Azienda affittata e poi ceduta: qual è la sorte dei marchi di fatto?
30 Luglio 2024
Massima L'affittuario dell'azienda, che ha assunto l'obbligazione di organizzare al meglio le attività dell'azienda, è legittimato a registrare a proprio nome i marchi di fatto connessi a tali attività, al fine di garantire ad essi maggiore stabilità e certezza. Il caso Nella vicenda oggetto dell'impugnazione in Cassazione, la Gazzetta dello Sport s.r.l., proprietaria dell'omonima testata giornalistica, si lamenta del fatto che la N.E.S. s.p.a., dante causa della RCS Mediagroup s.p.a., già affittuaria dell'azienda editoriale dell'attrice, abbia depositato, a inizio anni '80, i marchi consistenti nelle denominazioni delle competizioni sportive “Giro d'Italia”, “Giro della Lombardia” e “Milano-Sanremo”, nonostante il preuso dei corrispondenti marchi di fatto nella titolarità dell'attrice, e chiede anche l'assegnazione a sé dei nomi a dominio relativi a tali competizioni registrati da RCS Mediagroup s.p.a. e RCS Sport s.p.a., oltre al risarcimento dei danni. Il Tribunale respinge le domande dell'attrice e questa impugna la sentenza davanti alla Corte d'Appello di Milano. La Corte d'Appello (App. Milano 30 settembre 2022 n. 3032):
A seguito del ricorso da parte della Gazzetta dello Sport, la Cassazione conferma la sentenza di secondo grado, dichiarando l'infondatezza dei motivi di impugnazione. Le questioni Le questioni in esame sono le seguenti:
Le soluzioni giuridiche In primo luogo la Cassazione esclude che si sia formato un giudicato interno sulla statuizione del giudice di primo grado secondo la quale i marchi di fatto della Gazzetta non avrebbero fatto parte dell'azienda editoriale affittata nel 1972 (e poi ceduta nel 1986), dal momento che il Tribunale non aveva compiuto un puntuale accertamento su tale fatto, ma si era limitato ad esprimere in via alternativa che le conseguenze della mancata menzione dei segni nel contratto di affitto potevano essere solo due: o che i segni non sussistessero o che non facessero parte del compendio aziendale. Pertanto, l'accoglimento, da parte della Corte d'Appello, dell'eccezione di RCS di aver acquistato i marchi di fatto unitamente all'azienda ceduta nel 1986 non è inammissibile per esistenza di un giudicato interno. La Cassazione poi non ritiene illegittimo l'accertamento, da parte della Corte d'Appello, della circostanza dell'inclusione dei marchi di fatto delle manifestazioni sportive tra i beni costituenti l'azienda affittata, al quale accertamento essa era pervenuta a seguito dell'esame delle clausole del contratto del 1986 (contratto oggetto dei motivi di appello), che rimandavano, quanto all'individuazione dei beni ceduti, al complesso aziendale oggetto del contratto di affitto del 1972. Viene ritenuto infondato anche il motivo relativo alla contestata validità della cessione di azienda. La Cassazione considera corretto il ragionamento della Corte d'Appello, che non ha ritenuto nullo il contratto di cessione per mancata previsione di corrispettivo, facendo esso parte di una più ampia operazione negoziale, che era caratterizzata da reciproche concessioni tra le parti e presentava un carattere unitario sotto il profilo causale. All'esclusione del carattere gratuito consegue l'impossibilità di qualificare il contratto quale negozio atipico o quale donazione. La Cassazione, inoltre, ritiene immune da critiche l'interpretazione che la Corte d'Appello dà della clausola dell'accordo del 1986, secondo la quale “le competizioni ciclistiche in esame restano di titolarità di quest'ultima” (La Gazzetta dello Sport), laddove la Corte ha escluso che tale clausola fosse espressiva della volontà delle parti di riservare alla Gazzetta i marchi relativi a tali competizioni e ha evidenziato che il termine “titolarità” non era tecnicamente riferito ai marchi, ma più genericamente alle competizioni, che non potevano essere oggetto di proprietà, ma riguardo alle quali poteva esservi un riconoscimento di paternità. Tale interpretazione è sostenuta da ragioni di ordine logico, non avendo una grande utilità pratica cedere un'azienda avente ad oggetto l'organizzazione di competizioni senza cedere contestualmente i marchi corrispondenti, e tenuto conto delle effettive modalità di organizzazione negli anni delle competizioni, con associazione al quotidiano La Gazzetta dello Sport e, dunque, alla società che le aveva ideate. Si lamenta poi, la Gazzetta dello Sport, con i penultimi motivi di impugnazione, che la Corte d'Appello:
Si lamenta anche della mancanza di novità dei marchi registrati dalla NES per via della preesistenza dei marchi di fatto attorei e del fatto che la Corte d'Appello abbia disatteso le domande di nullità dei marchi registrati da NES nel 1986 (su domande del 1981 e 1983) per assenza di novità, sull'erroneo presupposto che la Gazzetta non fosse titolare di alcun segno distintivo anteriore alle registrazioni dei marchi. Secondo la Cassazione il motivo è infondato. La Corte di Appello ha affermato che la RCS aveva «tutto il diritto – se non addirittura l'obbligo, stante l'obbligazione da essa assunta di organizzare al meglio le corse in esame – di registrare i segni distintivi a lei concessi temporaneamente per garantire ad essi maggiore stabilità e certezza»; La ricorrente ha negato l'esistenza di una norma o di un principio generale che consenta all'affittuario di registrare a suo nome. Ma la Cassazione osserva che in tal modo la ricorrente omette di considerare che il diritto alla registrazione dei marchi è stato riconosciuto dalla sentenza di appello non già in forza di una norma di diritto, quanto dell'accordo contrattuale con cui è stata affidata a RCS la gestione delle competizioni sportive cui tali marchi si riferivano. Infine, la ricorrente si lamenta del fatto che la Corte d'Appello abbia respinto la domanda di risarcimento danni sostenendo l'assenza di specifica indicazione del danno e comunque l'inidoneità delle condotte di RCS a generare danno perché quest'ultima aveva iniziato a usare i marchi solo dal momento della cessione degli stessi (cioè solo dopo il 1986, anno della cessione dell'azienda). La Cassazione osserva che la ricorrente non ha impugnato lo specifico punto in cui la Corte esclude la fattispecie risarcitoria perché le registrazioni da parte di NES erano state valide, con la conseguenza che la definitività di quest'ultima statuizione avrebbe reso inutile la verifica delle altre doglianze della ricorrente sul punto. Osservazioni Tra i profili processuali più rilevanti della decisione in esame vi è l'accertamento della correttezza del ragionamento logico seguito dalla Corte d'Appello nell'interpretazione delle clausole del contratto di cessione di azienda del 1986, laddove la Corte ha escluso che la clausola, secondo la quale “le competizioni ciclistiche in esame restano di titolarità di quest'ultima” (La Gazzetta dello Sport), fosse espressiva della volontà delle parti di riservare alla Gazzetta i marchi relativi a tali competizioni e ha evidenziato che il termine “titolarità” non era tecnicamente riferito ai marchi, ma alle competizioni, che non potevano essere oggetto di proprietà, ma solo di riconoscimento di paternità. La logicità del ragionamento è confermata dall'osservazione che non avrebbe avuto una grande utilità pratica cedere un'azienda di organizzazione di competizioni sportive senza cedere contestualmente i marchi corrispondenti, e dalla considerazione del comportamento successivo delle parti (negli anni le competizioni erano state organizzate con evidente associazione al quotidiano La Gazzetta dello Sport e, dunque, alla società che le aveva ideate). Secondo la Cassazione, la Corte ha dunque, interpretato la controversa clausola contrattuale alla luce dei criteri ermeneutici dedotti dalla ricorrente (la comune intenzione delle parti, così come obiettivizzata nel testo del documento sottoscritto e nel comportamento esecutivo dello stesso posto in essere dalle parti, e il criterio della conservazione del contratto). Né la ricorrente ha esplicitato la violazione da parte della Corte d'Appello di specifici criteri legali di interpretazione contrattuale di cui agli art. 1362 e s. c.c. Sottolinea la Cassazione che i criteri ermeneutici di cui agli art. 1362 e s. c.c. sono governati da un principio di gerarchia interna in forza del quale i canoni strettamente interpretativi prevalgono su quelli interpretativi-integrativi, tanto da escluderne la concreta operatività quando l'applicazione dei primi risulti da sola sufficiente a rendere palese la comune intenzione delle parti stipulanti. Ed è proprio l'interpretazione attenta delle clausole contrattuali che ha condotto (correttamente, secondo la Cassazione) la Corte d'Appello alla statuizione più rilevante nella materia oggetto di causa, cioè al riconoscimento alla società NES del diritto alla registrazione (domande depositate dall'affittuaria NES nel 1981 e 1983 e registrazioni del 1986), a nome proprio, di quelli che erano stati i marchi di fatto della Gazzetta dello Sport (consistenti nelle denominazioni delle competizioni sportive “Giro d'Italia”, “Giro della Lombardia” e “Milano-Sanremo”). In particolare, circa il diritto dell'affittuario di azienda alla registrazione dei marchi di fatto di titolarità dell'affittante, la giurisprudenza si è sempre dichiarata contraria, mancando una norma di diritto che consenta al detentore dell'azienda di esercitare diritti di proprietà sulla stessa e sui beni della medesima. Si veda, per esempio App. Milano 8 febbraio 2010 (in Giur. Annotata dir. Ind. 2010, 1, 412), secondo la quale “deve considerarsi in mala fede e impedisce quindi la convalidazione il deposito del marchio effettuato a proprio nome dall'affittuario dell'azienda, mentre egli era legato contrattualmente al titolare dell'omonimo marchio di fatto preesistente”. In caso analogo, il Tribunale di Bologna (Trib. Bologna 19 luglio 2011, in Giur. Annotata dir. Ind. 2011, 1, 1244): “L'uso che determina l'acquisto del diritto sull'insegna non è quello personale dell'affittuario dell'azienda, ma va riferito oggettivamente al proprietario del locale in cui viene esercitata l'attività dell'affittuario, mero titolare di un diritto di godimento, che dunque, salvo patto contrario, non acquista il diritto sull'insegna pur da lui ideata, e non la può utilizzare in un nuovo locale, né può cederla a terzi”. A maggior ragione, nel presente caso, essendo i marchi di fatto nella titolarità dell'affittante antecedentemente all'affitto dell'azienda, gli stessi potevano essere solo oggetto di godimento da parte dell'affittuario, che non avrebbe potuto acquisirne la titolarità e così procedere alla legittima registrazione presso l'UIBM (si argomenti, per esempio, la nullità del marchio, per deposito da parte dell'affittuario dell'azienda, non avente diritto alla registrazione, da Trib. Milano 13 marzo 2007, in Giur. Annotata dir. Ind. 2007, 1, 765). Tuttavia, approfondendo l'argomento, il tema non è così semplice. Infatti, i diritti dell'imprenditore affittuario sul marchio di fatto dell'impresa affittata possono diversamente atteggiarsi a seconda dell'origine di tale marchio di fatto e dei rapporti contrattuali intercorsi tra affittante e affittuario. Da un lato, allora, si osserva che, se il marchio di fatto faceva già parte del complesso aziendale concesso all'affittuario, la restituzione di questo, al termine dell'affitto, deve necessariamente comprendere anche il marchio, sul quale l'affittuario non ha acquistato alcun diritto. Ed ugualmente, allorquando un imprenditore, ancorché affittuario, procede unilateralmente e, verosimilmente, con il consenso del titolare dell'azienda alla modificazione della ditta di un'azienda e del “nome” di un'attività economica complessivamente intesa, adottando tale denominazione anche quale marchio di fatto dell'impresa, il marchio si incorpora nell'azienda e ne segue le sorti, sicché al termine del rapporto giuridico di affitto, perlomeno il marchio deve necessariamente permanere all'interno della stessa (v. Trib. Roma 22 febbraio 2023 n. 3043). Il marchio infatti è elemento distintivo dei beni e servizi prodotti, e non dell'imprenditore, e segue le sorti del complesso produttivo identificabile nel ramo di azienda. E, sulla scorta di questi criteri, la registrazione del marchio operata da parte dell'affittuario a proprio nome andrebbe ritenuta effettuata in mala fede ai sensi dell'art. 19 II CPI, laddove venga fatta al fine di impedire “la legittima aspettativa del soggetto rispetto ad un determinato marchio, pregiudicata dalla più tempestiva registrazione del medesimo segno compiuta da altro soggetto (consapevole delle intenzioni del primo) che agisca allo scopo proprio di ostacolare il progetto del concorrente” (Trib. EU 27 gennaio 2022 n. 250 e Trib. Roma 22 febbraio 2023 n. 3043, già citato). Non potrebbe forse parlarsi di registrazione in mala fede, invece laddove non vi sia la consapevolezza del registrante che il soggetto titolare del marchio di fatto sia intenzionato a breve a registrare il proprio marchio. Tuttavia, in tale situazione, la registrazione da parte dell'affittuario potrebbe essere dichiarata nulla per mancanza di novità, attesa la preesistenza de marchi di fatto di titolarità dell'affittante. Dall'altro lato, invece, può riconoscersi il diritto dell'affittuario alla registrazione del preesistente marchio di fatto associato all'impresa che ha preso in affitto, qualora (come nel caso oggetto della pronuncia della Cassazione qui in esame) tale diritto derivi dall'accordo contrattuale intercorso tra affittante e affittuario. In particolare, nel presente caso, la Cassazione ha rilevato che il diritto dell'affittuario alla registrazione dei marchi è stato riconosciuto dalla sentenza della Corte d'Appello non già in forza di una norma di diritto, ma in base alle clausole contrattuali, correttamente interpretate dalla Corte. In base a tali clausole, era stata affidata all'affittuario la gestione delle competizioni sportive, per cui RCS, avendo l'obbligo di organizzare al meglio le corse aveva il diritto, e insieme l'obbligo, di registrare i segni distintivi per garantire ad essi maggiore stabilità e certezza. Conclusioni Nel presente caso, dalle pronunce della Corte d'Appello e della Cassazione emerge che i marchi di fatto costituiti dalle denominazioni delle competizioni sportive avevano fatto parte del compendio aziendale affittato dalla Gazzetta dello Sport a NES (poi RCS), non potendosi ritenere che ne fossero esclusi (altrimenti non sarebbe stato possibile per l'affittuaria organizzare le competizioni sportive aventi quelle denominazioni). L'affittuaria NES chiede, in corso del contratto di affitto di azienda, di registrare i marchi di fatto. La registrazione avviene poi nel momento in cui il complesso aziendale è definitivamente ceduto dalla Gazzetta dello Sport a RCS. Seguendo la giurisprudenza, verrebbe spontaneo escludere il diritto dell'affittuario, mero detentore dell'azienda e dei marchi, di procedere a tale registrazione (sulla quale, invece, non vi sarebbero stati dubbi successivamente alla cessione del compendio aziendale che, nell'interpretazione della Corte, doveva aver compreso anche i marchi). Tuttavia, la legittimità della domanda di registrazione da parte dell'affittuario deriva dall'architettura contrattuale del contratto di affitto di azienda, che prevede l‘obbligo dell'affittuario di gestire al meglio le competizioni sportive, per cui la registrazione dei marchi di fatto avrebbe reso gli stessi più protetti e certi. Si ritiene, pertanto che, come correttamente emerge dalle decisioni in esame, la limitazione dei diritti dell'originaria titolare dei marchi di fatto (la Gazzetta dello Sport, ideatrice e organizzatrice delle competizioni, delle quali essa conserverà sempre la paternità) deriva dal consenso espresso della parte affittante, che non può poi rivendicare ciò che aveva ceduto esternalizzando la gestione delle competizioni. |