Conto corrente con affidamento tra decorrenza degli interessi illegittimamente percepiti e ripartizione dell’onere della prova
10 Giugno 2024
Massima "In tema di ripetizione di indebito oggettivo, ai fini del decorso degli interessi sulla somma oggetto di restituzione, l'espressione dal giorno della “domanda”, contenuta nell'art. 2033 c.c., non va intesa come riferita esclusivamente alla domanda giudiziale, ma comprende anche gli atti stragiudiziali aventi valore di costituzione in mora ai sensi dell'art. 1219 c.c.” "In tema di conto corrente bancario, ove al conto acceda un'apertura di credito, grava sul cliente che esperisce l'azione di ripetizione di interessi non dovuti l'onere di allegare e provare l'erronea applicazione del criterio di imputazione di cui all'art. 1194 c.c. (secondo cui ogni pagamento deve essere imputato prima agli interessi e poi al capitale) alle rimesse operate, in ragione della natura ripristinatoria delle stesse, trattandosi di fatto costitutivo della domanda di accertamento negativo del debito, con la conseguenza che non è configurabile un onere a carico della banca di dedurre e dimostrare quali rimesse abbiano carattere solutorio”. Il caso Tizio citava in giudizio la Banca Alpha al fine di ottenere una declaratoria di nullità del contratto di conto corrente ordinario con affidamento per aver quest’ultima arbitrariamente conteggiato al rapporto interessi anatocistici, commissioni e spese di gestione ed altro, non dovute. Si costituiva la Banca eccependo la intervenuta decadenza dalla domanda per non essere mai stati impugnati gli estratti conto, e chiedendo nel merito il rigetto di tutte le domande attoree. Il Tribunale in accoglimento delle prospettazioni del correntista dichiarava nullo il conto corrente ordinario con affidamento, inammissibile l’eccezione di prescrizione e condannava la Banca al pagamento della somma indebitamente percepita. L’appello proposto dalla Banca veniva accolto sia perché il pagamento degli interessi sulle somme dovute doveva essere inteso a partire dalla domanda giudiziale, sia perché non erano state conteggiate le rimesse solutorie. Tizio ricorreva in Cassazione che accoglieva il primo motivo di doglianza, rigettando, perché inammissibile, il secondo. La questione Le questioni sottoposte al vaglio della Corte in tema di indebito oggettivo su conto corrente ordinario con affidamento sono due. La prima attiene all'individuazione del momento di decorrenza degli interessi illegittimamente percepiti dalla Banca. Poiché l'art. 2033 c. 2 c.c. utilizza l'espressione generica “dal giorno della domanda”, ci si pone il quesito se questi devono essere fatti decorrere dal momento della domanda giudiziale ovvero dagli atti stragiudiziali compiuti aventi valore di messa in mora. La seconda riguarda la delimitazione dell'onere di allegazione gravante sull'Istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l'eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l'azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da apertura di credito. Perché l'eccezione di prescrizione sia validatamente proposta l'Istituto può limitarsi ad allegare l'inerzia del titolare e la manifestazione di volontà di volersene avvalere, o è gravato dall'onere di provare i singoli i versamenti solutori? Le soluzioni giuridiche Con riferimento alla prima questione, tradizionalmente la giurisprudenza maggioritaria (tra le altre Cass. 16 febbraio 2018 n. 3912, Cass. 18 maggio 2016 n. 10161, Cass. 4 marzo 2005 n. 4745, Cass. 4 novembre 1992 n. 11969), faceva decorrere la produzione degli interessi dalla proposizione della domanda giudiziale, non essendo sufficiente qualsiasi atto di costituzione in mora. All'indebito oggettivo senza mala fede si applicava la tutela prevista per il possessore in buona fede ai sensi dell'art. 1148 c.c., per cui lo stesso è obbligato a restituire i frutti soltanto dal momento della domanda giudiziale, “secondo il principio per il quale gli effetti della sentenza retroagiscono al momento della proposizione della domanda”. Nel 1994 la questione veniva sottoposta al vaglio delle Sezioni Unite in tema di domanda restitutoria di somme indebitamente versate per contributi assicurativi del datore di lavoro all'I.N.P.S. La normativa speciale previdenziale prevede quale condizione di proponibilità della domanda giudiziale la preventiva proposizione della domanda amministrativa. La Corte stabiliva che “gli interessi decorrono non già dalla domanda giudiziale ma dalla precedente domanda amministrativa, che non può esser considerata come una mera richiesta di restituzione avendo caratteristiche del tutto analoghe alla domanda giudiziale sia per la certezza del dies a quo sia per l'idoneità a rendere consapevole l'accipiens dell'indebito nel quale versa”. Questa soluzione veniva nuovamente messa in discussione da due sentenze delle Sezioni unite entrambe del 2009: Cass. SU 9 marzo 2009 n. 5624 e Cass. SU 25 giugno 2009 n. 14886. A partire però dal 2011 con la sentenza Cass. 31 marzo 2011 n. 7526, poi nel 2014, e ancora nel 2015 con la pronuncia Cass. 9 novembre 2015 n. 22852, la Corte affermava che l'art. 2033 c.c. “riconosce all'attore in ripetizione il diritto agli interessi dalla “domanda” senza alcuna connotazione e che la sua qualificazione in termini di “domanda giudiziale” si basa su di un fondamento storico non più corrispondente all'attuale sistema del codice civile”. Ma vi è di più. E' lo stesso dato normativo a suggerire un diverso trattamento della decorrenza degli interessi rispetto alla regolamentazione in tema di possesso in buona fede. Il legislatore infatti nell'art. 1418 c.c. dispone che “il possessore in buona fede fa suoi i frutti separati e i frutti civili fino al momento della domanda GIUDIZIALE, laddove l'art. 2033 c.c. si riferisce genericamente alla “domanda”. La decisione in commento fa proprio quest'ultimo orientamento riaffermando che gli interessi iniziano a decorrere dalla domanda intesa non già come domanda giudiziale, ma anche quale atto stragiudiziale di costituzione in mora ai sensi dell'art. 1219 c.c. La seconda questione si riferisce all'individuazione della parte su cui grava l'onere di provare la natura delle rimesse versate dal correntista. La questione non è di poco momento perché l'ordinaria prescrizione decennale inizia a decorrere, nell'ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, laddove se le rimesse abbiano natura solutoria dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati. Si intendono ripristinatori quei versamenti che abbiano avuto lo scopo o l'effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca, e cioè quando siano stati eseguiti su un conto in passivo (o “scoperto”) cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista; solutori se destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell'accreditamento. Secondo un primo orientamento (Cass. 21 dicembre 2018 n. 33320, Cass. 12 luglio 2018 n. 18479, Cass. 9 luglio 2018 n. 17998, Cass. 30 novembre 2017 n. 28819, Cass. 7 settembre 2017 n. 20933, Cass. 26 febbraio 2014 n. 4518) la natura ripristinatoria è presunta poiché i versamenti eseguiti in conto corrente hanno normalmente questa finalità, sicché una diversa finalizzazione deve essere in concreto provata da parte di chi intende far decorrere la prescrizione da una data diversa e anteriore rispetto a quella di chiusura del conto. Secondo una diversa impostazione, ormai dominante, invece (Cass. SU 13 giugno 2019 n. 15895, Cass. 14 luglio 2020 n. 14958, Cass. 22 maggio 2020 n. 9462, Cass. 30 gennaio 2019 n. 2660, Cass. 29 novembre 2018 n. 30885, Cass. 8 marzo 2018 n. 5571, Cass. 10 luglio 2018 n. 18144, Cass. 22 febbraio 2018 n. 4372, Cass. 26 luglio 2017 n. 18581, Cass. 30 gennaio 2017 n. 2308), l'eccezione è validamente proposta quando la parte ne abbia allegato il fatto costitutivo, cioè l'inerzia del titolare, e manifestato la volontà di avvalersene. In posizione intermedia chi (Cass. 24 maggio 2018 n. 12977) ribadisce che la natura ripristinatoria delle rimesse si presume, ma afferma che spetta alla Banca l'onere di allegare non solo il mero decorso del tempo ma anche l'ulteriore circostanza dell'avvenuto superamento del limite dell'affidamento. Il contrasto è stato ormai risolto (e mai disapplicato) dalle Sezioni Unite nel 2019 con sentenza n. 15895 secondo cui “l'onere di allegazione gravante sull'istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l'eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l'azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da apertura di credito, è soddisfatto con l'affermazione dell'inerzia del titolare del diritto, e la dichiarazione di volerne approfittare, senza che sia necessaria anche l'indicazione di specifiche rimesse solutorie”. Osservazioni L’ordinanza in commento si inserisce nell’ambito di un quadro ormai saldamente risolto. Sulla questione del termine di decorrenza degli interessi nelle azioni di ripetizioni di indebito, non vi è più dubbio che il riferimento alla “domanda” inserito nell’art. 2033 c.c. vada letto in senso generico, non potendo qui applicare la tutela prevista per il possessore in buona fede. In ordine all’onere di allegazione dell’istituto di credito, in un quadro processuale già definito dagli estratti conto, sarebbe ridondante pretendere dall’istituto la specifica indicazione delle rimesse solutorie cui è applicabile la prescrizione. |