Imitazione del packaging: tutela del titolare del marchio e del consumatore
02 Luglio 2024
Massima “Al fine di valutare se via sia somiglianza tale da determinare un rischio di associazione può assumere rilievo sia la notorietà del marchio sia l' “affollamento” del mercato. È evidente infatti che più il marchio è noto più è possibile un rischio di associazione (non a caso la legge tutela il marchio notorio dal rischio di associazione anche in ipotesi di prodotti non affini) mentre, a contrario, la presenza di più produttori del medesimo prodotto fa sì che anche minime differenze siano idonee a diversificare significativamente i marchi agli occhi del consumatore. Nel caso in esame, inoltre, si verte in tema di marchio di forma ed è noto che, per il consumatore medio, non è usuale presumere l'origine dei prodotti sulla base della loro forma piuttosto che sulla base del marchio denominativo, sicché la percezione del segno di forma è solitamente minore rispetto a quella di un segno tradizionale. Ciò è vieppiù vero nel caso di prodotti che, di regola, vengono posti sul mercato confezionati (quali i biscotti prodotti industrialmente) sicché non vi è percezione diretta e immediata della sola forma del prodotto, essendo questa sempre mediata dalle illustrazioni delle confezioni che, in genere, riportano anche il marchio del produttore e il nome commerciale del prodotto”. Il caso L'attrice ha proposto un'azione cautelare presso il Tribunale di Brescia lamentando la contraffazione da parte della convenuta dei propri marchi di forma registrati e di fatto relativi a biscotti, nonché il compimento di atti di concorrenza sleale. Chiedeva, inoltre, che venisse disposta l'inibitoria della prosecuzione e ripetizione degli atti di contraffazione e di concorrenza sleale (per imitazione servile, appropriazione di pregi e agganciamento, denigrazione, concorrenza parassitaria e per ripresa della prestazione altrui). Il Tribunale territoriale, riconoscendo il fumus boni iuris e il periculum in mora, accoglieva la domanda attorea limitatamente a tre tipologie di biscotti, fissando una penale di € 15,00 per ogni confezione di biscotti, prodotta e commercializzata in violazione dell'ordinanza e una penale di € 5.000,00 per ogni giorno di ritardo nell'attuazione del provvedimento. Inibiva, inoltre, alla resistente la produzione e commercializzazione dei prodotti ritenuti protetti come marchi di fatto laddove contenuti in packaging simili a quelli utilizzati dalla ricorrente, fissando una penale di € 10,00 per ogni confezione di tali biscotti non modificata e una penale di € 6.000,00 per ogni giorno di ritardo nell'attuazione del provvedimento. Osservava infatti il giudice delegato che le confezioni dei biscotti della convenuta presentavano:
Entrambe le parti proponevano reclamo, quanto all'attore, per il pieno accoglimento di tutte le istanze già formulate innanzi al giudice delegato, quanto al convenuto, per la sua revoca e, in subordine, la modifica. La questione La questione in esame è la seguente: può ritenersi sussistente la violazione delle norme di concorrenza sleale per utilizzo di un simile packaging laddove la parte attorea abbia tollerato il medesimo per una serie di anni e nel frattempo altri operatori abbiano “affollato” il mercato con l'offerta di prodotti con confezioni caratterizzata dall'impiego delle medesime tecniche di comunicazione commerciale? Le soluzioni giuridiche La ratio sottesa all'art. 2598 c.c. è quella di garantire che le imprese operanti nei medesimi settori merceologici e geografici esercitino la loro attività nel rispetto dei princìpi di correttezza professionale. Il tipo di tutela di cui all'art. 2598 c.c. entra in gioco laddove non sia invocabile la protezione di diritti di proprietà intellettuale, trattandosi di condotte idonee a ledere gli interessi economici del primo operatore attraverso fattispecie confusorie, denigratorie o comunque non direttamente collegate alla detenzione di un diritto di privativa industriale. Nel caso di specie, la parte attrice lamentava che il giudice delegato non avrebbe considerato quale ipotesi di concorrenza sleale la copiatura di 11 forme di biscotto e dei rispettivi packaging e allegava che la concorrenza sleale confusoria non sarebbe esclusa dall'apposizione di un marchio diverso quando i prodotti presentino livelli di somiglianza e confondibilità. Ancora, l'attore sosteneva che il pericolo di confusione andava ampliato sino a ricomprendere i casi in cui il consumatore sia indotto a pensare che i prodotti del contraffattore provengano in qualche modo da un'impresa legala al titolare del marchio da rapporti di gruppo o contrattuali. D'altre parte, la convenuta contestava l'assenza di alcun rischio di confusione in capo al consumatore attesa l'esistenza di più di venti confezioni con caratteristiche di forma analoghe a quella registrata per ciascuno dei biscotti oggetto di lite. Secondo la convenuta, la presenza di un numero di competitors che commercializzano da anni prodotti con forma simile a quella registrata non può che aver portata ad una significativa volgarizzazione della forma stessa quand'anche originariamente individualizzata. Il Tribunale di Brescia ha condiviso la tesi della resistente riscontrando la volgarizzazione delle confezioni in questione, posto che la società attrice aveva tollerato per molti anni la commercializzazione di biscotti con simile packaging senza far valere alcuna pretesa. Il Tribunale ha fatto esplicito riferimento al dato temporale altresì per negare il periculum in mora dal momento che esso riveste un ruolo essenziale nella tutela cautelare inibitoria anche industriale. Essendo trascorso lasso temporale pari alla durata media di un giudizio di merito non sembra sussistere la giustificazione sottesa a quella forma di tutela accelerata e con una cognizione limitata. Il Tribunale di Brescia ha quindi revocato l'ordinanza cautelare emessa dal medesimo ufficio giudiziario accogliendo integralmente il reclamo della società convenuta. Osservazioni Questo caso di imitazione dei prodotti e delle confezioni di marchi ben conosciuti, noto anche come "look alike”, rappresenta una pratica particolarmente ricorrente (oltre che efficace) per beni di largo consumo. Essa si verifica quando un prodotto assomiglia ad uno più noto, creando confusione nel consumatore acuita peraltro dalla somiglianza delle confezioni. È comune riscontrare nei supermercati prodotti con confezioni simili posti vicini sugli scaffali. Questa somiglianza può indurre i consumatori a scegliere per errore o per fretta il prodotto imitativo immaginando che sia quello originale o comunque che sia ad esso collegato da qualche rapporto contrattuale. Sono state condotte molteplici ricerche sul posizionamento di prodotti simili, solitamente ad un costo minore, rispetto a quelli che hanno guadagnato una particolare notorietà per verificare l'esistenza di un effettivo pregiudizio in capo al titolare del prodotto dotato di rinomanza. Da un lato, alcuni studi dimostrano che confezioni simili inducono i consumatori in errore, facendoli credere che il prodotto copia provenga dalla stessa azienda o abbia la stessa qualità dell'originale. La confezione, infatti, sarebbe uno strumento di comunicazione importante che l'imprenditore utilizza per attirare l'attenzione del consumatore e influenzare la sua scelta d'acquisto, trasformandola in un vantaggio competitivo. Dal lato opposto, altri studi di marketing negano l'esistenza la sussistenza di ripercussione negative per il titolare del prodotto rinomato ritenendo che la presenza di imitazione rafforzerebbe la percezione dei prodotti di marca corrispondenti come “originali” e in un certo qual senso migliori, per i quali sarebbe giusto pagare un surplus. Nel caso in questione, si è ritenuto che non vi fosse alcun indebito pregiudizio alla luce dell'affollamento del mercato in questione, il quale ha portato alla progressiva volgarizzazione delle caratteristiche inizialmente originali dei prodotti e delle confezioni messe in commercio dal primo operatore. Onde evitare simili scenari è necessario intervenire tempestivamente per difendere le proprie iniziative commerciali ed evitare che esse diventino degli standard di mercato. Non è necessario intraprendere direttamente delle azioni giudiziari, potendo anche concordare in via negoziale con i competitors le differenze da apportare per garantire una pacifica coesistenza dei due prodotti e dei loro packaging. |