Società a partecipazione pubblica: responsabilità degli organi sociali e del socio-ente pubblico
14 Maggio 2024
Massima Nell'atto costitutivo e nello statuto di una società, la mancata previsione del divieto di trasferimento delle partecipazioni a soggetti privati ne esclude la qualificazione come società in-house, con conseguente giurisdizione ordinaria sulle azioni di responsabilità esercitate nei confronti degli organi di amministrazione e di controllo: è devoluta alla Corte dei Conti, nei limiti della quota di partecipazione pubblica, la giurisdizione sulle sole controversie in tema di danno erariale. Nei confronti del liquidatore è possibile esperire le medesime azioni proponibili nei confronti dell'amministratore, in virtù del richiamo di cui all'art. 2489 c.c. Deve ritenersi sussistente una regola generale che prescrive al liquidatore della società di attivarsi diligentemente per impedire un aggravamento del dissesto, in funzione di tutela dei creditori che vantano sul patrimonio sociale la garanzia generica dei loro crediti. Quanto alla violazione del dovere di vigilanza, per l'affermazione della responsabilità dei sindaci è sufficiente il non avere rilevato macroscopiche violazioni o comunque il non avervi in alcun modo reagito, ponendo in essere ogni atto necessario all'assolvimento dell'incarico con diligenza, correttezza e buona fede, anche convocando l'assemblea (art. 2406 c.c.) o denunziando i fatti al tribunale (art. 2409 c.c.): può ragionevolmente presumersi che il ricorso a siffatti rimedi avrebbe potuto essere idoneo ad evitare (o, quanto meno, a ridurre) le conseguenze dannose della condotta gestoria. Quanto all'azione ex art. 2497 c.c. esperibile anche nei confronti di un socio pubblico di una società di capitali, il presupposto della responsabilità va individuato nell'effettivo esercizio di funzioni di direzione e coordinamento in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale tale da cagionare pregiudizi alla redditività e al valore della partecipazione sociale ovvero all'integrità del patrimonio sociale. Il caso Il 24 luglio 2007, veniva costituita Alfa s.p.a. avente come oggetto sociale prevalente la gestione di servizi e manutenzione di edifici, giardini e aiuole. Unico azionista della società era il Comune di Mugnano di Napoli. La storia finanziaria di Alfa s.p.a. era tutt'altro che rosea. Invero, il bilancio del 2009 registrava una perdita di esercizio di oltre € 200.000,00 e, col passare del tempo, la situazione peggiorava: a chiusura dell'esercizio 2010, la perdita accertata in bilancio si incrementava di ulteriori € 100.000,00. Così, con delibera del 16 dicembre 2010, la società veniva posta in liquidazione. In tale occasione, al solo fine di salvaguardare i livelli occupazionali (17 dipendenti) e il regolare svolgimento del servizio pubblico offerto, si optava per la prosecuzione dell'attività d'impresa. La prosecuzione dell'attività non era però svolta in ottica conservativa e il pesante debito già accumulato aumentava ulteriormente: dal bilancio di esercizio 2013 risultava un indebitamento di € 2.146.578,00 complessivi, di cui più dell'80% nei confronti di Erario, INPS e fornitori. Soltanto nel 2015, il Comune di Mugnano di Napoli, in qualità di socio unico, decideva di “issare bandiera bianca”, prendendo atto dell'impossibilità di ripianare l'enorme esposizione debitoria della società e chiedendo al Tribunale di Napoli di dichiararne il fallimento. Ricostruito il quadro disastroso che aveva condotto alla declaratoria di fallimento, il Curatore ha convenuto in giudizio avanti al Tribunale di Napoli: (i) il liquidatore, ritenuto responsabile ex artt. 2489 e 2407 c.c. per la violazione degli obblighi di corretta gestione, avendo questi preso scelte perniciose per la conservazione del patrimonio societario, come la prosecuzione dell'attività in situazione di grave dissesto economico; (ii) i sindaci, considerati responsabili ex art. 2407, comma 2, c.c. per non aver adottato le misure imposte dalla legge e volte a evitare l'aggravarsi del deficit patrimoniale, nonostante l'evidente violazione degli obblighi di corretta gestione da parte del liquidatore e l'insolvenza acclarata della società; (iii) il Comune di Mugnano di Napoli, configurando a suo carico una responsabilità ex art. 2497 c.c. per abuso di direzione e coordinamento. I convenuti hanno contestato per ragioni sia di rito sia di merito l'iniziativa processuale promossa dal Curatore, senza ottenerne l'auspicato rigetto: dopo aver affrontato e risolto le questioni che verranno meglio illustrate nel successivo paragrafo, il Tribunale di Napoli, con la sentenza in commento, li ha condannati in solido al risarcimento dei danni in favore del Fallimento. Le questioni giuridiche e le soluzioni Le società a partecipazione pubblica: peculiarità in tema di giurisdizione I convenuti hanno anzitutto eccepito il difetto di giurisdizione del Tribunale di Napoli rispetto all'azione proposta dal Curatore: essendo stata Alfa s.p.a. una società in-house la cognizione sulla controversia sarebbe stata riservata alla Corte dei Conti. La società in-house, senz'altro compresa tra le società a partecipazione pubblica, si contraddistingue per il fatto di essere intimamente legata sul piano organizzativo e operativo a un ente pubblico, tanto da poter essere equiparata a un suo ufficio interno. I presupposti qualificanti la società in-house – frutto soprattutto dell'elaborazione della Corte di Giustizia UE (C-107/98, sentenza “Teckal”) – sono attualmente indicati all'art. 16 D. Lgs.175/2016, ossia: (i) il capitale sociale è interamente detenuto da uno o più enti pubblici per l'esercizio di pubblici servizi; (ii) l'attività prevalente della società è statutariamente svolta in favore degli enti partecipanti; (iii) la gestione è assoggettata, per statuto, a forme di controllo analoghe a quelle esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici. La ripartizione della giurisdizione nelle controversie riguardanti la società in-house è stata dibattuta:
Nel caso in esame, il Tribunale di Napoli ha escluso che Alfa s.p.a. fosse una società in-house, definendola invece una società a totale partecipazione pubblica: la conclusione si fondava sul fatto che, nell'atto costitutivo e nello statuto della società, mancava il divieto di trasferimento delle partecipazioni a soggetti privati. Di qui, constatata l'assenza di un danno erariale, è stata affermata la giurisdizione ordinaria sulle azioni di responsabilità esercitate nei confronti degli organi sociali di Alfa s.p.a., con conseguente rigetto dell'eccezione dei convenuti. La responsabilità del liquidatore per non aver impedito il dissesto L'addebito di responsabilità mosso al liquidatore si fonda su due condotte: (i) l'assunzione di due dipendenti in luogo dell'unico dipendente con cui il rapporto di lavoro era cessato, con presunto aumento dei costi per la società e (ii) il non aver attivato una procedura concorsuale, pur in presenza di una situazione di insolvenza, determinando un aggravio del dissesto. Quanto al primo comportamento, il Tribunale di Napoli, richiamando gli esiti della consulenza tecnica d'ufficio svolta nel corso del giudizio, si è limitato ad accertare la mancanza di un danno al patrimonio della società derivante dall'aumento dei costi del personale. Questi ultimi, al pari degli esborsi per i servizi, erano infatti diminuiti. Quanto al mancato ricorso a una procedura concorsuale e al conseguente aggravio del dissesto, il Tribunale di Napoli si è soffermato, preliminarmente, sul contrasto giurisprudenziale sorto in merito (i) all'esistenza, in capo al liquidatore, del potere di chiedere il fallimento della società e, in caso affermativo, (ii) alla sussistenza, in presenza dei relativi presupposti, di un vero e proprio obbligo in tal senso. A quest'ultimo riguardo, i poteri spettanti al liquidatore si ricavano dalla lettura di due norme che si pongono, tra loro, in contraddizione, ossia (i) l'art. 2487, comma 1, lett. c), c.c. (da leggersi in combinato disposto con il successivo art. 2487-bis c.c.) e (ii) l'art. 2489 c.c. In base a tali disposizioni: (i) da un lato, la determinazione dei poteri del liquidatore sarebbe riservata all'assemblea dei soci (art. 2487, comma 1, lett. c), c.c.), con delibera da iscriversi nel registro delle imprese (art. 2487-bis c.c.); (ii) dall'altro lato, il liquidatore avrebbe invece il potere di compiere tutti gli atti utili per la liquidazione della società (art. 2489 c.c.). Per risolvere l'evidente contraddizione, secondo autorevole dottrina occorrerebbe muovere dal diverso modo di ordinare il rapporto gerarchico tra l'art. 2487, comma 1, lett. c), e l'art. 2489 c.c., ovvero stabilendo quale sia la regola e quale l'eccezione (M. Spiotta, Un'ulteriore puntualizzazione (o un revirement?) sui poteri dei liquidatori, in Giur. it., 8-9, 2017, 1877 ss.). In tale ottica:
Nel caso in esame, il Tribunale di Napoli ha aderito a quest'ultima posizione, facendo altresì leva sul combinato disposto dagli artt. 217, comma 1, n. 4 e 224 l.fall. (oggi artt. 323, comma 1 , lett. “d”, e 330 CCII), in forza del quale l'organo di gestione dell'ente collettivo – sia esso amministratore o liquidatore – è obbligato ad agire in maniera tale da non ritardare la dichiarazione di insolvenza della società e a non aggravarne il dissesto. Si è quindi ricavata una regola generale che prescrive al liquidatore della società di attivarsi per impedire un aggravio del dissesto, in funzione di tutela dei creditori che vantano sul patrimonio sociale la garanzia generica dei loro diritti. Nel delineato quadro di riferimento, nemmeno il panorama giurisprudenziale all'epoca (2012) incerto in merito alla fallibilità delle società a partecipazione pubblica – pur poi affermata, fra l'altro, da Cass. 6 dicembre 2012, n. 21991 – sarebbe stato sufficiente a giustificare l'inerzia del liquidatore. Invero, il deposito della domanda di fallimento avrebbe costituito una scelta liquidatoria doverosa perché in grado di impedire l'aggravamento del dissesto. Sulla base di tali considerazioni, il liquidatore è stato condannato al risarcimento del danno, costituito dall'aggravio del dissesto verificatosi nel periodo compreso tra la data in cui questi avrebbe dovuto attivarsi richiedendo il fallimento della società e la sua cessazione della carica. La responsabilità dei sindaci per omessa vigilanza Come noto, l'art. 2407, comma 2, c.c. prevede una forma di responsabilità dei sindaci concorrente con quella degli amministratori, richiedendo, quale indefettibile presupposto, la commissione da parte dagli organi gestori di un illecito doloso o colposo che, mediante l'esercizio delle funzioni di vigilanza loro attribuite, i sindaci avrebbero potuto e dovuto evitare (v., tra le altre, per una sintetica esposizione dei presupposti di tale fattispecie di responsabilità, Cass. 28 maggio 1998, n. 5287 e Cass. 11 dicembre 2020, n. 28357). Per quanto riguarda il contenuto del dovere di vigilanza, la giurisprudenza ha precisato che la funzione dei sindaci non si limita al mero controllo contabile e formale: è necessario che le verifiche degli organi di controllo si estendano anche al contenuto della gestione, atteso che l'art. 2403 c.c. va combinato con l'art 2403-bis c.c. che conferisce al collegio sindacale il potere (e il dovere) di chiedere agli amministratori notizie sull'andamento delle operazioni sociali o su determinati affari (v., di recente: Cass., ord., 17 ottobre 2022, n. 30383; Cass. 29 ottobre 2013, n. 24362; App. Firenze, Sez. imprese, 8 febbraio 2022; Trib. Milano, Sez. Imprese, 4 ottobre 2023, n. 14011, in Dejure. In dottrina, fra gli altri, A. Bertolotti, Responsabilità dei sindaci - Considerazioni sui doveri dei sindaci e sulle loro dimissioni, in Giur. It., 2022, pp. 1893) È stato altresì sottolineato che, ai fini della violazione del dovere di vigilanza, non occorre l'individuazione di specifici comportamenti: è sufficiente l'essersi astenuti dal rilevare una macroscopica irregolarità o comunque dal reagirvi mediante il ricorso agli strumenti previsti dall'ordinamento (v., a mero titolo esemplificativo: Cass., ord., 21 febbraio 2024, n. 4617; Cass., ord., 19 febbraio 2024, n. 4315; Cass. 11 dicembre 2020, n. 28357; Cass., ord., 3 luglio 2017, n. 16314; Cass. 13 giugno 2014, n. 13517; Cass. 29 ottobre 2013, n. 24362). Applicando tali principi, il Tribunale di Napoli ha ravvisato la responsabilità dei sindaci per omessa vigilanza: i convenuti avevano soltanto segnalato l'aggravio del dissesto conseguente alla prosecuzione della gestione provvisoria dell'attività di impresa e la necessità di farla cessare, senza assumere altre doverose iniziative (i.e. la convocazione dell'assemblea ex art. 2406 c.c. o la denuncia ex art. 2409 c.c.). La responsabilità dell'ente pubblico per abuso di direzione e coordinamento La responsabilità di cui all'art. 2497 c.c. presuppone (i) l'effettivo esercizio di funzioni di direzione e coordinamento in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale e (ii) l'idoneità di tale effettivo esercizio a cagionare pregiudizi alla redditività ed al valore della partecipazione sociale ovvero all'integrità del patrimonio della società. L'attività di direzione e coordinamento si connota per la presenza di un quid pluris rispetto al controllo esercitabile ai sensi dell'art. 2359 c.c.; controllo che, ove presente, costituisce solamente un indizio dell'attività di direzione e coordinamento, in virtù della presunzione iuris tantum prevista dall'art. 2497-sexies c.c. Nel delineato quadro di riferimento, ci si era chiesti se gli enti pubblici rientrassero tra i possibili soggetti passivi dell'azione risarcitoria di cui all'art. 2497 c.c. Nel tentativo di dirimere il contrasto tra opposte opinioni dottrinali (v. per una breve ricostruzione, S. Angei, La responsabilità per attività di direzione e coordinamento dell'ente territoriale holding: tra affermazioni di principio e ingiustificati privilegi del socio pubblico, in Nuova giur. Civ. comm., 4, 2023, pp. 835 ss.), è intervenuto il Legislatore con l'art. 19, 6° comma, D. L. 78/2009: fornendo un'interpretazione autentica dell'art. 2497 c.c., la disposizione ha esteso la legittimazione passiva a tutti i soggetti giuridici collettivi, diversi dallo Stato, che detengono la partecipazione sociale “nell'ambito della propria attività imprenditoriale ovvero per finalità di natura economica o finanziaria”. Sussistono tuttavia, ad oggi, ancora differenti opinioni in merito all'applicazione della responsabilità per abuso di direzione e coordinamento agli enti pubblici. Soprattutto nella giurisprudenza di merito si registrano, infatti, pronunce contrastanti:
Nel caso in esame, il Tribunale di Napoli ha ritenuto configurabile la legittimazione passiva del Comune di Mugnano di Napoli. In particolare, l'eccezione di inammissibilità della domanda sollevata dall'ente locale è stata disattesa mediante (i) il richiamo a una precedente sentenza che aveva consentito l'esercizio dell'azione ex art. 2497 c.c. nei confronti del socio pubblico di una società di capitali (i.e. Trib. Napoli 7 novembre 2019, in dirittodellacrisi.it) e (ii) il riferimento alla disposizione di cui al richiamato art. 19, comma 6, d.l. n. 78/2009. Ciò premesso, il Tribunale di Napoli ha desunto che il Comune di Mugnano di Napoli avesse esercitato in modo abusivo l'attività di direzione e coordinamento su Alfa s.p.a., prendendo in considerazione i seguenti indici:
Per tali ragioni, il Comune è stato condannato al risarcimento dei danni arrecati al patrimonio della Società, come quantificati nel corso della consulenza tecnica d'ufficio. Conclusioni Con la pronuncia in commento, il Tribunale di Napoli ha affrontato varie questioni dibattute, uniformandosi in modo motivato all'elaborazione interpretativa prevalente. In particolare, il Tribunale:
Sulle società in-house e a partecipazione pubblica: differenze e disciplina applicabile
Sulla responsabilità del liquidatore per non aver impedito il dissesto: presupposti
Sulla responsabilità risarcitoria dei sindaci per omessa vigilanza: presupposti
Sulla responsabilità dell'ente pubblico per abuso di direzione e coordinamento: presupposti
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