Licenza d’uso esclusiva su marchio in comproprietà: consenso dei contitolari per modificare le condizioni contrattuali
26 Agosto 2024
Massima "In tema di diritti di privativa industriale, in caso di comunione sul marchio, il contratto di licenza d'uso del segno distintivo a terzi in via esclusiva richiede, per il suo perfezionamento, il consenso unanime dei contitolari, perché la concessione al licenziatario dell'esclusiva priva i contitolari del godimento diretto dell'oggetto della comunione, assumendo rilievo contrario il disposto dell'art. 1108 c. 1 e 3 c.c.” “In caso di comunione sul marchio che sia stato concesso in licenza d'uso esclusiva a favore di terzi, con l'accordo di tutti i suoi contitolari, è sempre possibile il venir meno della volontà di prosecuzione di uno dei medesimi, il quale non può ritenersi vincolato in perpetuo alla manifestazione originaria; tale circostanza implica la necessità di rinegoziare l'atto mediante una nuova concessione, da concordare nuovamente con l'unanimità dei consensi.” Il caso Nel 2009 Legea S.r.l. conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Napoli il Sig. A.G. per sentir accertare e dichiarare la nullità delle registrazioni di marchi del convenuto sull’espressione “Legea” ovvero, in via di subordine, la declaratoria di decadenza di tali marchi per non uso e l’accertamento del suo diritto alla registrazione di tali segni. Formulava poi domande accessorie di inibitoria all’uso, di risarcimento del danno e di pubblicazione della sentenza. Il convenuto con il proprio atto costituivo chiedeva, in via riconvenzionale, la dichiarazione di invalidità delle domande di registrazione di marchio di Legea S.r.l. depositate qualche giorno prima della notificazione dell’atto di citazione nonché l’accertamento e declaratoria dell’avvenuta contraffazione dei propri marchi con conseguente ordine di inibitoria, fissazione di penali, risarcimento del danno e pubblicazione dell’emanando provvedimento. Il Tribunale di Napoli, integrato il contraddittorio con gli altri componenti della famiglia del convenuto – titolari di paritari diritti di quota sui marchi –, rigettava integralmente le domande attoree e accoglieva parzialmente le riconvenzionali. In particolare, il giudice di prime cure accertava il diritto del convenuto e della sua famiglia – composta da soggetti contitolari del marchio – alla registrazione del marchio “Legea” in comunione e per quote uguali e dichiarava la nullità delle registrazioni dei marchi delle attrici. Inoltre, il Tribunale dichiarava legittimo l’uso di tali marchi da parte dell’attrice fino al 31 dicembre 2006 e, al contrario, illegittimo il successivo utilizzo a causa del dissenso a tale uso manifestato da parte di A.G. in tale data. Sulla base di ciò, il Tribunale inibiva l’attrice dall’utilizzare il segno “Legea” e disponeva la pubblicazione della relativa sentenza. Il provvedimento veniva impugnato da entrambe le parti e la Corte d’Appello di Napoli, in riforma parziale della pronuncia di prime cure, accertava la liceità dell’utilizzo del segno “Legea” da parte dell’attrice anche successivamente al 31 dicembre 2006, attesa la volontà in tal senso espressa da parte della maggioranza dei titolari del marchio in comunione. Contro tale provvedimento proponevano ricorso in Cassazione tutte le parti dei precedenti giudizi. Le questioni La questione giuridica affrontata dalla Corte di Cassazione riguarda essenzialmente la gestione dei diritti spettanti ai diversi contitolari del marchio in comproprietà: in particolare, la Corte analizza e risolve la questione relativa alla possibilità per uno dei contitolari del marchio avente quota di minoranza di revocare il proprio consenso espresso con conseguente recesso dal contratto di licenza esclusiva d’uso del marchio, anche in contrasto con la decisione dei titolari aventi una quota di maggioranza. Le soluzioni giuridiche La pronuncia affronta molteplici questioni. In questo commento, per ragioni di semplicità espositiva, ci si concentrerà maggiormente su quei punti della decisione della Cassazione che trattano l’efficacia delle decisioni prese dai contitolari del marchio, sia singolarmente che collegialmente, che impattano sull’efficacia dei contratti di licenza esclusiva già stipulati con eventuali terzi. In primo luogo la suprema Corte, dopo aver dichiarato il ricorso presentato ammissibile, in considerazione dell’argomento disponeva il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia avente ad oggetto due quesiti:
La Corte di Giustizia osservava che la questione relativa alla necessità o meno di una decisione unanime dei contitolari per la concessione di una licenza d’uso esclusiva (o del corrispondente diritto di recesso) di un marchio nazionale o dell’UE detenuto in comproprietà, dovesse essere risolta in base al diritto nazionale applicabile. E dunque la Cassazione precisava che, in applicazione delle norme del codice civile in argomento, in caso di comproprietà di un marchio, il contratto di licenza d’uso a terzi in via esclusiva richiede il consenso unanime dei contitolari: questo perché la concessione al licenziatario dell’esclusiva priva tutti i contitolari del godimento diretto dell’oggetto della comunione – ossia il marchio stesso – e quindi è idonea a causare un pregiudizio all’integrità del diritto di ciascun contitolare, fatto che richiama il disposto di cui all'art. 1108 c. 1 e 3 c.c. in tema di comunione. La Corte osservava poi che se anche la licenza venisse concessa in esclusiva con l’accordo di tutti i contitolari, sarebbe comunque legittimo che la volontà di anche uno solo dei contitolari possa venir meno, non potendo nessuno essere vincolato sine die alla manifestazione di volontà originariamente espressa. In altre parole, secondo la Corte deve essere riconosciuto al contitolare del marchio il diritto di cambiare idea e revocare il proprio assenso alla concessione del diritto di licenza in esclusiva alle medesime condizioni stabilite in partenza. Tale circostanza, secondo la Cassazione, implicherebbe la necessità di rinegoziare l’atto mediante una nuova concessione che necessita nuovamente dell’accordo unanime di tutti i contitolari per essere validamente rilasciata. A sostegno di ciò la Cassazione sottolineava come la concessione in uso esclusivo del marchio si sostanzi in un atto giuridico che, di fatto, altera la destinazione del bene e limita l’utilizza di tale diritto da parte degli altri contitolari, che si vedono così preclusa la possibilità di licenziare la propria porzione di privativa in favore di soggetti diversi dal licenziatario esclusivo. In particolare, la Cassazione ribadisce che la concessione di licenze esclusive, se disposta a maggioranza dei contitolari, è idonea a pregiudicare i diritti di esclusiva dei contitolari dissenzienti. Ma non solo. La Cassazione osservava che, poiché la concessione di una licenza in esclusiva in grado di ledere l’integrità del diritto di privativa dei dissenzienti – come si è accennato sopra –, sono irrilevanti la durata della licenza esclusiva che le modalità – gratuita oppure onerosa – con cui essa viene concessa, dato che tale accordo si sostanzia nell’atto di disposizione di un diritto che, per sua natura, deve necessariamente applicarsi a tutti i comproprietari. Di conseguenza, continuava la Suprema Corte, al contitolare del diritto di marchio deve essere riconosciuto il diritto di recedere dall’accordo a cui inizialmente aveva prestato il proprio consenso. In tale ottica, l’atteggiamento del comunista dissenziente viene definito dalla Cassazione come “interfaccia del suo diritto”, che non può qualificarsi quale mero ostruzionismo né può essere superato da una decisione adottata dalla maggioranza. Alla luce di ciò, la Cassazione critica quanto sostenuto dalla Corte d’Appello di Napoli, ovvero che la facoltà per il singolo contitolare di mettere in discussione gli accordi precedentemente raggiunti – in caso di ripensamento e decisione di recedere dalla licenza – darebbe vita a una inaccettabile soggezione del gruppo alla volontà del singolo. A parere della Cassazione tale considerazione sarebbe stata giustificabile sulla base di un presupposto che non si è verificato nel caso di specie, ossia che tale presunta soggezione esercitata dal singolo contitolare dissenziente avrebbe condotto alla perdita del diritto per non uso e ciò avrebbe giustificato la prosecuzione della licenza per volontà della maggioranza quale necessario “atto conservativo” per impedire la decadenza del marchio. Tale rischio di decadenza, tuttavia, a parere della Suprema Corte non sussisteva nel caso di specie, dato che la licenza non era mai, di fatto, stata interrotta essendo proseguita per decisione approvata dalla maggioranza. La Corte di Cassazione quindi, a fronte di tali chiarimenti e rigettando gli ulteriori motivi di ricorso proposti – per motivi che non si analizzano nel presente contributo –, cassava parzialmente la precedente pronuncia e rinviava alla Corte d’Appello di Napoli anche per la determinazione delle spese relative al giudizio di Cassazione. Osservazioni La pronuncia in commento, sebbene si ponga in continuità rispetto alla giurisprudenza maggioritaria in argomento, sancisce alcuni principi che chiariscono maggiormente le regole per la gestione dei contratti collegati a marchi in comproprietà. Principio più volte affermato dalla Cassazione è che la licenza esclusiva relativa a un marchio in contitolarità debba essere concesso con l'accordo unanime di tutti titolari. La regola dell'unanimità è necessaria poiché, come più volte chiarito dalla giurisprudenza e rimarcato anche nella pronuncia in commento, la licenza esclusiva priva ogni singolo contitolare del diritto di godimento diretto dell'oggetto della comproprietà. Per tale ragione esso rappresenta, a conti fatti, un cambiamento di destinazione nell'uso del marchio – e ciò costituisce un atto di straordinaria amministrazione – e per tale ragione, l'accordo o la decisione deve essere adottata dall'unanimità dei contitolari ai sensi dell'art. 1108 c.c., applicabile in via analogica. Da ciò ne deriva la considerazione, del tutto condivisibile a parere dello scrivente, che il singolo contitolare possa recedere dall'accordo di licenza esclusiva su cui precedentemente era d'accordo. In altre parole, la Cassazione riconosce come sia necessario garantire al singolo contitolare la possibilità di cambiare idea, dato che la licenza esclusiva a terzi sottrae, di fatto, la disponibilità di sfruttamento economico del proprio diritto da parte del singolo contitolare. Ma non è tutto. Secondo la Cassazione, a fronte del fatto che la licenza di carattere esclusiva concessa a un soggetto terzo intacchi sempre e comunque l'esclusività del diritto del contitolare eventualmente dissenziente, la possibilità di quest'ultimo di recedere dal contratto è da riconoscersi a prescindere dalla durata della concessione – infra o ultranovennale – o dalla modalità dell'attribuzione a terzi – a titolo gratuito o a titolo oneroso –. Pertanto, al fine di valutare se esista o meno il diritto di recesso del dissenziente, secondo la Cassazione, rileva solo se la decisione di concedere la licenza sia astrattamente idonea a pregiudicare l'interesse di ciascuno dei contitolari a preservare l'integrità del proprio diritto, come accade ad esempio nei casi previsti dall'art. 1108 c.c. per gli atti di straordinaria amministrazione del bene in comunione. Alla luce di ciò, la Cassazione quindi rimarca espressamente che la regola dell'unanimità – e il conseguente diritto del contitolare dissenziente a recedere dagli accordi già conclusi – in nessun caso può determinare una soggezione illegittima di tutti i contitolari alla volontà del singolo, dato che il contitolare che sceglie di revocare il consenso sta esercitando legittimamente un proprio diritto. Dunque la Cassazione, con la pronuncia in commento, ribadisce nuovamente che il contratto di licenza esclusiva – a titolo gratuito o oneroso – di un marchio in comproprietà, necessita dell'unanimità dei consensi dei titolari per essere stipulato e che il contitolare ha sempre la possibilità di manifestare il proprio dissenso, imponendo così a tutti i contitolari a rinegoziare l'accordo precedentemente concluso. |