Codice di Procedura Civile art. 369 - Deposito del ricorso 1 .Deposito del ricorso1. [I]. Il ricorso è depositato [nella cancelleria della corte,] a pena d'improcedibilità [3751, 387], nel termine di giorni venti dall'ultima notificazione alle parti [330] contro le quali è proposto [134, 135, 137 att.]2. [II]. Insieme col ricorso debbono essere depositati, sempre a pena d'improcedibilità: 1) il decreto di concessione del gratuito patrocinio3 ; 2) copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta, tranne che nei casi di cui ai due articoli precedenti; oppure copia autentica dei provvedimenti dai quali risulta il conflitto nei casi di cui ai numeri 1 e 2 dell'articolo 362; 3) la procura speciale, se questa è conferita con atto separato [832-3]; 4) gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda [372] 45.
[1] Per contrastare l'emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenerne gli effetti negativi sullo svolgimento dell'attività giudiziaria, v. art. 221, commi 2, 5, d.l. 19 maggio 2020, n. 34, conv. con modif. in l. 17 luglio 2020, n. 77 (per il termine di applicazione di tale disposizione, v. quanto previsto dall'art. 23, comma 1, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv., con modif, in l. 18 dicembre 2020, n. 176, come da ultimo modificato dall'art. 6, comma 1, lett. a), d.l. 1° aprile 2021, n. 44, conv., con modif., in l. 28 maggio 2021, n. 76, in tema di deposito degli atti in modalità telematica. Da ultimo, v. art. 16, comma1, d.l. 30 dicembre 2021, n. 228, con modif., in l. 25 febbraio 2022, n. 15, che stabilisce che «Le disposizioni di cui all'articolo 221, commi 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 10 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, nonche' le disposizioni di cui all'articolo 23, commi 2, 6, 7, 8, primo, secondo, terzo, quarto e quinto periodo, 8-bis, primo, secondo, terzo e quarto periodo, 9, 9-bis e 10, e agli articoli 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7, e 24 del decreto-legge 28 ottobre 2020 n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, in materia di processo civile e penale, continuano ad applicarsi fino alla data del 31 dicembre 2022»; v. anche art. 16, comma 2, d.l. n. 228, cit. Per l'applicazione v., da ultimo, art. 8, commi 8,9 d.l. 29 dicembre 2022, n. 198, conv., con modif., in l. 24 febbraio 2023, n. 14. [2] Comma modificato dall'art. 3, comma 27, lett. e) num. 1) d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, che ha sostituito le parole: «e'» alle parole: «deve essere» e ha soppresso le parole «nella cancelleria della corte». Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come sostituito dall'art. 1, comma 380, lettera a), l. 29 dicembre 2022, n. 197, che prevede che : "5. Salvo quanto disposto dal comma 6, le norme del capo III del titolo III del libro secondo del codice di procedura civile e del capo IV delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, come modificati dal presente decreto, hanno effetto a decorrere dal 1° gennaio 2023 e si applicano ai giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere da tale data". [3] Numero così sostituito dall'art. 4 l. 18 ottobre 1977, n. 793. [4] Numero così sostituito dall'art. 7 d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, a far data dal 2 marzo 2006. Ai sensi dell' art. 27 d.lg. n. 40, cit., la disposizione si applica « ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto». Il testo del numero era il seguente: « 4) gli atti e i documenti sui quali il ricorso si fonda ». [5] Seguiva un comma abrogato dall'art. 3, comma 27, lett. e) num. 2) d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149. Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come sostituito dall'art. 1, comma 380, lettera a), l. 29 dicembre 2022, n. 197, che prevede che : "5. Salvo quanto disposto dal comma 6, le norme del capo III del titolo III del libro secondo del codice di procedura civile e del capo IV delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, come modificati dal presente decreto, hanno effetto a decorrere dal 1° gennaio 2023 e si applicano ai giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere da tale data". Il testo del comma era il seguente: «Il ricorrente deve chiedere alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata o del quale si contesta la giurisdizione la trasmissione alla cancelleria della Corte di cassazione del fascicolo d'ufficio [1682]; tale richiesta è restituita dalla cancelleria al richiedente munita di visto, e deve essere depositata insieme col ricorso». Il deposito telematico presso la Suprema Corte di Cassazione - l'obbligatorietà introdotta con la riforma CartabiaAnche in Cassazione, come statuito dall'art. 4, comma 12, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 come modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), della 29 dicembre 2022, n. 197 (cd. riforma Cartabia), il deposito telematico degli atti, documenti, provvedimenti e verbali di udienza deve aver luogo esclusivamente con modalità telematiche. L'art. 35, comma 2, del d.lgs. n. 149/2022 ha inoltre stabilito che per la Suprema Corte di Cassazione l'obbligatorietà del deposito telematico si applica per tutti i depositi, anche nei giudizi in corso, effettuati a partire dal 1° gennaio 2023. Si è così “ufficializzato” anche presso la Suprema Corte l'obbligo di deposito telematico degli atti, già facoltativo dal 31 marzo 2021 in virtù delle norme emergenziali e la cui efficacia è cessata in data 31 dicembre 2022; valevole per ogni atto del processo e quindi tanto per il ricorso, quanto per il controricorso e le memorie. L'obbligo è stato altresì coordinato dall'articolo in commento dove sono state eliminate le parole “nella cancelleria della corte” ed è rimasta esclusivamente la locuzione “Il ricorso è depositato”. Un successivo coordinamento è stato effettuato abrogando quelle disposizioni incompatibili con il deposito interamente telematico degli atti; in particolare, nelle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, sono stati abrogati l'art. 134 che prevedeva la facoltà di deposito del ricorso a mezzo posta, e gli articoli 137 e 140 che prevedevano la necessità di depositare le copie di ricorso, controricorso e memorie in un numero di copie pari a sette. È stato inoltre eliminato l'obbligo di deposito dell'istanza di trasmissione del fascicolo del grado precedente che, com'è noto, doveva essere depositata in doppio originale presso la cancelleria della corte. In luogo del deposito della suddetta istanza, il nuovo l'articolo 137-bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile prevede che il cancelliere della corte, entro sessanta giorni dal deposito del ricorso, acquisisca il fascicolo d'ufficio dalla cancelleria del giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato. Nello stesso modo procede nei casi previsti dagli articoli 41, 47, 362 e 363-bis del codice. Pertanto, i fascicoli del grado precedente non verranno più trasmessi su impulso di parte, ma saranno acquisiti d'ufficio dalla cancelleria della Corte di Cassazione (e ricordiamo, nel caso di fascicoli digitali si tratterà di acquisizione integrale, ovvero di atti e documenti digitali depositati nei gradi precedenti). La riforma Cartabia ha altresì confermato l'obbligo di pagamento di contributo unificato per via telematica estendendolo a tutti i procedimenti a partire dal 1° gennaio 2023. Ne consegue che, anche in Cassazione, ai sensi dell'art. 192 del d.p.r. 30 maggio 2022 il pagamento del contributo unificato dovrà essere effettuato tramite la piattaforma Pago PA già implementata nel portale dei servizi telematici. Tuttavia, è stato inserito un ulteriore comma 1-sexies che disciplina gli eventuali malfunzionamenti del portale dei pagamenti. In particolare se è attestato, con provvedimento pubblicato sul sito istituzionale del Ministero della giustizia o del Ministero dell'economia e delle finanze, il mancato funzionamento del sistema di pagamento tramite la piattaforma tecnologica di cui all'articolo 5, comma 2, del codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005, non si applicano i commi 1 e 1-bis e il contributo unificato è corrisposto mediante bonifico bancario o postale, ai sensi del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 9 ottobre 2006, n. 293; la prova del versamento è costituita esclusivamente dall'originale della ricevuta, regolarmente sottoscritta. In alternativa, a parere di chi scrive ed in caso di malfunzionamenti del sistema sarà opportuno allegare all'iscrizione a ruolo del ricorso una nota in cui si rappresenta il malfunzionamento del sistema e in cui ci si riserva di pagare il contributo unificato successivamente. Al ripristino dei sistemi sarà poi sufficiente effettuare il pagamento allegando con nota di deposito la ricevuta in formato .xml. Al proposito si ricorda che la Suprema Corte, già con ordinanza n. 5372/2020, richiamando l'interpretazione offerta dal Ministero della Giustizia con nota del 4 settembre 2017, n. 164259, aveva stabilito che l'atto telematico non era comunque irricevibile in caso di irregolarità fiscali, rendendo di fatto possibile l'iscrizione a ruolo telematica riservando il pagamento in un momento successivo. Il medesimo orientamento è stato altresì confermato dagli Ermellini con l'ordinanza n. 9664 del 26 maggio 2020 che, oltre a richiamare la nota ministeriale sopracitata, e pur richiamando l'art. 285 T.U. che contempla il rifiuto, da parte del cancelliere, degli atti non in regola dal punto di vista fiscale — con particolare riguardo alla marca da bollo da € 27,00 — hanno ritenuto che la sanzione della irricevibilità non si possa applicare ai depositi telematici. Infatti, sempre la Suprema Corte, nel richiamare l'art. 16-bis, c. 7, del d.l. n. 179/2012 — ove si prevede che “il deposito con modalità telematiche si ha per avvenuto al momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della Giustizia” — ha ritenuto che, il perfezionamento del deposito non lascerebbe alcuno spazio al rifiuto dell'atto da parte della cancelleria per irregolarità fiscali. Peraltro, la stessa norma, non prevede alcuna sanzione legata all'obbligatorietà del pagamento telematico. Il deposito telematico presso la Suprema Corte di Cassazione dalla sperimentazione alle norme emergenzialiAl sol fine di fornire al lettore una panoramica sul percorso che ha portato all'obbligatorietà del deposito telematico in Cassazione, può essere utile ripercorrere la normativa vigente nel periodo di emergenza epidemiologica Covid-19 definitivamente sostituita dal 1° gennaio 2023 dalle previsioni normative contenute nella riforma Cartabia e commentate nel paragrafo precedente. Detto percorso è iniziato con la legge di conversione del decreto-legge n. 18 del 2020, primo decreto a prevedere misure emergenziali nel comparto giustizia a seguito dell'emergenza epidemiologica da Covid-19. In particolare, la legge n. 27 del 2020 introduceva all'interno dell'articolo 83 del d.l. n. 18/2020 il comma 11-bis in forza del quale, innanzi alla Corte di cassazione, il deposito degli atti e dei documenti da parte degli avvocati « può avvenire in modalità telematica nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. L'attivazione del servizio è preceduta da un provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia che accerta l'installazione e l'idoneità delle attrezzature informatiche, unitamente alla funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici ». Tale norma, tuttavia, prevedeva che l'attivazione del servizio dovesse essere preceduta da un provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia, il quale avrebbe dovuto accertare l'avvenuta installazione e idoneità delle attrezzature informatiche, nonché la corretta funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici. L'articolo in parola, rimasto inattuato per quasi un anno in assenza di provvedimento autorizzativo della DGSIA che attribuisse valore legale al deposito degli atti telematici presso la Suprema Corte, è stato poi riproposto al comma 5 dell'art. 221 del d.l. n. 34 del 2020, convertito con modificazioni nella legge 17 luglio 2020, n. 77. La norma citata ha, di fatto, reintrodotto la medesima disposizione già contenuta nell'articolo 83 con una efficacia temporale che, al momento in cui si scrive, risulta estesa fino al 31 luglio 2021, termine indicato dall'art. 23 del d.l. n. 137/2020 come modificato dal d.l. 1° aprile 2021, n. 44. Tale termine ha sostituito la scadenza inizialmente indicata dal medesimo art. 23 che legava le disposizioni emergenziali sul processo civile al termine dell'emergenza Covid-19, termine fissato dall'art. 1 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19 convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35. L'art. 23 del d.l. n. 137/2020, come ulteriormente modificato dal d.l. n. 44 del 1° aprile 2021, disponeva invece la validità della normativa in materia di giustizia di cui al d.l. n. 34/2020, compresa quindi la facoltà di deposito telematico in Cassazione, sino 31 luglio 2021. L'effettiva entrata in vigore della facoltà di deposito, come si era detto, invece subordinata all'emanazione del decreto del Direttore Generale SIA, esattamente come avveniva per l'attivazione del PCT nei Tribunali e Corti di Appello prima dell'avvento dell'obbligatorietà. Per la Suprema Corte il decreto, pur portando la data del 27 gennaio 2021, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 22 del 28 gennaio 2021 ed ha previsto la facoltà del deposito telematico a valore legale presso la Suprema Corte a partire dal 31 marzo 2021 e fino al 31 dicembre 2022 data in cui le misure emergenziali hanno cessato di avere efficacia lasciando spazio al principio generale della obbligatorietà del processo civile telematico. Sulle modalità di produzione del ricorso e della sentenza impugnata notificata a mezzo PECTra gli allegati obbligatori nell'iscrizione a ruolo del ricorso troviamo al numero 2) la copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta. Per effettuare la produzione in questione sarà dunque opportuno dunque eseguire il salvataggio in formato .eml o .msg oltre che delle ricevute di accettazione e consegna della notifica del ricorso, da cui andranno estrapolati gli originali di ricorso e procura speciale firmati digitalmente da inserire rispettivamente come atto principale e procura speciale, anche della PEC di notifica della sentenza impugnata. Ebbene, tanto le ricevute quanto la PEC contenente la sentenza notificata, dovranno essere salvate nella cartella digitale della pratica di riferimento poiché costituiranno, a tutti gli effetti, le prove del perfezionamento della notificazione. Il salvataggio potrà essere effettuato sia nel formato “eml” che nel formato “msg” (a seconda del tipo di client utilizzato per inviare il messaggio mail), entrambi accettati dai sistemi ministeriali ai fini del deposito telematico dell'atto notificato; quindi, i documenti informatici in questione dovranno essere depositati telematicamente unitamente all'atto notificato, venendo inseriti — come allegati — nella medesima busta digitale con la quale verrà trasmesso l'atto ai registri digitali di Cancelleria. L'operazione è ora consentita grazie all'introduzione del processo telematico anche in Corte di Cassazione ed è necessaria per tutti i ricorsi e controricorsi depositati successivamente al 31 marzo 2021. Di centrale importanza, infatti, è il disposto dell'art. 9, comma 1-ter, della legge n. 53/1994, ai sensi del quale “in tutti i casi in cui l'avvocato debba fornire prova della notificazione e non sia possibile fornirla con modalità telematiche, procede ai sensi del comma 1-bis.”, ovvero estrae copia su supporto analogico del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna e ne attesta la conformità ai documenti informatici da cui sono tratte ai sensi dell'art. 23, comma 1, d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82. A ben vedere, però, con l'introduzione prima della possibilità ed ora della obbligatorietà di deposito telematico in Corte di Cassazione, viene meno la condizione prevista dal sopra citato art. 9 — ossia — che non sia possibile trasmettere telematicamente le ricevute di accettazione e consegna della notifica via PEC; in conseguenza di ciò la prova della notificazione dovrà essere fornita esclusivamente producendo il documento informatico, che non potrà essere sostituito da una stampa munita di attestazione di conformità. Pertanto, laddove il ricorrente abbia ricevuto notificazione della sentenza a mezzo PEC, dovrà comunque avere cura di depositare non solo la sentenza, ma anche il messaggio di posta elettronica certificata. Ciò, come si è detto, non potrà più essere fatto in forma cartacea (analogica), poiché — con l'introduzione del PCT in sede di legittimità — è divenuto impossibile depositare la copia cartacea attestata conforme delle notifiche effettuate a mezzo PEC; per tale ragione si dovrà invece procedere all'allegazione del duplicato della notifica in formato .eml oppure .msg. Peraltro, si ricorda che secondo la Suprema Corte il ricorso per cassazione è improcedibile qualora la parte ricorrente dichiari di aver ricevuto la notificazione della sentenza impugnata a mezzo PEC, omettendo di depositare, nei termini indicati dall'art. 369, comma 1, c.p.c., documentazione costituente prova della predetta notifica e di tale documentazione non abbia effettuato la produzione neppure la parte controricorrente (da ultimo cfr. Cass. civ., 10 maggio 2021, n. 12231). I Giudici, tuttavia, chiariscono che non vi è alcun duplice onere di deposito di ulteriore copia conforme della sentenza estrapolata dal fascicolo telematico o mediante richiesta di copia conforme in cancelleria. Su tale punto, la Suprema Corte si era già fra l'altro espressa con l'ordinanza del 22 dicembre 2017, n. 30765 stabilendo che “ai fini del rispetto di quanto imposto, a pena d'improcedibilità, dall'art. 369, comma 2, n. 2 c.p.c., il difensore che propone ricorso per cassazione contro un provvedimento che gli è stato notificato con modalità telematiche, deve depositare nella cancelleria della Corte di cassazione copia analogica, con attestazione di conformità ai sensi dei commi 1-bis e 1-ter dell'art. 9 della legge 53/1994, del messaggio di posta elettronica certificata ricevuto, nonché della relazione di notifica e del provvedimento impugnato, allegati al messaggio. Non è necessario anche il deposito di copia autenticata del provvedimento impugnato estratta direttamente dal fascicolo informatico”. Infatti, laddove si produca la PEC di notifica della sentenza sarà sufficiente depositare unitamente al file .eml o .msg della PEC anche il relativo contenuto ovvero la sentenza impugnata e la relata di notifica contenente l'attestazione di conformità. Tuttavia sarà opportuno verificare la correttezza dell'attestazione di conformità della sentenza impugnata contenuta nella PEC di notifica ed eventualmente, laddove vi siano errori, depositare anche la copia informatica estratta dal fascicolo telematico attestandone la conformità. Recentemente la Corte di Cassazione ha precisato altresì che "l'art. 369 c.p.c. non consente di distinguere tra deposito della sentenza impugnata e deposito della relazione di notificazione, con la conseguenza che anche la mancanza di uno solo dei due documenti determina l'improcedibilità del ricorso. Tale sanzione può essere evitata se il deposito del documento mancante avviene in un momento successivo, purché entro il termine di venti giorni dalla notifica del ricorso per cassazione; non, invece, quando il deposito avvenga oltre detto termine, in quanto consentire il recupero dell'omissione mediante la produzione a tempo indeterminato con lo strumento dell'art. 372 c.p.c. vanificherebbe il senso del duplice adempimento del meccanismo processuale. Inoltre, la sanzione dell'improcedibilità non è applicabile quando il documento mancante sia nella disponibilità del giudice perché prodotto dalla controparte o perché presente nel fascicolo d'ufficio acquisito su istanza della parte, senza che, però, ove tale fascicolo manchi, ancorché richiesto, se ne debba attendere l'acquisizione. Infine, l'improcedibilità non sussiste quando il ricorso per cassazione risulta notificato prima della scadenza dei sessanta giorni dalla pubblicazione della sentenza e quindi nel rispetto del termine breve per l'impugnazione, perché in tal caso perde rilievo la data della notifica del provvedimento impugnato" (Cass. 8 novembre '24, n. 28781) Infine, i principi sin qui enunciati, dovranno essere applicati anche al caso in cui il termine breve per impugnare decorra non già da una notificazione ad istanza di parte ma da una comunicazione di cancelleria. In quest'ultimo caso l'onere del ricorrente sarà quello di depositare il messaggio PEC pervenuto dalla cancelleria anche se in quest'ultimo caso sarà necessario attestare la conformità della copia informatica della sentenza contenuta nel biglietto di cancelleria o scaricata dal fascicolo telematico. Sulle modalità di produzione della sentenza impugnata non notificataAbbiamo sin qui esaminato le ipotesi in cui la sentenza oggetto di ricorso per Cassazione sia stata notificata al ricorrente, con conseguente decorrenza del cosiddetto termine breve per impugnare. Tuttavia, l'articolo in commento, prevede che la sentenza impugnata debba essere depositata in copia autentica, a pena di improcedibilità, anche nel caso in cui non sia stata notificata dalla controparte. Tale copia potrà indubbiamente essere scaricata dal fascicolo telematico come chiarito anche dalle stesse Sezioni Unite nella summenzionata sentenza n. 8312 del 2019. Infatti, sostiene la Corte che “ai fini del deposito della decisione in copia autentica, ai sensi dell'art. 369, secondo comma, n. 2., cod. proc. civ., il difensore può giovarsi del potere di autentica a lui espressamente conferito dall'art. 16-bis, comma 9-bis, del d.l. n. 179 del 2012, cit., purché sia rispettata la condizione ivi prevista, vale a dire che egli attesti trattarsi di atto contenuto nel fascicolo informatico di ufficio, perché originariamente digitale ovvero perché digitalizzato dal cancelliere. A proposito del potere di autenticazione degli avvocati difensori, Cass. 8 novembre 2017, n. 26479 ha affermato che l'ambito del potere di autentica conferito ai difensori ed agli altri soggetti ivi indicati si estende a tutti gli atti e provvedimenti contenuti nel fascicolo informatico, sia perché originariamente depositati in formato digitale sia perché depositati in formato cartaceo e successivamente digitalizzati dal cancelliere, ai sensi dell'art. 15, comma 4, del d.m. 21 febbraio 2011, n. 44, senza che l'applicabilità della norma sia da limitare ai soli procedimenti iscritti successivamente al 30 giugno 2014. Ne consegue che i principi affermati da Cass. n. 22438 del 2018 cit. si devono ritenere applicabili anche al procedimento di autenticazione di copia della sentenza, ricorrendone i presupposti e, in particolare, il medesimo meccanismo di collaborazione delle parti, prefigurato dalle Sezioni Unite per giungere all'autenticazione del documento”. È dunque evidente come, in caso di mancata notificazione della sentenza, il ricorrente ben potrà estrapolare la copia informatica della sentenza dal fascicolo telematico del grado precedente. È pacifica, tuttavia, l'improcedibilità del ricorso in mancanza di copia conforme della sentenza impugnata. Sul punto si è espressa la Suprema Corte, con ordinanza del 23 marzo 2021 n. 8097, ribadendo che, a fini della procedibilità del ricorso, nel caso in cui la controparte è rimasta solo intimata, il ricorrente deve depositare l'asseverazione di conformità all'originale della copia analogia entro l'udienza di discussione o l'adunanza in camera di consiglio. Di identico tenore la pronuncia del 25 gennaio 2022, n. 2078, con cui la Suprema Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi della mancata asseverazione della pronuncia oggetto di impugnazione, e delle relative conseguenze sul piano processuale. I Giudici, riprendendo i precedenti assunti sul punto e — in particolare — la pronuncia a Sezioni Unite n. 8312 del 25 marzo 2019, hanno ribadito come — in virtù del chiaro disposto dell'art. 369 c.p.c. — il difetto di asseverazione della copia analogica depositata della sentenza gravata, possa essere sanato solo qualora, “il controricorrente (o uno dei controricorrenti), nel costituirsi (anche tardivamente), depositi a sua volta copia analogica della decisione ritualmente autenticata, ovvero non disconosca la conformità della copia informale all'originale; nell'ipotesi in cui, invece, la controparte (o una delle controparti) sia rimasta soltanto intimata, ovvero abbia effettuato il suddetto disconoscimento, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità il ricorrente ha l'onere di depositare l'asseverazione di conformità all'originale della copia analogica, entro l'udienza di discussione o l'adunanza in camera di consiglio”. Nel caso di specie, non essendo stata depositata la copia della pronuncia munita di asseverazione e non avendo provveduto in tal senso nemmeno il controricorrente, il ricorso è stato conseguentemente dichiarato improcedibile. (In senso conforme: Cass, sez. un., 25 marzo 2019, n. 8312) Occorre precisare che le predette sentenze, pur riferendosi ad un procedimento in Cassazione ancora cartaceo ben possono applicarsi al deposito telematico ove il ricorrente dovendo depositare una copia informatica del provvedimento impugnato potrà provvedere ad effettuare l'attestazione in calce alla copia informatica del provvedimento o su documento informatico separato ai sensi dell'art. 196-undecies disp. att. c.p.c. Inoltre, un recente assunto della Suprema Corte del 29 novembre 2019, n. 31214 ha chiarito che solo l'attestazione circa la data di deposito del cancelliere rende la sentenza ostensibile agli interessati. È noto, infatti, che all'interno del fascicolo telematico si possono reperire, oltre alle copie informatiche degli atti e provvedimenti del giudice, anche i duplicati informatici degli stessi atti. Pur rimandandosi l'analisi delle differenze tra copie e duplicati nel commento dell'articolo 16-bis del d.l. n. 179/2012, è opportuno rammentare in questa sede che, solo la copia informatica riporta gli estremi di protocollatura dei provvedimenti e nella specie oltre al numero e data di emissione del provvedimento anche il numero di ruolo della causa, riportati in caratteri blu in alto a destra. Ebbene, nel caso scrutinato dalla Suprema Corte con la sentenza sopra richiamata, gli Ermellini hanno dichiarato improcedibile il ricorso avendo rilevato il mancato deposito di una copia autentica del provvedimento impugnato, come invece disposto dall'art. 369 c.p.c. Il ricorrente, infatti si era limitato a depositare esclusivamente una copia analogica dell'ordinanza impugnata, probabilmente estrapolata da un duplicato informatico e non da una copia informatica, recante quindi solo la data di redazione del provvedimento indicata dall'estensore, e certificata dall'Avvocato come conforme alla copia informatica dell'atto presente nel fascicolo informatico del relativo procedimento — dal quale è stata estratta — ma priva dell'attestazione di cancelleria della data di deposito della sentenza stessa (rectius estremi del provvedimento in genere, se trattasi di sentenza firmata digitalmente dal magistrato, apposti in automatico dal sistema in colore blu in alto a destra del PDF costituente la copia informatica). Più recentemente, in conformità con il suddetto orientamento, la Suprema Corte ha ritenuto che in caso di produzione di una copia del provvedimento impugnato attestata conforme all'originale presente nel fascicolo informatico (ovvero, come nella specie, in caso di produzione di duplicato informatico del provvedimento medesimo), ma priva dell'attestazione di pubblicazione della cancelleria, nonché della relativa data e del relativo numero, il ricorso per cassazione è da ritenere improcedibile ai sensi dell'art. 369 c.p.c. (Cass. 24 febbraio 2023, n. 5771). Da questi precedenti, certamente criticabili sotto molti punti di vista, emerge un chiaro orientamento giurisprudenziale, quantomeno in sede di legittimità, in forza del quale appare rischioso produrre il duplicato informatico; un consiglio molto pratico, onde evitare di incorrere in possibile responsabilità professionale, è dunque quello di utilizzare la copia informatica. Tali considerazioni vanno però accompagnate con la riflessione che l'intera disciplina appare in tal caso desueta e non in linea con l'introduzione del processo telematico; ha infatti ben poco senso mantenere un obbligo (per di più a pena di inammissibilità) a carico dell'avvocato quando la Corte ritrova nel fascicolo trasmesso dal grado precedente la sentenza in forma originale e può verificarne d'ufficio firma, data di pubblicazione e ogni altro dettaglio. L'art. 133 c.p.c. — che non è stato modificato dalla disciplina normativa del processo civile telematico di cui al d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni nella l. 17 dicembre 2012, n. 221 — dispone al comma 1 che la sentenza sia resa pubblica mediante deposito nella cancelleria del giudice che l'ha pronunciata, e al comma 2 che il cancelliere dà atto del deposito in calce alla sentenza e vi appone la data e la firma. Chiarisce la corte che “quanto alla interpretazione della norma questa Corte a Sezioni Unite è venuta a chiarire, in ordine all'attività demandata al Cancelliere, che “si tratta di un deposito sui generis sia perché non serve (solo) a custodire la cosa ma (innanzitutto) ad attuarne la pubblicazione (rappresentando lo strumento individuato a questo scopo dal legislatore) sia perché la norma si riferisce chiaramente ad un deposito “in cancelleria” del quale il cancelliere dà atto in calce alla sentenza, ed è evidente che un deposito effettuato presso un ufficio pubblico non può risolversi nella semplice traditio brevi manu della sentenza attestata dal cancelliere, risultando assolutamente indispensabile (in relazione alle conseguenze che debbono trarsene) che esso abbia carattere ufficiale e cioè che nel luogo individuato per il deposito (la cancelleria) questo risulti ufficialmente. Ma il “deposito in cancelleria” non può “risultare” ufficialmente se non a seguito dell'inserimento dell'atto oggetto di deposito nell'elenco cronologico delle sentenze esistente presso la suddetta cancelleria, con assegnazione del numero identificativo, non fosse altro perché una sentenza non identificabile non può neppure risultare ufficialmente depositata. È pertanto l'inserimento nell'elenco cronologico delle sentenze il “mezzo” attraverso il quale si realizza ufficialmente il “deposito in cancelleria” della sentenza e, al contempo, la pubblicità necessaria alla conoscibilità della stessa, essendo questo peraltro l'unico modo per attribuire significato ad una norma prevedente un deposito che è “strumento” della pubblicazione e al contempo con essa coincide.” (cfr. Cass. Sez. un., 22 settembre 2016, n. 18569). La Corte inoltre ribadisce che, nel processo telematico, la formazione digitale del documento-sentenza si compone di due fasi: in primis l'apposizione della firma, in questo caso digitale, da parte del Giudice che successivamente trasmette il documento per via telematica in cancelleria; seguono poi le successive attività di deposito della sentenza che sono rimesse al Cancelliere. Quest'ultimo, nella fase di accettazione dello stesso, attribuisce il numero della sentenza mediante il sistema informatico di cancelleria. Secondo la Corte, solo il compimento di tale attività, rende pubblicamente ostensibile la decisione, determinando gli altri effetti processuali, tra i quali la decorrenza del termine di impugnazione ex art. 327 c.p.c.” Condivide, pertanto, il Collegio il principio secondo cui “in tema di redazione della sentenza in formato elettronico, la relativa data di pubblicazione, ai fini del decorso del termine cd. “lungo” di impugnazione, coincide non già con quella della sua trasmissione alla cancelleria da parte del giudice, bensì con quella dell'attestazione del cancelliere, giacché è solo da tale momento che la sentenza diviene ostensibile agli interessati” (cfr. Cass. civ., sez. II, 9 ottobre 2018, n. 24891).” Secondo gli Ermellini, dunque il “deposito in cancelleria” non può dirsi perfezionato se non a seguito dell'inserimento dell'atto oggetto di deposito nell'elenco cronologico delle sentenze, e con assegnazione del relativo numero identificativo, non fosse altro perché una sentenza non identificabile non può neppure risultare ufficialmente depositata. È pertanto l'inserimento nell'elenco cronologico delle sentenze il mezzo attraverso il quale si realizza ufficialmente il “deposito in cancelleria” della sentenza e, al contempo, la pubblicità necessaria alla conoscibilità della stessa, essendo questo peraltro l'unico modo per attribuire significato a una norma prevedente un deposito che è “strumento” della pubblicazione e, al contempo, coincide con essa. Alle medesime conclusioni giunge l'ordinanza della Suprema Corte n. 14875 del 31 maggio 2019, laddove dichiara improcedibile il ricorso in cui il ricorrente pur avendo prodotto una copia della sentenza estrapolata dal fascicolo telematico e attestata come conforme a quanto contenuto nel fascicolo stesso, risultava priva della attestazione di Cancelleria della data di deposito della sentenza. Questo orientamento è stato per fortuna superato dalla sentenza n.12971 della Suprema Corte del 13/05/2024 che ha sancito la piena utilizzabilità del duplicato informatico anche ai fini della produzione della sentenza impugnata. La Corte infatti ha sancito che, in regime di deposito telematico degli atti, l'onere del deposito di copia autentica del provvedimento impugnato imposto, a pena di improcedibilità del ricorso dall'art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c., è assolto non solo dal deposito della relativa copia informatica, recante la stampigliatura solo rappresentativa dei dati esterni (numero cronologico e data) concernenti la sua pubblicazione, ma anche dal deposito del duplicato informatico di detto provvedimento, il quale ha il medesimo valore giuridico, ad ogni effetto di legge, dell'originale informatico e che, per sue caratteristiche intrinseche, non può recare alcuna sovrapposizione o annotazione (e, dunque, la stampigliatura presente nella copia informatica) che ne determinerebbe, di per sé, l'alterazione. Ne consegue che, ai fini della verifica della tempestività dell'impugnazione, i dati relativi alla pubblicazione, ove non evincibili tramite i sistemi informatici in uso alla Corte di cassazione e in contestazione, vanno attinti attraverso la consultazione del fascicolo di merito acquisito d'ufficio ai sensi dell'art. 173-bis disp. att. c.p.c. per i giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere dal 1° gennaio 2023, ovvero, per i giudizi precedentemente introdotti, tramite richiesta di attestazione dei dati stessi alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, in presenza di istanza del ricorrente ai sensi dell'art. 369, ultimo comma, c.p.c., nella formulazione antecedente all'abrogazione disposta dal d.lg. n. 149 del 2022. Nella specie la sentenza di appello depositata dal ricorrente recava soltanto la firma digitale del presidente del collegio e del consigliere estensore e la decisione risultava adottata in data 28 giugno 2016. Mancava pertanto sia la attestazione di deposito del Cancelliere sia il numero identificativo della sentenza che attestava l'inserimento dell'atto nel registro cronologico delle decisioni (artt. 28,33 e 35 disp. att. c.p.c.; art. 13, comma 1, n. 16 del d.m. Giustizia 27 marzo 2000 n. 264 “Regolamento recante norme per la tenuta dei registri presso gli uffici giudiziari.”): difettava pertanto l'attestazione della pubblicazione della sentenza. In tal caso la verifica assumeva particolare rilevanza in quanto “il ricorso per cassazione veniva notificato per via telematica in data 15 settembre 2017 e, trovando applicazione il termine lungo annuale ex art. 327 c.p.c. (essendo stato introdotto il giudizio in data anteriore al 4 luglio 2009, data di entrata in vigore della riforma della norma processuale disposta dalla legge n. 69/2009), la notifica risulterebbe tempestivamente eseguita rispetto alla data 18 luglio 2016 di pubblicazione della sentenza indicata dal ricorrente, mentre sarebbe da considerare tardiva rispetto alla data 28 giugno 2016, in cui è stata emessa la decisione (venendo a scadere il termine di decadenza il 29 luglio 2017).” Lo stesso orientamento è stato poi ribadito dalla Suprema Corte che con sentenza del 22 novembre 2022 n. 34277 ha dichiarato improcedibile un ricorso in quanto la sentenza, pur pacificamente pubblicata il 7 maggio 2021, non recava, nella copia prodotta, la stampigliatura della pubblicazione, e dunque non era è stata prodotta nella forma integrale telematica. Alle stesse conclusioni è giunta l'ordinanza della Suprema Corte 5771/2023 del 24 febbraio 2023, già citata in precedenza. Nel caso di specie i ricorrenti producevano una copia cartacea della sentenza loro notificata in data 21 dicembre 2020, a mezzo PEC, dalla curatela opposta (copia cartacea, peraltro, priva di attestazione di conformità all'originale telematico ricevuto). Ebbene detta copia cartacea indicata dal difensore della curatela notificante come “duplicato informatico” della sentenza estratto dal fascicolo telematico, non recava alcuna attestazione di avvenuta pubblicazione, nessuna data di pubblicazione e nessun numero identificativo. Tuttavia, nel caso di specie la Curatela notificante affermava che alla sentenza sarebbe stato assegnato il numero 1326 dell'anno 2020 e che la pubblicazione sarebbe avvenuta in data 14 dicembre 2020 (sebbene, come già chiarito, dalla copia prodotta tutto ciò non emergesse affatto), mentre i ricorrenti, nel ricorso, affermavano che il numero assegnato alla sentenza sarebbe stato il 1320 (in luogo di 1326) e che la data di pubblicazione sarebbe stata il 14 dicembre 2021 (in luogo del 2020). Al di là delle eccezioni della controparte, la Corte ha rilevato che la copia della sentenza deve recare l'attestazione della Cancelleria di avvenuta pubblicazione del provvedimento, nonché la data ed il numero di tale pubblicazione; conseguentemente, in mancanza di tali dati e pertanto il ricorso veniva dichiarato improcedibile. Quest'ultimo orientamento impone dunque all'avvocato di verificare, come si è detto nel precedente paragrafo, la correttezza dell'attestazione di conformità e della sentenza impugnata contenuta nella PEC di notifica ed eventualmente, laddove vi siano errori, di depositare anche la copia informatica estratta dal fascicolo telematico attestandone la conformità. Tali precedenti giurisprudenziali rammentano la necessità di prestare particolare attenzione nel redigere le attestazioni di conformità, soprattutto laddove debba risultare evidente la data di pubblicazione del provvedimento che, come si è detto, viene riportata esclusivamente nelle copie informatiche e non anche nei duplicati. È consigliabile, pertanto, soprattutto laddove debba essere evidente e certa la data di pubblicazione della sentenza ai fini di valutare il rispetto del c.d. “termine lungo”, l'utilizzo delle sole copie informatiche, non recando i duplicati informatici tali informazioni. Peraltro, la Suprema Corte, nell'ordinanza 14875 del 31 maggio 2019, ritiene che non possa tornare utile il richiamo alla disposizione dell'art. 16-bis, comma 9-bis, d.l. 18 ottobre 2010 n. 179 conv. in legge n. 221/2012 — introdotta dall'art. 52, comma 1, lett. a), del d.l. 24 giugno 2014 n. 90 conv. con mod. in legge 11 agosto 2014 n. 114 — che stabilisce la equivalenza all'originale delle copie informatiche, anche per immagine, dei provvedimenti del Giudice “anche se prive della firma digitale del cancelliere di attestazione di conformità all'originale”, essendo appena il caso di osservare come la norma attribuisca al difensore il potere di certificazione pubblica delle “copie analogiche ed anche informatiche, anche per immagine, estratte dal fascicolo informatico” ma non anche la competenza amministrativa riservata al funzionario di Cancelleria relativa alla “pubblicazione” della sentenza. In altre parole l'avvocato, pur avendo il potere di attestare che la copia è conforme al corrispondente atto o provvedimento contenuto nel fascicolo telematico, non potrà “certificare” in detta attestazione la data di pubblicazione del provvedimento, rendendosi pertanto necessaria l'attestazione di una copia del provvedimento che contenga ab origine tale informazione o perché inserita in forma olografa dal cancelliere, in caso di sentenza redatta in formato analogico, o perché inserita in forma automatica — in carattere blu in alto a destra — dai sistemi informatici della cancelleria.
I poteri di attestazione di conformità della copia della sentenza notificata da parte del difensore del grado precedente di giudizio.Sui poteri di attestazione del difensore del grado precedente e del difensore successivamente intervenuto (pur rimandandosi alla più compiuta analisi che verrà nel commento dell'art. 196-octies c.p.c.), si ritiene opportuno richiamare in questa sede quanto statuito dalla Suprema Corte relativamente alla attestazione di conformità della PEC costituente la notifica ai fini della decorrenza del termine breve. Non è infrequente infatti che, il difensore in grado di appello, non assuma la difesa nel successivo giudizio di legittimità, con la conseguente problematica circa la legittimazione del nuovo difensore ad attestare la conformità della copia cartacea di notifica telematica effettuata ad un soggetto diverso. La Suprema Corte con la sentenza n. 10941 dell'8 maggio del 2018 ha affrontato il problema inverso, stabilendo che è ammissibile l'attestazione di conformità della sentenza redatta dal difensore del grado precedente. Il caso di specie, pur occupandosi della questione dell'improcedibilità del ricorso per Cassazione in assenza di copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, ha affrontato una problematica ancora oscura in tema di attestazioni di conformità, ovvero: a chi spetta infatti redigere la attestazione di conformità dei predetti atti? Non è infatti chiaro se tale onere possa dirsi a carico del difensore del grado precedente, piuttosto che del difensore del ricorrente in sede di legittimità. La Suprema Corte ha rilevato, nel caso di specie, la presenza in atti della sola copia analogica della sentenza impugnata munita di attestazione di conformità redatta dal difensore del ricorrente nel precedente grado di giudizio. Tale attestazione, pur essendo ritenuta rituale, è stata giudicata incompleta in quando mancante di relata di notifica e di pedissequa copia del messaggio PEC costituente la notifica, come prescritto dall'art. 369 comma 2 n. 2, c.p.c. Secondo la Corte, infatti, l'art. 9 della legge n. 53 del 1994 che, come è noto, regolamenta le attestazioni di conformità delle copie analogiche delle notificazioni telematiche, non prescrive che l'attestazione di conformità debba essere sottoscritta dal medesimo difensore che assiste le parti nel grado di giudizio nel quale la copia analogica del documento digitale viene prodotta. In particolare, il potere di attestare la conformità, è in capo al difensore munito di procura alle liti nel momento in cui l'attestazione viene redatta. Nel caso di specie l'attestazione viene quindi considerata valida, poiché redatta in un momento antecedente al conferimento della procura speciale al difensore del successivo grado di giudizio. La sentenza rileva inoltre che, al fine di verificare la validità della procura al momento in cui viene redatta l'attestazione, si deve verificare se la procura de qua sia generale o speciale. Nel primo caso, infatti, lo ius postulandi verrebbe meno solamente per effetto di espressa revoca del mandato difensivo, mentre nel secondo caso, ai sensi dell'art. 83, ultimo comma, c.p.c., la procura speciale si presume conferita soltanto per un determinato grado del processo, salvo che nell'atto non venga espressa una volontà diversa. In quest'ultimo caso, dunque, i poteri rappresentativi del difensore si esauriscono nel momento in cui viene introdotto il grado successivo di giudizio con l'assistenza legale di un diverso avvocato. La Suprema Corte esprime dunque, nella sentenza in commento, il seguente principio di diritto: “In tema di ricorso per cassazione, ai fini dell'osservanza di quanto imposto, a pena di improcedibilità, dall'art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c., nel caso in cui la sentenza impugnata sia stata redatta in formato digitale, l'attestazione di conformità della copia analogica predisposta per la Corte di cassazione (fintantoché innanzi alla stessa non sia attivato il processo civile telematico) può essere redatta, ai sensi dei commi 1-bis e 1-ter dell'art. 9 della legge n. 53 del 1994, dal difensore che ha assistito la parte nel precedente grado di giudizio, i cui poteri processuali e di rappresentanza permangono, anche nel caso in cui allo stesso fosse stata conferita una procura speciale per quel singolo grado, sino a quando il cliente non conferisca il mandato alle liti per il giudizio di legittimità ad un altro difensore”. La sentenza sopra citata lascia aperta la facoltà di attestazione da parte di uno dei due legali, ponendo quale unico requisito che, il sottoscrittore dell'attestazione, sia munito di procura alle liti alla data in cui detta attestazione viene redatta. Tuttavia, nel caso di attestazione di conformità della sentenza notificata, della relata di notifica e del relativo messaggio PEC che le contiene, una successiva sentenza della Suprema Corte (Cass. civ., sez. VI, 30 agosto 2018, n. 21406, ha chiarito che grava sul difensore costituito o domiciliatario, ancorché sia stato revocato o abbia rinunciato al mandato, l'obbligo non soltanto di informare la parte già rappresentata dell'avvenuta notificazione della sentenza ma altresì di compiere, in maniera tempestiva, le descritte attività (estrazione di copie analogiche del messaggio a mezzo PEC e della relazione di notifica ad esso allegata ed attestazione cartacea di conformità con sottoscrizione autografa) e consegnare i relativi documenti al nuovo difensore ovvero (qualora non edotto della nuova nomina) alla parte stessa. Tale onere secondo la Corte si concreta in una diversa declinazione del medesimo obbligo del difensore destinatario della notificazione della sentenza in forme tradizionali, tenuto a consegnare, in maniera completa ed utile per l'esplicarsi della successiva — eventuale — attività processuale, gli atti e documenti afferenti il mandato, ovvero in sintesi un onere da ricondursi nel generale dovere di diligenza professionale che l'avvocato, sotto pena della relativa responsabilità, deve serbare nei confronti del proprio cliente, anche se per qualsivoglia ragione sia cessato il mandato (v. Cass. 12 ottobre 2009, n. 21589 e Cass., 20 dicembre 2017, n. 30622). Tuttavia, a parere di chi scrive, sarebbe più corretto allargare le maglie del potere di attestazione anche all'avvocato del successivo grado di giudizio come suggerito dalla prima pronuncia citata, a patto che l'avvocato che redige l'attestazione venga posto nelle condizioni di verificare la “genuinità” del messaggio PEC costituente la notifica. Infatti, pur sconsigliandosi questa seconda modalità, il difensore nel giudizio di Cassazione ben potrebbe chiedere a quello del precedente grado l'originale telematico del messaggio PEC costituente la notifica in formato .eml o .msg e attestare quindi la conformità dello stesso e dei relativi allegati all'originale telematico trasmessogli. Tale modus procedendi, tuttavia, oltre a poter sembrare più complesso rispetto alla richiesta al difensore del grado precedente della copia della notifica già munita di attestazione effettuata in data precedente alla cessazione dello ius postulandi, non sarebbe in linea con il più recente orientamento della Suprema Corte. In ogni caso, a parere degli scriventi, laddove il difensore del successivo grado non potesse attestare la conformità degli atti del precedente giudizio, si verificherebbe una disparità di trattamento tra la parte che dovesse confermare il proprio difensore e quella che invece dovesse optare per una sostituzione. Nella medesima ipotesi, poi, ci si troverebbe dinanzi ad un chiaro vuoto normativo che non consentirebbe al difensore del secondo grado di attestare la conformità di un atto, quale ad esempio la copia conforme sentenza scaricata dal fascicolo del grado precedente, che fosse necessariamente prodromico alla proposizione di una impugnazione. In ogni caso, l'attestazione di conformità redatta dal difensore del grado precedente non potrà mai essere effettuata dopo il conferimento del mandato al nuovo difensore. La Suprema Corte, infatti, con sentenza n. 4401 del 18 febbraio 2021 ha dichiarato l'improcedibilità del ricorso per cassazione nel caso in cui la sentenza impugnata sia stata redatta in formato digitale e l'attestazione di conformità della copia analogica prodotta risulti sottoscritta dal primo difensore che ha assistito la parte nel precedente grado di giudizio, dopo che il cliente aveva già conferito il mandato alle liti per il giudizio di legittimità ad un altro avvocato. Gli oneri di attestazione per i ricorsi depositati fino al 31 marzo 2021 in caso di notificazioni a mezzo PECIl commento che segue interessa la nostra trattazione relativamente alle modalità di deposito della copia autentica della sentenza relative alle iscrizioni a ruolo in Cassazione effettuate fino al 31 marzo 2021, infatti, per i depositi effettuati successivamente la possibilità di deposito telematico ha di fatto escluso la possibilità di depositare le stampe delle PEC e delle relative ricevute asseverate come conformi. A ciò si aggiunga che, come si è detto, la riforma Cartabia ha reso obbligatorio anche presso la Suprema Corte di Cassazione il deposito telematico di qualsiasi atto processuale. Pertanto, si deve avvertire il lettore che, le problematiche analizzate nel commento che segue, si riferiscono ai depositi dei ricorsi effettuati prima dell'entrata in vigore della c.d. riforma Cartabia, e quindi effettuati prima del 1° gennaio 2023, nonché effettuati prima della normativa emergenziale, emanata a seguito della pandemia da Covid-19, che fin dal 31 marzo 2021 aveva reso facoltativo il deposito telematico presso la suprema Corte di Cassazione. Al secondo comma n. 2 si legge che, unitamente al ricorso, deve essere depositata copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, mentre il primo comma stabilisce l'obbligo di deposito del ricorso notificato. Entrambi gli adempimenti prevedono, in caso di mancato deposito, la sanzione dell'improcedibilità del ricorso. La questione in esame, pur essendo già stata analizzata da numerose pronunce della Suprema Corte relativamente alle notifiche cartacee (si veda, da ultimo, la sentenza n. 16498 del 2016 che sancisce l'improcedibilità del ricorso, ai sensi dell'art. 369, comma 2, c.p.c., qualora si sia provveduto al deposito di una copia ”uso studio” in luogo della copia autentica) è stata oggetto di un acceso dibattito dottrinale negli ultimi anni nonché di un orientamento pressoché unanime della Suprema Corte culminato con la pronuncia a sezioni unite n. 8312 del 25 marzo 2019. In particolare, tale pronuncia, ha di fatto circostanziato la reale portata applicativa della norma in commento. Nel caso di specie, infatti, inizialmente trattato ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c. dinanzi alla Sesta Sezione Civile, Sottosezione Terza, il ricorrente depositava copia analogica della sentenza impugnata con la relazione di notificazione, effettuata via PEC, seppur non corredata dall'attestazione di conformità. Ad un primo esame della questione, il relatore proponeva di pronunciare l'improcedibilità del ricorso in conformità con l'orientamento espresso dalla Cassazione nel provvedimento, n. 30765/2017. Tuttavia la sezione assegnataria rilevava l'esistenza di un successivo orientamento espresso dalle sezioni unite con la pronuncia n. 22438/2018 del 24 settembre 2018, che escludeva l'improcedibilità del ricorso per deposito tempestivo di copia analogica del ricorso per cassazione in originale telematico e inviato via PEC senza attestazione di conformità, nel caso in cui il controricorrente avesse provveduto a depositare copia analogica del ricorso ritualmente autenticata o non avesse disconosciuto la conformità della copia informale ricevuta. Del caso di specie, in applicazione del primo comma dell'articolo in commento, la Cassazione si era già occupata con l'Ordinanza 30918/2017 e, la sesta sezione, aveva interpretato in via estremamente rigorosa il testo del comma in parola, prevedendo non solo la sanzione dell'improcedibilità in caso di mancata attestazione — o errata attestazione — di conformità del ricorso notificato ma anche la rilevabilità d'ufficio del vizio e la non sanabilità dello stesso. Le Sezioni Unite — con la pronuncia 22438/2018 — confermavano l'orientamento della sesta sezione prevedendo tuttavia alcuni correttivi atti a stemperare il rigore interpretativo utilizzato nel precedente giurisprudenziale de quo. In particolare le sezioni unite enunciavano i seguenti principi di diritto: “Il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall'ultima notifica, di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo posta elettronica certificata, senza attestazione di conformità del difensoreex art. 9, commi 1-bis e 1-ter, l. n. 53 del 1994 o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non ne comporta l'improcedibilità ai sensi dell'art. 369 c.p.c. sia nel caso in cui il controricorrente (anche tardivamente costituitosi) depositi copia analogica di detto ricorso autenticata dal proprio difensore, sia in quello in cui, ai sensi dell'art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 82 del 2005, non ne abbia disconosciuto la conformità all'originale notificatogli. Anche ai fini della tempestività della notificazione del ricorso in originale telematico sarà onere del controricorrente disconoscere la conformità agli originali dei messaggi di p.e.c. e della relata di notificazione depositati in copia analogica non autenticata dal ricorrente. Ove, poi, il destinatario della notificazione a mezzo p.e.c. del ricorso nativo digitale rimanga solo intimato, il ricorrente potrà depositare, ai sensi dell'art. 372 c.p.c. (e senza necessità di notificazione ai sensi del secondo comma della medesima disposizione), l'asseverazione di conformità all'originale ( ex art. 9 della legge n. 53 del 1994) della copia analogica depositata sino all'udienza di discussione (art. 379 c.p.c.) o all'adunanza in camera di consiglio (artt. 380 bis , 380- bis e 380- ter c.p.c.). In difetto, il ricorso sarà dichiarato improcedibile. Nel caso in cui il destinatario della notificazione a mezzo p.e.c. del ricorso nativo digitale depositi il controricorso e disconosca la conformità all'originale della copia analogica informe del ricorso depositata, sarà onere del ricorrente, nei termini anzidetti (sino all'udienza pubblica o all'adunanza di camera di consiglio), depositare l'asseverazione di legge circa la conformità della copia analogica, tempestivamente depositata, all'originale notificato. In difetto, il ricorso sarà dichiarato improcedibile. Nell'ipotesi in cui vi siano più destinatari della notificazione a mezzo p.e.c. del ricorso nativo digitale e non tutti depositino controricorso, il ricorrente — posto che il comportamento concludente ex art. 23, comma 2, CAD impegna solo la parte che lo pone in essere — sarà onerato di depositare, nei termini sopra precisati, l'asseverazione di cui all'art. 9 della legge n. 53 del 1994. In difetto, il ricorso sarà dichiarato improcedibile”. Le Sezioni Unite, quindi, ribadivano l'improcedibilità del ricorso in caso di violazione del disposto di cui all'art. 369 I comma c.p.c., ma lo facevano stemperando la precedente interpretazione della sesta sezione e ritenendo — di conseguenza — non comminabile la sanzione dell'improcedibilità nel caso in cui: non vi fosse stato disconoscimento dell'atto depositato, controparte avesse depositato copia autentica del ricorso notificato, oppure il ricorrente avesse depositato — entro l'udienza di discussione o entro l'adunanza in camera di consiglio — l'asseverazione di cui all'art. 9 l. n. 53/1994. La pronuncia in esame appare, dunque, sicuramente ispirata ai principi della Carta Costituzione nonché a quelli del comune buon senso ed è come tale certamente da condividersi. È dunque evidente come, la portata interpretativa della pronuncia n. 22438/2018, si sia posta in evidente discrasia con l'orientamento della stessa Suprema Corte in tema di deposito della copia conforme della sentenza notificata. Proprio tale discrasia ha portato la terza sottosezione della Sesta sezione della Cassazione Civile, con l'ordinanza interlocutoria n. 28844 del 9 novembre 2018, a rimettere gli atti al Primo Presidente per l'assegnazione alle Sezioni Unite, così da approfondire la portata interpretativa della pronuncia n. 22438/2018. In particolare, con l'ordinanza interlocutoria si chiedeva di stabilire se, in assenza dell'attestazione di conformità della copia autentica della sentenza impugnata, il mancato disconoscimento della conformità da parte del controricorrente determinasse l'improcedibilità o meno del ricorso. La successiva pronuncia delle Sezioni Unite (n. 8312/2019) ha quindi avuto il pregio di ricostruire integralmente gli adempimenti dell'avvocato, distinguendo altresì tra le diverse ipotesi di mancato deposito di copie conformi ed enunciando i seguenti principio di diritto: « 1) il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall'ultima notifica, di copia analogica della decisione impugnata predisposta in originale telematico e notificata a mezzo PEC priva di attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1-bis e 1-ter , della legge n. 53/1994 oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non comporta l'applicazione della sanzione dell'improcedibilità ove l'unico controricorrente o uno dei controricorrenti (anche in caso di tardiva costituzione) depositi copia analogica della decisione stessa ritualmente notificata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all'originale notificatogli ex art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 82/2005. Invece, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità, il ricorrente ha l'onere di depositare l'asseverazione di conformità all'originale della copia analogica sino all'udienza di discussione o all'adunanza in camera di consiglio nell'ipotesi in cui l'unico destinatario della notificazione del ricorso rimanga soltanto intimato (oppure tali rimangono alcuni o anche uno solo tra i molteplici destinatari della notifica del ricorso) oppure comunque il/i controricorrente/i disconosca/no la conformità all'originale della copia analogica non autenticata della decisione tempestivamente depositata; 2) i medesimi principi si applicano all'ipotesi di tempestivo deposito della copia della relata della notificazione telematica della decisione impugnata — e del corrispondente messaggio PEC con annesse ricevute — senza attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1- bis e 1-ter , della legge n. 53/1994 oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa; 3) il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall'ultima notifica, di copia analogica della decisione impugnata redatta in formato elettronico e firmata digitalmente (e necessariamente inserita nel fascicolo telematico) senza attestazione di conformità del difensore ex art. 16-bis, comma 9-bis , d.l. n. 18 ottobre 2012, 179, convertito dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non comporta l'applicazione della sanzione dell'improcedibilità ove l'unico controricorrente o uno dei controricorrenti (anche in caso di tardiva costituzione) depositi copia analogica della decisione stessa ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all'originale della decisione stessa. Mentre se alcune o tutte le controparti rimangano intimate o comunque depositino controricorso ma disconoscano la conformità all'originale della copia analogica non autenticata della decisione tempestivamente depositata il ricorrente, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità, ha l'onere di depositare l'asseverazione di conformità all'originale della copia analogica della decisione impugnata sino all'udienza di discussione o all'adunanza in camera di consiglio; 4) il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall'ultima notifica, di copia analogica della decisione impugnata sottoscritta con firma autografa ed inserita nel fascicolo informatico senza attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1-bis e 1-ter , della legge n. 53/1994 oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non comporta l'applicazione della sanzione dell'improcedibilità ove l'unico controricorrente o uno dei controricorrenti (anche in caso di tardiva costituzione) depositi copia analogica della decisione stessa ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all'originale della decisione stessa. Mentre se alcuno o tutte le controparti rimangano intimate o comunque depositino controricorso ma disconoscano la conformità all'originale della copia analogica non autenticata della decisione tempestivamente depositata il controricorrente, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità, ha l'onere di depositare l'asseverazione di conformità all'originale della copia analogica della decisione impugnata sino all'udienza di discussione o all'adunanza in camera di consiglio; 5) la comunicazione a mezzo PEC a cura della cancelleria del testo integrale della decisione (e non del solo avviso del relativo deposito), consente di verificare d'ufficio la tempestività dell'impugnazione, mentre per quanto riguarda l'autenticità del provvedimento si possono applicare i suindicati principi, sempre che ci si trovi in “ambiente digitale” ». Ebbene, questi principi, tendono ad applicare “cum grano salis” la condizione di procedibilità prevista dal numero 2 del secondo comma dell'articolo in commento, uniformandola ai criteri interpretativi già tracciati dalle sezioni unite nella pronuncia n. 22438/2018. Inoltre, sempre con la pronuncia in parola, le Sezioni Unite chiariscono anche la reale portata applicativa dell'articolo 23 del CAD, ritenendolo applicabile anche agli atti del processo civile redatti in ambiente digitale/telematico. Tale interpretazione si pone in totale antitesi con quanto affermato nei precedenti arresti giurisprudenziali, e in particolare con quanto stabilito dalla Suprema Corte nell'ordinanza 22 dicembre 2017, n. 30765. Infatti, con l'ordinanza de qua, la Corte riteneva inapplicabili al processo civile i principi sanciti dalle norme del codice civile (art. 2712 e 2719), secondo cui le copie per immagine hanno la stessa efficacia delle originali o delle autentiche se la loro conformità non è espressamente disconosciuta. Tali principi infatti assumerebbero, secondo il precedente orientamento, rilevanza solo qualora si tratti di attribuire ad un documento efficacia probatoria, da valere tra le parti. La Suprema Corte richiamava in tal senso un costante orientamento (Cfr. Cass. 1° dicembre 2005, n. 26222; 18 settembre 2012, n. 15624; 8 ottobre 2013, n. 22914; 26 maggio 2015, n. 10784) stabilendo che tale regola non si possa applicare quando debbano essere operate verifiche, quali la tempestività di un atto di impugnazione rispetto ad un termine perentorio e quindi correlativamente la formazione del giudicato, avendo tali atti implicazioni pubblicistiche e non essendo nella disponibilità delle parti. Ciò, a dire della Corte, spiega anche perché il comma 2 dell'art. 23 del C.A.D., non è richiamato dai commi 1-bis e 1-ter dell'art. 9 1. n. 53/1994. Le Sezioni Unite invece, ribaltando il precedente orientamento, hanno precisato come le argomentazioni poste a sostegno della tradizionale giurisprudenza di legittimità in materia di procedibilità del ricorso si siano formate “in ambiente di ricorso analogico” e come tali non del tutto compatibili “in ambiente di ricorso nativo digitale”. In particolare, le stesse Sezioni Unite già nella sentenza n. 22438/18 rilevavano che, diversamente da quel che accade in ambiente analogico, nel caso di notifica telematica del ricorso per Cassazione digitalmente sottoscritto, il destinatario è in grado di effettuare direttamente la verifica di conformità poiché viene in possesso dell'originale dell'atto. Ciò vale, a dire degli Ermellini, anche nel caso di notifica della sentenza ai fini della decorrenza del termine breve. “Di qui la conclusione che non dare rilievo a questa situazione — che oltretutto si pone in una fase di “transizione” per il giudizio di cassazione — si tradurrebbe in un “vuoto formalismo” privo di ragionevolezza e che, anzi, rischierebbe di allungare i tempi processuali se non addirittura di rendere impossibile il raggiungimento di una decisione sul merito delle censure. Per le suddette ragioni attraverso il mancato disconoscimento del controricorrente, ai sensi dell'art. 23, comma 2, del CAD ovvero l'asseverazione “ora per allora”, le Sezioni Unite hanno consentito il recupero della condizione di procedibilità anche oltre il termine di venti giorni, ma nei tempi di “non apprezzabile ritardo” pure individuati nella medesima sentenza secondo il “meccanismo a formazione progressiva” ivi indicato (vale a dire fino all'udienza ovvero alla camera di consiglio)”. Inoltre sempre secondo la Corte, “l'ingresso nel giudizio del ricorso e degli atti allegati è condizionato dalla tempestività del relativo deposito, requisito che risponde all'esigenza di razionale gestione del processo di cassazione ma che, nell'ottica dei principi costituzionali, deve essere inteso in modo tale da non collegare la sanzione dell'improcedibilità, che comporta il divieto di accesso al giudice, ad inutili formalismi, contrastanti con le esigenze di efficienza e semplificazione, le quali impongono di privilegiare interpretazioni coerenti con la finalità di rendere giustizia”, La Suprema Corte, con tale orientamento, riprende dunque i principi del giusto processo e, in particolare, della durata ragionevole (art. 111 Cost.), “in una dimensione complessiva di garanzie che rappresentano patrimonio comune di tradizioni giuridiche condivise a livello sovranazionale (art. 47 della Carta di Nizza, art. 19 del Trattato sull'Unione Europea)”; e si rifà altresì all'art. 6 CEDU, secondo l'indirizzo della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, in base al quale il diritto di accesso ad un tribunale (e alla Corte di cassazione), pur prestandosi a limitazioni implicitamente ammesse in particolare per quanto riguarda le condizioni di ammissibilità di un ricorso, viene leso quando la sua regolamentazione cessa di essere utile agli scopi della certezza del diritto e della buona amministrazione della giustizia e costituisce una sorta di barriera che impedisce alla parte in causa di vedere la sostanza della sua lite esaminata dall'autorità giudiziaria competente. Si evita così, sempre a dire della Corte, qualunque vulnus agli artt. 6 CEDU, 47 della Carta UE e 111 Cost., che concorrono ad attribuire il massimo rilievo all'effettività dei mezzi di azione e difesa in giudizio, configurati come diretti al raggiungimento del principale scopo del processo, tendente ad una decisione di merito (cfr. Cass. sez. un. 11 luglio 2011, n. 15144). Tale ultimo orientamento sembra inoltre essere in linea con quanto sancito nella nota del Consiglio Nazionale Forense del 24 novembre 2017 con cui si manifestava, “perplessità” e “preoccupazione” per l'eccessivo rigore formale utilizzato nelle ultime pronunce di legittimità in tema di inammissibilità dei ricorsi. A detta del CNF, tale rigore, non sarebbe stato giustificato e neppure in sintonia con regole e scansioni del processo civile telematico, poiché comportava “irragionevoli restrizioni del diritto ad una decisione nel merito, non allineate con la giurisprudenza della Corte EDU in tema di accesso alla giurisdizione”. Tale rigidità, inoltre, non sarebbe connotata “da quella prudente ragionevolezza che deve ispirare l'interpretazione e l'applicazione delle norme processuali nella prospettiva di un giusto processo”. Le Sezioni Unite, tuttavia, circoscrivono l'esclusione della sanzione dell'improcedibilità ai soli casi sopra menzionati ribadendo che, qualora vi sia disconoscimento delle copie e nel caso in cui l'intimato rimanga tale nel giudizio di legittimità, sarà necessario comunque il deposito della copia conforme della sentenza unitamente alla relata di notifica e alla PEC di notificazione. Ancora una volta la Corte ha peraltro ribadito la portata estensiva dall'art. 9, legge n. 53/1994, che, al comma 1-ter, espressamente permette l'attestazione di conformità in tutti casi in cui l'avvocato debba fornire prova della notificazione e non sia possibile fornirla con modalità telematiche. Tale interpretazione aveva acceso in passato un dibattito dottrinale circa la reale portata del potere di attestazione di conformità in capo al difensore che, secondo parte della dottrina (Reale, Vitrani) si sarebbe potuto esercitare esclusivamente in relazione alle copie analogiche delle notifiche a mezzo PEC inviate e non anche a quelle ricevute. Le sezioni unite richiamano invece l'interpretazione estensiva, già sostenuta da alcuni commentatori (tra cui gli scriventi autori), secondo cui tale potere di attestazione sarebbe già previsto dal comma 1-ter dell'art. 9, legge n. 53/1994. Gli stessi Ermellini, infatti, sin da più risalenti precedenti (cfr. Cass. ordinanza 22 dicembre 2017, n. 30765), hanno sostenuto che l'intervento normativo del d.l. n. 90/2014 — con il quale è stato appunto inserito il comma 1-ter all'interno dell'art. 9 della legge n. 53/1994 — ha comportato il superamento di ogni limitazione, stabilendo che “In tutti i casi in cui l'avvocato debba fornire prova della notificazione e non sia possibile fornirla con modalità telematiche, procede ai sensi del comma 1-bis”. Pertanto, quando in Cassazione non era attivo il processo telematico, per provare l'intervenuta notificazione della sentenza ai fini della decorrenza del termine breve, si doveva procedere ai sensi del precedente comma 1-bis, ovvero mediante estrazione di copia su supporto analogico. Naturalmente la copia poteva riguardare solo gli atti di cui l'avvocato dispone e quindi, se egli non è il notificante ma colui che ha ricevuto la notifica, oltre alla copia della relazione di notifica e del provvedimento impugnato, l'avvocato estrarrà copia del messaggio di ricezione (in luogo della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna)”. In particolare, l'ordinanza n. 19119 del 17 luglio 2019, ha accuratamente riepilogato gli oneri di attestazione in capo all'avvocato. Nel dettaglio, la Corte ha ulteriormente precisato che « il ricorrente per cassazione ha l'onere di depositare il ricorso entro venti giorni dall'ultima notifica (art. 369, comma 1, c.p.c.). Tale onere è prescritto a pena di improcedibilità, ed ha lo scopo di consentire alla Corte il controllo officioso del rispetto dei termini per proporre l'impugnazione, nonché dei termini per l'utile introduzione della procedura ». Nel caso de quo il ricorso veniva infatti notificato a mezzo PEC, e gli Ermellini hanno tenuto a precisare che « quando il ricorso venga notificato per mezzo della posta elettronica certificata, il ricorrente deve assolvere l'onere di deposito, di cui all'art. 369 c.p.c., depositando copia cartacea: (a) del ricorso; (b) del messaggio di posta elettronica cui era allegato; (c) della relazione di notificazione; (d) della ricevuta di avvenuta consegna del messaggio di posta elettronica cui era allegato il ricorso ». Secondo la Suprema Corte, quindi, il deposito delle copie analogiche del ricorso e della notificazione, si rende necessario poiché le regole sul PCT non si applicano ancora al giudizio di legittimità. Infatti, una volta che gli atti processuali sono stati formati e trasmessi in modalità informatica, la produzione in giudizio deve avvenire con le seguenti modalità: (a) stampando e depositando il documento elettronico; (b) attestando, da parte del difensore, che la copia depositata è conforme all'originale. Gli Ermellini nel caso di specie, pur richiamando il principio sancito dalle Sezioni Unite (Sentenza n. 22438 del 24 settembre 2018) che esclude la sanzione dell'improcedibilità in caso di mancato disconoscimento della conformità della copia, hanno dichiarato improcedibile il ricorso poiché privo della prova della regolarità della notifica. I Giudici, difatti, hanno rilevato la mancata attestazione di conformità della copia del messaggio PEC, della ricevuta di avvenuta consegna e della relata di notifica depositate dalla ricorrente, ed essendo rimasto il destinatario della notificazione a mezzo PEC del ricorso nativo digitale solo intimato e quindi nell'impossibilità di effettuare un disconoscimento della copia depositata in atti, è stata irrogata la sanzione dell'improcedibilità. Tale principio è stato confermato anche dalla sentenza del 6 febbraio 2019 n. 3537 che ha stabilito come “Qualora la parte intimata non si sia costituita validamente nel procedimento di cassazione non possono operare le ipotesi di sanatoria costituite dal deposito, da parte del controricorrente, di copia analogica del ricorso ritualmente autenticata, ovvero dal mancato disconoscimento, sempre da parte del controricorrente, della conformità della copia informale all'originale notificato, sicché il ricorso per cassazione notificato a mezzo PEC, la cui copia analogica, depositata in cancelleria, nel termine di venti giorni dall'ultima notifica, manchi della attestazione autografa di conformità del difensore ai sensi dell'art. 9, commi 1-bis e 1-ter, della l. n. 53/1994, va dichiarato improcedibile (nella specie la parte intimata si era limitata a depositare una copia del proprio controricorso senza notificarlo alla controparte)” (in senso analogo Cass. civ., 17 gennaio 2019, n. 1043 pur precedente alle sezioni unite del n. 8312 del 25 marzo 2019). Pur ricordandosi che allo stato attuale il dibattito giurisprudenziale ha perso interesse, a seguito dell'obbligatorietà del deposito telematico, la Suprema Corte ha continuato a pronunciarsi sugli oneri di attestazione dell'avvocato. In particolare, con sentenza del 18 dicembre 2020 n. 29092 la Cassazione ha sancito che Il deposito della copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo PEC, senza l'attestazione di conformità o con attestazione priva della firma autografa, non comporta l'improcedibilità del ricorso stesso solo se il controricorrente depositi copia analogica del ricorso ritualmente autenticata o non ne disconosca la conformità all'originale. Con sentenza del 24 marzo 2021, n. 8222 gli Ermellini hanno ribadito la ratio del deposito della prova della notifica della sentenza impugnata con la relazione di notificazione, ove questa sia avvenuta, in quanto funzionale al riscontro, da parte della Corte di cassazione della tempestività dell'esercizio del diritto di impugnazione, il quale, una volta avvenuta la notificazione della sentenza, è esercitabile soltanto con l'osservanza del cosiddetto termine breve. E ancora! Con sentenza del 25 gennaio 2022, n. 2164 è stato dichiarato inammissibile il ricorso per revocazione della sentenza della Cassazione, ai sensi dell'art. 391-bis c.p.c., per omesso deposito di copia della sentenza munita della relata di notifica. Identico principio, in ordine alle modalità di prova della notifica del ricorso, è stato stabilito da Cass. 1° marzo 2019, n. 6175 che ha ribadito come, nel giudizio di Cassazione la prova dell'avvenuta notifica telematica del ricorso può dirsi raggiunta, ex art. 9, comma 1-bis e ter l. 21 gennaio 1994 n. 53, solo con il deposito delle copie analogiche del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati, delle ricevute di accettazione e di avvenuta consegna munite di attestazione di conformità ai documenti informatici da cui sono tratte. In ultimo la Cassazione ha confermato con la sentenza n. 29549/2019 del 14 novembre 2019 che, laddove il destinatario dell'impugnativa rimanga solo intimato non può operare la sanatoria prevista dalle due pronunce a sezioni unite sopra richiamate e, in mancanza di deposito di copia autentica della sentenza impugnata, della relata di notifica e della PEC costituente la notifica, il ricorso debba essere dichiarato improcedibile non potendo la Corte riscontrare con certezza la rispondenza di quanto dichiarato dal ricorrente rispetto all'effettiva data di notificazione della sentenza impugnata. Più severo invece l'orientamento enunciato con sentenza del 22 dicembre 2020, n. 29266 secondo la quale è inammissibile il ricorso per cassazione per mancanza di prova della notificazione del ricorso in caso di deposito di copia informe dei documenti di consegna telematica. La mancata prova della consegna è equiparabile all'inesistenza della notificazione, che non consente come tale la concessione di un termine per il deposito, né la rinnovazione ai sensi dell'art. 291 c.p.c., propria dei soli casi in cui la notifica sia nulla. Tuttavia, in un recentissimo orientamento (Cass. civ., sez. VI-3, ord., 11 gennaio 2022, n. 597), la Suprema Corte ha affermato che il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall'ultima notifica, di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo PEC, senza attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1-bis e 1-ter, l. n. 53/1994, o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non ne comporta l'improcedibilità ove il controricorrente (anche tardivamente costituitosi) depositi copia analogica del ricorso ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia all'originale notificatogli ex art. 23, comma 2, d.lgs. n. 82/2005. Viceversa, ove il destinatario della notificazione a mezzo PEC del ricorso nativo digitale rimanga solo intimato, ovvero disconosca la conformità all'originale della copia analogica non autenticata del ricorso tempestivamente depositata, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità, sarà onere del ricorrente depositare l'asseverazione di conformità all'originale della copia analogica sino all'udienza di discussione o all'adunanza in camera di consiglio (Cass. civ., sez. unite, n. 22438/2018). Infine, i principi sin qui enunciati, devono essere applicati anche al caso in cui il termine breve per impugnare decorra non già da una notificazione ad istanza di parte ma da una comunicazione di cancelleria. La Suprema Corte infatti, con sentenza n. 17020 del 28 giugno 2018, ha stabilito che “Quando il ricorso per cassazione è proposto, ai sensi dell'art. 348-ter c.p.c., avverso la sentenza di primo grado il cui appello sia stato dichiarato inammissibile, l'art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c.— a mente del quale unitamente al ricorso per cassazione deve essere depositata, a pena d'improcedibilità, copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione — deve essere inteso nel senso che il deposito deve avere ad oggetto non solo la copia autentica della sentenza di primo grado, contro cui si propone ricorso, ma anche la relata di notificazione o la comunicazione dell'ordinanza di inammissibilità pronunciata dalla corte d'appello, poiché è da quest'ultima data, e non dalla pubblicazione (o notificazione) della sentenza di primo grado, che decorre il termine per l'impugnazione; nel caso in cui l'ordinanza sia stata notificata a mezzo di posta elettronica certificata, il ricorrente deve depositare nella cancelleria della corte di cassazione copia analogica del messaggio ricevuto, nonché della relazione di notifica, previa attestazione di conformità di tali documenti analogici all'originale telematico, ai sensi dei commi 1-bis e 1-ter dell'art. 9 della legge n. 53/1994”. La Cassazione ritiene tuttavia che “Chi propone ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado, a norma dell'art. 348-ter, terzo comma, c.p.c., è sollevato dall'onere di allegare la comunicazione — o la notificazione, se antecedente — dell'ordinanza che ha dichiarato inammissibile l'appello, qualora il ricorso sia stato proposto entro il termine di sessanta giorni dalla pubblicazione dell'ordinanza, poiché in tal caso non occorre dimostrare la tempestività dell'impugnazione”. Anche in questa ipotesi, poiché la produzione deve essere effettuata con modalità tradizionale e non telematica, il ricorrente sarà onerato di attestare la copia analogica ai sensi dei commi 1-bis e 1-ter dell'art. 9, l. n. 53/1994. Ovviamente in tal caso, non essendo presente la relata di notifica, sarà sufficiente produrre il messaggio di posta elettronica certificata ricevuto dalla cancelleria ed il provvedimento impugnato allegato al primo. Con riferimento al caso della comunicazione telematica di cancelleria, poi, parte della dottrina (Alessandro Barale nella nota a sentenza Cass. civ, 28 giugno 2018, n. 17020 su IUS Processo Telematico in ius.giuffrefl.it) ha sollevato dubbi circa la sussistenza del potere di autentica, a cura del difensore, della stessa comunicazione di cancelleria, ex art. 9, l. n. 53/1994, come parrebbe dare per scontato la sentenza de qua. Tale disposizione è infatti espressamente riferita alle notificazioni regolate dalla medesima legge, mentre la cancelleria procede alle comunicazioni in virtù dell'art. 16, comma 4, d.l. n. 179/2012, ragion per cui, secondo Barale, — salvo non considerare sufficientemente ampia a ricomprendere anche il caso ora in discorso la portata residuale del comma 3-bis dell'art. 9 citato (nella parte in cui si riferisce a “tutti i casi in cui l'avvocato debba fornire prova della notificazione”) — occorrerà ritenere che, in caso di notificazione da parte della cancelleria, il difensore proceda all'autentica ex art. 16-bis, comma 9-bis, d.l. n. 179/2012, potere da intendersi riferito sia ai provvedimenti comunicati, sia anche alla stessa comunicazione, ogniqualvolta la stessa sia presente sul fascicolo telematico. |