Retratto agrario e risarcimento del danno da evizione
16 Maggio 2024
Massima La Suprema Corte, preliminarmente, ribadisce che l'esercizio della domanda giudiziale costituisce accettazione tacita di eredità; pertanto, sussiste la legittimazione attiva da parte dei chiamati all'eredità, che quindi, con l'esercizio dell'azione, assumono la qualità di eredi. Con riguardo all'eccezione di inammissibilità per decorso dei termini, precisa che, laddove non sia in contestazione un rapporto agrario non vi è coinvolgimento delle sezioni specializzate, pertanto, nel computo dei termini per la presentazione del ricorso si deve ordinariamente tenere conto della sospensione feriale. In diritto, si prevede che il risarcimento del danno da evizione a favore dell'acquirente spogliato del bene, è dovuto dal venditore, che alla garanzia per evizione è tenuto secondo la comune logica contrattuale. Per l'effetto, i riscattanti devono corrispondere all'acquirente esclusivamente una somma pari al prezzo stabilito nell'atto di compravendita, in applicazione del principio di parità di condizioni che è proprio del meccanismo di prelazione. Il caso Il proprietario di un fondo rustico in Napoli, già concesso in affitto a coltivatori diretti da oltre due anni, vendeva detto fondo a un terzo, non tenendo conto del diritto di prelazione legale degli affittuari, i quali, a mezzo domanda giudiziale, esercitavano il diritto di riscatto - previsto dall'art. 8 c. 5 L. 590/1965 - nei confronti dell'acquirente, che si costituiva in giudizio e chiamava in manleva i venditori. Il Tribunale, accertata la fondatezza della domanda, in quanto la vendita era avvenuta in assenza di denuntiatio, riconosceva ai retraenti il diritto ad acquistare la proprietà, sotto condizione del pagamento del prezzo ai venditori, e condannava questi ultimi al risarcimento del danno subito dall'acquirente. Avverso tale decisione venivano interposti appello principale dalla parte acquirente e appello incidentale da parte dei riscattanti. L'acquirente lamentava l'errata quantificazione del danno subito, in quanto il Tribunale non aveva tenuto conto delle spese per rogito e imposte, e si frapponeva al capo della sentenza che – dopo aver condannato tutti i convenuti al pagamento delle spese di giudizio - condannava i venditori a rimettere a suo favore solo una parte delle spese di giudizio anziché l'intero. Con l'impugnazione incidentale veniva richiesta la modifica di quella parte della sentenza che aveva condizionato il passaggio della proprietà in capo ai riscattanti al pagamento del prezzo a favore della parte venditrice anziché della parte acquirente. La Corte d'appello accoglieva entrambe le doglianze. Con il successivo ricorso per Cassazione, i prelazionari chiedevano che il risarcimento del danno da evizione, liquidato dalle corti di merito a favore dell'acquirente e posto a carico di essi retraenti, ricadesse invece sui venditori e che il passaggio di proprietà a loro favore fosse condizionato al pagamento di una somma pari al prezzo stabilito nell'atto di compravendita, non tenendo conto delle spese di rogito e per imposte. La parte resistente riteneva il ricorso inammissibile per due motivi: carenza di legittimazione attiva, in quanto i ricorrenti non avevano dato prova della loro qualità di erede, e mancanza di tempestività, in quanto, non applicandosi la sospensione feriale, veniva proposto oltre i termini. La Suprema Corte riteneva entrambi i motivi infondati, ribadendo, quanto al primo punto, che il ricorso per Cassazione costituisce accettazione tacita, e quindi doveva ritenersi sussistente la legittimazione attiva dei ricorrenti, e in secondo luogo, che, non sussistendo la necessità di accertare l'esistenza del rapporto agrario, non vi era stato affidamento alle sezioni specializzate; pertanto, la sospensione feriale si applicava in modo ordinario. In punto di merito, riteneva fondata la prima eccezione posta dai ricorrenti e assorbita la seconda, cassando la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello. La sentenza della Corte d'Appello errava quindi nella parte in cui, nel disporre il risarcimento del danno da evizione - che doveva intendersi comprensivo delle spese notarile e delle imposte - a favore dell'acquirente, lo poneva a carico di essi retraenti anziché a carico del venditore. Per l'effetto, l'acquisto della proprietà del fondo rustico a favore dei riscattanti conseguiva al pagamento da parte loro e a favore dell'acquirente del solo prezzo stabilito nell'atto di compravendita. La questione La Corte di Cassazione è chiamata a pronunciarsi sulla legittimazione attiva del chiamato all'eredità che non abbia accettato espressamente l'eredità e sull'applicabilità della sospensione feriale dei termini a controversie relative ad un rapporto agrario, in cui non sia in questione il rapporto medesimo. La principale questione proposta alla Suprema Corte, che comporta la cassazione con rinvio della sentenza impugnata, concerne l'individuazione del soggetto a carico del quale è posta l'obbligazione risarcitoria conseguente all'accertamento del danno evizionale nonché la corretta quantificazione della prestazione pecuniaria dovuta dal riscattante. Le soluzioni giuridiche Con la pronuncia in commento la Suprema Corte ritorna su una questione spesso dibattuta ovvero se i chiamati all'eredità, che non abbiano (ancora) accettato espressamente, siano legittimati all'azione processuale. La Corte ribadisce che la qualità di erede si acquista solo con l'accettazione, in uno dei due modi previsti dall'art. 474 c.c., espressa o tacita. La proposizione di un ricorso per Cassazione può ben essere annoverata tra i comportamenti concludenti da cui si deduce in modo univoco la volontà di accettare del chiamato all'eredità. Sempre sul piano dei vizi del ricorso che ne comporterebbero l'inammissibilità, è stata posta la questione della tempestività del ricorso in quanto, trattandosi di controversia in materia di contratti agrari, emergeva la competenza funzionale inderogabile delle Sezioni specializzate agrarie, ai sensi dell'art. 26 L. 11/1971. Gli Ermellini, ritenendo la questione di particolare importanza ai sensi dell'art. 363 c. 3 c.p.c., enunciano il seguente principio di diritto “le controversie di riscatto agrario, poiché affidate alla competenza del giudice ordinario e non alla competenza delle Sezioni Specializzate agrarie, sono soggette alla sospensione feriale dei termini, in quanto non sorga la necessità, per effetto di una domanda riconvenzionale, di accertare l'esistenza del rapporto agrario legittimante ed il cumulo di cause, per declinatoria di competenza, venga rimesso alla Sezione Specializzata”. Pertanto, le controversie in materia di riscatto di fondo rustico da parte dell'affittuario coltivatore diretto, ai sensi dell'art. 8 L. 590/1965, rientrano nella competenza del giudice ordinario che può conoscere incidenter tantum il rapporto di affitto, presupposto di applicazione della normativa di favore. Error in iudicando viene invece ravvisato per violazione o falsa applicazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e con violazione degli artt. 1479 e 1483 c.c., avendo la Corte di secondo grado posto il risarcimento del danno da evizione a carico dei riscattanti anziché del venditore, diversamente da quanto chiesto dall'acquirente medesimo nell'atto di appello. L'esercizio del diritto di riscatto da parte dell'avente diritto rappresenta un fatto evizionale alla cui garanzia è tenuto il venditore in forza degli artt. 1479 e 1483 c.c.. L'ulteriore censura riguarda l'interpretazione della regola di diritto contenuta nell''art. 8 L. 590/1965 che pone a carico del riscattante esclusivamente il pagamento del prezzo indicato nell'atto di compravendita. Errava quindi la Corte di merito nel condannare gli affittuari che avevano agito in riscatto, oltre che al pagamento di detto prezzo anche delle spese di rogito e delle imposte, rientrando dette voci nel risarcimento del danno da porre a carico del venditore e non nel “prezzo del riscatto”. Osservazioni L'ordinanza in commento, in applicazione dei principi generali, ribadisce una regola già fatta propria dalla giurisprudenza precedente ovverosia, in estrema sintesi, che il riscattante deve corrispondere al riscattato esclusivamente quanto da quest'ultimo corrisposto al venditore a titolo di prezzo. La conclusione appare coerente con la ricostruzione del contratto di compravendita concluso in spregio del diritto di prelazione come negozio sub condicione iuris del mancato esercizio del riscatto da parte dell'affittuario del fondo rustico quale limite di ordine pubblico all'autonomia contrattuale delle parti, le quali possono “liberamente determinare il contenuto del contratto” ma solo “nei limiti imposti dalla legge” (art. 1322 c.c.). Ponendo una normativa inderogabile, il legislatore dell'epoca ha inteso perseguire uno specifico obiettivo di politica agraria il cui cardine deve essere individuato nello sviluppo e nel consolidamento della proprietà coltivatrice. Ciò è avvenuto mediante la creazione di uno statuto della proprietà agraria, che prevede tutele e salvaguardie per chi, titolare di un rapporto agrario, ha un ruolo attivo nell'incremento delle potenzialità del fondo mediante la sua coltivazione. Nel caso di omissione della proposta di alienazione o di avvenuta notifica ma seguita da vendita a prezzo inferiore, non è più in questione il diritto di prelazione ma scatta per la parte lesa il diritto di riscatto che avviene mediante una dichiarazione scritta, giudiziale o stragiudiziale, in cui l'avente diritto manifesta sia la volontà di acquistare sia la volontà di corrispondere il prezzo già indicato nell'atto di compravendita. Si realizzerebbe, in estrema sintesi, una sostituzione retroattiva del riscattante al riscattato nell'originario contratto, da cui discende de plano che l'unica obbligazione posta a carico del retraente va ravvisata nel pagamento del prezzo. Detto meccanismo sostitutivo - che presta il fianco a critiche ove solo si immagini il susseguirsi di più aventi causa: in questo caso, il prezzo a cui fare riferimento rimane quello contenuto nel primo negozio di alienazione, ma la sostituzione non può ovviamente avvenire in quel medesimo contratto, perché l'originario acquirente non è più titolare del bene - è utile per comprendere la ripartizione delle obbligazioni fra le parti in causa a seguito del vittorioso esercizio del riscatto. Da un lato l'obbligazione di pagare il prezzo, che la legge pone in modo chiaro a carico del titolare del diritto di prelazione il quale “può, entro un anno dalla trascrizione del contratto di compravendita, riscattare il fondo dall'acquirente e da ogni altro successivo avente causa” (art. 8 L. 590/1965), essendo da lui dovuto (solo) “il versamento del prezzo di acquisto” (art. 8 c. 6 'L. 590/1965; art. unico L. 2/1979), che rappresenta condizione sospensiva dell'acquisto nonché limite e corrispettivo del riscatto. Null'altro può essere dovuto dal retraente, in quanto diretto corollario del principio di parità di condizioni insito nel meccanismo prelazionario: non le spese per il rogito e le imposte corrisposte sul trasferimento, non le spese di mediazione o gli interessi e la rivalutazione monetaria (Cass. 29 aprile 2005 n. 8997, Cass. 15 gennaio 2001, n. 492, Cass. SU 15 luglio 1991 n. 7838, Cass. 18 marzo 1997 n. 2385). Concordi già le Corti di merito nell'affermare che detto prezzo dovrà essere corrisposto all'acquirente o successivo avente causa, e non già al venditore, avulso rispetto alla situazione di soggezione instauratasi a fronte dell'esercizio del diritto potestativo di riscatto (Cass. 27 maggio 2009 n. 12264, in tema di prelazione urbana). Dall'altro l'obbligazione risarcitoria, che in applicazione delle regole civilistiche di cui agli artt. 1479 e 1483 c.c., costituisce effetto del verificarsi del fatto evizionale e della conseguente perdita del diritto per l'acquirente evitto, il quale dovrà essere risarcito dal venditore, salvo esclusione della garanzia in via pattizia, sia per la lesione dell'interesse negativo - le spese connesse alla vendita diverse dal prezzo - che per la lesione dell'interesse positivo, ove sussistente, con lo scopo di ripristinare la medesima situazione economica in cui si trovava prima della compravendita. |