Anche il silenzio sulla non esigibilità dei crediti può integrare il delitto di falso in bilancio

Ciro Santoriello
22 Agosto 2024

La Cassazione torna ad occuparsi del reato di false comunicazioni sociali, concentrandosi in particolare sulla sua natura di delitto di condotta a pericolo concreto e chiedendosi, quindi, quali irregolarità di bilancio possano assumere rilevanza penale.

Massima

Il delitto di falso in bilancio è delitto di condotta a pericolo concreto, per cui spetta al giudice valutare la potenzialità decettiva della informazione falsa contenuta nel bilancio in relazione alle scelte che i destinatari dell'informazione (soci, creditori, potenziali investitori) potrebbero effettuare.

Il delitto di falso in bilancio sussiste anche nell'ipotesi in cui l'alterazione dei dati contabili concerna non il profilo numerico della voce contabile, ma altre loro caratteristiche, come ad esempio in caso di impropria appostazione di dati veri, di impropria giustificazione causale di "voci", pur reali ed esistenti, di erronea catalogazione di debiti.

Il caso

In sede di appello veniva confermata la sentenza di condanna dell'amministratore univoco di una s.r.l. per il delitto di false comunicazioni sociali, ai sensi dell'art. 2621 c.c., in relazione all'appostazione nel bilancio di «crediti esigibili oltre l'esercizio successivo», con riferimento a quelli, per un importo complessivo di 449.317,80 euro, nonostante la inesigibilità degli stessi.

In sede di ricorso per cassazione, la difesa sosteneva che i giudici di merito non avrebbero valutato il requisito, richiesto dalla norma incriminatrice, della esposizione di fatti non corrispondenti al vero che siano connotati dalla idoneità ad indurre altri in errore. Tale elemento, non valutato dalla Corte di appello, risulta decisivo, in quanto in assenza della capacità ingannatoria le indicazioni valutative presenti in bilancio risulterebbero mere irregolarità senza rilevanza penale.

La questione giuridica e le soluzioni

È dato indiscusso – specie dopo la riforma del delitto di falso in bilancio di cui all'art. 2621 c.c. – che tale reato lede un bene facente capo – non a singoli soggetti, ma – a più persone, se non all'intera collettività nazionale. Ciò porta di conseguenza ad escludere la possibilità di far riferimento, per la questione che ci occupa, a nozioni quali il patrimonio della società, l'interesse dei soci – specie di minoranza – all'esatta conoscenza della situazione dell'ente collettivo per una partecipazione consapevole alla vita del medesimo ecc., mentre deve ritenersi che “ad essere oggetto di tutela è il bene giuridico dell'informazione societaria, nei suoi parametri di veridicità e compiutezza, radicato in ultima analisi nel risparmio dell'art. 47 Cost.” (MUCCIARELLI, Le nuove false comunicazioni sociali: note in ordine sparso, in Dirittopenalecontemporaneo.it, 4. Nello stesso senso, SEMINARA, La nuova riforma in tema di delitto contro la pubblica amministrazione, associazioni di tipo mafioso e falso in bilancio. La riforma dei reati di false comunicazioni sociali, in Dir. Pen. Proc., 2015, 783). Di conseguenza, la protezione dell'informazione societaria non va intesa “in senso autoreferenziale, come obbligo di assoluta veridicità, ma per le sue concrete e potenziali ripercussioni sulle sfere patrimoniali dei soci, dei creditori e del pubblico” (SEMINARA, La nuova riforma, cit., 786), sicché non ogni qualsiasi irregolarità di bilancio – in quanto irrispettosa dei criteri di redazione dello stesso dettati dal codice civile ed aventi la funzione di garantire la correttezza dell'esposizione contabile – potrà rivestire rilievo penale, ma tale trattamento sanzionatorio andrà riservato solo alle ipotesi in cui l'inosservanza dei suddetti criteri di compilazione del bilancio abbia determinato un'effettiva lesione – sia pure solo in termini di messa in pericolo - dei sottostanti interessi sostanziali (Per questo aspetto, già in precedenza, NAPOLEONI, I reati societari, III. Falsità nelle comunicazioni sociali ed aggiotaggio societario, Milano, 1996, 71). Dunque, la protezione garantita dagli artt. 2621 e 2622 ha sempre una proiezione patrimoniale anche se il fascio di interessi coinvolti non fa capo a soggetti determinati ma a tutti coloro che possono essere in qualche modo interessati dalla comunicazione dell'azienda-

Al contempo, tuttavia, se tale aggressione (sia pure nella forma della messa in pericolo) della sfera economica altrui manca non può ritenersi l'irregolarità presente in bilancio come rilevante per il diritto penale. Da sempre, infatti, si è sottolineato che il reato di falso in bilancio non può ritenersi integrato per la presenza di una qualsiasi irregolarità nel documento contabile della società, occorrendo invece che l'inveridicità dei dati presenti in bilancio si rifletta sulla valenza informativa dello stesso, determinando il venir meno della sua idoneità a rappresentare correttamente la situazione dell'ente collettivo che lo ha redatto e la sua utilità informativa per quanti in quell'ente volessero eventualmente investire i propri risparmi.

Va ricordato, tuttavia, che nel corso degli anni si è modificata, ed anche in maniera assai rilevante, la definizione dei criteri in base ai quali giudicare di tale significanza dei dati contabili alterati, essendo il legislatore passato dal lasciare al giudice una assoluta libertà di giudizio circa la rilevanza del falso alla determinazione di un rigido limite numerico (il riferimento è alle soglie di punibilità introdotte nel 2001), rispetto al quale l'Autorità giudiziaria non godeva di alcun margine di valutazione, per poi ritornare con la attuale versione della fattispecie sui suoi passi abbandonando il ricorso ad indici percentuali e riconoscendo nuovamente al giudice un significativo ambito di discrezionalità. L'esito di tale percorso è che, ad oggi, il delitto di falso in bilancio può ben sussistere anche laddove il mendacio investa valori di ridotto ammontare, perché non è l'importo oggetto del falso a rilevare quanto l'impatto che tale falsità riveste rispetto agli interessi di cui sono portatori i soggetti destinatari della comunicazione sociale: la condotta di falsificazione deve dunque ritenersi idonea ad integrare il delitto in parola ogni qualvolta la stessa concerna aspetti significativi dell'assetto societario, ancorché riferiti ad una piccola percentuale dell'intero valore economico espresso in bilancio, ovvero anche quando il mendacio sia riferito non all'an della posta ma alla causale della stessa, giacché la rilevanza di una comunicazione ai fini della descrizione delle condizioni economiche della società dipende anche dal significato che quell'operazione [cui la falsificazione si riferisce] può assumere per ricostruire la rete dei rapporti sociali ed economici in cui l'impresa ed il suo management si inseriscono e dunque, in sostanza, l'identità stessa della società.

In ogni caso, non può comunque sostenersi che gli artt. 2621 e 2622 c.c. consentano una indiscriminata criminalizzazione di ogni forma di irregolarità che può presentarsi all'interno del bilancio di un'impresa. Se infatti l'abbandono delle soglie quantitative e/o percentualistiche quali parametri alla cui luce verificare la significatività della mendace esposizioni di dati contabili sembra privare il giudice di un criterio di valutazione (per quanto criticabile, comunque) oggettivo per giudicare della rilevanza o meno della condotta di mendacio - con il conseguente riaffacciarsi del rischio di una definizione del comportamento penalmente rilevante rimessa integralmente all'opinione del singolo organo giudicante -, è altresì vero che la differenziazione delle ipotesi di falso aventi valenza criminale rispetto alle semplici irregolarità di bilancio può essere operata facendo riferimento – non all'ammontare dei valori interessati dall'esposizione inveritiera, bensì – alle modalità con cui l'informazione finanziaria è resa ed in particolare alla circostanza che la norma richiede, per la sussistenza del reato, l'adozione da parte del soggetto agente di particolari modalità espositive dei dati contabili, che rendano la sua comunicazione particolarmente ingannevole e quindi suscettibile di fuorviare i destinatari della stessa inducendoli a compiere azioni pregiudizievoli per i loro interessi patrimoniali.

Osservazioni

Il ricorso è stato dichiarato inammissibile.

Secondo la Cassazione, infatti, premesso che era indiscussa la circostanza che l'imputato era pienamente a conoscenza della non esigibilità dei crediti, essendo debitori società facenti capo al lui medesimo o a suoi congiunti, i giudici di merito avevano adeguatamente valutato la capacità decettiva delle false comunicazioni, affermando che l'intento frodatorio risultava conclamato, incidendo il silenzio sulla inesigibilità sulla consistenza economica della società che il bilancio è chiamato a rappresentare, anche a fronte dell'importo dei crediti in relazione all'attivo della società.

Questa affermazione del giudice di merito sarebbe coerente con il principio per cui il delitto di false comunicazioni è delitto di condotta a pericolo concreto, per cui spetta al giudice operare «una valutazione di causalità ex ante, vale a dire che dovrà valutare la potenzialità decettiva della informazione falsa contenuta nel bilancio e, in ultima analisi, dovrà esprimere un giudizio prognostico sulla idoneità degli artifizi e raggiri contenuti nel predetto documento contabile, nell'ottica di una potenziale induzione in errore in incertam personam. Tale rilevanza, proprio perché non più ancorata a soglie numeriche predeterminate, ma apprezzata dal giudicante in relazione alle scelte che i destinatari dell'informazione (soci, creditori, potenziali investitori) potrebbero effettuare, connota la falsità di cui agli artt. 2621,2621-bis, 2622 c.c. Essa, dunque, deve riguardare dati informativi essenziali, idonei a ingannare e a determinare scelte potenzialmente pregiudizievoli per i destinatari. [...] L'alterazione di tali dati, per altro, non deve necessariamente incidere solo sul versante quantitativo, ben potendo anche il c.d. "falso qualitativo" avere una attitudine ingannatoria e una efficacia fuorviante nei confronti del lettore del bilancio. Invero, la impropria appostazione di dati veri, l'impropria giustificazione causale di "voci", pur reali ed esistenti, ben possono avere effetto decettivo (ad esempio: mostrando una situazione di liquidità fittizia) e quindi incidere negativamente su quel bene della trasparenza societaria, che si è visto costituire il fondamento della tutela penalistica del bilancio» (Cass., sez. un., 31 marzo 2016, n. 22474).

In sede di merito, per l'appunto, sarebbe stata operata la valutazione ex ante richiesta, rilevando come le modalità dell'inganno fossero funzionali a dimostrare la solidità della società e la capacità della stessa di onorare i propri impegni verso gli altri operatori economici. Si tratta, secondo la Cassazione, di una congrua valutazione in concreto e ex ante, relativa alla potenzialità ingannatoria del bilancio, nei confronti degli operatori economici tutti, quindi di una pluralità indefinita di soggetti, ai quali è rivolta la tutela del bene della trasparenza e verità dell'informazione societaria.

Da ultimo, poi, la decisione osserva come fra i soggetti passivi del delitto di falso in bilancio non rientrino solo i soci della persona giuridica interessata – i quali, presumibilmente, nel caso di specie erano a conoscenza della inesigibilità dei crediti -, ma anche coloro che potenzialmente siano interessati ad investire nell'impresa. Infatti, la potenziale induzione in errore nel delitto in commento è in incertam personam, come attestato dal dettato normativo che, se per un verso fa riferimento «ai soci e al pubblico», solo quali destinatari dei «veicoli» delle false comunicazioni sociali, per definire quali relazioni e quali bilanci siano documenti integranti la condotta del reato in esame, per altro verso collega la capacità decettiva non solo ai predetti destinatari, bensì anche ad «altri», quindi non solo i soci e i creditori sociali, ma anche i terzi, quali potenziali e futuri soci, creditori o contraenti.

Conclusioni

La sentenza della Cassazione in commento, in maniera sintetica, ribadisce che per riconoscere la rilevanza penale ad un bilancio societario redatto in maniera censurabile è essenziale – non la mera irregolarità o difformità dell'appostazione contabile rispetto ai dettami civilistici in materia, ma – il carattere fraudolento della menzogna e alla conseguente valenza ingannatoria dei dati contabili esposti.

Questo requisito della condotta penalmente rilevante ai sensi degli artt. 2621 e 2622 cod. civ. è preteso dalle due disposizioni laddove viene richiesto che le condotte tipiche dell'esposizione di fatti non veri e dell'omissione di fatti materiali risultino “concretamente idonee ad indurre altri in errore” sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società. Questa locuzione è per l'appunto intesa a garantire l'esigenza di mantenere al di fuori dell'ambito di rilevanza penale quelle difformità sostanzialmente irrilevanti, in quanto inidonee a generare nel destinatario della comunicazione un inganno in ordine alla situazione economica, finanziaria e patrimoniale della società ed in questo modo si intende limitare la punibilità alle sole condotte che siano “concretamente offensive” del bene giuridico tutelato, riconducendo l'ipotesi criminosa nell'alveo del pericolo concreto.

Peraltro, questo profilo della concreta idoneità ingannatoria si presenta particolarmente rilevante quando, come nel caso deciso dalla sentenza, si discuta di una possibile criminalizzazione delle valutazioni di bilancio - è ormai indiscussa la rilevanza, ai fini dell'integrazione dei delitti in parola, degli enunciati valutativi (da ultimo, dopo Cass., sez. un., 31 marzo 2016, n. 22474, si veda Cass., sez. V, 5 settembre 2023, n. 36807), come ad esempio quelli in tema di esigibilità dei crediti.

In tali circostanze, infatti, è spesso incerta la non correttezza della stima contabile esposta in bilancio (per rimanere alla questione dei crediti vantati dall'azienda del cui bilancio si discute: presumibilmente è da ritenere sussistente l'illecito in questione quando i redattori del documento contabile mantengano l'iscrizione, per l'intero originario importo, di un credito vantato nei confronti di una società fallita o di una persona soggetta a concordato preventivo – il cui piano prevede il pagamento del credito in una percentuale assai; ma la stessa conclusione può essere mantenuta ferma nel caso si sia presenza di un credito di un soggetto che si sa in forte difficoltà economica, la cui insolvenza non è però stata accertata compiutamente e – laddove si risponda affermativamente a tale domanda – quali sono gli indici in presenza dei quali la mancata svalutazione della posta diventa elemento di falsità di bilancio? Analogamente, se si può concordare sul fatto che integri un mendacio contabile iscrivere un credito contestato con successo dal debitore in sede giudiziale, assai più discussa è la conclusione da assumere quando l'obbligazione sia ancora oggetto di accertamento giurisdizionale: in tale circostanza, infatti, quando pure si volesse sostenere che vi sia un obbligo di svalutazione occorrerebbe stabilire quando insorge tale dovere di adeguamento del valore – potendosi lo stesso collocarsi dopo la decisione di primo grado o dopo quella di appello o finanche nel momento in cui ci si avveda di un orientamento giurisprudenziale avallato dalle Sezioni Unite che afferma una tesi che porta alla soccombenza in giudizio della società del cui bilancio si discute) e quindi significativo è il rischio di confondere il problema della falsità del bilancio con la mera irregolarità o correttezza dello stesso. Una tale non condivisibile conclusione può essere superata ribadendo, per l'appunto, che il contenuto della comunicazione sociale, oltre che inesatto, deve essere anche connotato da una parvenza di veridicità e correttezza atta ad impedire chi consulta il bilancio di avvedersi della mendacità dello stesso (SANTORIELLO, Il nuovo reato di falso in bilancio, Torino 2015, 25).

Detto altrimenti, affermare che si è in presenza del reato in discorso quando la stima di una posta contabile è formulata in maniera erronea o non condivisibile, con inosservanza dei criteri di valutazione fissati dal legislatore o indicati dalla scienza ragionieristica, non è (pienamente) corretto: l'esposizione di tale voce potrebbe infatti essere per l'appunto contabilmente inesatta ma al contempo penalmente irrilevante allorquando risulti mancante il secondo profilo necessario per l'integrazione del reato di falso in bilancio e cioè la portata decettiva ed ingannatoria della comunicazione.

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