Danno da emotrasfusione: come si liquidano il danno biologico e il danno morale da sofferenza?

16 Settembre 2024

Un ex paziente contrae l'epatite C a seguito di una trasfusione di sangue: secondo quali criteri e quale metodologia si possono liquidare il danno biologico e il danno morale da sofferenza, che caratterizzano il danno lungolatente da emotrasfusione?

Massima

La tecnica di liquidazione del danno da emotrasfusione deve tenere distintamente conto di due momenti:

  1. quello della contrazione per trasfusione;
  2. quello della insorgenza della malattia anche se non meglio specificata.

Ne segue che occorre distinguere, logicamente e temporalmente, i momenti di:

  • inoculazione infettiva (condotta colposa);
  • contrazione della malattia (evento di danno);
  • apparizione dei sintomi ovvero intervenuta consapevolezza della patologia con diagnosi (pregiudizi conseguenti risarcibili).

Il caso

L'originaria causa aveva come oggetto la richiesta di danni derivanti dall'avere contratto l'attore l'epatite cronica di tipo C nell'anno 1971 a causa di una trasfusione di sangue.

Il Tribunale aveva rigettato l'eccezione di prescrizione (sollevata dalla convenuta amministrazione) e la domanda di merito, escludendo la colpa della convenuta. Un primo gravame era stato disatteso ma, intervenuta la cassazione della sentenza, nell'avvenuto giudizio di riassunzione, la Corte territoriale aveva accolto la domanda risarcitoria liquidando il danno tenendo conto dell'età della vittima al tempo dell'insorgenza (1971).

In sede di legittimità la parte ricorrente ha dedotto, come unico motivo, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 1225, 2935 c.c., poiché la Corte di appello avrebbe errato nella liquidazione del danno, assumendo a parametro l'età del danneggiato al momento della trasfusione invece che, in coerenza con i principi afferenti al regime prescrizionale dei danni lungolatenti, al momento della percezione della malattia e quindi al tempo certo della sua diagnosi.

La questione

La liquidazione del danno lungolatente da emotrasfusione implica una netta distinzione sul piano logico e cronologico tra il momento in cui si contrae la malattia - che è giuridicamente irrilevante - e i successivi momenti che hanno, invece, una diversa rilevanza giuridica quanto alle voci distinte del danno biologico e del danno morale da sofferenza.

Le soluzioni giuridiche

La soluzione alla questione si snoda secondo due linee guida fondamentali tracciate dalla Cassazione:

  1. La Suprema Corte richiama il concetto di danno lungolatente, in cui il diritto al risarcimento del danno biologico sorge solo con riferimento al momento di manifestazione dei sintomi e non dalla contrazione dell'infezione. Il danno lungolatente, infatti, non si risolve nella semplice lesione dell'integrità psicofisica in sé e per sé considerata, bensì nelle conseguenze pregiudizievoli per la persona: di conseguenza, in mancanza di detti pregiudizi, difetta un danno risarcibile, altrimenti configurandosi un danno in re ipsa, privo di accertamento sul nesso di causalità giuridica tra evento ed effetti dannosi (Cass. civ., sez. III, 17 febbraio 2023, n. 5119, Cass. civ., sez. III, 2 settembre 2022, n. 25887);
  2. Pertanto, in tema di danni lungolatenti da emotrasfusione, è necessario distinguere tra:
    • il momento della contrazione della malattia, che è di per sé irrilevante a fini risarcitori; 
    • i successivi momenti, in cui la manifestazione di sintomi incidenti sull'integrità fisica può radicare il diritto al risarcimento del danno biologico;
    • diversamente, l'acquisita consapevolezza della specifica e grave patologia diagnosticata, eventualmente anche precedente all'apparizione dei sintomi, può far sorgere il diritto al risarcimento del danno morale da sofferenza.

Osservazioni

Il contenuto dell'ordinanza in commento - Cass. civ., sez. III, 29 gennaio 2024, n. 2725 - è occasione utile per soffermarsi, seppure sommariamente, sul concetto di danno lungolatente, per poi pervenire alla distinzione concettuale e cronologica della rilevanza di eventi che incidono o meno sulla tecnica di liquidazione delle voci del danno.

Occorre premettere che la norma di riferimento che regola la responsabilità civile è l'art. 2043 c.c., a mente del quale: «Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno». 

Il concetto di danno ingiusto è l'elemento qualificante la fattispecie in esame - nonché chiave di lettura della responsabilità civile - dovendo distinguersi tra danno-evento inteso come lesione di un interesse giuridicamente rilevante e danno conseguenza ossia le conseguenze pregiudizievoli che la vittima dell'illecito ha sofferto a causa della lesione arrecata alla situazione giuridica della quale è titolare, siano esse di tipo patrimoniale (art. 2043 c.c.) e non patrimoniale (art. 2059 c.c.).

Sul piano strutturale devono sussistere - e, quindi, grava sul danneggiato l'onere di provarne l'esistenza - i seguenti elementi costitutivi:

  • il fatto illecito
  • la condotta lesiva;
  • il nesso di causalità;
  • l'elemento soggettivo;
  • la sussistenza del danno conseguenza dell'illecito.

Nell'alveo dei danni non patrimoniali si è soliti distinguere, per ragioni meramente descrittive, tre diverse tipologie di danni:

  • danno morale che si identifica con la sofferenza interiore del soggetto per l'illecito subito;
  • danno biologico che si identifica con la lesione del diritto alla salute di un soggetto accertata da un medico legale e che, quindi, va liquidato prima di ogni altro pregiudizio trovando la sua fonte nell'art. 32 Cost, norma che tutela il diritto alla salute;
  • danno esistenziale che si identifica con la violazione dei diritti fondamentali della persona diversi dalla salute.

Tale ultima voce di danno si estrinseca in un non facere che, pur trovando il suo fondamento nell'art. 2059 c.c., è suscettibile di risarcimento se si risolve nella lesione di diritti fondamentali costituzionalmente protetti così dovendo interpretarsi, secondo l'insegnamento della Corte delle leggi, la locuzione «solo nei casi determinati dalla legge».

Fatta tale breve premessa di inquadramento sistematico, ci si soffermerà ad analizzare una tipologia di danno biologico, in particolare il cd. danno lungolatente.

Per danno lungolatente si intende un effetto dannoso che si può verificare a distanza di tempo, anche notevole, rispetto al momento in cui si è prodotto

Ciò spiega le ragioni per le quali il concetto di lungolatenza del danno è strettamente connesso a quello della prescrizione dei diritti (artt. 2934 e ss. C.c.) e della decorrenza del relativo termine in caso di danno derivante da fatto illecito (art. 2947 c.c.).

Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che il danno alla salute causato da emotrasfusione con sangue infetto costituisce una ipotesi di danno cd. "lungolatente", in cui il fatto in relazione al quale decorre il termine ex art. 2947, comma 1, c.c., coincide con il momento in cui viene ad emersione il completamento della fattispecie costitutiva del diritto, da accertarsi, rispetto al soggetto danneggiato, secondo un criterio oggettivo di conoscibilità.

Pertanto, sul piano probatorio, grava sulla parte eccipiente l'onere di allegare e provare, ai sensi dell'art. 2697, comma 2, c.c., il fatto temporale costitutivo dell'eccezione di prescrizione, ossia la prolungata inerzia dell'esercizio del diritto al risarcimento del danno, in quanto riconducibile al termine iniziale di oggettiva conoscibilità della etiopatogenesi, mentre non è tenuta ad indicare altresì le norme applicabili, essendo rimessa al giudice la sussunzione di quel fatto nello schema normativo astratto dello specifico tipo di prescrizione applicabile alla fattispecie concreta, il quale può essere anche diverso da quello indicato dalla parte e condurre all'individuazione di un termine di estinzione del diritto maggiore o minore (Cass. civ. , sez. III, 7 maggio 2021, n. 12182).

Resta inteso che la decorrenza del termine prescrizionale di cui all'art. 2947, comma 2 c.c. deve tenere conto di quanto disposto dall'art. 2935 c.c. e mente del quale «La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere». 

Sul punto la Suprema Corte ha affermato che, in caso di danno cd. lungolatente , il diritto al risarcimento del danno biologico sorge solo con riferimento al momento di manifestazione dei sintomi e non dalla contrazione dell'infezione, in quanto esso non consiste nella semplice lesione dell'integrità psicofisica in sé e per sé considerata, bensì nelle conseguenze pregiudizievoli per la persona, sicché, in mancanza di dette conseguenze, difetta un danno risarcibile, altrimenti configurandosi un danno in re ipsa, privo di accertamento sul nesso di causalità giuridica (necessario ex art. 1223 c.c.) tra evento ed effetti dannosi (v. Cass. civ. sez. III, 17 febbraio 2023, n. 5119).

Nella pronuncia in commento la Corte di legittimità, nel confermare le conclusioni cui erano già pervenuti i precedenti arresti citati, ha specificato come la tecnica di liquidazione delle voci del danno alla salute e del danno morale, in caso di danno alla salute causato da emotrasfusione con sangue infetto, deve fondarsi sul presupposto della irrilevanza del momento della contrazione della malattia (che è di per sé irrilevante a fini risarcitori) e deve tenere conto esclusivamente dei successivi momenti, in cui la manifestazione di sintomi incidenti sull'integrità fisica può radicare il diritto al risarcimento del danno biologico.

Ne consegue, altresì, che l'acquisita consapevolezza della specifica e grave patologia diagnosticata, eventualmente anche precedente all'apparizione dei sintomi, può far sorgere il diritto al risarcimento del danno morale da sofferenza.

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