Il socio risponde dei debiti della società estinta se non prova il titolo dell’attribuzione disposta in suo favore

20 Giugno 2024

La Cassazione torna ad occuparsi della responsabilità del socio, ex art. 2495 c.c., in caso di estinzione della società in presenza di rapporti giuridici pendenti, estendendone il perimetro al di là di quanto risultante dal bilancio finale di liquidazione e dando rilevanza anche alle attribuzioni che abbiano comportato assegnazione ai soci di componenti attive del patrimonio sociale.

Massima

Quando all'estinzione della società di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venire meno di ogni rapporto giuridico, l'obbligazione della società si trasferisce ai soci, che ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione, sicché, per escludere la responsabilità del socio cui siano stati attribuiti beni appartenenti alla società, assume rilievo determinante il titolo in forza del quale è stata disposta l'attribuzione.

Il caso

Un condominio agiva nei confronti della società che aveva realizzato l'edificio nel quale si erano manifestati gravi difetti, per ottenere il risarcimento del danno.

Il giudizio veniva interrotto a seguito dell'estinzione della società e, quindi, riassunto nei confronti dei soci, che venivano condannati in applicazione di quanto previsto dall'art. 2495 c.c., essendo stato accertato che agli stessi era stata attribuita una quota di utili ed erano stati assegnati in proprietà alcuni immobili a titolo di anticipo della liquidazione, secondo quanto riportato nel relativo atto.

I soci impugnavano la sentenza di primo grado, sostenendo che gli immobili, in realtà, erano stati trasferiti per compensare crediti restitutori da loro vantati nei confronti della società per erogazioni che avevano disposto in suo favore. La Corte d'appello di Palermo respingeva l'impugnazione, con sentenza che veniva gravata con ricorso per cassazione da uno dei due soci.

Le questioni giuridiche e le soluzioni

Con la sentenza che si annota, la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso, reputando infondato il motivo di censura dedotto.

I passaggi principali nei quali si articola la pronuncia sono i seguenti: 1) l'art. 2495 c.c. prevede che, una volta estintasi la società, i creditori sociali rimasti insoddisfatti possono fare valere i loro diritti nei confronti dei soci, che rispondono nei limiti delle somme riscosse in base al bilancio finale di liquidazione; 2) l'attribuzione di beni ai soci per compensare crediti dagli stessi vantati nei confronti della società non vale a escludere che si tratti di assegnazione di una quota dell'attivo, in difetto di elementi che consentano di individuare la natura dell'erogazione effettuata dai soci; 3) infatti, sia che si tratti di versamento in conto capitale, sia che si tratti di finanziamento in senso proprio, il diritto del socio alla restituzione è, nel primo caso, condizionato all'esistenza di un attivo da distribuire una volta adempiute tutte le obbligazioni sociali e, in entrambi i casi, postergato alla soddisfazione dei creditori sociali.

Osservazioni

La liquidazione rappresenta la fase conclusiva della vita della società ed è funzionale al realizzo delle attività e al pagamento delle passività, a seguito del verificarsi di una causa di scioglimento.

Come affermato da Cass. civ., sez. I, 6 maggio 2024, n. 12156, l'art. 2484, comma 3, c.c. detta la regola per cui gli effetti dello scioglimento della società si producono non in coincidenza con il verificarsi dell'evento dissolutivo, bensì dal momento dell'iscrizione nel registro delle imprese dell'atto societario che accerta la causa di scioglimento, che ha invece effetto automaticamente nei rapporti tra società e amministratori, per il solo fatto di essersi verificata ed è pertanto loro opponibile, ai fini della responsabilità per la conservazione del patrimonio sociale, a prescindere dalla formale iscrizione nel registro delle imprese dell'atto che la rileva.

L'art. 2495 c.c. stabilisce che, una volta completato il procedimento di liquidazione, con l'approvazione del bilancio finale, la società dev'essere cancellata dal registro delle imprese e si estingue.

All'estinzione della società, tuttavia, non consegue il venire meno di ogni rapporto giuridico di cui la stessa era parte; per quanto riguarda, in particolare, i debiti non soddisfatti, essi non si estinguono, ma si trasferiscono in capo ai soci, i quali, d'altro canto, ne rispondono nei limiti di quanto è stato a ciascuno di loro attribuito in sede di liquidazione.

In questo modo, il legislatore ha inteso operare un bilanciamento tra, da un lato, l'interesse del creditore sociale a non vedere sacrificato il proprio diritto a fronte di una vicenda – l'estinzione della società – rispetto alla quale è del tutto estraneo (non essendo nemmeno legittimato, a termini dell'art. 2492 c.c., a impugnare il bilancio finale di liquidazione, nel caso in cui ritenga che la propria posizione sia stata pregiudicata dalle operazioni compiute e dalle decisioni assunte nella fase terminale della vita della società) e, dall'altro lato, l'interesse dei soci a non vedere compromessa la regola dettata dall'art. 2462 c.c., in virtù della quale, nella società a responsabilità limitata, per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio.

In questo senso, limitare la responsabilità dei soci di società di capitali al valore dell'attivo loro distribuito in sede di liquidazione non comporta alcun pregiudizio alle ragioni dei creditori, perché, nel caso in cui la società venga cancellata dal registro delle imprese senza distribuzione di attivo, il loro credito resterebbe comunque insoddisfatto per incapienza del patrimonio sociale, mentre, di converso, ove quest'ultimo presenti delle componenti attive non impiegate per soddisfare le obbligazioni della società e assegnate ai soci, la misura della responsabilità contemplata dall'art. 2495 c.c. corrisponde pur sempre a quella su cui potevano fare affidamento i creditori sociali nei confronti della società debitrice.

Nel caso di specie, i due soci di una società a responsabilità limitata di cui era stata chiesta la condanna al risarcimento dei danni che affliggevano il fabbricato dalla stessa edificato, avevano ricevuto, in base al bilancio finale di liquidazione, la quota di utili di rispettiva spettanza, sicché, estintasi la società in corso di causa, il giudizio era stato riassunto nei loro confronti proprio perché, per effetto di tale attribuzione, essi erano senz'altro tenuti a rispondere del debito che fosse scaturito dall'eventuale accoglimento della domanda proposta nei confronti della società, beninteso nei limiti di quanto avevano riscosso.

Da questo punto di vista, va rammentato che, poiché la percezione di somme o beni da parte del socio nell'ambito del procedimento di liquidazione integra elemento costitutivo della responsabilità delineata dall'art. 2495 c.c., la relativa prova compete al creditore che la invochi: l'attribuzione, infatti, rappresenta non solo il limite, ma anche il fondamento della pretesa che può essere fatta valere dal creditore insoddisfatto, sicché l'onere di fornirne evidenza grava su di lui.

Il giudice di primo grado, peraltro, aveva ritenuto che la responsabilità dei due soci non dovesse essere limitata alla quota di utili loro attribuita, essendo risultato che agli stessi erano stati, altresì, assegnati in proprietà immobili appartenenti al patrimonio della società a titolo di anticipazione della liquidazione, secondo quanto era stato espressamente riportato in atto; pertanto, anche il valore di tali beni andava considerato al fine di individuare il limite stabilito dall'art. 2495 c.c.

A fronte di ciò, i due soci avevano sostenuto che la titolazione delle assegnazioni emergente dall'atto era frutto di un errore, dal momento che le stesse erano state, in realtà, disposte per soddisfare i loro crediti rivenienti da non meglio precisate erogazioni di denaro effettuate in favore della società, con la conseguenza che il valore degli immobili non doveva essere considerato ai sensi dell'art. 2495 c.c.

Tale argomento veniva disatteso sia dalla Corte d'appello di Palermo che dalla Corte di cassazione.

Secondo i giudici di legittimità, infatti, se è vero che è il creditore che invochi la responsabilità del socio ex art. 2495 c.c. a dovere dimostrare la percezione di utilità all'esito del procedimento di liquidazione, è altrettanto vero che, una volta fornita tale prova, spetta al socio dare evidenza del fatto che l'attribuzione non è ascrivibile a un'assegnazione disposta in suo favore nell'ambito della liquidazione della società.

Infatti, se, come avvenuto nella fattispecie esaminata, il socio sostenga che l'assegnazione di un bene sia da ricondurre all'estinzione di un debito restitutorio che la società aveva nei suoi confronti, va considerato che, anche nell'ambito del procedimento di liquidazione, vige la regola dettata dall'art. 2740 c.c., in forza della quale va assicurata la par condicio creditorum, salvo che vengano in rilievo cause legittime di prelazione.

Pertanto, occorre procedere all'esatta qualificazione giuridica delle dazioni di denaro effettuate dai soci, considerate le diverse finalità che possono essere sottese alle stesse – potendosi trattare di conferimenti, di finanziamenti, di versamenti a fondo perduto o in conto capitale o in conto futuro aumento di capitale – ed essendo possibile, quand'anche una dazione sia avvenuta a un determinato titolo, che, con la volontà di tutti i soggetti coinvolti, se ne operi la successiva conversione in altra tipologia, sicché, per esempio, l'iniziale finanziamento può trasformarsi in un versamento a fondo perduto o di altro genere, così come l'iniziale versamento in conto futuro aumento di capitale può essere trasformato in finanziamento, una volta preso atto che un aumento di capitale sia definitivamente sfumato (in questi termini, Cass. civ., sez. I, 15 marzo 2023, n. 7530).

Se il versamento è fatto in conto capitale ed è quindi privo della natura del mutuo, il socio non ha diritto al rimborso, l'erogazione è appostata in bilancio nel passivo dello stato patrimoniale tra le riserve e l'importo resta definitivamente acquisito al patrimonio della società, in quanto assimilato al capitale di rischio; il socio, d'altra parte, non ha un diritto soggettivo alla distribuzione della riserva (che, per la quota eccedente la riserva legale, ha carattere disponibile e può essere utilizzata, a discrezione dell'assemblea, per ripianare le perdite o aumentare gratuitamente il capitale), visto che il diritto alla restituzione si attualizza all'esito della liquidazione e in quanto vi sia un residuo da distribuire ai soci, di modo che il relativo credito è postergato al soddisfacimento di tutti i creditori sociali, così come avviene per i conferimenti.

Parimenti, i finanziamenti in senso proprio – che devono essere riportati al passivo dello stato patrimoniale fra i debiti verso i soci – debbono sì essere restituiti, ma sempre in via postergata rispetto alla soddisfazione degli altri creditori sociali, allorché ricorrano le condizioni previste dall'art. 2467 c.c., avendo la norma lo scopo di contrastare il fenomeno della sottocapitalizzazione nominale, che si verifica quando il fabbisogno finanziario della società, necessario per il conseguimento dell'oggetto sociale, è soddisfatto prevalentemente – anziché mediante conferimenti (ossia capitale di rischio) – tramite finanziamenti, diretti o indiretti, provenienti dai soci, i quali vengono così ad assumere contemporaneamente la posizione di titolari di partecipazioni sociali e di creditori della medesima compagine. Il fondamento della regola della postergazione è da rinvenirsi nella circostanza per cui, pur essendo assolutamente legittimo il finanziamento dei soci, gli stessi, anziché capitalizzare la società, aumentando il rischio assunto, lo ammortizzano e lo traslano sui creditori terzi. Per evitare che vengano artificiosamente classificati come prestiti quelli che debbono essere considerati veri e propri conferimenti, al solo fine di consentire distribuzioni preferenziali del patrimonio sociale in danno dei creditori, l'art. 2467 c.c. stabilisce che sono da postergare i finanziamenti dei soci, in qualsiasi forma effettuati, concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto, oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento.

Infine, quando si sia in presenza di un versamento finalizzato a un futuro aumento di capitale, in cui la dazione del denaro è diretta a liberare il debito da sottoscrizione di un futuro aumento del capitale sociale mediante successiva rinuncia alla restituzione, che il socio porrà in essere dopo la deliberazione assembleare di aumento e la sua sottoscrizione (parlandosi, a questo proposito, di riserva personalizzata o targata, in quanto di esclusiva pertinenza dei soci che abbiano effettuato il versamento in relazione all'entità delle somme da ciascuno erogate), ove l'aumento non venga operato, il socio avrà diritto alla restituzione di quanto versato non a titolo di rimborso di somma data a mutuo, ma per essere venuta meno la causa giustificativa dell'attribuzione patrimoniale eseguita in favore della società. Tuttavia, perché la dazione del socio sia ricondotta a tale categoria, è necessario che la subordinazione a un aumento di capitale sia chiara e inequivocabile (non potendo reputarsi sufficiente la sola denominazione adoperata nelle scritture contabili), mediante l'indicazione ex ante di elementi sufficientemente specifici e dettagliati – quali l'indicazione del termine finale entro cui verrà deliberato l'aumento, il comportamento delle parti, eventuali annotazioni contenute nelle scritture contabili o nella nota integrativa al bilancio – che inducano a ritenere effettivamente convenuta tra i soci l'effettuazione non di un generico versamento a favore delle casse sociali che resti definitivamente acquisito al patrimonio sociale, ma avente titolo e causa concreta proprio nella partecipazione al capitale sociale mediante un futuro conferimento, che, sebbene rinviato rispetto al momento della dazione materiale della somma, sia fin dall'inizio volto ad aumentare la rispettiva quota di partecipazione sociale (in questi termini, Cass. civ., sez. I, 8 agosto 2023, n. 24093).

Conclusioni

La Corte di cassazione, con la sentenza annotata, ha esteso il perimetro della responsabilità del socio di società estinta stabilita dall'art. 2495 c.c., ponendo in rilievo come, al di là di quanto risultante dal bilancio finale di liquidazione, cui la norma fa espressamente riferimento, debbano considerarsi attribuzioni rilevanti, più in generale, tutte quelle che comportano un'assegnazione ai soci di componenti attive del patrimonio sociale che avrebbero potuto essere destinate alla soddisfazione dei creditori sociali.

In effetti, nel momento in cui la società, pur non avendo integralmente estinto tutti i propri debiti, abbia nondimeno attribuito beni o somme ai soci, si verifica proprio quella situazione che giustifica l'operatività della regola dettata dall'art. 2495 c.c., che obbliga i soci a rispondere nel limite in cui hanno percepito ciò che, in realtà, avrebbe dovuto essere destinato ai creditori sociali rimasti insoddisfatti. Per questa ragione, spetta al socio che intende sottrarsi alla loro aggressione fornire la prova rigorosa di una diversa qualificazione giuridica dell'attribuzione ricevuta, in assenza della quale resterà esposto alla responsabilità contemplata dall'art. 2495 c.c.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.