Clausola claims made e causa in concreto del contratto: la Cassazione torna sulla questione

Antonio Bruno Serpetti
07 Ottobre 2024

La Suprema Corte torna sul tema della clausola claims made e della sua validità, proponendosi di dare indicazioni operative ai giudici di merito in ordine alla questione.

Massima

Il modello di assicurazione della responsabilità civile con clausoleon claims made basis”, quale deroga convenzionale all'art. 1917, comma 1, c.c., consentita dall'art. 1932 c.c., è riconducibile al tipo dell'assicurazione contro i danni e, pertanto, non è soggetto al controllo di meritevolezza di cui all'art. 1322, comma 2, c.c., ma alla verifica, ai sensi dell'art. 1322, comma 1, c.c., della rispondenza della conformazione del tipo, operata attraverso l'adozione delle suddette clausole, ai limiti imposti dalla legge, da intendersi come l'ordinamento giuridico nella sua complessità, comprensivo delle norme di rango costituzionale e sovranazionale. Tale indagine riguarda, innanzitutto, la causa concreta del contratto, sotto il profilo della liceità e dell'adeguatezza dell'assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dalle parti.

L'accordo transattivo, intervenuto tra il medico dipendente della struttura ospedaliera e il paziente danneggiato, libera solo il medico che vi ha partecipato e non già la Struttura.

Il caso

Il caso di specie trae origine dalla richiesta di risarcimento avanzata dai genitori di un bambino nato con una grave menomazione cerebrale causata dal ritardo con cui la ginecologa di turno, al momento del parto, aveva deciso di eseguire il taglio cesareo: in particolare, la ginecologa non avrebbe valutato correttamente i tracciati e, avendo omesso di disporre tempestivamente il parto con taglio cesareo d'urgenza, aveva determinato lo stato di asfissia, causando un grave danno celebrale al neonato.

I genitori agivano in giudizio innanzi al Tribunale chiedendo il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali sia nei confronti della ginecologa che della struttura ospedaliera ove il parto era avvenuto.

Nel corso del giudizio di primo grado veniva stipulata una transazione tra i genitori del minore e la ginecologa, con il pagamento dell'importo di € 387.342,68 a favore dei primi. Pertanto, il giudice di primo grado dichiarava la cessazione della materia del contendere tra questi e la ginecologa e condannava la struttura al pagamento di un risarcimento di € 1.370.727,35 a favore dei danneggiati.

Inoltre, accoglieva la domanda di garanzia avanzata dall'ospedale nei confronti della propria Compagnia di assicurazione, condannando quest'ultima a tenere indenne la struttura per quanto dovuto, dedotta la franchigia.

Impugnata la sentenza, la Corte d'appello confermava la condanna dell'ospedale per la condotta negligente della ginecologa, stabilendo che la transazione avvenuta tra quest'ultima ed i genitori del bambino non avrebbe potuto ridurre il debito dell'Ospedale verso i danneggiati; rigettava inoltre l'appello principale proposto della Compagnia di assicurazione, ritenendo invalida la clausola claims made contenuta nel contratto assicurativo per carenza di causa in concreto, in quanto idonea ad alterare l'assetto sinallagmatico del contratto; infine, accoglieva l'appello incidentale dell'Ospedale, escludendo l'operatività della franchigia.

La causa giungeva in Cassazione.

La questione

Nel caso deciso dalla sentenza in commento, la Suprema Corte torna sul tema della clausola claims made e della sua validità.

La Corte si interroga, in particolare, sui parametri che il giudice dovrebbe valutare al fine di formulare un giudizio di validità della clausola in questione, ponendo l’accento sulla sinallagmaticità del rapporto contrattuale al fine di verificare se la clausola - nel complesso delle pattuizioni contrattuali e tenendo conto del rapporto rischio/premi - soddisfi la causa concreta del contratto di assicurazione.

La Corte coglie, altresì, l’occasione per ribadire i precedenti giurisprudenziali relativi alle possibili conseguenze della dichiarazione di nullità della clausola claims made, proponendosi di dare indicazioni operative ai giudici di merito in ordine agli indicati profili.

Le soluzioni giuridiche

Nel caso di specie, sono stati principalmente due i motivi di ricorso portati all'esame della Suprema Corte da parte della Compagnia di assicurazione della struttura ospedaliera:

  1. con il primo motivo, si è sostenuto che la transazione raggiunta tra i genitori del bambino e la ginecologa avrebbe dovuto ridurre proporzionalmente il risarcimento dovuto dall'ospedale, in quanto il medico e la struttura sanitaria rispondono in solido
  2. con il secondo motivo, la Compagnia di assicurazione ha sostenuto la validità della clausola claims made inserita nel contratto di assicurazione per la responsabilità civile della struttura sanitaria: in particolare, a suo avviso, la Corte d'appello avrebbe erroneamente dichiarato la carenza di causa in concreto della clausola, adducendo che la stessa alterava l'assetto sinallagmatico del contratto, senza considerare adeguatamente l'effettivo rapporto tra i premi pagati ed il rischio assicurato.

Ebbene, la Corte di cassazione ha respinto il primo motivo di ricorso ed accolto il secondo.

Per quanto riguarda la questione relativa alla transazione intervenuta tra i genitori del bambino e la ginecologa, la Corte sancisce che l'accordo transattivo così stipulato non libera la struttura ospedaliera dalla propria responsabilità. La transazione, infatti, libera solo il medico che vi ha partecipato, ma non può essere invocata dall'ospedale - o dalla sua assicurazione - per ridurre il proprio debito.

L'errore del medico-persona fisica - spiega la Corte - costituisce un mero presupposto di fatto per il sorgere della responsabilità dell'ospedale: e, come tutti i presupposti di fatto, può essere accertato dal giudice incidenter tantum, senza efficacia di giudicato nei confronti del medico. Di conseguenza, la circostanza che il medico abbia transato la lite con il paziente, venendo liberato dalla propria obbligazione, non impedisce al paziente né di introdurre né di coltivare la domanda di risarcimento nei confronti dell'ospedale; ed ha per sola conseguenza la riduzione del quantum debeatur (da determinarsi coi criteri stabiliti da Cass. civ., sez. un., 30 dicembre 2011, n. 30174).

Per la Corte, dunque, la sentenza impugnata ha giustamente escluso che la transazione con i danneggiati potesse essere invocata dall'Azienda sanitaria o dai suoi assicuratori per escludere il risarcimento. La struttura sanitaria (e per essa la ricorrente Compagnia assicuratrice) non può, infatti, pretendere di avvalersi dall'accordo transattivo al quale non abbia partecipato per ridurre il proprio debito a quanto concordato tra le parti della transazione rispetto alla quale è rimasta estranea.

Del resto, l'ospedale ed il medico rispondono in solido nei confronti del paziente ed al creditore di un'obbligazione solidale è sempre consentito transigere la lite con uno dei coobbligati, con l'effetto di sciogliere il vincolo solidale rispetto al transigente e riservare i propri diritti nei confronti degli altri. La liberazione di uno dei coobbligati, pertanto, non impedisce di accertare la responsabilità di quest'ultimo nel diverso rapporto tra il danneggiato ed i restanti coobbligati, ma comporta unicamente che, nel compiere tale accertamento, il giudice indagherà incidenter tantum sulla esistenza o meno di una condotta colposa da parte del medico. Diversamente opinando - conclude la Corte - si perverrebbe al risultato per cui qualsiasi transazione stipulata dal danneggiato con l'autore materiale del danno libererebbe ipso facto anche l'ausiliato ex art. 1228 c.c.

La solidarietà si trasformerebbe, in tal modo, in un istituto addirittura dannoso per il danneggiato, costringendolo a rifiutare transazioni anche vantaggiose per evitare di perdere il diritto a conseguire il danno differenziale dal preponente.

Per quanto riguarda, invece, la questione relativa alla validità della clausola claims made, la Corte ha accolto il ricorso della Compagnia di assicurazione, rinviando la questione alla Corte d'appello, chiamandola nuovamente a valutare se la specifica clausola, nel complesso delle pattuizioni contrattuali e tenendo conto del rapporto rischio/premi, soddisfi la causa concreta del contratto di assicurazione.

In particolare, nel dedurre l'assenza di una causa concreta del contratto, la Corte d'appello si sarebbe limitata a porre sbrigativamente in rilievo le stringenti previsioni che concernono i tre anni precedenti la vigenza del rapporto, volte a limitare (ma non ad escludere) l'effettiva risarcibilità degli eventi precedenti, nonché la mancanza della considerazione di richieste di sinistri pervenuti dopo il periodo di vigenza.

La Corte d'appello, invece - precisa la Cassazione -  avrebbe dovuto indagare se, pur alla luce delle indicate limitazioni, dall'esame del complessivo assetto di interessi, residuasse una sinallagmaticità delle prestazioni idonea a giustificare il rapporto sotto il profilo causale ovvero se il contratto fosse, comunque, in grado di esplicare la propria funzione tipica.

Altra mancanza del giudice d'appello rilevata dalla Suprema Corte, attiene alle conseguenze della declaratoria di nullità della causa in concreto della clausola contrattuale, sulla quale non è stata fornita alcuna indicazione dal giudice del gravame.

Osservazioni

Nel caso deciso dall'ordinanza in commento, la Suprema Corte affronta ancora una volta il tema, assai periodicamente dibattuto, della validità della clausola claims made ed, in particolare, dei parametri alla luce dei quali valutarne la validità.

Conformandosi pienamente al precedente espresso a Sezioni Unite (in particolare, Cass. civ., sez. un., 24 settembre 2018, n. 22437, i cui principi sono stati ripresi da numerose pronunce a sezioni semplici, tra le quali Cass. civ., sez. III, 26 aprile 2022, n. 12981 e Cass. civ., sez. III, 12 marzo 2024, n. 6490), la Corte chiarisce che il modello di assicurazione della responsabilità civile con clausole “on claims made basis(quale deroga convenzionale all'art. 1917 c.c. consentita dall'art. 1932 c.c.) è riconducibile al tipo dell'assicurazione contro i danni e, pertanto, non è soggetto al controllo di meritevolezza di cui all'art. 1322, comma 2 c.c., ma alla verifica, ai sensi del comma 1 della predetta norma, della rispondenza ai limiti imposti dalla legge, da intendersi come l'ordinamento giuridico nella sua complessità, comprensivo delle norme di rango costituzionale e sovranazionale. 

Questa indagine riguarda la causa concreta del contratto, sotto il profilo della liceità e dell'adeguatezza dell'assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dalle parti.

La Corte, pertanto, ribadisce che le clausole claims made inserite nelle polizze di assicurazione contro la responsabilità civile non sono immeritevoli di tutela, ma si prestano, semmai, ad essere stigmatizzate per difetto della causa in concreto. Sebbene, dunque, siano meritevoli, lecite e valide dal punto di vista astratto, rimane fondamentale verificare che il contenuto contrattuale rispetti i limiti imposti dalla legge e che, ai sensi dell'art. 1322 c.c., il contratto sia conforme all'ordinamento giuridico in ragione della concreta regolamentazione degli interessi, ovverosia secondo la causa in concreto. Esse, in sostanza, non possono sottrarsi ad un sindacato di merito sul contenuto in generale del contratto; sindacato, operato, appunto, sulla base dell'art. 1322, comma 1 c.c.

L'indagine di conformità del contratto stipulato al tipo negoziale riguarda, innanzitutto, la causa concreta del contratto sotto il profilo della liceità e dell'adeguatezza dell'assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dalle parti. Tale indagine non si arresta al momento della genesi del regolamento negoziale, ma investe anche la fase in cui occorre verificare l'osservanza, da parte dell'assicuratore, degli obblighi di informazione sul contenuto della claims made e quella dell'attuazione del rapporto (come nel caso in cui, nel regolamento contrattuale on claims made basis, vengano inserite clausole abusive).

Ebbene, secondo la pronuncia in commento, la Corte di merito avrebbe dovuto verificare, attraverso la lente della causa concreta (ovverosia lo scopo pratico del contratto, la sintesi degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare, al di là del modello astratto utilizzato), se l'assetto di interessi pattuito fosse lecito, ovvero non lesivo degli interessi delle parti tutelati dall'ordinamento ed adeguato agli interessi in concreto avuti di mira dai contraenti, dato che l'emersione di un palese squilibrio dell'assetto sinallagmatico si presta ad essere interpretato come indice di carenza della causa in concreto dell'operazione economica. Questa verifica sarebbe stata intesa non già a garantire l'equilibrio economico delle prestazioni - che costituisce un profilo rimesso all'autonomia contrattuale - ma ad indagare alla luce del principio di buona fede contrattuale, se lo scopo pratico del regolamento on claims made presentasse un arbitrario squilibrio giuridico tra rischio assicurato e premio, giacché, nel contratto di assicurazione contro i danni, la corrispettività si fonda su una relazione oggettiva e coerente con il rischio assicurato, stimato attraverso criteri di calcolo attuariale.

Ciò premesso, secondo la Suprema Corte, il giudice d'appello ha correttamente  affermato che, in relazione alle clausole claims made, si è fuori dal giudizio di meritevolezza attinente alla sfera dei contratti atipici, dovendosi, invece, verificare la causa concreta di un contratto tipico, essendo il contratto in questione riconducibile alla tipologia del contratto di assicurazione contro i danni. Tuttavia, l'esame compiuto dalla Corte d'appello ai fini della verifica della causa in concreto non appare rispondente a diritto, in quanto l'accertamento compiuto, sebbene formalmente teso alla verifica della causa in concreto, è stato più improntato ai caratteri del giudizio di meritevolezza di un contratto atipico, e, dunque, non rispondente alla complessità dei parametri indicati dai  precedenti giurisprudenziali (Cass. civ., sez. un.,  24 settembre 2018, n. 22437; Cass., civ., sez. III, 26 aprile 2022, n. 12981) che impongono di prendere in idonea considerazione, alla luce del generale modello legale, tutti gli aspetti del rapporto (dalla negoziazione informata, alla convenienza del premio, alla copertura di fatti pregressi, ovvero accaduti prima del periodo di validità della copertura decorrente dalla stipula) nella prospettiva di evitare “buchi o vuoti di copertura”,

Il giudice d'appello avrebbe, pertanto, dovuto valutare se vi fosse, nel contratto in questione, una assenza di corrispettività tra pagamento del premio ed assunzione del rischio assicurato; quindi, accertare in concreto la presenza o meno di un sostanziale squilibrio sinallagmatico nei termini rigorosi indicati da Cass. civ., sez. un.,  24 settembre 2018, n. 22437, che avrebbe potuto costituire espressione di carenza della causa in concreto, e, quindi, di inadeguatezza del contratto rispetto agli interessi che con esso le parti intendevano tutelare.

Occorre, infine, rilevare un ulteriore rilevante aspetto trattato dalla sentenza in commento, riguardante le conseguenze della declaratoria di nullità della causa in concreto della clausola claims made. Aspetto, questo, che ad avviso della Corte, il giudice d'appello non avrebbe minimamente trattato.

Tali conseguenze, afferma la Corte, vanno gestite dal giudice stesso che dichiara la nullità della singola clausola, al quale spetta indicare la norma imperativa con la quale sostituire la clausola dichiarata nulla, al fine di lasciare alle parti una regolamentazione depurata dalla stessa.

E', infatti, principio consolidato che, il giudice che dichiara la nullità di una clausola del contratto ai sensi dell'articolo 1419, comma 2, c.c., debba indicare la norma imperativa con la quale sostituire la predetta clausola dichiarata nulla (in questo senso, in tema di clausola claims made apposta ad un contratto di assicurazione per la responsabilità civile, cfr. anche Cass. civ., sez. III, 11 aprile 2023, n. 9616).

Pertanto, ritenuta inadeguata la clausola claism made pattizia, il giudice è investito del compito non solo di rilevarne la nullità, ma anche di sostituirla.

La dichiarazione di nullità della clausola claims made non deve portare all'applicazione del modello loss occurrence, ma, come già affermato da Cass. civ., sez. un.,  24 settembre 2018, n. 22437, deve condurre all'integrazione del contenuto contrattuale, previa individuazione, tra i modelli di clausola delimitativa del rischio presenti sul mercato, quello maggiormente rispondente ad un equilibrato assetto dei rapporti tra le parti, secondo buona fede.

Detto tutto ciò, la Corte d'appello, in sede di rinvio, qualora dovesse confermare la valutazione di nullità della clausola, dovrà procedere all'individuazione della norma imperativa di riferimento alla stregua della quale regolamentare i profili svuotati di contenuto dalla declaratoria di nullità e, solo nel caso in cui non rinvenga la norma di riferimento, che l'art. 1419 c.c. esige, dovrà dedurne la nullità dell'intero contratto.

A questo proposito, la Suprema Corte ricorda che la recente pronuncia della Cass. civ., sez. III, 12 marzo 2024, n. 6490 - che a sua volta rinvia a Cass. civ., sez. un.,  24 settembre 2018, n. 22437 - ha agevolato il compito del giudicante nella ricerca della clausola sostitutiva: difatti, nei settori in cui il legislatore è intervenuto per disciplinare le polizze claims made, il giudice dispone di un serbatoio di riferimento – che costituisce un parametro funzionale allo svolgimento dell'indagine sull'adeguatezza –rispondente a scelte ben precise in ordine ai criteri di opportunità, efficienza e giustizia nell'ambito della distribuzione del rischio.

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