Paziente danneggiato per effetto della condotta negligente del proprio "medico di base": può ottenere - e a che titolo - il risarcimento dalla ASL?
11 Settembre 2024
Massima La ASL è responsabile, ai sensi dell'art. 1228 c.c., del fatto colposo del medico di base, convenzionato con il SSN, essendo tenuta per legge - nei limiti dei livelli essenziali di assistenza - ad erogare l'assistenza medica generica e la relativa prestazione di cura, avvalendosi di personale medico alle proprie dipendenze o in rapporto di convenzionamento. Il caso Due soggetti, dopo l'espletamento di apposito accertamento tecnico preventivo dai medesimi richiesto, convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Milano, il loro medico di base, invocando la sua condanna al risarcimento del danno conseguente alla ritardata diagnosi che lo stesso aveva fatto con riferimento alla grave insufficienza renale di cui uno dei due attori era risultato affetto. Il convenuto chiamò in garanzia l'Agenzia di Tutela della Salute (ATS) della Città Metropolitana di Milano e la compagnia assicuratrice che copriva i danni riconducibili ai rischi della sua professione, la quale, con atto autonomo di intervento, faceva valere la sua qualità di successore a titolo particolare degli attori e del convenuto medico di base, allegando la transazione in virtù della quale la medesima compagnia assicuratrice aveva corrisposto agli stessi attori la somma di euro 400.000,00, in relazione al danno denunciato oltre alle spese resesi necessarie per consulenze. Poiché gli attori avevano ceduto al medesimo sanitario convenuto i diritti nei confronti dell'ATS e dei coobbligati in solido, l'interventrice compagnia assicuratrice, quale legittimata in dipendenza di quest'ultima cessione dei credito, chiedeva la condanna della suddetta Azienda sanitaria pubblica a rifonderle l'importo di euro 200.000,00. L'adito Tribunale dichiarava, con l'adottata sentenza, la cessazione della materia del contendere nei rapporti tra gli attori, il convenuto e la società assicuratrice e condanna la menzionata ATS al pagamento, a titolo di regresso ex art. 1916 c. 1 c.c., in favore della stessa compagnia assicuratrice, nella sua qualità di interveniente volontaria, della su indicata somma di euro 200.000,00, condannando, altresì, la società assicuratrice chiamata in causa a titolo di garanzia dall'ATS a tenere indenne quest'ultima di quanto corrisposto. Proponevano appello sia l'ATS che la compagnia assicuratrice dalla medesima citata in giudizio a titolo di manleva. La Corte di appello di Milano, previa riunione dei gravami, rigettava l'appello dell'ATS ed accoglieva, invece, quello della società assicuratrice che era stata condannata quale garante e, quindi, manlevatrice, della stessa ATS. A fondamento della reiezione del gravame dell'ATS, la Corte territoriale osservava che, poiché la stessa – al fine dell'adempimento della propria obbligazione ex lege - aveva fatto ricorso ad un medico di medicina generale alla medesima legati da un rapporto di parasubordinazione, essa era tenuta a rispondere, ai sensi dell'art. 1228 c.c., pure dei fatti colposi e dolosi dell'ausiliario (e, quindi, anche del medico di base nel caso di specie) della cui attività si era avvalsa per eseguire la prestazione che era obbligata ad erogare. Di conseguenza, poiché era rimasto accertato che gli attori avevano ceduto al convenuto sanitario e alla relativa Compagnia assicuratrice ogni loro diritto nei confronti del coobbligato in solido ATS e che il medesimo sanitario aveva a sua volta ceduto ogni suo diritto confronti dell'ATS, la Corte milanese rilevava come il giudice di prime cure avesse correttamente dichiarato la cessazione della materia del contendere limitatamente agli attori ed al convenuto e alla stessa società assicuratrice, sul presupposto che la surrogazione prevista dall'art. 1916 c.c. era applicabile in caso di responsabilità per atto illecito. Avverso la suddetta sentenza di appello proponeva ricorso per cassazione l'ATS riferendolo a sei motivi, resistito dalle parti intimate con separati controricorsi. La questione Con il primo motivo del ricorso in sede di legittimità, l'ATS – nel far valere la questione di diritto centrale e dirimente della causa - denunciava la violazione o la falsa applicazione dell'art. 1228 c.c., sostenendo che, in virtù dell'insindacabile autonomia del medico sul piano clinico e diagnostico, non avrebbe potuto gravare sulla stessa ATS il rischio della responsabilità per la scelta del medico convenzionato, il quale opera a tutti gli effetti come un libero professionista e non può, pertanto, essere considerato un ausiliario dell'ASL, né può essere ravvisato un contatto sociale qualificato fra ASL e paziente, ovvero una fattispecie di contratto di spedalità. La questione fondamentale posta all'attenzione della S.C. consisteva nel rispondere all'interrogativo sul se, in ipotesi di illecito commesso dal medico convenzionato nell'adempimento della prestazione curativa di assistenza medico-generica, potesse ritenersi applicabile la norma generale di cui all'art. 1228 c.c. a carico dell'ASL (nella specie denominata ATS) e sulla base di quale titolo di collegamento riguardante il rapporto che legava il medico di base all'ASL di appartenenza. La soluzione giuridica Con la pronuncia in esame la Corte di legittimità ha dato risposta positiva, riconfermando il più recente orientamento sviluppatosi in proposito e riconducibile, soprattutto, alla sentenza della stessa Terza Sezione civile (Cass. 27 marzo 2015 n. n. 6243) dichiarando propriamente inammissibile il su riportato motivo in applicazione dell'art. 360-bis, n. 1), c.p.c., avendo il giudice di appello deciso la questione di diritto in oggetto in modo per l'appunto conforme alla giurisprudenza di legittimità, senza che l'esame della censura avesse offerto idonei elementi per mutare l'orientamento più recente di quest'ultima giurisprudenza. Nel reiterare il nucleo argomentativo logico-giuridico del precedente giurisprudenziale appena evocato, la sentenza in commento ha preso le mosse dalla valorizzazione della norma di base essenziale in materia, ovvero dall'art. 25 c. 3 L. 833/1978, alla stregua del quale "l'assistenza medico-generica e pediatrica è prestata dal personale dipendente o convenzionato del servizio sanitario nazionale operante nelle unità sanitarie locali o nel comune di residenza del cittadino". Sulla scorta di questo dato normativo fondamentale, la Corte di cassazione ha ribadito che il diritto soggettivo dell'utente del S.S.N. all'assistenza medico-generica ed alla relativa prestazione curativa, nei limiti stabiliti normativamente (dapprima, dal piano sanitario nazionale e, poi, dai LEA) trova origine direttamente nella legge ed è proprio quest'ultima ad individuare la ASL come soggetto tenuto ad erogarla, avvalendosi di "personale" medico alle proprie dipendenze ovvero in rapporto di convenzionamento (avente natura di rapporto di lavoro autonomo "parasubordinato"), ambito al quale appartiene indubbiamente anche il medico di base. Pertanto, l'ASL, per l'adempimento dell'obbligazione di fornire l'assistenza medico-generica cui per legge è obbligato, avvalendosi dell'opera del terzo, cioè di un esercente la professione sanitaria il quale non è dipendente del soggetto obbligato, ma costituisce personale "convenzionato", risponde dell'eventuale illecito commesso da quest'ultimo nei confronti di terzi, e ciò sulla scorta dell'applicabilità della citata norma prevista dall'art. 1228 c.c. Del resto, si è opportunamente evidenziato che tale fattispecie di responsabilità, identificata in sede interpretativa dalla giurisprudenza, è stata poi recepita dal legislatore con l'art. 7 L. 24/2017, che al primo comma recita quanto riportato di seguito.
Con ciò si è stabilita una linea di continuità fra l'interpretazione giurisprudenziale dell'ordinamento ed il successivo intervento legislativo, quale argomento ex post a sostegno della detta interpretazione (il primo comma del citato articolo 7 stabilisce chiaramente la correlazione fra la collocazione lavorativa dell'esercente ed il titolo di responsabilità: per il dipendente di applica l'art. 1218 c.c., per il non dipendente l'art. 1228 c.c.). Osservazioni Come già ricordato, la decisione che qui viene segnalata poggia il suo percorso argomentativo e la correlata soluzione giuridica sull'architrave motivazionale della precedente sentenza Cass. 27 marzo 2015 n. 6243. Con quest'ultima era stato chiarito che il medico convenzionato, scelto dall'utente iscritto al S.S.N. nei confronti della ASL, in un novero di medici già selezionati nell'accesso al rapporto di convenzionamento e in un ambito territoriale delimitato, è obbligato (e non può rifiutarsi, salvo casi peculiari sorretti da giustificazione e, dunque, sindacabili dalla stessa ASL) a prestare l'assistenza medico-generica, e dunque la prestazione curativa, soltanto in forza ed in base al rapporto di convenzionamento (e non già in base ad un titolo legale o negoziale che costituisca un rapporto giuridico diretto con l'utente), il quale rappresenta altresì la fonte che legittima la sua remunerazione da parte, esclusivamente, della ASL (essendo vietato qualsiasi compenso da parte dell'utente). Le prestazioni di assistenza medico-generica, che sono parte dei livelli uniformi (e, poi, dei LEA) da garantirsi agli utenti del S.S.N., sono, infatti, finanziate dalla fiscalità generale, alla quale concorrono tutti i cittadini con il versamento di una imposta. Si rimarcò, quindi, che, poiché l'assistenza medico-generica si configura - nei limiti in cui la legge ne assicura l'erogazione - come diritto soggettivo pieno ed incondizionato dell'utente del S.S.N., questi è "creditore" nei confronti della ASL, che, in quanto soggetto pubblico ex lege tenuto ad erogare detta prestazione curativa (per conto del S.S.N.), assume la veste di "debitore", che, nell'erogare la prestazione curativa dell'assistenza medico-generica, si avvale, poi, di "personale" medico dipendente o in rapporto di convenzionamento, specificandosi che quest'ultimo assume natura di rapporto di lavoro autonomo, ma con i caratteri della "parasubordinazione". Dunque, il medico generico convenzionato va considerato ausiliario della ASL quanto all'adempimento (e, in tal senso, proprio limitatamente all'adempimento dell'obbligazione, senza incidere quindi sulla soggettività del relativo rapporto, il medico convenzionato può caratterizzarsi anche come sostituto della ASL), da parte di quest'ultima, dell'obbligazione ex lege di prestare assistenza medico- generica all'utente iscritto negli elenchi del S.S.N., donde la precisazione che il medico convenzionato non costituisce parte di detto rapporto giuridico obbligatorio, di durata, ma interviene nella fase del suo svolgimento, per rendere la prestazione curativa che la USL è tenuta per legge ad erogare secondo livelli prestabiliti normativamente. E l'adempimento dovrà avvenire nell'ambito di tale predeterminata prestazione, come tale soggetto al controllo della stessa ASL, rimanendo la prestazione medesima, ovviamente, libera nei contenuti tecnici-professionali suoi propri (come, del resto, lo è in tutti i casi in cui essa viene prestata, sia in regime di subordinazione, che libero professionale), in quanto espressione di opera intellettuale a carattere scientifico, oggetto di protezione legale (art. 2229 c.c.). Da tale inquadramento si è fatta, quindi, discendere la conseguenza che, in ipotesi di illecito commesso dal medico convenzionato nell'adempimento della prestazione curativa di assistenza medico-generica, è applicabile l'art. 1228 c.c. nei confronti della stessa ASL, puntualizzandosi che la responsabilità di chi si avvale dell'esplicazione dell'attività del terzo per l'adempimento della propria obbligazione contrattuale trova radice – in questo caso - non già in una colpa in eligendo degli ausiliari o in vigilando circa il loro operato, bensì nel rischio connaturato all'utilizzazione dei terzi nell'adempimento dell'obbligazione, ovvero rinviene il suo fondamento nel principio “cuius commoda, cuius et incommoda”, o, più precisamente, dell'appropriazione o "avvalimento" dell'attività altrui per l'adempimento della propria obbligazione, comportante l'assunzione del rischio per i danni che al creditore ne derivino. L'approdo cui era pervenuto la Corte di legittimità con la ricordata sentenza citata (Cass. 27 marzo 2015 n. n. 6243), confermato dalla pronuncia qui in commento, non era andato esente da critiche in dottrina. In particolare, proprio avendo riguardo alla posizione del medico di base verso il paziente-assistito, si era osservato – da parte di alcuni indirizzi teorici - come non convincesse l'obliterazione del valore (consensuale) della "scelta" del professionista da parte dell'utente, sembrando una forzatura sostenere che "la scelta del medico convenzionato per l'assistenza medico - generica avviene, nei confronti della ASL (…)" e sarebbe "atto destinato a produrre i suoi effetti nei confronti dello stesso Servizio e, per esso, della ASL (…) e, dunque, non direttamente nei confronti del medico prescelto". Così facendo – si ebbe a rilevare in dottrina – la S.C. aveva cancellato del tutto il significato di quella "scelta" che, in realtà, parrebbe proprio indirizzata al medico (che ne è oggetto e al contempo destinatario diretto) ed in cui si condensa ed esprime una (pur "tipica") manifestazione di volontà contrattuale. Si era aggiunto che la prospettiva abbracciata dalla Corte di legittimità era, nella sostanza, mirata a garantire una tutela particolarmente rafforzata per il paziente, che può beneficiare non solo di un termine prescrizionale più lungo, ma anche di considerevoli vantaggi in termini di onere della prova; attraverso il meccanismo delle presunzioni, poi (cui fa da pendant una interpretazione oggettiva dell'art. 1218 c.c., che pone a carico del debitore anche il rischio della causa ignota e trasforma l'obbligazione del sanitario in un vera e propria garanzia di risultato), la più recente giurisprudenza aveva finito con il creare un sistema fortemente "sbilanciato" destando crescente allarme e preoccupazione nella classe medica. Altro orientamento dottrinale aveva, invece, visto con favore la svolta operata dalla S.C. con la ricordata sentenza Cass. 27 marzo 2015 n. n. 6243, sostenendo che – in effetti - la prestazione resa dal medico di base costituisce assolvimento del dovere assistenziale che gli artt. 1 e 3 L. 833/1978 accollano al Servizio sanitario nazionale. La sua attività costituisce unica modalità di attuazione, priva di alternativa, di quelle prestazioni sanitarie che devono essere, comunque, garantite a tutti i cittadini. L'attività del medico di base non può, dunque, che essere riferita all'ASL cui non è consentito invocare il proprio esonero da responsabilità se non irrealisticamente sostenendo di non essere soggetta alle conseguenze della colposa inattuazione, a sé imputabile, del dovere fondamentale di tutela del diritto alla salute dei cittadini. Se la prestazione del medico generico realizza, quale unico strumento a ciò rivolto, l'assistenza medico-generica prevista per legge, ne consegue che l'ipotizzata assenza di controllo da parte dell'ASL in merito al contenuto della prestazione professionale del medico convenzionato non è circostanza che l'Ente possa opporre all'assistito-creditore. L'assolvimento dell'obbligo di legge per il tramite di soggetti estranei all'Azienda sanitaria include nel rischio di impresa l'obbligazione risarcitoria che sia ad essi ascrivibile. L'ASL, infatti, non solo garantisce il diritto all'assistenza medico-generica ma è anche esecutrice della prestazione, sia pure per il tramite dei medici di base convenzionati, che della prima sono ausiliari ai sensi dell'art. 1228 c.c. Come già posto in risalto, si era venuta ad innestare una certa consonanza e complementarietà di "strategia" tra la citata Cass. 27 marzo 2015 n. n. 6243 e la successiva riforma Gelli-Bianco (invero rimarcata anche nella sentenza qui esaminata). Sul piano civilistico, l'indicazione di policy ricavabile dalla L. 24/2017è stata quella di conservare inalterati gli incentivi per il paziente ad agire nei confronti dell'ente, chiamato a rispondere contrattualmente delle condotte dolose o colpose dei suoi ausiliari ex art. 1228 c.c. Per contro, il medico risponderà del proprio operato a titolo extracontrattuale e la struttura sanitaria potrà rivalersi nei suoi confronti "solo in caso di dolo o colpa grave". Sicché l'obiettivo della riforma appare quello di aver voluto "schermare" parzialmente il medico, da un lato incanalando la sua responsabilità nelle strettoie dell'art. 2043 c.c. e, dall'altro, escludendo la rivalsa dell'ente in presenza di colpa lieve; ma allo stesso tempo di mantenere elevata la tutela del paziente, che potrà sempre rivolgere le proprie pretese risarcitorie verso la struttura secondo le agevoli regole attuali. In modo del tutto analogo aveva già ragionato la Terza Sezione civile della Cassazione civile con la citata pronuncia del 2015 (riconfermata con quella commentata), determinando l'ampliamento dell'ambito dei soggetti aggredibili dal punto di vista patrimoniale (la ASL) per rafforzare la tutela del paziente danneggiato dall'esercente la professione sanitaria (quindi anche dal medico di base), senza al contempo aggravare la responsabilità del professionista convenzionato. GIURISPRUDENZA
DOTTRINA
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