Diritto di cronaca e diritto di critica: il diverso statuto della verità

14 Ottobre 2024

Responsabilità civile per diffamazione a mezzo stampa: il requisito della verità ha la stessa valenza nel diritto di cronaca ed in quello di critica?

Massima

In tema di azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo della stampa, il canone della verità si atteggia diversamente in ipotesi di esercizio del diritto di cronaca - per il quale è richiesta la continenza dei fatti narrati tanto in senso formale quanto in senso sostanziale - e di esercizio del diritto di critica, il quale non si concreta nella mera narrazione dei fatti, ma nell'espressione di un giudizio (necessariamente soggettivo) rispetto ai fatti stessi; perciò, non può pretendersi che l'opinione sia assolutamente obiettiva, potendo essere la stessa esternata anche con l'uso di un linguaggio colorito e pungente, purché non leda l'integrità morale del soggetto. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, sulla erronea premessa che il canone della verità si atteggia nella stessa maniera nell'ambito della cronaca e della critica, aveva affermato la natura diffamatoria, determinata dall'accostamento e accorpamento di notizie (anche vere), di un articolo di stampa nel quale i giornalisti riportavano contestualmente, così ponendole in connessione tra loro, la notizia delle irregolarità nello svolgimento di un concorso da ricercatore e quella degli appalti universitari "d'oro" presso la medesima università, circostanza fatte oggetto di una inchiesta penale e di indiscutibile interesse pubblico).

Il caso

Il Rettore di una Università citava in giudizio la società editrice di un quotidiano ed i giornalisti autori di numerosi articoli, ritenuti diffamatori, chiedendo la condanna dei convenuti al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale asseritamente subito.

Il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda, osservando che solo il primo articolo pubblicato presentava carattere diffamatorio, giacché i successivi articoli si erano limitati a riferire gli sviluppi dell’indagine giudiziaria avviata dalla Procura della Repubblica.

La Corte di Appello accoglieva l’appello incidentale proposto dal Rettore, sul rilievo che il carattere diffamatorio di uno scritto doveva essere valutato nel suo contenuto complessivo «con riferimento anche all’accostamento e l’accorpamento di notizie, ove utilizzate nella consapevolezza che il pubblico le intenderà in maniera diversa o contraria al loro significato letterale avuto riguardo al tono complessivo e alla titolazione dell’articolo».

Proposto ricorso in Cassazione, la società editrice del quotidiano eccepiva, tra l’altro, la circostanza che il giudice di appello avesse equiparato il parametro della “verità” dei fatti nell’ambito del diritto di critica con quello che preside il diritto di cronaca.

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, osservando che il giudice del gravame erroneamente aveva ritenuto che il canone della verità si atteggia nella stessa maniera nell’ambito della cronaca e della critica.

La questione

La questione in esame è la seguente: il requisito della verità ha la stessa valenza nel diritto di cronaca ed in quello di critica?

Le soluzioni giuridiche

La pronuncia in commento si occupa della efficacia esimente del diritto di critica, osservando che il requisito della verità ha portata differente rispetto al diritto di cronaca.

Come noto, la lesione dell'onore e della reputazione altrui non si verifica quando la diffusione a mezzo stampa delle notizie costituisce legittimo esercizio del diritto di cronaca, condizionato all'esistenza dei seguenti presupposti:

  1. la verità oggettiva o anche solo putativa dei fatti riferiti, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca, tenuto conto della gravità della notizia pubblicata;
  2. l'interesse pubblico alla conoscenza del fatto (cosiddetta pertinenza);
  3. la correttezza formale dell'esposizione (cosiddetta continenza).

In particolare, nel caso di notizie lesive mutuate da provvedimenti giudiziari, il presupposto della verità deve essere restrittivamente inteso (salva la possibilità di inesattezze secondarie o marginali, inidonee a determinarne o aggravarne la valenza diffamatoria), nel senso che la notizia deve essere fedele al contenuto del provvedimento e che deve sussistere la necessaria correlazione tra fatto narrato e quello accaduto, senza alterazioni o travisamenti di sorta, non essendo sufficiente la mera verosimiglianza, in quanto il sacrificio della presunzione di non colpevolezza richiede che non si esorbiti da ciò che è strettamente necessario ai fini informativi (Cass. civ., sez. I, 10 ottobre 2023,  n. 28331; Cass. civ., sez. I, 28 febbraio 2023, n. 6072; Cass. civ., sez. III, 12 aprile 2022, n. 11769).

Analogamente, il diritto di critica non si concreta nella mera narrazione di fatti, ma si esprime in un giudizio avente carattere necessariamente soggettivo rispetto ai fatti stessi; per riconoscere efficacia esimente all'esercizio di tale diritto occorre, tuttavia, che il fatto presupposto ed oggetto della critica corrisponda a verità, sia pure non assoluta, ma ragionevolmente putativa per le fonti da cui proviene o per altre circostanze soggettive (Cass. civ., sez. III, 7 luglio 2023, n. 19277; Cass. civ., sez. III, 6 luglio 2023, n. 19204).

Pertanto, l'esercizio del diritto di critica può ritenersi lecito quando sia guidato dalla ragionevole convinzione soggettiva che i fatti corrispondano a verità, mentre non è configurabile se supera il limite della continenza, non essendo suffragato da fatti obiettivamente riscontrabili e controbilanciato dal requisito della verità putativa; sicché, a questo fine, il giudizio di liceità sull'esplicazione del diritto di critica richiesto al giudice civile ai fini della decisione sulla domanda di risarcimento deve estendersi in concreto alla verifica del carattere non veritiero o meno, anche solo in termini di verità putativa, dei fatti attribuiti (Cass. civ., sez. III, 9 aprile 2019, n. 9799; Cass. civ., sez. III, 11 luglio 2023, n. 19611).

Inoltre, la sentenza in commento richiama i principi elaborati in tema di giornalismo d'inchiesta che rappresenta una particolare forma di esercizio del diritto di cronaca, espressione della libertà di manifestazione del pensiero, di cui all'art. 21 Cost., caratterizzato proprio dal fatto che l'acquisizione della notizia avviene autonomamente, direttamente e attivamente da parte del professionista, senza la mediazione di fonti esterne; non è dunque mediata dalla ricezione «passiva» di informazioni fornite da un soggetto terzo, che si dichiara informato dei fatti.

La Corte di Cassazione ha rilevato che al c.d. «giornalismo d'inchiesta», quale species più rilevante della attività di informazione, connotata dalla ricerca ed acquisizione autonoma, diretta ed attiva, della notizia da parte del professionista, va riconosciuta ampia tutela ordinamentale, tale da comportare, in relazione ai limiti regolatori dell'esercizio del diritto di cronaca e di critica già individuati dalla giurisprudenza di legittimità, una meno rigorosa, e comunque diversa, applicazione della condizione di attendibilità della fonte della notizia; venendo meno, in tal caso, l'esigenza di valutare la veridicità della provenienza della notizia, che non è mediata dalla ricezione «passiva» di informazioni esterne, ma ricercata, appunto, direttamente dal giornalista, il quale, nell'attingerla, deve ispirarsi ai criteri etici e deontologici della sua attività professionale, quali, tra l'altro, menzionati nella l. n. 69/1963 e nella carta dei doveri del giornalista (Cass. civ., sez. III, 9 luglio 2010, n. 16236).

La tutela di tale forma di giornalismo si fonda sull'art. 21 Cost. (libertà di espressione del pensiero), sull'art. 2 della legge professionale n. 69/1963, sulla convenzione di Strasburgo e sulla Carta dei diritti e dei doveri del giornalista del 1993.

Per il giornalista che svolge attività d'inchiesta viene meno, proprio per le caratteristiche di tale tipo di informazione, la necessità di valutare l'attendibilità e la veridicità della «provenienza della notizia», in quanto egli attinge «direttamente» l'informazione e per far ciò deve ispirarsi ai criteri etici e deontologici che sono alla base della sua professione.

Il giornalismo d'inchiesta, come ogni altra forma di giornalismo, deve quindi rispettare la persona e la sua dignità e non deve ledere la riservatezza, in base a quanto statuito dalle regole deontologiche in tema di trattamento dei dati personali nell'esercizio dell'attività giornalistica (art. 25 l. n. 675/1996, art. 20 d.lgs. n. 467/2001, art. 12 d.lgs. n. 196/2003).

Presupposti richiesti per la tutela sono dunque l'interesse pubblico a conoscere la notizia, la verità, anche solo putativa, dei fatti riportati e l'uso di un linguaggio non offensivo e rispettoso del limite della continenza e quindi in linea con i fatti narrati dal giornalista.

La Corte di Cassazione, in più occasioni, ha affermato che al giornalismo di inchiesta deve essere riconosciuta ampia tutela ordinamentale, tale da comportare, in relazione ai cennati limiti regolatori dell'esercizio del diritto di cronaca (e di critica), una meno rigorosa, e comunque diversa, applicazione della condizione di attendibilità della fonte della notizia; venendo meno, in tal caso, l'esigenza di valutare la veridicità della provenienza della notizia, che non è mediata dalla ricezione «passiva» di informazioni esterne, ma ricercata, appunto, direttamente dal giornalista, il quale, nell'attingerla, deve ispirarsi ai criteri etici e deontologici della sua attività professionale, quali, tra l'altro, menzionati nella l. n. 69/1963 e nella carta dei doveri del giornalista (Cass. civ., sez. III, 16 febbraio 2021, n. 4036).

L'attenuazione del canone di verità si giustifica quindi alla luce del principio costituzionale in materia di diritto alla libera manifestazione del pensiero, quando detto giornalismo indichi motivatamente un «sospetto di illeciti» con il suggerimento di una direzione di indagine agli organi inquirenti o una denuncia di situazioni oscure che richiedono interventi amministrativi o normativi per potere essere chiarite, sempre che riguardino temi sociali di interesse generale, alla condizione che «il sospetto e la denuncia» siano esternati sulla base di elementi obiettivi e rilevanti; infatti, nel giornalismo d'inchiesta il sospetto deve mantenere il proprio carattere «propulsivo e induttivo di approfondimento», essendo autonomo e, di per sé, ontologicamente distinto dalla nozione di attribuzione di un fatto non vero (Cass. pen., sez. IV, 14 novembre 2013, n. 9337; Cass. civ., sez. III, 11 luglio 2023, n. 19611: «in tema di diffamazione a mezzo stampa, nel c.d. “giornalismo d'inchiesta” a rilevare è l'esigenza della valutazione non tanto dell'attendibilità e veridicità della notizia, quanto piuttosto del rispetto dei doveri deontologici di lealtà e buona fede, oltre che della maggiore accuratezza possibile nella ricerca delle fonti e della loro attendibilità, dal che consegue che è scriminato il giornalista che eserciti la propria attività mediante la denuncia di sospetti di illeciti, allorché i medesimi, secondo un apprezzamento caso per caso riservato al giudice di merito, risultino espressi in modo motivato e argomentato sulla base di elementi obiettivi e rilevanti e mediante il ricorso, attraverso una ricerca attiva, a fonti di notizia attendibili»).

Osservazioni

Il diritto di critica si estrinseca nella libertà di esprimere un proprio giudizio su un fatto o su caratteristiche soggettive di una persona, nel rispetto dei canoni di verità e di continenza: implica dunque un apporto di tipo valutativo da parte del dichiarante (Cass. civ., sez. III, 18 agosto 2023, n. 24818).

Tale aspetto rappresenta il discrimen rispetto al diritto di cronaca, il cui esercizio può comportare la lesione della reputazione come conseguenza della narrazione di un fatto, in sé considerato.

Tuttavia, tale differenza rischia di comportare problemi applicativi: a meno che la fattispecie non riguardi giudizi su qualità personali, la differenza tra il racconto di un fatto e il giudizio su di una persona in conseguenza di un determinato fatto non è sempre agevolmente rilevabile, non dovendosi comunque tralasciare che spesso tale differenza non ha una consistenza ontologica ma si interfaccia con il quomodo della narrazione.

La difficoltà nel tracciare il discrimen tra diritto di cronaca e diritto di critica, discendente dalla frequente inconsistenza della differenza tra fatto e opinione, ha indotto parte della dottrina ad evidenziare come il diritto di cronaca, in quanto narrazione di meri fatti senza alcun apporto soggettivo, non rientrerebbe nella libertà di espressione di cui all'art. 21 Cost.

Tale tesi è oggetto di smentita da parte dell'opinione maggioritaria, che ravvisa nella selezione dei fatti rilevanti e nella sua modalità di esposizione una forma tramite cui esprimere il proprio giudizio sugli stessi.

La distinzione tra giudizi di fatto e giudizi di valore è stata enucleata, in tempi risalenti, dalla giurisprudenza europea (CEDU, 8 luglio 1986, n. 103, Lingens), la quale ha in più occasioni ribadito che non si può pretendere, per il legittimo esercizio del diritto di critica, che le opinioni espresse siano consentite alla sola condizione di poterne dimostrare la veridicità, dato che tale dimostrazione non è possibile per la loro natura congetturale (Cass. n. 25420/2017).

E invero, tale distinzione giova all'indagine che il giudice conduce al fine di stabilire la fondatezza di una pretesa risarcitoria in quanto permette di selezionare la circostanza da verificare in punto verità, che rappresenta il canone nella specie violato.

Ciò che invece è insuscettibile di controllo veridico sono i giudizi personali, da intendersi quali impressioni e sensazioni che si innestano nella sfera interiore di un soggetto nei confronti di un altro. Impressioni e sensazioni, dunque: non fatti.

Sotto altro aspetto, nel giornalismo d'inchiesta occorre valutare non tanto l'attendibilità e la veridicità della notizia quanto, piuttosto, il rispetto dei doveri deontologici di lealtà e buona fede, oltre che la maggiore accuratezza possibile posta dal giornalista nella ricerca delle fonti e della loro attendibilità (Cass. civ., sez. III, 11 luglio 2023, n. 19611; Cass. civ., sez. III, 16 febbraio 2021, n. 4036), e ciò a tutela del principio costituzionale del diritto alla libera manifestazione del pensiero in contesti in cui sussiste l'interesse pubblico all'oggetto dell'indagine giornalistica ed il diritto della collettività ad essere informata non solo sulle notizie di cronaca ma anche sui temi sociali di particolare rilievo attinenti la libertà, sicurezza, salute e ad altri diritti di interesse generale.

Riferimenti

  • VISCONTI M. L., Nota a Cass. civ., sez. II, 29 dicembre 2023, n. 36350, in Foro it., 2024, II, 435.

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