Responsabilità dei soci anche per le sanzioni tributarie della società estinta

Giovambattista Palumbo
16 Settembre 2024

La Cassazione, con l'ordinanza n. 23341 del 29 agosto, ha affermato un principio in parte innovativo rispetto a sue precedenti pronunce, sostenendo che l'estinzione della società di capitali comporta comunque che i soci sono chiamati a rispondere anche per il pagamento delle sanzioni tributarie già comminate al soggetto estinto.

Massima

L'estinzione della società di capitali conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese integra un fenomeno successorio connotato da caratteristiche sui generis, connesse al regime di responsabilità dei soci per i debiti sociali nelle differenti tipologie di società, con la conseguenza che i soci sono chiamati a rispondere anche per il pagamento delle sanzioni tributarie nei limiti di quanto riscosso in sede di liquidazione.

Il caso

La Commissione Tributaria Provinciale aveva accolto il ricorso proposto dai soci di una S.r.l. – cessata in data 20/07/2007 – avverso l'avviso di accertamento con il quale l'Agenzia delle Entrate aveva recuperato a tassazione il maggior imponibile, ai fini IRES, IVA e IRAP in relazione a maggiori ricavi emersi in conseguenza del controllo delle compravendite eseguite dalla società nell'esercizio del 2005.

L'Agenzia delle Entrate aveva quindi impugnato la sentenza e la Commissione Tributaria Regionale, per quanto di interesse, aveva parzialmente accolto l'appello, ritenendo nullo l'avviso di accertamento notificato al legale rappresentante e liquidatore della società e invece corretti gli avvisi di accertamento notificati nei confronti dei soci, considerato che dopo la cancellazione della società dal registro delle imprese i creditori sociali (tra cui anche l'Erario) possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci fino alla concorrenza delle somme riscosse da questi ultimi in base al bilancio finale di liquidazione, ad eccezione della parte relativa alle sanzioni. In merito a quest'ultimo profilo la CTR aveva inoltre ritenuto che nei confronti dei soci difettasse comunque il requisito della colpevolezza.

Avverso tale sentenza l'Agenzia delle Entrate proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo che l'art. 2495 c.c. integra un fenomeno successorio che funziona solo in parte in modo analogo alla successione mortis causa. In particolare, i soci, al momento dell'estinzione della società, succedono infatti nei debiti di quest'ultima, che sono, tuttavia, tenuti a soddisfare limitatamente a quanto ricevuto a seguito della liquidazione. Di conseguenza, secondo l'Amministrazione, entro tale limite, i soci sono tenuti a rispondere anche del debito insoluto della società estinta a titolo di sanzioni pecuniarie, trattandosi di obbligazioni civili per le quali non può trovare applicazione l'art. 8 d.lgs. n. 472/1997.

Tanto più che quest'ultima norma non fa dipendere dalla morte della persona l'estinzione dell'obbligazione di pagamento della sanzione pecuniaria, ma si limita a stabilire che non si trasmette agli eredi.

Era dunque irrilevante il riferimento alla colpevolezza.

Le questioni giuridiche

L'art. 2495 c.c., al terzo comma, stabilisce che «Ferma restando l'estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi.».

Come precisato dalla giurisprudenza di legittimità «il debito del quale, in situazioni di tal genere, possono essere chiamati a rispondere i soci della società cancellata dal registro non si configura come un debito nuovo, quasi traesse la propria origine dalla liquidazione sociale, ma s'identifica col medesimo debito che faceva capo alla società, conservando intatta la propria causa e la propria originaria natura giuridica (si veda, in argomento, Cass. 3 aprile 2003, n. 5113)» (Cass., Sez. U, 12/03/2013, n. 6070).

L'estinzione della società di capitali conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese comporta, quindi, un fenomeno di tipo successorio («connotato da caratteristiche sui generis, connesse al regime di responsabilità dei soci per i debiti sociali nelle differenti tipologie di società», Cass., Sez. U, n. 6070 del 2013, cit.), che si caratterizza, da un lato, per il trasferimento ai soci del medesimo debito che faceva capo alla società e, dall'altro lato, per la limitazione della responsabilità del socio a quanto ricevuto in sede di liquidazione.

La presenza di un fenomeno successorio sui generis è riconducibile al fatto che il fenomeno societario non si risolve in un contratto che deve essere adempiuto, in quanto la disciplina delle società è disciplina non dell'esecuzione di un atto negoziale, ma di una struttura organizzativa e dei modi di esercizio di un'attività. Lo scioglimento della società e l'estinzione conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese devono essere, quindi, lette nella medesima prospettiva che regola la nascita e il funzionamento della società, la quale nasce con la stipulazione di un contratto (art. 2247 c.c.), per effetto del quale viene costituita una struttura organizzativa che fa capo a un soggetto autonomo e distinto dai soci, che, nel caso della società di capitali, acquisisce la personalità giuridica con l'iscrizione nel registro delle imprese (art. 2331 cc.c.).

Lo scioglimento della società comporta, pertanto, il termine di un'attività economica comunitariamente organizzata e con essa il venir meno del soggetto cui quest'ultima era imputata. L'estinzione della società non fa, tuttavia, venir meno i rapporti attivi e passivi di cui la stessa era titolare, ma comporta piuttosto una vicenda successoria (Cass. Sez. U, n. 6070 del 2013, cit.).

La regolazione dei rapporti passivi, in particolare, ruota quindi attorno al coordinamento tra il principio di garanzia patrimoniale generica ex art. 2740 cod. civ. (in relazione ai beni rientranti nella titolarità dell'ente estinto) e le norme che scandiscono la responsabilità patrimoniale dei soci per i debiti della società. E la circostanza che il socio di una società di capitali estinta risponda dei debiti di quest'ultima nei limiti di quanto attribuito in sede di liquidazione costituisce appunto la proiezione della regola che vede il patrimonio sociale oggetto, in via prioritaria, della garanzia (generica) ex art. 2740 c.c. per i debiti sorti durante l'esercizio dell'attività economica che ha caratterizzato l'oggetto sociale e solo successivamente di un'attribuzione, in via residuale, ai soci in relazione alla partecipazione detenuta nella società estinta.

Osservazioni

Il ricorso principale, secondo la Suprema Corte, era quindi fondato. Nella prospettiva sopra indicata, infatti, il socio di una società di capitali risponde anche per le obbligazioni della società estinta rimaste inadempiute, comprese allora anche quelle relative alle sanzioni pecuniarie derivanti dalla violazione di norme tributarie, seppur nei limiti di quanto attribuito nel bilancio di liquidazione.

Tale regola, afferma la Cassazione, è del resto coerente, dal punto di vista sistematico, con la previsione dell'art. 36, comma 3, d.P.R. n. 602/1973, che estende la responsabilità dei soci per il pagamento delle imposte anche a quanto ricevuto negli ultimi due periodi di imposta antecedenti alla messa in liquidazione e non solamente ai beni o al denaro ricevuto durante quest'ultima.

Il fenomeno successorio sui generis regolato nell'art. 2495, comma 3, c.c. presenta, in definitiva, una contiguità di tipo linguistico e descrittivo più che di tipo sostanziale rispetto alla disciplina delle successioni regolate nel secondo libro del codice civile, con la conseguenza che non può trovare applicazione l'art. 8 d.lgs. n. 472 del 1997 («L'obbligazione al pagamento della sanzione non si trasmette agli eredi»), non essendoci alcun margine per qualificare l'estinzione della società e la morte della persona fisica come «casi simili», ai sensi e per gli effetti di quanto previsto nell'art. 12, comma 2, prel. ai fini dell'interpretazione analogica.

In caso contrario, del resto, l'estinzione della società eliderebbe il legame di garanzia (generica) tra i beni già parte del patrimonio sociale attribuiti ai soci e l'obbligazione avente per oggetto il pagamento della sanzione tributaria, con un'evidente deroga all'art. 2740 c.c.

La Suprema Corte evidenzia, infine, anche l'irrilevanza, nel caso di specie, dell'elemento soggettivo dei soci, considerato che questi ultimi rispondono del debito relativo alla sanzione pecuniaria sulla base di un fenomeno successorio sui generis, come quello appunto descritto sopra.

Conclusioni

Nel processo tributario l'estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, determina un fenomeno di tipo successorio, in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all'ente non si estinguono – venendo altrimenti sacrificato ingiustamente il diritto dei creditori sociali - ma si trasferiscono ai soci, discendendone peraltro che i soci, in qualità di peculiari successori della società, subentrano anche, ex art. 110 c.p.c., nella legittimazione processuale facente capo all'ente, e dovendo invece escludersi la legittimazione ‘ad causam' del liquidatore della società estinta, il quale può essere destinatario di un'autonoma azione risarcitoria ma non della pretesa attinente al debito sociale (cfr., tra le tante, Cass., n. 32304 del 2019, Cass., n. 16362 del 2020 e da ultimo Cass., n. 17404 del 24.06.2024).

In definitiva, a seguito dell'estinzione della società, l'atto intestato alla società estinta ben può essere notificato ai soci, anche collettivamente ed impersonalmente, presso l'ultimo domicilio della società, analogamente a quanto previsto dall'art. 65, comma 4, d.P.R. n. 600 del 1973, per il caso di morte del debitore.

Ciò in quanto, a seguito dell'estinzione della società, si determina, come detto, un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale l'obbligazione della società non si estingue, ma si trasferisce ai soci, che ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione, o illimitatamente, a seconda che, ‘pendente societate', fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali. 

Principio di diritto da ultimo ribadito anche da Cass., n. 753/2024, secondo cui, in tema di riscossione, l'atto impositivo intestato a società di persone o di capitali estinta è valido ed efficace, anche se notificato agli ex soci collettivamente ed impersonalmente nell'ultimo domicilio della società, o singolarmente ad alcuno di essi, non essendo necessaria l'emissione di specifici atti intestati e diretti ai medesimi, giacché l'estinzione determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale i soci subentrano nelle “medesime obbligazioni” inadempiute della società.

In conclusione e a prescindere dallo specifico caso, giova evidenziare che per evitare un ingiustificato sacrificio del diritto dei creditori (compreso, naturalmente, l'Erario), è necessario escludere che la cancellazione dal registro determini la “sparizione” dei debiti insoddisfatti, assistendosi ad un trasferimento di questi in capo ai successori (soci).

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