Il difficile equilibrio tra tutela del mercato, diritto di opzione e autonomia privata
02 Ottobre 2024
Massima In tema di società a responsabilità limitata, è valida ed efficace la clausola statutaria che individui una specifica situazione al ricorrere della quale il socio è obbligato all'alienazione della quota di partecipazione al capitale della società senza una previa manifestazione di volontà da parte dell'assemblea, non potendo tale decisione essere parificata all'ipotesi di esclusione di cui all' art. 2473-bis c.c. che, invece, richiede, sia pure non espressamente, la decisione dei soci. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva dichiarato valida ed efficace una clausola contenuta nello statuto di una s.r.l. che prevedeva l'obbligo dei soci di minoranza, alla cessazione, per qualsiasi motivo, dell'attività lavorativa per le società controllate o collegate, di offrire in acquisto agli altri soci le proprie quote di partecipazione al capitale della società). Il caso Tre soci di una s.r.l. propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Torino, depositata il 30 giugno 2021, di reiezione del ricorso in appello, per la riforma della sentenza del locale Tribunale che aveva respinto le domande dai medesimi avanzate di declaratoria di nullità dell'art. 9, par. 2, dello Statuto della Società di Gestione delle partecipazioni nella Alfa S.r.l. e aveva accertato il loro inadempimento dell'obbligo ivi previsto di offrire in acquisto agli altri soci le loro quote di partecipazione al capitale della società medesima al valore del patrimonio netto; Giova ravvisare come la Corte di appello abbia dato atto che gli attori fossero già dirigenti della Alfa Spa e, in forza dell'adesione a un piano di incentivazione rivolto a dipendenti e amministratori, titolari di quote di minoranza della Beta S.r.l. (avente quale socio di maggioranza e, in virtù di un patto di sindacato, esercente il controllo unitamente ad alcuni istituti di credito la Gamma S.r.l.) e che la clausola impugnata prevedeva l'obbligo dei soci di minoranza, alla cessazione, per qualsiasi motivo, dell'attività lavorativa per le società controllate o collegate, di offrire in acquisto agli altri soci le loro quote di partecipazione al capitale della società al valore del patrimonio netto e non al prezzo di mercato. Sul piano ricostruttivo e qualificatorio, il Tribunale aveva ravvisato che la clausola statutaria integrasse una lecita fattispecie di esclusione del socio e che sussistesse il requisito della giusta causa, in relazione al venir meno del rapporto di lavoro; peraltro, si era ritenuto che il criterio del valore di mercato previsto per la liquidazione della quota fosse derogabile; allo stesso modo, si era sancito che non sussistevano i presupposti per il recesso ad nutum, prospettato sul fondamento della durata a tempo indeterminato dalla società e che la Gamma S.r.l. non era qualificabile quale patto parasociale finalizzato a mantenere il controllo di Tizio, socio unico della Gamma Srl , sulla Alfa Sistema Spa. Il ricorrente ha dedotto, nel ricorso per cassazione, che l'obbligazione di vendere la quota fosse, invero, più correttamente qualificabile quale obbligo di recesso. In particolare, si è ravvisato che: a) il venir meno dell'attività lavorativa costituiva una giusta causa di esclusione; b) non sussisteva la denunciata disparità di trattamento rispetto alla posizione di Tizio; c)il criterio del valore di mercato era derogabile e consentiva un'equa valorizzazione della quota sociale; d)la circostanza che la società avesse una durata fino all'anno 2050 non consentiva di poter ritenere cha la durata fosse a tempo indeterminato e, conseguentemente, che sussistesse il diritto dei soci al recesso ad nutum. La questione La pronuncia in commento consente di valutare il perimetro operativo dell'autonomia privata, con riguardo alla cessione di quote in s.r.l. Da un lato, si pone la tutela del mercato e la libera circolazione dei traffici giuridici; dall'altro, occorre avere riguardo all'autonomia statutaria che può subordinare il trasferimento delle quote a clausole di gradimento o mero gradimento o, ancora, può prevedere peculiari obblighi di prelazione. L'art. 2469, comma 1, c.c., in tema di s.r.l., stabilisce la libera trasferibilità delle quote per atto tra vivi e a causa di morte, facendo salva una diversa disposizione dell'atto costitutivo. Quest'ultimo inciso normativo trova la sua estrinsecazione nelle clausole limitative della circolazione delle partecipazioni, nell'ambito delle quali deve certamente ricomprendersi la clausola di prelazione, la cui presenza nell'atto costitutivo obbliga il socio che voglia alienare la propria quota a offrirla agli altri soci, i quali avranno diritto di acquistarle alle medesime condizioni concordate con i terzi. In presenza di una clausola statutaria di prelazione non dettagliata: 1) è necessario che la proposta contenga tutti gli elementi essenziali minimi del contratto di cessione di quote sociali; 2) al fine di stabilire se il soggetto passivo del rapporto di prelazione abbia l'obbligo di indicare anche il nome del terzo interessato all'acquisto, si deve ricorrere ai criteri di cui agli artt. 1362 ss. c.c., individuando le finalità che la clausola tutela, sì che l'indicazione del nominativo del terzo è da ritenere necessaria tutte le volte in cui la clausola di prelazione – alla stregua degli elementi del caso concreto forniti dal tipo sociale, dalla compagine societaria preesistente, dall'entità della percentuale da trasferire, ecc. – risulti posta anche a tutela dell'interesse del socio a influire, mediante la sua decisione se acquistare o no, sulla possibilità di ingresso in società di un soggetto a lui non gradito (Cagnasso, Il recesso, in Abriani, Cagnasso, Montalenti, Ambrosini, Le società per azioni, in Tratt. Dir. Comm. diretto da Cottino, Padova, 2010, IV, I, 963; Callegari, Note in tema di condizione e revoca del recesso, in Giur. It., 2007, 2775; Caruso, Inizio e cessazione della direzione e coordinamento e recesso del socio, Torino, 2012, 209; Delli Priscoli, Delle modificazioni dello statuto. Diritto di recesso, in Comm. C.C. fondato da Schlesinger, diretto da Busnelli, Milano, 2013, 125 ss.). La denuntiatio, prevista dalla clausola di prelazione in caso di trasferimento delle quote di una società a responsabilità limitata, non si sostanzia dunque nella mera enunciazione della sola intenzione di vendere la propria quota, ma integra una vera e propria proposta contrattuale, che, come tale, deve contenere tutti gli elementi essenziali del contratto che si intende concludere. L'atto di trasferimento delle quote eseguito in violazione della clausola di prelazione è inopponibile alla società. Osservazioni La sentenza de qua ha il pregio di determinare il perimetro operativo dell'autonomia privata e statutaria. I soci di una S.r.l. possono stabilire convenzionalmente limitazioni più o meno ampie alla facoltà di trasferire liberamente le quote di loro titolarità, prevedendo apposite clausole di intrasferibilità (lock-up), gradimento, prelazione e covendita (drag along, bring along, tag along), in modo da assicurare la stabilità dell'assetto della compagine sociale. I soci godono di larga autonomia hanno sia nella scelta della tipologia di limitazione che vogliono introdurre, che nella collocazione di dette restrizioni, le quali possono trovare collocazione nei patti parasociali ovvero all'interno dello statuto sociale, con conseguenze diverse in termini di efficacia e di rimedi per il caso di violazione. Tali clausole devono essere predisposte in modo accurato e completo, per renderle pienamente efficaci ed evitare problemi applicativi (Vedasi Zanarone, Della società a responsabilità limitata, in Comm. C.C. fondato da Schlesinger, diretto da Busnelli, Milano, 2010, I, 815; Stella Richter jr., Diritto di recesso e autonomia statutaria, in Riv. Dir. Comm., 2004, 408; Id., In tema di recesso dalla società a responsabilità limitata, in Riv. Dir. Comm., 2020, I, 18; Ciocca, Il recesso del socio dalla società a responsabilità limitata, in Riv. Dir. Comm., 2008, I, 202; Tanzi, Art. 2473, in Società di capitali. Commentario, a cura di Niccolini, Stagno d'Alcontres, Napoli, 2004, 1537). La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 18891, ha confermato la legittimità di una clausola statutaria che obbliga un socio a vendere la sua quota di partecipazione in una s.r.l. in specifiche circostanze, senza necessità di una delibera dell'assemblea. Questa clausola stabilisce che, se un socio che detiene una quota minoritaria in una s.r.l. e presta lavoro per tale società o per società da essa controllate o ad essa collegate, cessa tale attività per qualsiasi motivo, deve offrire in vendita agli altri soci le sue quote al valore del patrimonio netto corrispondente. La Corte d'Appello di Torino, con la sentenza n. 757/2021, aveva già ritenuto valida questa clausola di recesso obbligatorio, distinguendola dall'esclusione del socio, che richiede una delibera assembleare secondo l'art. 2287 c.c. La Corte ha spiegato che, sebbene la perdita dei requisiti personali possa giustificare l'esclusione di un socio, in questo caso si tratta di un obbligo di vendita delle quote, applicabile secondo gli artt. 2473-bis e 2473 c.c. Il ricorso in Cassazione da parte di uno dei soci obbligati alla vendita contestava l'errata qualificazione della clausola come recesso obbligatorio e non esclusione. Si criticava, inoltre, la soluzione di ritenere la cessazione del rapporto di lavoro, “per qualsiasi ragione o causa”, una giusta causa di esclusione (o, comunque, di recesso obbligatorio). La Suprema Corte ha respinto queste obiezioni, sottolineando che la clausola statutaria non richiede una delibera assembleare per la vendita delle quote e che è legittimo imporre ai soci il possesso di determinati requisiti, senza margini di discrezionalità. Inoltre, la Corte ha chiarito che l'uscita del socio non è stata forzata, ma prevista da una clausola convenzionale di recesso, distinguendola dall'esclusione forzata. Mentre nella disciplina delle s.p.a., l'art. 2437-bis c.c. prevede che il recesso sia esercitato “mediante lettera raccomandata”, lasciando intendere che essa deve contenere una dichiarazione di volontà del socio indirizzata alla società. Tale comunicazione costituisce quindi l'atto di esercizio del recesso, che è configurato dalla legge quale diritto del socio (Frigeni, Il diritto di recesso, in Le società a responsabilità limitata, a cura di Ibba e Marasà, Milano, 2020, I, 1083; Revigliono, Il recesso nella società a responsabilità limitata, Milano, 2008, 296; Salvatore, Art. 2473, in Della società a responsabilità limitata, a cura di Santini, Salvatore, Benatti, Garesio e Paolucci, in Comm. C.C. Scialoja-Branca, a cura di De Nova, Bologna, 2022, 503). Le disposizioni sulla s.r.l., invece, rimettono all'autonomia statutaria l'individuazione delle modalità di esercizio del recesso e si discute se, nel silenzio dello statuto, si debba applicare per analogia la disciplina delle s.p.a. o se invece prevalga il principio generale di libertà delle forme. In ogni caso, sembra indiscussa la necessità che il socio manifesti la propria volontà di recedere. In dottrina e giurisprudenza è diffusa l'affermazione per cui il recesso sarebbe un negozio unilaterale recettizio, benché rimanga ampiamente dibattuta l'individuazione degli effetti della dichiarazione e del momento in cui si producono. Infatti, secondo la tesi prevalente in dottrina, la dichiarazione di recesso non comporterebbe l'immediata cessazione dello status socii, ma avrebbe l'effetto di aprire il procedimento per la liquidazione delle partecipazioni. La tesi opposta, minoritaria in dottrina ma ben rappresentata nella giurisprudenza, applica invece la norma generale dell'art. 1373 c.c. e ritiene che gli effetti si producano interamente già nel momento in cui la dichiarazione è ricevuta. Peraltro, ancorché gli interpreti tendano a escludere un'assimilabilità del recesso del socio al recesso dal contratto di diritto comune, anche l'art. 1373 c.c. presuppone la volontà della parte che intende recedere, disciplinando la “facoltà di recedere dal contratto”. In generale si può dunque osservare che il legislatore impiega il termine “recesso” per indicare il diritto di sciogliersi unilateralmente da un vincolo contrattuale, che si esercita comunicando alla controparte la propria volontà. Nel caso di specie, tuttavia, la Corte ha qualificato la clausola statutaria in termini alla stregua di un “obbligo di recesso (recesso vincolato-obbligatorio)”. Nell'ipotesi di un recesso obbligatorio, indipendente dalla volontà del socio, si può porre la questione se sia necessaria una dichiarazione del socio uscente. Se infatti il recesso non è frutto di una scelta del recedente e non è un diritto che vada da costui esercitato, la manifestazione della sua volontà potrebbe apparire superflua, se non addirittura mera occasione di ostruzionismo. Conclusioni Pienamente condivisibile, dunque, sembra il principio affermato nella pronuncia qui commentata, a soluzione di un problema affrontato ex professo dalla giurisprudenza di merito e da quella di legittimità. La decisione pare essere, peraltro, allineata ai principi di tutela del mercato, operando un bilanciamento di interessi con il principio di autonomia statutaria. Si è ribadita, infatti, la valida di una clausola statutaria che imponga ai soci di possedere determinati requisiti, accertabili senza margini di discrezionalità (Annunziata, Art. 2473, in Commentario alla riforma delle società diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi e Notari, Milano, 2008, 515; Cagnasso, La società a responsabilità limitata, in Tratt. Dir. Comm. diretto da Cottino, Padova, 2007, V, 163; Callegari, Il recesso del socio nella s.r.l., in Le nuove s.r.l. diretto da Sarale, Bologna, 2008, 244). Infatti, risulta meritevole di tutela l'interesse a che la compagine sociale sia composta da soci aventi determinati requisiti soggettivi, in quanto funzionale al mantenimento della sua omogeneità soggettiva e del conseguente assetto organizzativo; In tal senso, può osservarsi che la disciplina in tema di trasferimento delle partecipazioni nelle società a responsabilità limitata consente l'introduzione di clausole statutarie che prevedono limiti alla circolazione delle stesse (art. 2469 c.c.) e tali limiti ben possono avere carattere soggettivo, in relazione alle qualità dei potenziali cessionari. |