Le conseguenze della violazione dell’obbligo di rendiconto nella società semplice

25 Settembre 2024

La Cassazione, in continuità con il proprio costante orientamento, ha ribadito che il cumulo delle qualifiche di socio ed amministratore non impedisce che le irregolarità o illiceità commesse dal solo amministratore di società semplice possano essere motivo sia di revoca dalla carica che di esclusione del socio.

Massima

Nelle società di persone -con la sola esclusione della Sas per la caratteristica tipologica inerente all'esistenza di due categorie distinte di soci- la violazione dei doveri del socio può essere dedotta da comportamenti che minino l'affectio societatis sia in relazione ad atti di disposizione uti socius che da atti posti in essere nell'esercizio di funzioni gestorie o di controllo, parimenti rinvenibili in automatico nel patrimonio giuridico di tutti i soci.

Il caso

La pronuncia riguarda la sorte di una delibera assembleare di esclusione da una società semplice della socia amministratrice che impugnata nanti il locale Tribunale veniva dichiarata invalida in I° con sentenza poi confermata anche in II° grado. In particolare, la Corte di Appello di Roma a motivo della propria decisione rilevava che: a) la deliberazione di esclusione contestava alla socia “perdite che la società parrebbe aver accumulato negli esercizi in cui la socia aveva ricoperto l'incarico di amministratore” ed addebitava altresì alla medesima lo “stato attuale di incertezza esclusivamente imputabile alle omissioni” della stessa; b) la genericità di tale contestazione nel corso del giudizio di I° grado era stata specificata in riferimento alla violazione dell'obbligo di rendiconto (per la presenza di perdite per €.1.089.401,80= e di ammanchi di cassa per €. 412.917,00=) che avrebbero impedito ai soci di essere informati della situazione debitoria ed adottare i necessari correttivi (interruzione attività e  liquidazione società), onde evitare il rischio di azioni dei terzi creditori; c) la dedotta violazione dell'obbligo di rendiconto non costituiva,  nella fattispecie in esame, un grave inadempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto sociale e non ne legittimava quindi l'esclusione come socia, non avendo inciso sull'affectio societatis, a nulla rilevando il sequestro conservativo subito dalla predetta socia in altro giudizio promosso per l'accertamento della responsabilità di quest'ultima, quale amministratore della stessa società, stante la diversità  oggettiva dei presupposti delle due azioni.

La società ed i soci proponevano ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte d'Appello, deducendone l'erroneità per avere ritenuto che l'omessa rendicontazione annuale per oltre 10 anni rappresenterebbe soltanto una violazione degli obblighi di amministratore, ma non costituirebbe “anche un inadempimento grave da parte del socio, tale da rendere meno agevole il conseguimento dello scopo sociale, che è quello di esercitare l'impresa collettiva  allo scopo di dividere gli utili conseguiti  e da giustificare l'esclusione della società”. Ciò in quanto nelle società di persone non è possibile distinguere la posizione di socio da quella di amministratore, con la conseguenza che anche la violazione dei doveri gestori ridonderebbe in una lesione della affectio societatis, tale da legittimare l'esclusione del socio-amministratore.

La questione

La pronuncia in commento analizza l'incidenza delle irregolarità o illiceità commesse dal socio-amministratore di società di persone sulla carica gestoria e sulle obbligazioni derivanti dal contratto sociale, con le possibili  conseguenze in termini di revoca dalla carica e di esclusione dalla compagine sociale.

Osservazioni

Nell'accogliere il ricorso proposto la sentenza in commento si pone in linea con un costante orientamento giurisprudenziale (ex pluribus,Cass., 5 settembre 2022 n. 26059), secondo il quale nelle società di persone, e ancor più nella società semplice che ne costituisce l'archetipo di base, il cumulo delle qualifiche di socio e di amministratore non impedisce che le irregolarità o illiceità commesse dal socio amministratore determinino non solo la relativa revoca dalla carica, ma anche  l'esclusione del socio per violazione dei doveri  previsti dallo statuto a tutela della finalità e degli interessi dell'ente. Ciò in considerazione del fatto che nelle società di persone la proprietà, la gestione e il controllo sono indistintamente affidati a tutti i soci e non vige la struttura organicistica propria delle società di capitali, in cui l'ente agisce per il tramite di organi diversi e distinti dai soci, con compiti e responsabilità altrettanto diversificati e le tre funzioni sopra ricordate sono, o possono essere a seconda del tipo sociale, distinte tra loro.

Sulla base di queste argomentazioni e richiamando, da un lato, il principio normativo che riconosce a tutti i soci per la semplice constatazione dell'assunzione di tale qualità, il diritto di amministrare, distinguendosi solo le modalità (disgiuntiva o congiuntiva) con cui tale attività può essere realizzata, e, dall'altro, il diritto dei soci che si astengono dall'amministrare di ricevere ex art. 2261 c.c. da chi amministra tutte le informazioni inerenti allo svolgimento degli affari sociali, ivi compreso, ove tale esclusiva gestione duri da più di un anno, il rendiconto analitico della gestione, la Suprema Corte ha concluso per l'erroneità della sentenza impugnata.

Ed infatti, contrariamente a quanto affermato dal giudice di II° grado che ha parcellizzato la rilevanza della condotta ascritta alla socia amministratrice, distinguendo erroneamente tra contestazioni inerenti alla sua posizione di socia e contestazioni connesse alla sua posizione di amministratrice della società semplice, la Cassazione afferma il principio di diritto, secondo il quale nelle società di persone, la dedotta violazione dell'obbligo di rendiconto può costituire una grave inadempienza delle obbligazioni  derivanti dal contratto sociale che incide sull'affectio societatis e legittima l'esclusione dalla compagine sociale.

Da qui la cassazione della sentenza impugnata non conforme alla costante e condivisibile giurisprudenza del Supremo collegio, con rinvio alla Corte di Appello di Roma che, in diversa composizione, provvederà a rinnovare il giudizio secondo i principi esposti.

Conclusioni

Il principio giurisprudenziale affermato nella citata pronuncia con la valorizzazione della violazione dell'obbligo di rendiconto, quale possibile causa sia di revoca dalla carica di amministratore che di esclusione del socio dalla società, trova supporto normativo nel novellato art. 2257 c.c. (testo non applicabile ratione temporis al caso deciso dalla pronuncia in commento), che per effetto dell'armonizzazione legislativa con la nuova disciplina del Codice della Crisi, prevede che la gestione societaria sia svolta nel rispetto dell'art. 2086, comma 2, c.c. ovvero con l'adozione, esclusivamente da parte degli amministratori, di un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura ed alle dimensioni dell'impresa. La novella legislativa tende infatti, in un'ottica preventiva, a responsabilizzare l'imprenditore societario o collettivo che dovrà dotarsi dell'assetto organizzativo adeguato idoneo a rilevare tempestivamente lo stato di crisi ed attivarsi, senza indugio, per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e per il recupero della continuità aziendale.

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