La telecamera istallata senza il consenso di chi ha la servitù di passaggio è legittima o è foriera di risarcimento danni?

09 Settembre 2024

È legittima l’installazione dell’impianto di videosorveglianza senza il permesso di chi ha la servitù di passaggio o lede il diritto alla privacy dei terzi che transitano nel tratto di strada ripreso? Risponde la Cassazione.

Massima

È legittimo l’impianto di videosorveglianza installato senza il permesso di chi ha la servitù di passaggio nell’area videoripresa se è utile a proteggere i propri interessi, la proprietà e la sicurezza personale, anche se lo spazio controllato è in uso anche a terzi.

Il caso

Tizio e Caio, comproprietari di un fabbricato confinante con l’immobile di Mevio, convenivano innanzi al Tribunale di primo grado il proprio vicino, il quale aveva installato sulla facciata esterna della propria abitazione un sistema di videosorveglianza che riprendeva il tratto di strada privata antistante il cancello d’ingresso della proprietà. Tizio e Caio deducevano che tale installazione fosse lesiva della loro privacy e riservatezza dal momento che erano soliti percorrere la predetta via privata in forza del diritto di servitù di passaggio esistente in favore del proprio fondo ed a carico del fondo di proprietà di Mevio. Gli attori chiedevano al Tribunale di condannare Mevio alla rimozione e/o ricollocamento dell’impianto nonché al pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno. Mentre il Tribunale rigettava la domanda degli attori, i giudici di seconde cure riformavano la prima decisione, ravvisando la violazione della disciplina della tutela dei dati personali rilevando, altresì, che l’installazione e lo svolgimento di riprese di videosorveglianza era avvenuta senza la prestazione del preventivo consenso degli interessati. Disponevano, quindi, la rimozione delle videocamere, accogliendo la domanda risarcitoria e condannando Mevio al risarcimento dei danni.

La questione

È legittima l’installazione dell’impianto di videosorveglianza senza il permesso di chi ha la servitù di passaggio? Quali sono i requisiti per procedere con l’installazione?

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione, con sentenza Cass civ., sez. I, 19 marzo 2024, n. 7289 stabilisce la legittimità dell'impianto di videosorveglianza installato senza il permesso di chi ha la servitù di passaggio nell'area videoripresa, qualora la stessa sia utile a proteggere i propri interessi, la proprietà e la sicurezza personale, anche se lo spazio controllato è in uso a terzi.

La Cassazione, al fine di affermare la liceità o meno del sistema di videosorveglianza autonomamente posto da un privato, precisa che l'installazione di tali sistemi di rilevazione delle immagini deve avvenire nel rispetto, oltre che della disciplina in materia di protezione dei dati personali, anche delle altre disposizioni dell'ordinamento applicabili, quali quelle dell'ordinamento civile e penale in materia di interferenze illecite nella vita privata. E ciò vale sia quando la ripresa avvenga a opera di soggetti pubblici sia quando si tratti di privati.

Nella disamina della questione presentata, il secondo Giudice aveva accolto il gravame basandosi unicamente su un'interpretazione dell'art. 4 del d.lgs. n. 196/2003,  come modificato dal  d.lgs. n. 101/2018, entrato in vigore  successivamente alla fattispecie in argomento, iniziata nell'anno 2011, dunque applicando una norma inesistente all'epoca dei fatti.

Appare evidente come la disciplina de qua non avrebbe potuto essere applicata se fosse stato valutato un importante elemento accertato durante l'esame peritale disposto dal Giudice di primo grado: le telecamere del ricorrente collocate a tutela della propria abitazione avevano esclusivamente un fine personale; le immagini momentaneamente rilevate, infatti, non venivano conservate, riprodotte a terzi, né comunicate o diffuse. Invero, come chiaramente determinato dall'art. 4 del suindicato decreto legislativo, «l'uso di sistemi di videosorveglianza determina il trattamento dei dati personali comportando la raccolta, la registrazione, la conservazione e in generale l'utilizzo di immagini e può incidere sulla riservatezza del domicilio», la cui tutela ha un preciso rilievo costituzionale nelle disposizioni degli artt. 2 e 14 Cost. 

Tali asserzioni sono state puntualmente rafforzate dalla predisposizione delle «Linee guida 3/2019 sul trattamento dei dati personali attraverso dispositivi video» in data 29 gennaio 2020, a seguito dell'entrata in vigore del Reg. UE n. 679/2016 del Parlamento europeo e del Consiglio (GDPR).

Nonostante la circostanza che la videosorveglianza possa essere utilizzata per diversi fini meritevoli di perseguimento, ciò non esclude l'incontrovertibile obbligo di garantire un elevato livello di protezione dei diritti e delle libertà fondamentali rispetto al trattamento dei dati personali, di talché la possibilità di utilizzare sistemi di videoregistrazione è consentita, purché ciò non determini un'ingerenza ingiustificata nei diritti e nelle libertà fondamentali degli interessati.

Secondo la Suprema Corte, è da considerarsi dato personale qualunque informazione relativa a persona fisica identificata o identificabile, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione.

La Corte di Cassazione rileva, altresì, l'indispensabilità che il trattamento dei dati personali si eserciti nel rispetto di uno dei «presupposti di liceità» che il Codice prevede a chiare lettere per i soggetti pubblici, per soggetti privati ed enti pubblici economici ed anche del «principio di necessità», il quale prevede una attenta configurazione di sistemi informativi e di programmi informatici per ridurre al minimo l'utilizzazione di dati personali. Riconosce, altresì, come imprescindibile anche l'osservanza del «principio di proporzionalità» nella scelta delle modalità di ripresa e dislocazione degli apparecchi, nonché nelle varie fasi del trattamento di dati pertinenti ed ovviamente non eccedenti rispetto alle finalità perseguite.

Nel caso in esame, tuttavia, l'applicazione del predetto Codice della Privacy non trova integrale riscontro poiché, come anticipato, non vi è stata alcuna diffusione delle registrazioni delle immagini e, inoltre, le stesse venivano utilizzate dal proprietario del fondo solo ed esclusivamente per sorvegliare il cancello della propria abitazione: specificatamente, le stesse - effettuate su una strada privata- avevano un angolo visuale limitato solo alla pertinenza dell'area.

Alla luce di quanto premesso, dunque, non era necessario ed indispensabile il rilascio di alcun consenso da parte del titolare della servitù di passaggio.

Pertanto, non si ravvisa alcuna violazione né del diritto alla privacy o alla riservatezza di quest'ultimo e ancora, neppure è ascrivibile nessuna responsabilità civile a carico del ricorrente atteso come abbia attuato le garanzie previste dall'art. 15 del codice della Privacy, il quale disciplina  la risarcibilità del danno, anche non patrimoniale, ai sensi dell' art. 2050 c.c. 

La Cassazione afferma che nel caso esaminato si rientra nell'ipotesi di un trattamento di dati personali effettuato a mezzo videosorveglianza da un privato per fini «diversi da quelli esclusivamente personali» e sarà, quindi, valutabile dal giudice del rinvio come lecito se effettuato in presenza di concrete situazioni che giustificano l'installazione del sistema, a protezione delle persone, della proprietà o del patrimonio aziendale (principio di necessità) e se l'utilizzo delle apparecchiature è volto a riprendere le aree di comune disponibilità con modalità tali da limitare l'angolo visuale all'area «effettivamente da proteggere», evitando, per quanto possibile, la ripresa di luoghi circostanti, che siano in uso a terzi o su cui i terzi vantano diritti e di particolari non rilevanti (principi di non eccedenza e di proporzionalità).

Ciò esclude, in sintesi, la necessità del consenso preventivo del terzo.

Osservazioni

Nell’ambito di attività di carattere personale o domestico, le persone fisiche possono attivare sistemi di videosorveglianza a tutela della sicurezza di persone o beni senza alcuna autorizzazione e formalità: infatti, non c’è necessità di procedere con una comunicazione al Garante della Privacy.

L’utilizzo della videosorveglianza domestica, per quanto libero, non può ledere la privacy altrui. Pertanto, le telecamere possono riprendere solo le aree di proprietà o di pertinenza del proprietario dell’impianto. In sostanza, l’occhio della telecamera non può estendersi fino alla proprietà altrui o, nei condomini, nelle aree comuni come scale e pianerottolo. Diversamente, si commette il reato di interferenze nella vita privata altrui e si può essere querelati.

In realtà, sul punto, la Cassazione ha sposato un’interpretazione più permissiva rispetto a quella del Garante. Per la Suprema Corte, ad esempio, le scale di un condominio e i pianerottoli delle scale condominiali non assolvono alla funzione di consentire l’esplicazione della vita privata al riparo da sguardi indiscreti, perché sono, in realtà, destinati all’uso di un numero indeterminato di soggetti e di conseguenza la tutela penalistica di cui all’art. 615-bis c.p. non si estende alle immagini eventualmente ivi riprese, le quali non devono essere oggetto di comunicazione a soggetti terzi o di diffusione. Non è quindi possibile pubblicarle sui social o inoltrarle tramite chat.

Ci si domanda sulla conservazione e sull’uso delle immagini registrate le quali non possono essere conservate più a lungo di quanto necessario per le finalità per le quali sono acquisite. In via generale, gli scopi legittimi della videosorveglianza sono spesso la sicurezza e la protezione del patrimonio.

Tenendo conto dei principi di minimizzazione dei dati e limitazione della conservazione, i dati personali dovrebbero essere – nella maggior parte dei casi (ad esempio se la videosorveglianza serve a rilevare atti vandalici) – cancellati dopo pochi giorni, preferibilmente tramite meccanismi automatici.

Laddove sia inevitabile riprendere parzialmente anche aree di terzi per tutelare adeguatamente la sicurezza propria o dei propri beni, è necessario adottare tutte le misure tecniche per oscurare porzioni di immagini. Si pensi a chi metta una telecamera sull’uscio di casa, che finisce inevitabilmente per inquadrare una parte del pianerottolo: in tal caso, bisognerà evitare di riprendere il volto delle persone che transitano di là.

Non è comunque necessario acquisire l’autorizzazione del vicino di casa, né del condominio, anche se la telecamera viene posizionata su un muro comune.

E, mentre fino all’intervento della pronuncia de qua, se la videosorveglianza insisteva su una strada soggetta a una servitù di passaggio in capo a terzi era necessario ottenere (una sola volta) il consenso del soggetto titolare di tale diritto, con il provvedimento analizzato, l’impianto di videosorveglianza diventa legittimo anche senza il consenso di chi ha la servitù di passaggio, a patto che sia necessario e proporzionato a difendere l’interesse privato di un terzo.

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