Inerzia del creditore e tutela giurisdizionale: i chiarimenti della Cassazione tra obblighi di buona fede, abuso del diritto e rinuncia tacita
03 Ottobre 2024
Massima In tema di locazione di immobili urbani ad uso diverso da quello abitativo, la condotta del locatore che, dopo essere stato inerte nell'escutere il conduttore - anche se per un fatto a lui imputabile e per un tempo tale da far ragionevolmente ritenere al debitore che il diritto non sarà più esercitato - richiede l'integrale pagamento dei canoni maturati non è sufficiente ad integrare un contegno concludente da cui desumere univocamente la tacita volontà di rinunciare al diritto, né rappresenta un caso di abuso del diritto, perché il semplice ritardo di una parte nell'esercizio delle proprie prerogative può dar luogo ad una violazione del principio di buona fede nell'esecuzione del contratto soltanto se, non rispondendo ad alcun interesse del suo titolare, si traduce in un danno per la controparte. Il caso In accoglimento delle domande della società locatrice, il Tribunale adito dichiarava risolto il contratto di locazione commerciale di un immobile, per inadempimento del conduttore, e condannava quest'ultimo al pagamento dei canoni scaduti. La decisione di primo grado era integralmente confermata dalla Corte d'appello, che rigettava il gravame del conduttore, il quale proponeva ricorso per cassazione. Per quanto qui di interesse, il conduttore censurava la sentenza d'appello, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., lamentando la violazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. In tesi del ricorrente, la condotta della società locatrice, che aveva preteso in via cumulativa il pagamento di 52 canoni di locazione senza aver mai chiesto nulla in precedenza, avrebbe comportato la violazione dei principi di buona fede e correttezza nell'esecuzione del contratto, configurando perciò un abuso del diritto. Ciò che la Corte d'appello aveva negato, ritenendo che il ritardo nell'azionare un credito non desse luogo ad abuso del diritto da parte del creditore - e sottolineando che, nella concreta fattispecie, l'inerzia della locatrice, sebbene inusuale, ben si spiegava in considerazione dell'intervenuto pignoramento immobile locato. La questione La questione oggetto della pronuncia in esame è così riassumibile: se, e a quali condizioni, l'inerzia del creditore nell'esercitare il diritto - ferma la sua rilevanza per il decorso del termine prescrizionale - sia idonea a integrare:
Le soluzioni giuridiche Con l'ordinanza in commento, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso del conduttore. Nel suo iter motivazionale, la pronuncia si è subito soffermata sui principi di cui a Cass. 14 giugno 2021 n. 16743, richiamata dal ricorrente a sostegno delle sue censure. Con tale precedente, in materia di locazione di immobili ad uso abitativo, la Corte di legittimità aveva ritenuto abusiva la condotta del locatore che formuli improvvisa richiesta di integrale pagamento dei canoni maturati, dopo avere mantenuto, in relazione a tale pretesa, totale inerzia per un lasso di tempo considerevole, così ingenerando nel conduttore un affidamento sulla remissione del debito per facta concludentia; ciò in quanto il principio di buona fede, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c., che trova applicazione anche nell'esecuzione dei contratti di durata, opera “quale canone generale di solidarietà integrativo della prestazione contrattualmente dovuta”, a prescindere da specifici vincoli negoziali, e “impegna ciascuna delle parti a preservare l'interesse dell'altra nei limiti del proprio apprezzabile sacrificio”. Secondo la pronuncia in commento, tuttavia, tali principi non valevano a fondare le ragioni del conduttore ricorrente, atteso che, nella concreta fattispecie:
Ciò premesso in relazione al caso di specie, l'ordinanza in commento ha ritenuto – e in ciò sta il rilievo anche dogmatico della pronuncia – di prendere espressamente le distanze dalle conclusioni cui era pervenuta Cass. 14 giugno 2021 n. 16743, siccome implicanti “una incondizionata apertura all'operatività, nell'ordinamento italiano, di un istituto ad esso sconosciuto, consistente nella Verwirkung del diritto tedesco, quale consumazione del diritto collegato all'inattività (Rechtsverschweigung) del titolare”. In particolare, l'istituto della Verwirkung, codificato dal legislatore germanico, si regge sul principio (derivato quale corollario del canone della buona fede) per cui, anche prima che sia decorso il termine di prescrizione, il mancato esercizio di un diritto per un apprezzabile arco di tempo, imputabile al creditore e tale da far sorgere nel debitore il ragionevole affidamento sulla definitività dell'inerzia, implica l'abusività del successivo esercizio del diritto medesimo, poiché caratterizzato da sleale ritardo, e perciò immeritevole di tutela giurisdizionale. Ad avviso della Corte, il principio sotteso a tale peculiare istituto non può trovare automatico e generale ingresso nell'ordinamento domestico, neppure (pare leggersi tra le righe della motivazione) facendo leva sull'elasticità dei principi di buona fede e correttezza. Piuttosto, come evidenzia la pronuncia, la clausola generale di buona fede impone di preservare l'interesse dell'altro contrante, anche a prescindere da specifici obblighi di fonte legale o pattizia; ciascuna parte è così tenuta a orientare la propria condotta in modo tale da salvaguardare l'utilità della controparte, nonché a tollerare l'altrui inadempimento, qualora non sia tale da pregiudicare in misura apprezzabile il proprio interesse. In quest'ottica, sottolinea l'ordinanza, “il semplice ritardo di una parte nell'esercizio di un diritto […] può dar luogo ad una violazione del principio di buona fede nell'esecuzione del contratto soltanto se, non rispondendo esso ad alcun interesse del suo titolare, correlato ai limiti e alle finalità del contratto, si traduca in un danno per la controparte”. Altro ancora è parlare di rinuncia tacita, la quale può unicamente desumersi da un comportamento concludente del creditore (in generale, dal titolare della situazione giuridica soggettiva attiva) che ne riveli la “univoca volontà di non avvalersi del diritto”, laddove invece “l'inerzia o il ritardo” non equivalgono, di per sé, a volontà abdicativa, “potendo essere frutto di ignoranza, di temporaneo impedimento o di altra causa, e spiegano rilevanza soltanto ai fini della prescrizione estintiva” (così sempre la pronuncia della Cassazione in oggetto). All'esito, facendo applicazione di tali principi al caso concreto, la pronuncia ha escluso che l'inerzia del locatore, sebbene protratta, fosse contraria a buona fede, e rendesse perciò abusiva la pretesa di pagamento en bloc dei canoni scaduti; del pari, ha escluso che fossero integrati i presupposti della rinuncia tacita. Osservazioni Con l'ordinanza in commento, la Corte di legittimità ha inteso fare chiarezza sulle variabili conseguenze dell'inerzia del creditore nell'esercizio del diritto, offrendo una serie di utili coordinate interpretative. Trattasi di questioni di notevole impatto, che intersecano le esigenze di certezza del traffico giuridico, talora minate da ricostruzioni che, muovendo dal principio di buona fede, traggono conclusioni ingiustamente penalizzanti per l'interesse del creditore. In primo luogo, assumendo una posizione netta, la Corte ha escluso che nel nostro ordinamento possa trovare piana applicazione lo schema della Verwirkung tedesca, conducente al diniego di tutela in caso di prolungata (e imputabile) inerzia del creditore, idonea a generare un affidamento sul definitivo non esercizio del diritto. Affinché l'inerzia nell'esercizio di un diritto non ancora prescritto si tinga di abusività, non è sufficiente il riscontro degli elementi costitutivi della Verwirkung: il ritardo, benché imputabile, e nonostante sia tale da far ritenere al debitore che il diritto non sarà più esercitato, “non può costituire motivo per negare la tutela giudiziaria dello stesso”. Per discorrere di abuso del diritto (sebbene anche tale figura, non codificata, non sempre assuma contorni ben definiti), lamentando la violazione del principio di buona fede, è richiesto un quid pluris: occorre cioè che il ritardo, da un lato, non risponda ad alcun interesse obiettivo del creditore, e dall'altro si traduca in un danno per l'altro contraente (in spregio all'obbligo di reciproca salvaguardia cui sono tenute le parti). La precisazione vale a delimitare le ipotesi di esercizio abusivo (come tale non degno di tutela) del diritto per inerzia, relegandole a casi di macroscopica ed evidente mala fede, fonte di pregiudizio per il debitore. Peraltro, eccettuate le ipotesi per così dire patologiche di condotte sostanzialmente emulative, non si può trascurare che
Sicché il diniego di tutela giurisdizionale - che, va ricordato, è presidio di rango costituzionale, ai sensi dell'art. 24 Cost., non può che restare confinato a peculiari fattispecie concrete. Del resto, ad avviso di chi scrive, anche nel caso di ritardo effettivamente ‘abusivo' nel senso precisato, non pare irragionevole sostenere che il creditore resti legittimato a pretendere l'adempimento, anche per via giudiziale, esponendosi tuttavia all'azione risarcitoria del debitore che, per effetto della condotta contraria a buona fede, abbia patito un pregiudizio. In questa prospettiva, le conseguenze dell'abuso dovrebbero collocarsi sul piano risarcitorio, senza che venga meno l'azionabilità del credito (la questione, in questa sede solo accennata, investe la problematica categoria dell'abuso del diritto). Per quanto attiene alla possibilità di ascrivere all'inerzia valore di rinuncia implicita, va rimarcato come si tratti di ipotesi diversa da quella dell'abuso, da ricondurre alla fattispecie estintiva di cui all'art. 1236 c.c. (remissione del debito); in proposito, sulla scia del consolidato orientamento di legittimità, l'ordinanza ha ribadito che la volontà di rinunciare, benché tacita, deve essere univoca e desumibile da un significativo comportamento concludente, a tal fine non essendo sufficiente la mera inerzia. Alla luce dei principi indicati dalla pronuncia in commento, si può concludere che la condotta inerte del creditore è idonea ad assumere diverse sfumature e gradazioni, cui corrispondono variabili conseguenze giuridiche:
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