso di quell'atto nella sfera giuridica della PA destinataria. La tesi è stata però rigettata sulla base della considerazione che non può ritenersi sufficiente una mera prova di protocollazione dell'atto da parte della PA, atto peraltro dovuto anche in caso di corrispondenza non “certificata”, ma dovrebbe rintracciarsi anche la prova di una eventuale “valutazione” dal punto di vista legale dell'atto da parte della PA. Invece con sentenza del 21 ottobre 2022, n. 31160 la Suprema Corte si è pronunciata sull'ammissibilità della notificazione a mezzo PEC del ricorso per cassazione da parte di un ente pubblico, qualora provenga da un indirizzo istituzionale risultante dal sito, ma non inserito nei pubblici registri. Nel caso di specie la Corte ha ritenuto regolare la notifica atteso che la ricorrente non aveva mai fornito la prova contraria rispetto a quella acquisita dall'INPS circa l'effettiva consegna delle notifiche telematiche presso la propria casella di posta elettronica, di tal chè la circostanza si era rivelata del tutto priva di rilievo. La Corte sul punto richiama un ulteriore orientramento (Cass. civ. sez. un., n. 15979/2022) secondo cui in tema di notificazione a mezzo PEC, la notifica del ricorso per cassazione da parte di ente pubblico, utilizzando un indirizzo di posta elettronica istituzionale, rinvenibile sul proprio sito “internet”, ma non risultante nei pubblici elenchi, non è nulla, ove la stessa abbia consentito, comunque, al destinatario di svolgere compiutamente le proprie difese, senza alcuna incertezza in ordine alla provenienza ed all'oggetto, tenuto conto che la più stringente regola, di cui all'art. 3-bis, comma 1, della l. n. 53/1994, detta un principio generale riferito alle sole notifiche eseguite dagli avvocati, che, ai fini della notifica nei confronti della P.A., può essere utilizzato anche l'Indice di cui all'art. 6-ter del d.lgs. n. 82/2005 e che, in ogni caso, una maggiore rigidità formale in tema di notifiche digitali è richiesta per l'individuazione dell'indirizzo del destinatario, cioè del soggetto passivo a cui è associato un onere di tenuta diligente del proprio casellario, ma non anche del mittente. La pronuncia si presta però a commenti critici, posto che amplia a dismisura la portata del principio del raggiungimento dello scopo. Inoltre, ove dovesse trovare ampia condivisione, porterebbe a configurare una prassi contra legem che di fatto svuoterebbe di significato il concetto stesso di pubblico registro. La Suprema Corte ha inoltre chiarito con Ordinanza n. 1615/25 del 22.1.2025 che il soggetto notificante non ha alcun onere di dimostrare l'inserimento dell'indirizzo del destinatario in un pubblico elenco ma solo di attestarlo all'interno della relata di notifica. La Corte supera la prima problematica richiamando il quinto comma dell’articolo 3bis della legge 53 del 1994 che subordina la validità della notificazione telematica, riguardo alla correttezza dell’indirizzo PEC, alla sola attestazione del difensore che, tra gli elementi obbligatori da inserire in relata dovrà inserire l’indicazione del pubblico elenco da cui è stato estrapolato l’indirizzo. Ritiene pertanto la Suprema Corte che gravi sulla controparte l’onere di prova contraria che, nel caso di specie, si limitava a rilevare che il notificante non avesse espressamente dichiarato che tale indirizzo PEC fosse stato effettivamente estratto da un pubblico elenco, senza però eccepire il mancato inserimento di detto indirizzo in un pubblico elenco. In altre parole, se per stessa ammissione del destinatario della notifica, l’indirizzo del destinatario è presente in un pubblico elenco la notifica potrà ritenersi valida. Infatti, l’unica condizione richiesta per il perfezionamento della notifica è la generazione della ricevuta di avvenuta consegna, non potendosi immaginare un domicilio digitale diverso per ogni singolo atto da notificarsi. Inoltre, chiarisce la Corte, il notificante non avrà neppure l’obbligo di documentare l’inserimento del predetto indirizzo PEC presso un pubblico elenco, come spesso erroneamente richiesto dagli uffici giudiziari. Infatti, unico onore dell’avvocato è la dichiarazione contenuta nella relata di notifica di aver estrapolato l’indirizzo PEC del notificato da un pubblico elenco, come espressamente previsto dall’articolo 3bis della legge 53 del 1994. Infatti la suddetta legge nulla prescrive circa un presunto onere del notificante di documentare l’appartenenza al destinatario dell’indirizzo PEC, ma solo di indicare l'elenco da cui il predetto indirizzo è stato estratto. Tale dichiarazione effettuata in relata dal notificante è pertanto idonea e sufficiente ad attestare l’appartenenza dell’indirizzo PEC al destinatario. Sul punto inoltre giova ricordare che, ai sensi dell’articolo 6 della legge n. 53 del 94 che regolamenta le notificazioni in proprio, l'avvocato o il procuratore legale, che compila la relazione di notifica o le attestazioni di cui agli articoli 3, 3-bis e 9 o le annotazioni di cui all' articolo 5, è considerato pubblico ufficiale ad ogni effetto. Ne consegue che, a parere di chi scrive, l’avvocato che nella relata di notifica dichiari di aver estratto un determinato indirizzo PEC da un pubblico elenco, compie tale dichiarazione in qualità di pubblico ufficiale con la logica conseguenza che la stessa non potrà essere in alcun modo contestata, se non mediante la proposizione di una querela di falso. La notifica di documenti analogiciIl secondo comma dell'articolo in commento, si occupa di definire le modalità di notificazione — per via telematica — di atti originariamente formati su supporto cartaceo. La norma, di fatto, prevede un vero e proprio potere di attestazione di conformità, analogo a quello già previsto per il difensore nei casi previsti dagli articoli 196-octies e 196-novies delle disposizioni di attuazione del codice di procedura. Qualora, quindi l'atto da notificarsi via PEC fosse un documento analogico (ad esempio un decreto ingiuntivo munito di formula esecutiva), il professionista notificante potrà estrarne copia informatica — tramite scansione — ed attestarne la conformità con le modalità previste dall'art. 196-undecies disp. att. c.p.c.. Benché, come abbiamo già sottolineato nel commento all'art. 196-undecies delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, sia virtualmente possibile utilizzare due diverse modalità di attestazione quando la copia del documento originario sia una copia digitale — ossia attestazione sul medesimo file o su file separato —, nel caso di notificazione in proprio a mezzo PEC l'attestazione de qua potrà essere redatta unicamente su documento separato dalla copia dell'atto da notificarsi e, tale documento, dovrà obbligatoriamente essere la relata di notifica. Ciò si evince dal combinato disposto dell'articolo in commento con il terzo comma dell'art. 196-undecies disp. att. c.p.c. il quale, occupandosi della notificazione a mezzo PEC, precisa: « Se la copia informatica è destinata alla notifica, l'attestazione di conformità è inserita nella relazione di notificazione », orbene, tale relazione di notificazione non potrà — come vedremo nei successivi paragrafi — essere stesa in calce all'atto da notificarsi ma dovrà essere redatta su file separato, come prescritto dal comma 5 dell'art. 3-bis l. n. 53/1994: « L'avvocato redige la relazione di notificazione su documento informatico separato, sottoscritto con firma digitale ed allegato al messaggio di posta elettronica certificata ». Il tutto è poi comunque ribadito dall'art. 19-ter delle specifiche tecniche 16 aprile 2014 che, al comma 3 ribadisce: « Se la copia informatica è destinata ad essere notificata ai sensi dell'art. 3-bis della legge 21 gennaio 1994, n. 53, gli elementi indicati al primo comma [NDR: ossia l'attestazione di conformità], sono inseriti nella relazione di notificazione ». Concludendo sul punto, qualora il difensore si trovasse a dover notificare un originale o una copia autentica cartacea di un atto, dovrà provvedere alla digitalizzazione del documento e poi all'inserimento della relativa attestazione di conformità all'interno della relata di notificazione, ciò con le modalità previste dall'art. 196-undecies, comma 3, disp. att. c.p.c., alla cui lettura si rimanda per ogni approfondimento. Il momento di perfezionamento della notifica ed il valore giuridico attribuito alle ricevute PECIl terzo comma dell'articolo in commento si occupa in primis di specificare la scissione del momento perfezionativo della notificazione fra mittente e destinatario. Scissione più volte ribadita in ambito giurisprudenziale sia dalla Suprema Corte di cassazione che dalla Corte costituzionale. In realtà, c'è comunque da sottolinearlo, la norma ha prodotto una buona dose di giurisprudenza di merito, soprattutto in virtù dell'applicabilità — alle notifiche eseguite via PEC — dell'art. 147 c.p.c., alla cui lettura si rimanda per un più approfondito commento sul punto. Oltre a ciò il comma de quo deve essere integrato con il disposto di cui all'art. 18 d.m. 44/2011 comma 6: « La ricevuta di avvenuta consegna prevista dall'articolo 3-bis, comma 3, della legge 21 gennaio 1994, n. 53 è quella completa, di cui all'articolo 6, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68 ». La ricevuta completa si differenzia da quella sintetica per la presenza, in allegato, dell'email originale (con tutti gli eventuali documenti inviati) trasmessa al destinatario. Tale tipologia di documento, quindi, consentirà al Magistrato di prendere visione non solo della prova della trasmissione della notifica ma anche di ciò che è stato effettivamente notificato. Sul punto si segnala l'interessante ordinanza del Tribunale di Torino del 22 aprile 2015 che in un breve passaggio, a seguito di mancata costituzione della parte oggetto di notificazione via PEC, sottolinea « che la ricevuta di consegna risulta essere “sintetica” per cui non vi è prova in atti di quali siano stati gli allegati notificati, tenuto oltretutto conto che nel fascicolo telematico il Giudice “non vede” l'atto di citazione per chiamata di terzo telematica e la relativa notifica telematica con gli allegati ». Per quanto relativo, invece, al valore giuridico e probatorio delle ricevute PEC ed in particolare della Ricevuta di Avvenuta Consegna delle notificazioni in proprio, la Suprema Corte di cassazione ha in passato ritenuto che tale documento non potesse assurgere a “certezza pubblica” dell'avvenuta notificazione e che, pertanto, poteva ammettersi prova contraria senza necessità di querela di falso (Cass. civ n. 15035/2016): « ritiene il Collegio che in tema di notifiche telematiche nell'ambito dei procedimenti civili, compresi quelli cd. prefallimentari, la ricevuta di avvenuta consegna (RAC) rilasciata dal gestore di posta elettronica certificata del destinatario, costituisca documento idoneo a dimostrare, fino a prova del contrario, che il messaggio informatico è pervenuto nella casella di posta elettronica del destinatario, senza tuttavia assurgere a quella “certezza pubblica” propria degli atti facenti fede fino a querela di falso. E ciò in quanto, per un verso, gli atti dotati di siffatta speciale efficacia di pubblica fede devono ritenersi in numero chiuso e insuscettibili di estensione analogica, essendo per natura idonei ad incidere, comprimendole, sulle libertà costituzionali e sull'autonomia privata e, per altro verso, il tenore della richiamata disciplina secondaria (ove si discute in termini di “opponibilità” ai terzi, ovvero di semplice “prova” dell'avvenuta consegna del messaggio), induce ad escludere che la legge abbia inteso espressamente riconoscere una qualsivoglia certezza pubblica alle attestazioni rilasciate dal gestore del servizio di posta elettronica certificata. È vero poi che il d.lgs. n. 82 del 2005, art. 48, comma 2, equipara la PEC alla notifica a mezzo posta, ma siffatta assimilazione appare riferita esclusivamente all'efficacia giuridica di questa forma di trasmissione dei documenti elettronici, ma non vale a rendere senz'altro applicabile l'intera disciplina prevista dalla legge 20 novembre 1982 n. 890, in tema di notifiche tramite il sistema postale, dovendosi sul punto sottolineare che il gestore di posta elettronica certificata, ancorché tenuto all'iscrizione presso un pubblico elenco e sottoposto alla vigilanza dell'Amministrazione (d.P.R. n. 68 del 2005, art. 14), salvo che sia gestito direttamente da una pubblica amministrazione, rimane comunque un soggetto privato, sempre costituito in forma di società di capitali e, quindi, naturalmente privo del potere di “attribuire pubblica fede”, ai sensi dell'art. 2699 c.c., ai propri atti. Vero è che in tema di notifiche a mezzo del servizio postale, questa Corte in plurime occasioni ha ritenuto che l'attestazione apposta sull'avviso di ricevimento, con la quale l'agente postale dichiara di avere eseguito la notificazione ai sensi della l. n. 890 del 1982, artt. 7 e 8, fa fede fino a querela di falso e non già sino a prova contraria. Il descritto orientamento del Giudice di legittimità, tuttavia, si fonda sulla circostanza che tale notificazione costituisce un'attività direttamente delegata all'agente postale dall'ufficiale giudiziario, che in forza della citata l. n. 890 del 1982, art. 1, è autorizzato, salvo diverse disposizioni dell'autorità giudiziaria o della parte, ad avvalersi del servizio postale per l'attività notificatoria della cui esecuzione ha ricevuto l'incarico (Cass. 31 luglio 2015, n. 16289; Cass. 4 febbraio 2014, n. 2421; Cass. 23 luglio 2003, n. 11452; Cass. 1 marzo 2003, n. 3065). Nel caso in esame, invece, la notifica telematica è avvenuta senza alcuna cooperazione da parte di un pubblico ufficiale e, soprattutto, si è conclusa — nel rispetto delle specifiche tecniche fissate dalla normativa secondaria (il d.m. n. 44 del 2011), che non prevedono attestazioni espresse da una persona fisica —, con l'emissione automatica di una ricevuta (la RAC), che viene poi sottoscritta digitalmente da un privato (il gestore del servizio di posta elettronica del destinatario), a differenza di quanto previsto ancora oggi per le notifiche telematiche che siano state eseguite dall'ufficiale giudiziario, il quale è tenuto a formare una “relazione di notificazione sottoscritta mediante firma digitale” (d.m. n. 44 del 2011, art. 16, comma 5), naturalmente dotata di fede privilegiata ». La Suprema Corte, quindi, ha ritenuto non assimilabile la figura del certificatore di posta elettronica a quella di un pubblico ufficiale e, in virtù di ciò, pur costituendo prova dell'avvenuta notificazione dell'atto giudiziario avverso la ricevuta di avvenuta consegna sarà certamente ammessa prova contraria. Tuttavia, un più recente orientamento di legittimità (Cass. civ., 9 aprile 2019, n. 9897) ha sancito che “La Ricevuta di Avvenuta Consegna “Completa” di una PEC è mezzo idoneo a certificare non solo il recapito — nella casella di Posta Elettronica Certificata — del messaggio email, ma anche degli eventuali allegati alla stessa. Contro tale ricevuta è comunque ammessa prova contraria costituita da errori tecnici riferibili al sistema informatizzato”. La sentenza de qua è di particolare interesse poiché la Suprema Corte ha avuto modo di occuparsi dell'effettivo valore da attribuirsi alle ricevute generate a seguito dell'invio di un messaggio di Posta Elettronica Certificata. Nel caso di specie, infatti, la cancelleria del Tribunale aveva dichiarato — con apposita certificazione — che la notificazione a mezzo PEC conteneva il ricorso per fallimento, la designazione del Giudice, e il decreto di fissazione dell'udienza. L'azienda ricorrente si era invece difesa lamentando l'assenza del ricorso fra gli allegati al messaggio di posta elettronica. Tale doglianza, tuttavia, non veniva supportata da adeguata documentazione di carattere tecnico poiché — di fatto — la difesa della ditta fallita non provvedeva all'allegazione del messaggio di posta elettronica effettivamente ricevuto, né dava prova di eventuali problematiche di carattere tecnico che avrebbero potuto provocare discrepanze fra la generazione della Ricevuta di Avvenuta Consegna rispetto alla mail recapitata. La Corte di Cassazione, con questo importante precedente, ha quindi stabilito che la RAC sia mezzo idoneo, non solo a comprovare l'effettiva ricezione del messaggio di posta elettronica al destinatario, ma anche la consegna degli eventuali allegati che fossero stati veicolati tramite il messaggio de quo. La Suprema Corte, con questa sentenza, ha dunque avuto modo di occuparsi di un importante aspetto legato all'effettivo valore attribuibile alla Ricevuta di Avvenuta Consegna della PEC, ribadendo un principio già precedentemente espresso con la pronuncia n. 29732 del 2018: “Questa Corte, infine, ha già ritenuto che, in tema di notifiche telematiche nei procedimenti civili, compresi quelli cd. prefallimentari, la ricevuta di avvenuta consegna (RAC), rilasciata dal gestore di posta elettronica certificata del destinatario, costituisce documento idoneo a dimostrare, fino a prova contraria, che il messaggio informatico è pervenuto nella casella di posta elettronica del destinatario, senza tuttavia assurgere a quella “certezza pubblica” propria degli atti facenti fede fino a querela di falso, atteso che, da un lato, atti dotati di siffatta speciale efficacia, incidendo sulle libertà costituzionali e sull'autonomia privata, costituiscono un numero chiuso e non sono suscettibili di estensione analogica, e, dall'altro, che l'art. 16 del d.m. n. 44 del 2011si esprime in termini di ”opponibilità” ai terzi ovvero di semplice “prova” dell'avvenuta consegna del messaggio e ciò tanto più che le attestazioni rilasciate dal gestore del servizio di posta elettronica certificata, a differenza di quelle apposte sull'avviso di ricevimento dall'agente postale nelle notifiche a mezzo posta, avendo fede privilegiata, non si fondano su un'attività allo stesso delegata dall'ufficiale giudiziario”. Sostanzialmente, quindi, gli Ermellini ribadiscono ancora una volta la differenza che sussiste fra una notificazione ordinaria tramite Ufficiale Giudiziario e una notificazione effettuata a mezzo PEC, ciò riferendosi a due principali argomentazioni: 1) gli atti fide facenti debbono intendersi come un numero chiuso non suscettibile di estensione analogica; 2) le notificazioni effettuate a mezzo posta raccomandata sono comunque delegate da parte dell'Ufficiale Giudiziario. Se si può forse concordare — in particolare in relazione alle ragioni di prudenza che la Suprema Corte pone all'attenzione dell'interprete — con la prima argomentazione, lo stesso non potrà dirsi per il secondo punto. Ad avviso di chi scrive, infatti, gli Ermellini hanno omesso di valutare come nel caso di notificazioni a mezzo PEC il mittente è sempre e comunque un pubblico ufficiale. Da un lato, infatti, non si può certo negare tale qualifica al Cancelliere (come nel caso di specie), dall'altro non la si può contestare nemmeno per il Difensore che effettui la notificazione in proprio via PEC, posto che l'art. 6 della legge n. 53/1994 espressamente prevede: “L'avvocato o il procuratore legale, che compila la relazione o le attestazioni di cui agli articoli 3, 3-bis e 9 o le annotazioni di cui all'articolo 5, è considerato pubblico ufficiale ad ogni effetto”. Proprio alla luce di detta espressa qualifica è da analizzarsi il secondo punto nodale della pronuncia, ossia, la modalità per opporsi alle risultanze portate dalla Ricevuta di Avvenuta Consegna di una PEC di notifica. Oggi la Suprema Corte, riprendendo due precedenti orientamenti del 2018 e del 2016, ribadisce che: “la disciplina normativa del processo telematico non consente la contestazione dell'avvenuta notificazione degli atti digitali una volta generata la ricevuta di consegna telematica nelle forme di legge, salva espressa deduzione di errore tecnici, riferibili al sistema informatizzato, ovvero una documentata contestazione della reale corrispondenza tra quanto indicato nella suddetta ricevuta e quanto realmente pervenuto al destinatario nella propria casella di posta elettronica certificata”. Per la contestazione della Ricevuta di Avvenuta Consegna, quindi, si dovrà documentare un errore tecnico che abbia effettivamente causato una discrepanza fra il messaggio di posta recapitato e la relativa RAC. Anche secondo un più recente orientamento (Cass. civ., sez. VI- 1, ord., 26 ottobre 2021, n. 30159) la ricevuta di avvenuta consegna (RdAC) rilasciata dal gestore di posta elettronica certificata della destinataria, costituisce in ogni caso un documento idoneo a dimostrare, fino a prova contraria, che il messaggio informatico è pervenuto nella casella di posta elettronica del destinatario. Tale orientamento è, a tutt'oggi, in aperto contrasto con quanto precedentemente affermato dalla Corte di Appello di Milano, con la pronuncia del 21 luglio 2016 n. 3083 e dalla Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 9793/2015, che hanno invece ritenuto necessaria la proposizione di querela di falso, al fine di contestare la ricevuta de qua. In particolare la Suprema Corte si era così espressa: “La relata di notifica costituisce un atto pubblico, in quanto proviene da un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni, le attestazioni di essa, inerenti alle attività che l'ufficiale giudiziario certifica di avere eseguito, le dichiarazioni da lui ricevute (limitatamente al loro contenuto estrinseco ed indipendentemente dalla loro veridicità sostanziale) ed i fatti avvenuti in sua presenza, risultanti dall'atto da lui compilato, con le richieste modalità, nel luogo in cui è formato e che trovano riscontro nella relazione prevista dall'art. 148 c.p.c., sono assistite da fede pubblica privilegiata, ex art. 2700 c.c.(Cass., 9 giugno 1987, n. 5040; Cass., 1 giugno 1999, n. 5305; Cass., 20 luglio 1999, n. 7763), per contrastare la quale l'unico strumento è la querela di falso, anche se l'immutazione del vero non sia ascrivibile a dolo, ma soltanto ad imperizia, leggerezza o a negligenza dell'ufficiale giudiziario (v. per tutte,Cass., 27 aprile 2004, n. 8032)”. La Suprema Corte ha inoltre avuto modo di pronunciarsi sugli oneri del destinatario, nella fattispecie un imprenditore tenuto per legge a munirsi di un indirizzo PEC, di assicurarsi del corretto funzionamento della propria casella postale certificatae di controllare prudentemente la posta in arrivo (cfr. Cass. civ., sez. I, 3 marzo 2022, n. 7083). Ad ogni buon conto sempre secondo la Suprema Corte (cfr. Cass. civ., sez. III, 20 dicembre 2021, n. 40758) in caso di notificazione a mezzo PEC non andata a buon fine, nel caso di specie di un atto di impugnazione, poiché la casella del destinatario risultava piena e — come tale — non in grado di ricevere il messaggio di posta elettronica, parte notificante dovrà attivarsi tempestivamente per procedere ad una nuova notifica con le modalità ordinaria di cui agli artt. 137 e ss. c.p.c. La relata di notifica ed il messaggio di posta elettronicaIl comma quarto, quinto e sesto dell'articolo in commento, infine, si occupano di definire le modalità tecniche attuative della notificazione in proprio via PEC, stabilendo i requisiti — tutti richiesti a pena di nullità ex art. 11 l. n. 53/1994 — della relata di notificazione e del messaggio di posta elettronica certificata. In primis l'oggetto del messaggio di posta elettronica non è libero ma vincolato, il sopracitato comma 4 — infatti — richiede che il messaggio indichi nell'oggetto la dizione: « notificazione ai sensi della legge n. 53 del 1994 ». Parte della dottrina (F. Minazzi) ritiene che, stante il dovere di inserire “almeno” la dicitura appena citata, ciò non infici la possibilità di aggiungere ulteriore testo dopo la frase de qua. Posto che il consiglio prudenziale è quello di inserire sempre e comunque unicamente il testo sopra citato quale oggetto del messaggio PEC, è comunque da sottolineare la recente pronuncia della Corte di cassazione in ordine all'oggetto del messaggio di notificazione (Cass. civ., n. 19814/2016): « 5. L'eccezione di nullità della notifica del controricorso — da esaminare per primaex art. 276 c.p.c., comma 2 — è manifestamente infondata. La l. 21 gennaio 1994, n. 53, art. 3-bis, comma 4, stabilisce che quando l'avvocato esegue la notificazione di atti processuali per mezzo della posta elettronica certificata, “il messaggio deve indicare nell'oggetto la dizione: “notificazione ai sensi della l. n. 53 del 1994 ». Nel caso di specie, il messaggio inviato dall'avv. [omissis]. (difensore della Provincia di [omissis]) all'avv. [omissis] (difensore del ricorrente) reca nel campo dedicato all'oggetto la dizione: “Notifica controricorso in cassazione”. In calce al testo del controricorso è tuttavia estesa la relazione di notificazione, che è intitolata: “Relazione di notificazione ai sensi della l. n. 53 del 1994”. 5.1 Al cospetto d'una notificazione siffatta, nessuna nullità può essere dichiarata, per due ragioni: (a) la prima ragione è che la legge n. 53 del 1994, art. 11, laddove commina la nullità della notificazione eseguita personalmente dall'avvocato “se non sono osservate le disposizioni di cui agli articoli precedenti” non intende affatto sanzionare con l'inefficacia anche le più innocue irregolarità (come già ritenuto da questa Corte: in tal senso, sez. 6 — 3, 17 giugno 2014 n. 13758); (b) la seconda ragione è che, a tutto concedere, anche le nullità di cui alla legge in esame sono sanate, ai sensi dell'art. 156 c.p.c., dal raggiungimento dello scopo: il quale nel nostro caso è certamente avvenuto, dal momento che lo stesso ricorrente mostra di avere ricevuto la notifica del controricorso ed averne ben compreso il contenuto.” Il corpo del messaggio potrà invece avere contenuto libero o, addirittura, essere totalmente bianco, stante però la non sempre agevole gestione — da parte del destinatario del messaggio — di documenti firmati digitalmente, nonché qualche fantasioso precedente della Giurisprudenza di merito, si consiglia di inserire sempre un messaggio di cortesia quale corpo della mail, contenente — magari — l'indicazione di software gratuiti o siti internet ove sia possibile verificare il messaggio firmato digitalmente ed estrarne il contenuto. Come sopra accennato, poi, l'invio dell'atto a mezzo della posta elettronica certificata dovrà essere accompagnato dalla relazione di notificazione, il cui contenuto e le caratteristiche sono chiaramente enunciate dal comma 5 dell'art. 3-bis l. n. 53/1994: 1) la relazione dovrà essere formata su documento informatico — in formato PDF — separato dall'atto da notificarsi e dovrà essere sottoscritto digitalmente o in formato PAdES-BES o in formato CAdES-BES. In realtà l'utilizzo del PDF testuale quale formato per la relazione di notifica, non è richiesto espressamente dalla norma in commento, ma lo si evince — di rimando — dalla normativa relativa all'attestazione di conformità da redigersi su atto separato che, in tal casi, richiede — ex art. 19-ter specifiche tecniche 16 aprile 2014 — che questa sia l'unica tipologia di file ammessa. Orbene, dovendo la relazione di notifica contenere anche l'eventuale attestazione di conformità, non potrà scegliersi altro formato di documento informatico per la sua redazione; 2) la relazione di notifica dovrà poi essere allegata al medesimo messaggio di posta elettronica certificata contenente l'atto o gli atti da notificare; 3) dovrà contenere il nome, cognome ed il codice fiscale dell'avvocato notificante; 4) dovrà indicare il nome e cognome o la denominazione e ragione sociale ed il codice fiscale della parte che ha conferito la procura alle liti, nonché il nome e cognome o la denominazione e ragione sociale del destinatario; 5) dovrà contenere l'indirizzo di posta elettronica certificata a cui l'atto viene notificato nonché l'indicazione dell'elenco da cui il predetto indirizzo è stato estratto; 6) qualora l'atto da notificarsi sia stato originariamente stato redatto in forma analogica, e si stia quindi provvedendo alla notificazione di una sua digitalizzazione (scansione), la relazione di notifica dovrà poi includere l'attestazione di conformità prevista dal comma 2 della norma in commento; 7) nel caso in cui, infine, la notificazione sia effettuata in corso di procedimento, nella relata si dovrà altresì inserire l'indicazione dell'ufficio giudiziario, la sezione, il numero e l'anno di ruolo. Utilizzo di indirizzo estrapolato da un pubblico elenco, per la notifica di atti estranei all'attività del professionista o imprenditoreIl paragrafo de quo si occupa di una problematica assai dibattuta in dottrina e in giurisprudenza e che assume preminente rilievo con l'entrata in vigore della riforma Cartabia che, come noto, ha stabilito l'obbligo di notifica telematica verso quei soggetti che hanno l'obbligo di inserire l'indirizzo PEC nei pubblici registri. La scena del dibattito si apre ben prima dell'entrata in vigore della riforma Cartabia con una Ordinanza del Tribunale di Roma del 26 gennaio 2019, n. 122 (con nota di Pietro Calorio) ha rilevato che, pur essendo alcuni cittadini tenuti per legge a dotarsi di un indirizzo PEC, in quanto titolari di impresa individuale o professionisti, deve ritenersi nulla una notificazione telematica riferita a un contenzioso estraneo all'impresa o professione esercitata la notifica a mezzo PEC. Nel caso di specie, un atto di citazione veniva notificato a mezzo PEC presso la casella di posta certificata riferita all'attività economica o professionale di un soggetto, ma in riferimento a un contenzioso estraneo a detta attività. Il Tribunale di Roma ha ritenuto tale notificazione non ritualmente perfezionatasi, proprio in quanto relativa ad atto estraneo a tale attività o professione, dichiarando la nullità della predetta notifica. Ci si è chiesti dunque se sia ammissibile la notificazione di un atto processuale a un indirizzo PEC il quale, se pur estratto dai pubblici registri, è riferito ad attività professionale o d'impresa di un soggetto, con riferimento a un atto afferente a contenzioso estraneo a tali attività specifiche. Il Tribunale di Roma, con l'ordinanza de qua, ha ritenuto nulla la predetta notifica, in quanto l'utilizzo della notificazione a mezzo PEC, con relativa possibilità di attestare l'invio e l'avvenuta consegna di un messaggio e fornire ricevute opponibili ai terzi, può avvenire solamente tra coloro che sono dotati di tale indirizzo certificato per obbligo di legge. Sempre secondo il Tribunale, tale principio non può essere invocato nei confronti di un privato, per il quale dotarsi di una casella di posta certificata non è obbligatorio, ma una mera facoltà. Ne consegue che deve ritenersi nulla la notificazione eseguita ad una casella PEC di un privato cittadino, seppur riferita a un'attività di natura professionale, ma per un atto relativo a contenzioso estraneo all'attività professionale. Secondo i primi commentatori (Calorio) l'ordinanza del Tribunale di Roma è di particolare rilevanza, poiché tratta un tema in relazione al quale si registrano pochi contributi in giurisprudenza. Sul punto, pur richiamando la dizione dell'art. 3-bis l. n. 53/1994 e dando atto che tale articolo nulla stabilisce sul tema, il Tribunale fa leva sull'art. 3-bis, comma 4-quinquies, del CAD (d.lgs. n. 82/2005), il quale consente ai soggetti privati, non obbligati a dotarsi di indirizzo PEC, di eleggere domicilio speciale ex art. 47 c.c. presso un indirizzo di posta certificata. Partendo da tale argomentazione, il Tribunale desume quindi la nullità di una notifica effettuata a mezzo PEC a una parte privata che non ha rilasciato il consenso alla ricezione di notifiche a mezzo PEC a tale titolo. In altri termini, l'ordinanza pare ritenere necessaria una sorta di “distinguo” delle ragioni che hanno reso obbligatoria l'attivazione della PEC: per le notifiche relative a questioni non inerenti l'attività del titolare dell'indirizzo, egli deve essere considerato come un privato cittadino. In tal caso non basterebbe la mera attivazione di un indirizzo PEC, ma un consenso a eleggere domicilio speciale presso tale casella. Detta pronuncia è stata seguita da altre in senso conforme; il Tribunale di Bologna, ad esempio, con ordinanza del 7 luglio 2021 ha negato l'autorizzazione a notificare a mezzo PEC in luogo della notifica ex art. 143 c.p.c. rilevando la mancanza di prova di collegamento del rapporto negoziale oggetto di causa con l'attività professionale del resistente. Nello stesso senso il TAR Palermo, con pronuncia n. 407 del 14 febbraio 2018, aveva ritenuto inammissibile il ricorso notificato ai sensi dell'art. 3-bis della legge n. 53/1994, a mezzo PEC, ad unico controinteressato, persona fisica, ad un indirizzo estratto da INI-PEC, ritenendo che detto indirizzo nonn poteva essere utilizzato ai fini del reperimento dell'indirizzo di posta elettronica del soggetto individuato come controinteressato qualora non si tratti di contenzioso riferibile alla sua attività professionale (nel caso di specie di architetto libero professionista). Di segno opposto è invece la pronuncia, più recente, del Tribunale di Padova (ordinanza del 22 luglio 2022, pubblicata su ilcaso.it) secondo cui la lettura delle norme istitutive degli elenchi pubblici degli indirizzi PEC consente di affermare che le previsioni di utilizzo non sono rigidamente predeterminate a priori: l'art. 16-ter d.l. n. 179/2012 non costituisce quindi una mera elencazione fine a sé stessa né esplica un'efficacia meramente limitativa degli elenchi pubblici utilizzabili ai fini delle notificazioni telematiche in proprio dell'avvocato, ma svolge una funzione espansiva delle finalità di utilizzo da detti elenchi quale prevista da ciascuna norma istitutiva. In conseguenza di ciò l'utilizzo a fine notificatorio dell'indirizzo PEC riportato in uno degli elenchi pubblici richiamati dal citato art. 16-ter può dunque avvenire per tutte le notificazioni ex art. 3-bis l. n. 53/94 anche al di fuori dell'ambito “proprio” per il quale ciascun indirizzario pec è stato istituito. La pronuncia è significativa perché, attraverso il ragionamento esaminato, il Tribunale ha ritenuto validamente effettuata la notifica ad un cittadino munito di indirizzo pec inserito nel registro INIPEC, senza che assuma rilievo l'argomento del contendere, quindi a prescindere dal fatto che l'atto giudiziale attenga ad una controversia relativa all'attività professionale o imprenditoriale del destinatario; il Tribunale afferma pertanto che non vi è alcuna norma che consenta di ritenere che, poiché l'indirizzo pec registrato su INIPEC appartiene solo a persone che rivestano la qualità di imprenditori e professionisti, detto indirizzo possa essere utilizzato solo per atti relativi a detto ambito e non per controversie attinenti vicende personali dell'imprenditore/professionista. Non vi sono quindi limiti all'utilizzo della casella di posta elettronica certificata quale effettivo domicilio digitale del titolare. Si ritiene che questo sia l'orientamento corretto; l'articolo in commento non contiene infatti alcun distinguo circa la finalità e l'utilizzo dell'indirizzo PEC comunicato nei pubblici elenchi, subordinando semplicemente la possibilità di effettuare la notificazione telematica ad un indirizzo estrapolato da uno dei pubblici elenchi indicati nell'art. 16-ter del d.l. n. 179/2012. Peraltro, in coordinamento con le normative codicistiche tanto l'articolo 138 quanto il 139 del codice di procedura prevedono che la notificazione possa essere effettuata dall'ufficiale giudiziario ovunque trovi il destinatario nell'ambito della circoscrizione dell'ufficio giudiziario al quale è addetto, ricercandolo nella casa di abitazione o dove ha l'ufficio o esercita l'industria o il commercio. Emerge dunque, dalla lettura del combinato disposto delle norme codicistiche, che non vi è alcuna limitazione, in base alla natura dell'atto, sul luogo in cui può essere effettuata la notificazione. Tanto non viene neppure contemplato nell'art. 149-bis c.p.c. che, seppur inattuato, prevede come unica condizione che l'indirizzo PEC del destinatario venga estrapolato da pubblici elenchi. Sul punto inoltre si è recentemente pronunciata la Suprema Corte di Cassazione che, con ordinanza n. 1615/25 del 22.1.2025 ha sancito che, in tema di domicilio digitale, l'indirizzo risultante dal registro INI-PEC, che sia stato attivato dal destinatario con riferimento ad una specifica attività professionale, può essere utilizzato anche per la notificazione di atti ad essa estranei, poiché nei confronti dei soggetti, obbligati per legge a munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, la notifica si ha per perfezionata con la ricevuta di avvenuta consegna, non essendovi un domicilio digitale diverso per ogni singolo atto La Corte di Cassazione sul punto richiama un principio già espresso dalla sentenza 12134 del 2024 secondo cui, in tema di domicilio digitale, l'indirizzo risultante dal registro INI-PEC, che sia stato attivato dal destinatario con riferimento ad una specifica attività professionale, può essere utilizzato anche per la notificazione di atti ad essa estranei, poiché nei confronti dei soggetti, obbligati per legge a munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata. Sull’utilizzabilità del domicilio digitale per notificazioni estranee all’attività professionale il chiarimento della Suprema Corte è stato senza dubbio provvidenziale anche alla luce della riforma Cartabia che, com’è noto, prescrive la notificazione a mezzo PEC in tutti i casi in cui il soggetto notificato sia titolare di un indirizzo di posta elettronica certificata inserito in un pubblico elenco. Proprio su questo punto la dottrina si è interrogata sulla sorte di quelle notificazioni indirizzate a soggetti pur titolari di casella PEC ma comunicata esclusivamente per attività professionali. Com’è noto inoltre, nel luglio del 2023 è stato attivato un nuovo pubblico elenco, denominato INAD, destinato a contenere gli indirizzi PEC di tutti i soggetti non obbligati per legge a possedere un indirizzo PEC. Detto elenco però, oltre ad essere alimentato volontariamente dai soggetti privati, viene alimentato in automatico essendo sincronizzato con tutti gli indirizzi PEC dei professionisti già contenuti all’interno di INI-PEC. Tuttavia la possibilità per il professionista di eliminare dall’INAD il proprio domicilio digitale già comunicato al proprio ordine, lasciando detto indirizzo all’interno del solo INIPEC, ha generato la falsa convinzione che, laddove il professionista rimuova il proprio domicilio digitale da INAD, non possa più ricevere notifiche personali sulla propria PEC professionale. Ebbene, la sentenza in commento ha chiarito proprio tale equivoco chiarendo che. l’indirizzo PEC contenuto in un pubblico registro “professionale” quale INI-PEC o Registro imprese. può essere utilizzato per finalità diverse da quelle “professionali” a prescindere dal suo inserimento all’interno di INAD. Peraltro, a parere di chi scrive, a prescindere dall’orientamento della Suprema Corte è la stessa norma di legge ad obbligare il notificante all’utilizzo della PEC anche per notificazioni estranee all’attività professionale. Infatti la lettera a) del primo comma dell’articolo 3ter della legge 53 del 1994 obbliga l’avvocato ad eseguire la notificazione degli atti giudiziali in materia civile e degli atti stragiudiziali a mezzo di posta elettronica certificata quando il destinatario è un soggetto per il quale la legge prevede l'obbligo di munirsi di un domicilio digitale risultante dai pubblici elenchi. Come si può dunque evincere da un’interpretazione letterale della norma non vi è alcuna distinzione tra le finalità della notifica ma, l’unica condizione, è che l’indirizzo sia presente in un pubblico elenco. L’avvocato notificante pertanto, non potendo sempre essere a conoscenza di una eventuale attività professionale del notificato, dovrà sempre verificare se al codice fiscale del destinatario vi è associata una PEC come professionista o ditta individuale contenuta in pubblico registro (INI-PEC o Registro Imprese) e solo dopo verificare se è presente una PEC all’interno di INAD.
Formule correlate 4. Relata di notifica a mezzo PEC di atto redatto dall'avvocato in formato pdf testuale (es. Citazione) RELATA DI NOTIFICA A MEZZO DI POSTA ELETTRONICA CERTIFICATA ex art. 3-bis legge 21 gennaio 1994, n. 53 Ad istanza del sig. ......... (CF:.........) rappresentato, difeso e domiciliato come in atti, io sottoscritto avvocato ......... del Foro di ......... (CF: .........), ho notificato ad ogni effetto di legge, l'allegato atto di citazione firmato digitalmente dal sottoscritto avvocato, unitamente alla procura alle liti conferita dall'istante e autenticata con firma digitale dal sottoscritto difensore: 1) Tizio Spa (P. IVA/CF:.........), in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, con sede in ......... alla via ......... trasmettendone copia a mezzo posta elettronica certificata all'indirizzo PEC@PEC.IT estratto dal registro degli indirizzi PEC delle imprese tenuto dal registro delle imprese (o ini-pec) Avv. ......... Luogo e data.................. 5. Relata di notifica a mezzo PEC di provvedimento estratto dal fascicolo telematico RELATA DI NOTIFICA A MEZZO DI POSTA ELETTRONICA CERTIFICATA ex art. 3-bis legge 21 gennaio 1994, n. 53 Ad istanza del sig. ......... (CF:.........) rappresentato, difeso e domiciliato come in atti, io sottoscritto avvocato ......... del Foro di ......... (CF: .........), ho notificato ad ogni effetto di legge: ● Copia informatica del decreto/sentenza emesso/a dal Tribunale di ......... GI......... sez......... n.......... del......... nel fascicolo di cui al n. di RG:........., nome file: sentenza.pdf di cui si attesta la conformità al corrispondente atto contenuto nel fascicolo informatico ai sensi di legge ● ......... a: 1) ......... (CF: .........), rappresentata e difesa dall'avv. ......... (CF: .........) ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. ......... (CF: .........), in Milano, alla via ......... n. .........trasmettendone copia a mezzo posta elettronica certificata all'indirizzo PECAVVOCATO@PEC.IT estratto dal registro generale degli indirizzi elettronici tenuto presso il ministero della giustizia 2) ......... Spa (P. IVA/CF:.........), in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, con sede in ......... alla via ......... trasmettendone copia a mezzo posta elettronica certificata all'indirizzo PEC@PEC.IT estratto dal registro degli indirizzi PEC delle imprese tenuto dal registro delle imprese (o ini-pec) Avv. ......... Luogo e data.................. 6. Relata di notifica di scansione di originale o copia conforme di atto o provvedimento cartaceo RELATA DI NOTIFICA A MEZZO DI POSTA ELETTRONICA CERTIFICATA ex art. 3-bis legge 21 gennaio 1994, n. 53 Ad istanza del sig. ......... (CF:.........) rappresentato, difeso e domiciliato come in atti, io sottoscritto avvocato ......... del Foro di ......... (CF: .........), ho notificato ad ogni effetto di legge: ● copia informatica della copia conforme all'originale di......... emessa dal Tribunale di ......... sezione ......... GI dott.......... nel procedimento di cui al n. di RG: ......... nome file: atto.pdf, di cui si attesta la conformità alla copia conforme all'originale cartaceo ai sensi di legge ● a: 1) ......... (CF: .........), rappresentata e difesa dall'avv. ......... (CF: .........) ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. ......... (CF: .........), in Milano, alla via ......... n. .........trasmettendone copia a mezzo posta elettronica certificata all'indirizzo PECAVVOCATO@PEC.IT estratto dal registro generale degli indirizzi elettronici tenuto presso il ministero della giustizia 2) ......... Spa (P. IVA/CF:.........), in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, con sede in ......... alla via ......... trasmettendone copia a mezzo posta elettronica certificata all'indirizzo PEC@PEC.IT estratto dal registro degli indirizzi PEC delle imprese tenuto dal registro delle imprese (o ini-pec) Avv. ......... Luogo e data......... |