La confisca edilizia, conseguente alla mancata demolizione dell'immobile abusivo da parte del responsabile dell'abuso e del proprietario, deve preservare il diritto di ipoteca iscritto dal creditore prima della trascrizione dell'acquisto a favore del Comune, se il creditore ipotecario non è responsabile dell'abuso. È quanto si legge nella sentenza della Corte Costituzionale depositata il 3 ottobre 2024 nella quale è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 7 c. 3 L. 47/1985 nei termini di seguito meglio precisati.
Il Consigliere della II Sezione e delle Sezioni Unite civili della Cassazione, Aldo Carrato, ricostruisce la complessa vicenda procedimentale e approfondisce con puntuali osservazioni.
Massima
È costituzionalmente illegittimo l'art. 7 c. 3 L. 47/1985 (Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), nella parte in cui non fa salvo il diritto di ipoteca iscritto a favore del creditore, non responsabile dell'abuso edilizio, in data anteriore alla trascrizione nei registri immobiliari dell'atto di accertamento dell'inottemperanza alla ingiunzione a demolire.
È, altresì, incostituzionale, in via consequenziale, ai sensi dell'art. 27 L. 87/1953 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l'illegittimità costituzionale dell'art. 31 c. 3 primo e secondo periodo DPR 380/2001, nella parte in cui non fa salvo il diritto di ipoteca iscritto a favore del creditore, non responsabile dell'abuso edilizio, in data anteriore alla trascrizione nei registri immobiliari dell'atto di accertamento dell'inottemperanza alla ingiunzione a demolire."
L'articolata vicenda giudiziale
La vicenda processuale approdata all'esame della Corte costituzionale e definita con la sentenza in oggetto prende le mosse da lontano, essendone state investite – successivamente allo svolgimento dei gradi di merito – la III Sezione civile della Corte di cassazione, che, con ordinanza interlocutoria (Cass. 30 dicembre 2022 n. 38143), rimise la controversa tematica alle Sezioni unite (trattandosi di questioni di massima di particolare importanza), le quali, a loro volta, con altra ordinanza interlocutoria (Cass. SU 8 gennaio 2024 n. 583), hanno rimesso la questione alla Corte costituzionale, evidenziando dei possibili profili di illegittimità costituzionale.
Ma procediamo con ordine.
LA VICENDA
Nel 1993 una società, facendo valere una sua ragione di credito, chiese ed ottenne dal Tribunale di Palermo un decreto ingiuntivo nei confronti dei propri debitori per una somma – oggi convertita i euro – di circa 114.870 euro, in forza del quale iscrisse ipoteca su un fondo di proprietà degli stessi debitori.
Successivamente all'iscrizione ipotecaria, la società creditrice cedette il suo credito ad altra società.
Con provvedimento del settembre 1994, sopravvenuto circa otto mesi dopo l'iscrizione dell'ipoteca, il Comune di Agrigento trascrisse provvedimento di acquisizione gratuita al patrimonio del Comune, ai sensi dell'art. 7 L. 47/1985, di un immobile costruito sul fondo gravato da ipoteca in assenza di autorizzazione, unitamente “all'area di sedime e pertinenziale” circostante l'immobile abusivo (quest'ultima pari al decuplo dell'area occupata dal manufatto abusivo).
A seguito di precetto ritualmente notificato, la società creditrice cessionaria iniziò l'esecuzione forzata, pignorando sia il terreno - nei confronti dei debitori - che il fabbricato sullo stesso realizzato nei riguardi del Comune di Agrigento, provvedendo, altresì, a rinnovare l'ipoteca giudiziale iscritta sul fondo.
Il giudice dell'esecuzione rigettò l'istanza di vendita proposta dalla creditrice pignorante dichiarando “improseguibile” l'esecuzione forzata, sul presupposto che l'acquisizione al patrimonio del Comune dell'immobile abusivo aveva comportato l'estinzione dell'ipoteca iscritta sul fondo sul quale l'immobile era stato edificato.
Avverso tale ordinanza del G.E., la medesima creditrice propose opposizione agli atti esecutivi, che, tuttavia, il Tribunale agrigentino respinse con apposita sentenza, condividendo l'impianto argomentativo a cui aveva posto riferimento il giudice dell'esecuzione, ovvero ritenendo che:
l'acquisizione al patrimonio del Comune di un immobile abusivo costituisce un modo di acquisto a titolo originario, con cancellazione di tutti i diritti reali di garanzia gravanti sul bene;
nel caso di specie “non sembravano emergere altre aree non colpite dal provvedimento comunale”;
era irrilevante che il creditore ipotecario – il quale non potendo disporre del bene ipotecato, nemmeno può ritenersi inciso dal provvedimento ablatorio - non abbia avuto notizia del procedimento ablatorio e del provvedimento che lo concluse, “non avendo alcuna legittimazione ad impugnare” tali provvedimenti dinanzi al giudice amministrativo.
Contro la pronuncia del tribunale di Agrigento, la società creditrice opponente (posta, nelle more, in liquidazione) propose ricorso per cassazione sulla scorta principalmente dei seguenti motivi:
con il motivo centrale la ricorrente ebbe a denunciare la violazione e falsa applicazione dell'art. 31 c. 3 DPR 380/2001 in relazione all'art. 40 c. 6 L. 47/1985, deducendo che il Tribunale aveva erroneamente ritenuto che l'effetto ablatorio in favore del Comune si verificasse pure in caso di sanabilità dell'immobile, anche da parte del terzo non autore dell'abuso, non proprietario della cosa ma che vantava diritti sulla cosa;
con altro correlato motivo la ricorrente lamentò la violazione e falsa applicazione dell'art 117 Cost. in relazione all'art. 7 CEDU e agli artt. 1 e 6 del protocollo addizionale, sostenendo che la soluzione adottata dal Tribunale aveva prodotto l'ingiusto ed irragionevole effetto di privarla, quale creditrice ipotecaria, incolpevole ed ignara, della garanzia reale di cui era titolare. Aggiunse, altresì, la ricorrente che le garanzie reali dei crediti godono delle medesime guarentigie accordate dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'Uomo al diritto di proprietà, con la conseguenza che quelle garanzie non possono essere “espropriate” senza tutele e senza contropartita. Concluse, quindi, rappresentando che, avendo il giudice nazionale il dovere di interpretare la norma interna in conformità ai princìpi della CEDU, il Tribunale avrebbe dovuto, alternativamente o ritenere nulli i procedimenti ablatori cui il creditore ipotecario non sia stato messo in condizione di partecipare ovvero consentire al creditore ipotecario di proseguire l'esecuzione anche nei confronti dell'Amministrazione comunale.
Il ricorso per cassazione veniva assegnato alla III Sezione civile, competente tabellarmente per le controversie in materia di esecuzione forzata.
All'esito di un complesso percorso logico-giuridico e ponendo in risalto lo stato della giurisprudenza di legittimità, di quella amministrativa, di quella costituzionale e di quella convenzionale, detta Sezione – con la richiamata ordinanza interlocutoria Cass. 30 dicembre 2022 n. 38143– intese rimettere alle Sezioni unite la questione di massima particolare importanza involta dai motivi di ricorso, chiedendo, in particolare, al supremo consesso nomofilattico della giurisdizione civile, verificata la compatibilità tra l'art. 7 L. 47/1985 (oggi, art. 31 DPR 380/2001), come sinora interpretato dalla stessa Corte di cassazione, ed i princìpi stabiliti dalla Corte EDU, di stabilire come la suddetta norma dovesse coordinarsi con quei princìpi, ed in particolare se, in un contesto come quello oggetto del giudizio:
sia consentito al creditore ipotecario coltivare l'esecuzione forzata, al fine di pervenire ad una vendita sottoposta alla condizione sospensiva dell'assunzione dell'obbligazione di demolire l'abuso o della presentazione d'una domanda di sanatoria, ad instar di quanto previsto dall'art. 40 L. 47/1985 (oggi, art. 46 c. 4 DPR 380/2001);
oppure il principio per cui la confisca urbanistica travolga le ipoteche precedentemente iscritte debba ritenersi incompatibile con gli artt. 6 e 7 CEDU, nonché con l'art. 1 Protocollo, ed in tal caso se la lettera della legge consenta una interpretazione costituzionalmente orientata, e quale, ovvero, nel caso opposto, se non sia necessario qualificare la relativa questione di conformità alla Carta fondamentale della disciplina suddetta rilevante e non manifestamente infondata per contrarietà alla normativa convenzionale.
La questione è, quindi, giunta alle Sezioni unite, le quali, però, hanno ritenuto che non potesse essere risolta con un intervento nomofilattico univoco, prospettandosi dei possibili sospetti di incostituzionalità nella lettura interpretativa che dell'applicazione dell'art. 7 L. 47/1985 aveva fatto la stessa giurisprudenza di legittimità, risultando necessario anche confrontarsi con i principi della CEDU in tema di tutela delle garanzie del “creditore incolpevole” rispetto alle vicende coinvolgenti interessi di terzi.
La questione
E allora le Sezioni unite, con ordinanza interlocutoria (ass. SU 8 gennaio 2024 n. 583, hanno sollevato le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 7 c. 3 L. 47/1985 (Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive) e dell'art. 31 c. 3 DPR 380/2001, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia. (Testo A)», per violazione degli artt. 3, 24, 42, e 117 c. 1 Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, nella parte in cui «non prevedono – in caso di iscrizione di ipoteca giudiziale su un terreno sul quale sia stato costruito un immobile abusivo, immobile gratuitamente acquisito al patrimonio del comune – la permanenza dell'ipoteca sul terreno a garanzia del creditore ipotecario».
La questione investiva la complessa intersezione tra l'esecuzione forzata, l'acquisizione comunale di un bene e i diritti del creditore ipotecario, risultando incentrata sulla valutazione della compatibilità tra l'acquisizione comunale di un bene abusivo e la permanenza dell'ipoteca iscritta precedentemente.
Il Collegio delle Sezioni unite – dopo aver rilevato l'impossibilità di pervenire ad un'interpretazione adeguatrice ovvero costituzionalmente orientata – ha sollevato le suddette questioni di legittimità, ritenendo configurabile:
una possibile violazione dell'art. 3 Cost., inteso come principio di ragionevolezza, sottolineando, cioè, come sia paradossale che un creditore che abbia iscritto un'ipoteca su un bene immobile, senza alcuna responsabilità nell'abuso edilizio e nel conseguente rifiuto di procedere alla demolizione dell'immobile, si veda cancellato il suo diritto di ipoteca senza poter partecipare al procedimento;
un'ulteriore possibile violazione dell'art. 24 Cost., correlato alla tutela esecutiva, evidenziando come il creditore ipotecario – pur essendo titolare di una garanzia che gli consente di soddisfare le proprie ragioni attraverso il diritto di sequela e la possibilità di procedere all'espropriazione del bene – vedrebbe pregiudicato il suo legittimo diritto;
infine, un'ulteriore possibile violazione dell'art. 117 c. 1 Cost., collegato con l'art. 42 Cost., in considerazione del contrasto tra la norma in esame e l'art. 1 del Protocollo addizionale della CEDU, sul presupposto che la norma contestata, nel dirimere il conflitto tra il potere di acquisizione del Comune e il diritto del creditore ipotecario, si porrebbe in contrasto con l'interpretazione consolidata della Corte EDU sull'art. 1 del Protocollo addizionale.
La soluzione giuridica dettata dalla Corte Costituzionale
La risposta arrivata al riguardo dalla Corte costituzionale (C.Cost. 3 ottobre 2024 n. 160) è stata positiva, ovvero nel senso dell'accoglimento della sollevata questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 7 c. 3 L. 47/1985 (Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), dichiarando la non conformità alla Costituzione di detta norma nella parte in cui non fa salvo il diritto di ipoteca iscritto a favore del creditore, non responsabile dell'abuso edilizio, in data anteriore alla trascrizione nei registri immobiliari dell'atto di accertamento dell'inottemperanza alla ingiunzione a demolire.
Il Giudice delle leggi – nel giungere a tale esito – ha ritenuto ingiustificata la pregressa interpretazione operata dalla giurisprudenza di legittimità e del Consiglio di Stato (costituente il c.d. “diritto vivente”), in base alla quale era stata attribuita alla confisca edilizia la qualificazione di acquisto a titolo originario, con conseguente estinzione, in mancanza di una diversa previsione di legge, di «eventuali ipoteche, pesi e vincoli preesistenti». Da tale qualificazione – e in assenza di una previsione di legge che specifichi la sorte dei diritti reali minori – il diritto vivente aveva fatto conseguire l'assunto secondo cui «eventuali ipoteche, pesi e vincoli preesistenti vengono caducati unitamente al precedente diritto dominicale, senza che rilevi l'eventuale anteriorità della relativa trascrizione o iscrizione». In altri termini, la precedente giurisprudenza tendeva ad assimilare, «quoad effecta, al “perimento del bene”, vicenda della quale l'art. 2878 c.c. predica, come conseguenza, l'estinzione del diritto reale di garanzia»; da ciò derivava l'irrilevanza delle norme sull'ipoteca, che attribuiscono al creditore ipotecario il diritto di sequela sul bene e il diritto a essere soddisfatto con preferenza in sede espropriativa.
La Corte costituzionale, preso atto di tale interpretazione, ha – del tutto condivisibilmente - ritenuto irragionevole e sproporzionato che non sia fatto salvo il diritto di ipoteca, ove il creditore titolare di tale garanzia reale non sia responsabile dell’abuso edilizio. In tal caso, infatti, il creditore non è tenuto a rispondere della mancata demolizione dell’immobile abusivo, vale a dire dell’illecito al quale consegue la sanzione della confisca. Pertanto, ove fosse ritenuta scaturente l’estinzione del diritto di ipoteca, si finirebbe per far subire al creditore ipotecario l’effetto sanzionatorio di un illecito commesso da altri. Del resto, i Giudice della Consulta hanno rilevato che la tutela del credito ipotecario non sacrifica l’interesse al rispetto della normativa urbanistico-edilizia. Tale tutela si realizza, infatti, attraverso l’espropriazione forzata e, se l’immobile oggetto della vendita forzata è abusivo, l’aggiudicatario deve comunque o sanare l’abuso o demolirlo. Infine, la Corte costituzionale ha reputato sproporzionato il sacrificio imposto al creditore, non responsabile dell’abuso, attraverso l’estinzione del diritto di ipoteca, in quanto al creditore residuerebbero in tal caso rimedi inesigibili o inadeguati a compensare il pregiudizio ingiustificatamente comminato.
Guida all'approfondimento
GIURISPRUDENZA
Cass. 30 dicembre 2022 n. 38143 (ord. interloc.)
Cass. SU 8 gennaio 2024 n. 583 (ord. interloc.)
DOTTRINA
Chinello D., L'acquisizione gratuita di immobili abusivi e la figura del proprietario incolpevole, in Giur. it., 2015, 11, 2470 e segg.
Mari G., L'acquisizione di diritto ex art. 31 t.u. edilizia nei confronti dell'attuale proprietario del bene erede del responsabile dell'abuso, in Riv. giur. edil., n. 3, 2015, 419 e segg.;
Bonelli E., Effettività del sistema sanzionatorio edilizio e tutela dei diritti fondamentali protetti dalla CEDU, in Federalismi.it
Caloiaro L. A. Immobile abusivo ipotecato e ordinanza di demolizione, in Nuova giur. civ. comm., 2018, 2, 169
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