Codice di Procedura Civile art. 669 terdecies - Reclamo contro i provvedimenti cautelari (1).

Nicola Gargano
Luca Sileni
Giuseppe Vitrani

Reclamo contro i provvedimenti cautelari (1). 

[I]. Contro l'ordinanza con la quale è stato concesso o negato il provvedimento cautelare è ammesso reclamo nel termine perentorio di quindici giorni dalla pronuncia in udienza ovvero dalla comunicazione o dalla notificazione se anteriore (2).

[II]. Il reclamo contro i provvedimenti del giudice singolo del tribunale si propone al collegio, del quale non può far parte il giudice che ha emanato il provvedimento reclamato. Quando il provvedimento cautelare è stato emesso dalla corte d'appello, il reclamo si propone ad altra sezione della stessa corte o, in mancanza, alla corte d'appello più vicina (3).

[III]. Il procedimento è disciplinato dagli articoli 737 e 738.

[IV]. Le circostanze e i motivi sopravvenuti al momento della proposizione del reclamo debbono essere proposti, nel rispetto del principio del contraddittorio, nel relativo procedimento. Il tribunale può sempre assumere informazioni e acquisire nuovi documenti. Non è consentita la rimessione al primo giudice (4).

[V]. Il collegio, convocate le parti, pronuncia, non oltre venti giorni dal deposito del ricorso, ordinanza non impugnabile [1773 n. 2] con la quale conferma, modifica o revoca [669-decies] il provvedimento cautelare.

[VI].  Il reclamo non sospende l'esecuzione [669-duodecies] del provvedimento; tuttavia il presidente del tribunale o della corte investiti del reclamo, quando per motivi sopravvenuti [669-decies1] il provvedimento arrechi grave danno, può disporre con ordinanza non impugnabile [1773 n. 2] la sospensione dell'esecuzione o subordinarla alla prestazione di congrua cauzione [119; 86 att.].

(1) La sezione (comprendente gli articoli da 669-bis a 669-quaterdecies ) è stata inserita dall'art. 74, comma 2, l. 26 novembre 1990, n. 353, entrata in vigore il 1° gennaio 1993. L' art. 92 stabilisce inoltre: « Ai giudizi pendenti a tale data si applicano, fino al 30 aprile 1995, le disposizioni anteriormente vigenti ». L'art. 90, comma 1, l. n. 353, cit., come sostituito dall'art. 9 d.l. 18 ottobre 1995, n. 432, conv., con modif., nella l. 20 dicembre 1995, n. 534, estende ulteriormente l'applicabilità delle disposizioni ai giudizi pendenti alla data del 30 aprile 1995.

(2) Comma così sostituito, in sede di conversione, dall'art. 23 lett. e-bis) n. 4.1 d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv., con modif., in l. 14 maggio 2005, n. 80, con effetto dal 1° marzo 2006. Ai sensi dell'art. 2 3-quinquies d.l. n. 35, cit., le modifiche si applicano ai procedimenti instaurati successivamente al 1° marzo 2006. Il testo precedentemente in vigore, recitava: «[I]. Contro l'ordinanza con la quale, prima dell'inizio o nel corso della causa di merito, sia stato concesso un provvedimento cautelare, è ammesso reclamo nei termini previsti dall'articolo 739, secondo comma.». Precedentemente la Corte cost., con sentenza 23 giugno 1994, n. 253, aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente articolo nella parte in cui non ammetteva il reclamo ivi previsto, anche avverso l'ordinanza con cui sia fosse stata rigettata la domanda di provvedimento cautelare.

(3) Comma così modificato dall'art. 108 d.lg. 19 febbraio 1998, n. 51, con effetto, ai sensi dell'art. 247 comma 1 dello stesso decreto quale modificato dall'art. 1 l. 16 giugno 1998, n. 188, dal 2 giugno 1999.

(4) Comma inserito, in sede di conversione, dall'art. 2 3 lett. e-bis) n. 4.2 d.l. n. 35, cit., con effetto dal 1° marzo 2006. Ai sensi dell'art. 2 3-quinquies d.l. n. 35, cit., le modifiche si applicano ai procedimenti instaurati successivamente al 1° marzo 2006.

Il deposito del reclamo prima della riforma Cartabia: cartaceo o telematico?

Preliminarmente ad ogni ulteriore rilievo, si deve avvertire il lettore che le problematiche analizzate nel commento che segue si riferiscono ai depositi effettuati prima dell'entrata in vigore della c.d. riforma Cartabia, e quindi effettuati prima del 1° gennaio 2023, nonché effettuati prima della normativa emergenziale, emanata a seguito della pandemia da Covid-19, che fin dal 9 marzo 2020 aveva reso obbligatorio il deposito telematico anche degli atti introduttivi.

Per i depositi effettuati successivamente, difatti, il dibattito giurisprudenziale è stato sostanzialmente reso nullo dall'obbligo di deposito telematico di tutti gli atti del processo.

A partire dall'inizio del 2015, uno degli argomenti maggiormente controversi in ambito di deposito telematico nel processo civile, è certamente stato quello della trasmissione dell'atto di reclamo.

Ci si è chiesti in dottrina ed in giurisprudenza, infatti, se il reclamo dovesse essere inteso come atto endoprocedimentale o come atto introduttivo di un nuovo giudizio e, in particolare, se tale atto dovesse comportare — in virtù del disposto dell'art. 16-bis comma 1 d.l. n. 179/2012 — una nuova costituzione in giudizio della parte reclamante.

Proprio la costituzione in giudizio, lo si ricorda, è infatti lo “spartiacque” dal quale decorre il deposito telematico obbligatorio in ambito civile contenzioso e di volontaria giurisdizione ed è quindi questo il punto su cui focalizzare l'attenzione nell'analisi delle problematiche sottese al deposito dell'atto di reclamo e ciò indipendentemente dal fatto che si tratti di un reclamo ex art. 178 c.p.c., ex art. 669-terdecies c.p.c., ex art. 739 c.p.c., etc.

Una prima analisi giurisprudenziale della fattispecie in oggetto è stata eseguita dal Tribunale di Torino con la pronuncia — oramai divenuta storica — del 6 marzo 2015. Con tale pronuncia il Collegio ha ritenuto che il reclamo fosse da considerarsi atto processuale depositato dal difensore di una parte già precedentemente costituita, e — come tale — da trasmettersi esclusivamente in via telematica; con la conseguenza che, in caso di deposito con modalità diverse da quelle sopra prospettate, lo stesso debba essere dichiarato inammissibile, posto che la volontà del legislatore è stata quella di indicare una via esclusiva per il deposito degli atti processuali trasmessi successivamente alla costituzione in giudizio.

Il Tribunale torinese ha ritenuto in primis che « il reclamo sia atto processuale depositato dal difensore di una parte precedentemente costituita, tenuto conto che la parte è già costituita nel procedimento che dà luogo al provvedimento poi reclamato e tale costituzione vale sia per fa prima fase che per quella di reclamo in quanto il reclamo è volto a concludersi con un provvedimento che eventualmente si sostituisce a quello pronunziato già dal Giudice nella prima fase e produce effetti, salvo sua revoca o modifica, sino all'esito del giudizio di cognizione, cui è funzionale. Non rileva che al reclamo venga attribuito dalla cancelleria un numero di ruolo generale riferito appositamente ai reclami, in quanto ciò è dettato da esigenze organizzative relative alla modalità di tenuta dei registri di cancelleria, che non rilevano pertanto sul piano dell'interpretazione della norma processuale di cui si tratta. Né rileva la previsione del versamento di un contributo unificato per l'iscrizione al ruolo, essendo relativa e funzionale a disposizioni tributarie che regolano il procedimento civile e conseguentemente non incide sull'interpretazione della norma processuale sopra citata [art. 16-bis d.l. n. 179/2012, n.d.r.], rispondendo a esigenze diverse disciplinate da normativa non strettamente processuale bensì di natura tributaria » (conforme: Trib. Foggia 15 maggio 2015; Trib. l'Aquila 14 luglio 2016).

Ulteriore tesi conforme è quella del Tribunale di Vasto che, con la pronuncia del 21 aprile 2016, ha eseguito un'attenta disamina della fattispecie in oggetto ma, soprattutto, ha sottolineato che la medesima problematica potrebbe riproporsi in tutti quei procedimenti a natura bifasica e si è soffermato su un punto non affrontato in precedenza da pronunciamenti simili dei Tribunali di merito, ossia, la validità della procura alle liti rilasciata per il procedimento originario anche per il reclamo: « si tratta di stabilire se il ricorsoex art. 669-terdecies c.p.c. rientri o meno tra i provvedimenti da depositare esclusivamente per via telematica, ai sensi dell'art. 16-bis, comma 1, del d.l. n. 179/2012 ovvero tra quelli che, veicolando la costituzione della parte in giudizio e configurandosi — dunque — come atti introduttivi, sono assoggettati al diverso regime della facoltatività (e non della obbligatorietà) del deposito telematico, sancito dall'art. 19 d.l. 27 giugno 2015 n. 83. Peraltro, la questione affrontata in questa sede con riferimento al reclamo cautelare può ripresentarsi in tutti i procedimenti di natura bifasica o in quei giudizi (di carattere sommario) caratterizzati dalla presenza di eventuali “appendici” o subprocedimenti volti, lato sensu, al riesame del provvedimento concesso dal Giudice della prima fase: si pensi, ad esempio, al deposito dell'atto per l'« inizio del giudizio di merito » ex art. 669-octies c.p.c.; al deposito dell'atto di « prosecuzione » del giudizio di merito possessorioex art. 703, comma 4, c.p.c.; al deposito degli atti della fase istruttoria dei giudizi di separazione o divorzio; a quello degli atti introduttivi e di costituzione nel giudizio di opposizione alla fase sommaria del c.d. “Rito Forneroex art. 1, comma 51, l. n. 92/2012.

In relazione a ciascuna di tali ipotesi, prima di postulare la sussistenza dell'obbligo di deposito telematico dei relativi atti, occorre stabilire se la fase procedimentale successiva alla prima possa considerarsi meramente prosecutoria dell'unico giudizio instaurato con il ricorso originario e se, di conseguenza, la costituzione originariamente effettuata dalle parti nella prima fase possa continuare a spiegare effetti.

Orbene, è opinione di questo Tribunale che il ricorso per reclamo non introduce un nuovo e diverso giudizio, ma rappresenta la prosecuzione del medesimo procedimento cautelare, iniziato con il deposito del ricorso nella precedente fase e di cui costituisce — a sua volta — una fase meramente eventuale (tanto che va proposto innanzi al Giudice di pari grado rispetto a quello che ha emesso il provvedimento contestato), finalizzata al riesame della domanda cautelare e destinata a concludersi con un provvedimento che, in caso di riforma, si sostituisce a quello reso dal Giudice di prime cure e produce effetti sino all'esito del giudizio di cognizione, salva la revoca o la modifica per motivi sopravvenuti.

Ad avvalorare tale conclusione contribuisce anche il principio, sovente affermato dalla giurisprudenza di merito (cfr., ex plurimis, Trib. Ravenna, 9 giugno 1997), secondo cui, nell'ambito del procedimento cautelare, il mandato rilasciato al difensore “per il presente procedimento” conferisce lo ius postulandi anche per la fase di reclamo innanzi al collegio, anche nell'ipotesi in cui questa non sia stata espressamente menzionata nel testo della procura, principio che mal si concilia con l'autonomia del giudizio della fase di reclamo ».

Conforme è altresì la recente pronuncia del Tribunale di Locri del 20 ottobre 2016 che ha ritenuto come il ricorso per reclamo non sia introduttivo di un nuovo e diverso giudizio ma come costituisca « una ulteriore ed eventuale fase, dinanzi al collegio, facente parte integrante dell'unitario procedimento cautelare già instaurato dinanzi al primo Giudice, che in tal modo, rispetto alla prima fase, ne costituisce mera prosecuzione a seguito dell'impugnazione dinanzi ad altro Giudice rispetto a quello, monocratico, che ha emesso l'iniziale ordinanza oggetto di reclamo. Trattasi di ulteriore fase procedimentale in prosecuzione, finalizzata al riesame della domanda cautelare, e che è comunque destinata a concludersi con altro provvedimento (di conferma, revoca o riforma) che, in ogni caso, sostituisce quello emesso dal primo Giudice in ordine alla valutazione sulla fondatezza della pretesa cautelare azionata, nonché produce effetti sino all'esito del giudizio di cognizione, salva la revoca o la modifica per motivi sopravvenuti ».

Contraria alla tesi del Tribunale di Torino è invece l'interpretazione fornita dal Tribunale di Asti con la pronuncia 23 marzo 2015, proprio sulla natura del reclamo: « L'eccezione di inammissibilità del ricorso per reclamo principale in quanto depositato in modalità cartacea anziché telematica non può trovare accoglimento. L'art. 16-bis d.l. 179/2012 prevede espressamente che debbano depositarsi in via telematica gli atti processuali delle parti già costituite (“il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici”). Dalla lettura di tale disposizione si evince che l'obbligo per le parti di depositare esclusivamente in modalità telematica gli atti e i documenti processuali deve intendersi riferito solo gli atti endoprocessuali, essendo esclusi quelli introduttivi di un nuovo giudizio, in relazione al quale sorge in capo alle parti l'onere di costituirsi. Tanto premesso e andando ad analizzare le caratteristiche del ricorso per reclamo, ritiene questo Collegio che al ricorso per reclamo debba essere riconosciuta natura di atto introduttivo del relativo giudizio in quanto il deposito dello stesso ha la funzione di instaurare un nuovo giudizio sulla domanda cautelare — con effetti sostitutivi del provvedimento impugnato —, di consentire alla parte reclamante di costituirsi nel predetto giudizio, di chiedere la fissazione della prima udienza e di notificare il reclamo e il decreto di fissazione dell'udienza alla controparte ».

Di analogo avviso è stato poi il Tribunale di Ferrara che, con Ordinanza del 16 ottobre 2017, ha ritenuto: “Invero, il reclamoex art. 669-terdecies c.p.c. per quanto non inserito nel titolo III del libro II del codice di procedura civile relativo alle impugnazioni e per quanto di natura devolutiva, ha natura lato sensu impugnatoria in quanto consiste nella censura di un provvedimento e nella richiesta, ad un giudice diverso da quello che l'ha emanato, di una nuova pronuncia idonea a sostituirsi alla prima (sulla natura impugnatoria del reclamo cautelare si vedano Corte Cost. sentenza n. 253/1994 nonché Trib. Venezia 11 settembre 2013). Conseguentemente la memoria di costituzione di [Omissis] nel procedimento per reclamo introdotto da controparte non può avere natura di atto endoprocessuale”.

Il Tribunale di Torino però, sempre con l'ordinanza 6 marzo 2015, si è spinto oltre ritenendo che — in ogni caso — il deposito cartaceo di atto soggetto ad obbligo di deposito in via telematica, non potrebbe godere della sanatoria per eventuale nullità del deposito stesso (vedi articoli 121 e 156 c.p.c.), posto che — nel caso di specie — non si può parlare di nullità ma di inammissibilità, ciò in virtù dell'analisi letterale del disposto dell'art. 16-bis comma 1 d.l. n. 179/2012. Secondo il Tribunale in questione, infatti: « L'avverbio “esclusivamente” contenuto nell'articolo 16-bis sopra citato nonché la espressa previsione di obbligatorietà del deposito telematico per gli atti processuali e documenti delle parti precedentemente costituite depongono nel senso della inammissibilità del deposito in forma cartacea (e non già nel senso della nullità sanabile). Tali dati normativi, che fra l'altro derogano per espressa volontà legislativa al tendenziale principio di libertà delle forme previsto dall'art. 121 c.p.c. solo per gli atti del processo per i quali la legge non richiede forme determinate, non appaiono superabili richiamando la diversa categoria della nullità e le norme in materia di sanatoria della nullità senza tradire la volontà legislativa volta ad indicare un'unica, esclusiva ed obbligatoria modalità di deposito. In altri termini per gli atti e documenti delle parti precedentemente costituite la norma non solo non contempla il deposito cartaceo ma addirittura lo vieta (salvo stravolgere il senso logico dell'avverbio “esclusivamente” nonché la espressa previsione di obbligatorietà del deposito telematico). La scelta legislativa è quindi nel senso dell'inammissibilità dell'atto e la volontà del legislatore appare pertanto di per se stessa incompatibile con la diversa categoria della nullità e della connessa sanabilità in virtù del raggiungimento dello scopo. Fra l'altro a rigore la nullità attiene a vizi dell'atto più che al rispetto o meno di una obbligatoria ed esclusiva modalità di deposito di un atto di per sé non viziato, donde il richiamo alla categoria della inammissibilità appare preferibile, salva la valutazione dl evoluzioni giurisprudenziali che si consolidino in senso diverso in relazione alla recente norma. In virtù di quanto sopra ne consegue l'inapplicabilità dei rimedi in punto nullità, quali la sanabilità del vizio in virtù di un preteso raggiungimento dello scopo, dovendosi ritenere per le ragioni suddette che si tratti di inammissibilità e non già di nullità ».

Di opinione parzialmente diversa, ma portatrice di analoghe conseguenze, è la sopra citata pronuncia del Tribunale di Locri del 20 ottobre 2016 che occupandosi degli effetti che deriverebbero dal deposito in via cartacea di atto soggetto all'obbligo di deposito telematico ha ritenuto doversi applicare la sanzione della nullità ex art. 156 comma 2 c.p.c., senza che tale nullità possa dirsi sanata in virtù del raggiungimento dello scopo dell'atto, ciò poiché « il deposito dell'atto di reclamo in modalità cartacea non può essere ritenuto idoneo al raggiungimento dello scopo, normativamente previsto, del deposito telematico. Invero, come già precedentemente evidenziato, scopo dell'atto endoprocessuale del reclamo formato con modalità telematiche non è soltanto, come invece per il corrispondente atto redatto in forma cartacea, quello di creare una presa di contatto tra l'ufficio giudiziario ed il depositante ed, ancora, quello della instaurazione della prosecuzione del giudizio cautelare, nel rispetto del principio del contradditorio, con la fissazione della prima udienza e la regolare notifica alle controparti del reclamo e del pedissequo decreto di fissazione, ma anche quello ulteriore (inconciliabile con la forma cartacea) di garantire quel supporto smaterializzato e decentralizzato che consenta quegli eventi materiali, a cui tende tipicamente proprio la forma telematica, costituiti, da un lato, da un più rapido ed immediato accesso agli atti e documenti del processo per il Giudice e per le parti e, dall'altro, da una diversa e più efficiente ed economica gestione dello scambio di dati e informazioni in ambito processuale rispetto al supporto cartaceo, nell'ottica di favorire la progressiva dematerializzazione del fascicolo cartaceo, per le ragioni di economia processuale e di ragionevole durata del processo cui è ispirato il PCT ».

Di opinione opposta è il Tribunale di Brescia che, pur ritenendo il reclamo atto soggetto al deposito obbligatorio in via telematica, ha reputato comunque ammissibile l'atto depositato in forma cartacea. Con la pronuncia del 15 luglio 2015 il Tribunale di Brescia ha rilevato quanto segue: « È pur vero che il reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. non costituisce atto introduttivo di nuovo e autonomo giudizio e va invece considerato quale atto endoprocessuale che avvia una fase eventuale del medesimo giudizio introdotto con il ricorso cautelare, e che va dunque recepito l'assunto di [omissis] secondo cui il reclamo va annoverato fra gli atti di difensore di parte già costituita che, a norma dell'art. 16-bis d.l. 179/2012, devono essere depositati in via telematica ...[omissis]. E tuttavia reputa il Tribunale che, in assenza di espressa sanzione di inammissibilità o nullità per il deposito di atti in forma diversa da quella telematica, tali definitive conseguenze non possano tout court desumersi dalla previsione “esclusiva” della modalità telematica di trasmissione dell'atto ma possano eventualmente venire in considerazione qualora l'inosservanza importi altrimenti violazione di principi inderogabili quali quelli concernenti provenienza dell'atto, osservanza di termini, instaurazione del contraddittorio: il deposito di reclamo in forma cartacea, se (come in concreto accaduto nel caso in esame) viene eseguito nel rispetto del termine prescritto e con le modalità previste per tale tipo di deposito e se pienamente instaura il contraddittorio, realizza comunque la sua funzione propria. Ne consegue che, non essendo desumibile dal sistema principio di inammissibilità di mezzo di presentazione degli atti in concreto idoneo ma non funzionale e coerente rispetto a programmi di innovazione delle strutture e mezzi degli uffici giudiziari, l'inesistenza di norma che espliciti la sanzione e il principio di libertà delle forme (art. 121 c.p.c.) e di tassatività delle nullità e raggiungimento dello scopo (art. 156 c.p.c.) inducono a qualificare l'inosservanza come mera irregolarità ».

In senso sostanzialmente conforme alla pronuncia del Tribunale di Brescia si è posizionato l'orientamento del Tribunale di Trani che, mutando opinione rispetto all'ordinanza del 24 novembre 2015, ha ritenuto che il reclamo debba considerarsi atto introduttivo di un nuovo giudizio assimilandolo all'appello. Lo stesso Tribunale di Trani poi si è uniformato all'orientamento dei Giudici bresciani sostenendo che, a prescindere dalla natura endoprocessuale o esoprocessuale del reclamo, non può comminarsi la sanzione di inammissibilità dell'atto che ha raggiunto il proprio scopo e per cui la legge non prevede alcuna sanzione di nullità. Ultimo in ordine di tempo si segnala l'orientamento del Tribunale di Roma che, con ordinanza dell'8 novembre 2016 non ha aderito alla giurisprudenza di merito che reputa inammissibile l'introduzione del procedimento di reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. con ricorso in forma cartacea: la collegialità dell'organo giudicante in luogo della monocraticità del Giudice di prime cure e la devoluzione al collegio di una disamina necessariamente successiva e distinta rispetto a quella che viene definita con il provvedimento reclamato costituiscono, secondo questo orientamento, elementi significativi e convergenti nel delineare l'autonomia procedimentale del reclamo rispetto al procedimento che lo precede (ai quali si aggiunge l'iscrizione ex novo al ruolo generale). Va altresì considerato che, dato il carattere meramente eventuale del reclamo (e la mera eventualità anche del giudizio di merito), l'ordinanza del Giudice di prime cure è un provvedimento che può chiudere in via definitiva il procedimento introdotto con il ricorso cautelare, come confermato dalla previsione di legge secondo cui con essa debbono essere regolate le relative spese, e ciò contrasta con una considerazione di endoprocedimentalità in senso proprio del reclamo.

Si precisa, infine, ed ancora una volta, che, la diatriba giurisprudenziale è di fatto divenuta di nessun interesse, posto il generale obbligo di deposito telematico di tutti gli atti del processo, previsto, anche per i procedimenti pendenti, dall'art. 196-quater disp. att. c.p.c.

Le problematiche operative nel deposito telematico del reclamo

In relazione al deposito dell'atto di reclamo sono emerse, nella pratica, alcune problematiche di natura operativa. Pur essendo stati regolarmente rilasciati gli schemi XSD per il deposito del tipo atto “reclamo”, tale schema richiede espressamente che venga compilato il campo “Curia” (per indicare il Tribunale o la Corte d'Appello presso la quale il reclamo viene presentato) nonché quello “Numero di Ruolo”.

La compilazione di questi due campi è necessaria al fine di incardinare correttamente il procedimento di reclamo, dando inoltre atto nel fascicolo reclamato, dell'intervenuto deposito dell'atto.

Le problematiche operative, però, si manifestano nei casi di cambio di Curia o di cambio di Registro, in tutti quei casi, quindi, l'indicazione nel campo “Numero di Ruolo” non si riferirà al Tribunale, alla Sezione, o alla Corte d'Appello indicate ma ad un altro.

Esempio classico è quello del reclamo ex art. 739 c.p.c. che, in caso di reclamo avverso i decreti pronunciati dal tribunale in camera di consiglio in primo grado, individua nella Corte d'Appello la Curia cui riferirsi. Qualora, quindi, inserissimo — ad esempio — la Corte d'Appello di Roma come Curia competente, ma indicassimo il numero di R.G. del fascicolo del Tribunale di Roma ove il provvedimento reclamato è stato assunto, questo provocherebbe un errore di sistema che porterebbe a collegare il reclamo a quello stesso numero di ruolo della Corte d'Appello invece che del Tribunale.

Problemi analoghi si presentano in tutti i casi di cambio di Registro, come i reclami avverso le ordinanze di sospensione del Giudice dell'esecuzione in cui, pur rimanendo fermo il Tribunale di competenza, il numero di Ruolo Generale sarà quello dell'esecuzione ed il sistema lo interpreterà invece quale numero del contenzioso ordinario.

Per ovviare a tale inconveniente di natura tecnica, si consiglia — in casi di questa tipologia — di utilizzare il tipo atto “ricorso” invece che il tipo atto “reclamo”.

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