L’illecita influenza sull’assemblea si perfeziona con la formazione fraudolenta o simulata della maggioranza, se la relativa assemblea si è effettivamente tenuta
18 Ottobre 2024
Massima Il delitto di illecita influenza sulla assemblea ex art. 2636 c.c. è un reato di evento, posto a tutela dell'interesse al corretto funzionamento dell'organo assembleare; pertanto, la condotta di atti fraudolenti o simulati deve effettivamente determinare la maggioranza in assemblea, il che presuppone che una assemblea sia stata realmente tenuta, non risultando invece sufficiente la sua mera simulazione. Il caso La pronuncia in commento ha ad oggetto la valutazione di responsabilità di un commercialista imputato del reato di illecita influenza sull'assemblea ex art. 2636 c.c. in relazione a due distinte ipotesi di falsificazione dei verbali dell'assemblea dei soci di due società riconducibili alla medesima compagine. In particolare, in sede di merito, il commercialista, consulente delle due società, era stato condannato per aver, in concorso, falsificato il verbale dell'assemblea attributiva della carica di amministratore unico a uno dei soci e proceduto al suo deposito presso il registro delle imprese. Importante notare come, secondo lo stesso capo d'accusa, la falsità del verbale d'assemblea risultasse non solo dalla falsificazione delle sottoscrizioni allo stesso apposte, ma anche in considerazione del fatto che tale assemblea in realtà non sarebbe mai stata tenuta. Essendo, tale condotta, ritenuta idonea a far apparire – e quindi a determinare - la maggioranza societaria per il funzionamento dell'assemblea, la responsabilità penale del commercialista era stata affermata dai giudici di merito proprio in ragione della conoscenza della falsità del verbale all'atto del suo deposito presso il registro delle imprese, nonché della finalità – suscettibile di integrare il dolo specifico richiesto dalla fattispecie – di favorire (in ragione di un pregresso accordo) il nuovo amministratore unico, figlio del patron del gruppo, in luogo di altri soci, anch'essi eredi in quota di legittima. Tra i motivi di ricorso presentati nell'interesse del commercialista, è di particolare interesse quanto lamentato in ordine all'erronea applicazione dell'art. 2636 c.c. Secondo la difesa, infatti, dal momento che l'imputato non aveva partecipato all'assemblea, mai tenutasi, ma si era limitato a predisporre e depositare il verbale, il suddetto deposito del verbale assembleare presso il registro delle imprese risulta un atto irrilevante, non avendo esso alcun effetto costitutivo. Di tal ché, essendo il reato di cui all'art. 2636 c.c. un reato di evento, che viene a configurarsi solo con la determinazione fraudolenta della maggioranza, il commercialista non avrebbe fornito alcun contributo riguardo la condotta contestata. Le questioni giuridiche La questione giuridica che assume maggiore rilievo tra quelle affrontate dalla Corte con la pronuncia in commento attiene alla natura del delitto contestato - che, come noto, punisce il fatto di chi, con atti simulati o fraudolenti, determina la maggioranza in assemblea, allo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto – e, in particolare, alla struttura di reato di evento in relazione allo specifico bene giuridico tutelato dalla fattispecie di cui all'art. 2636 c.c. È utile sin da subito osservare, per quanto si dirà successivamente – anche considerato che la pronuncia in esame sembra condividere tale prospettiva - che l'oggetto immediato e diretto della tutela penale dell'incriminazione di cui all'art. 2636 c.c. è stato ravvisato nella (sola) salvaguardia del regolare e corretto funzionamento dell'organo assembleare. Un interesse definito di natura istituzionale «attinente al rispetto della regola di maggioranza nelle deliberazioni assembleari» (L. Foffani, sub Art. 2636 cod. civ., in F. Palazzo – C. E. Paliero (a cura di), Commentario breve alle leggi penali complementari, Padova 2007, 2539) che, sebbene interno alla compagine societaria, assume natura sovraindividuale ed è, pertanto, indisponibile da parte dei soci; attesa, peraltro, la procedibilità di ufficio della fattispecie in questione. Quanto alla struttura della fattispecie, si tratta di un reato a forma vincolata descritta da un predicato modale della condotta alternativo, nel senso che, ai fini della sussistenza del reato, è richiesto che la maggioranza dell'assemblea sia determinata alternativamente da atti simulati ovvero da atti fraudolenti. La pur scarna giurisprudenza confrontatasi con il delitto in esame ha tentato di riempire di significato il concetto di “atto simulato” e “atto fraudolento”. Con riferimento agli atti simulati, sono definiti tali quelli in grado di far apparire una realtà diversa da quella effettiva. Il concetto di atto simulato non va inteso in senso civilistico, dal momento che l'istituto della simulazione di cui all'art. 1414 c.c.. Viene quindi affermato che non è necessario, affinché un atto possa dirsi simulato per quanto rileva per la fattispecie descritta all'art. 2636 c.c., che l'atto sia illecito. Piuttosto la locuzione atto simulato deve essere interpretata estensivamente, guardando alla sua idoneità alla determinazione della formazione delle maggioranze assembleari, con la finalità ultima di conseguire risultati vietati dalla legge o dallo statuto sociale (cfr. Cass. pen., sez. I, 3 marzo 2009, n. 17854, Rv. 243675, più di recente v. anche Cass. pen., sez. II, 4 febbraio 2020, n. 20451, Rv. 279432). Quanto invece alla seconda modalità entro cui puoi sostanziarsi la condotta, ossia gli “atti fraudolenti”, questi sono definiti quali atti a contenuto ingannatorio. Vengono ritenuti atti fraudolenti quei comportamenti che nella fattispecie previgente erano esplicitati come condotte tipiche, ossia il valersi di azioni o quote non collocate, dal momento che si verrebbero a calcolare nella maggioranza voti che non rappresentano alcun socio. Ugualmente sono considerati atti fraudolenti le dichiarazioni mendaci o reticenti che inducano in errore il socio circa una delibera, ovvero ancora una maliziosa convocazione dell'assemblea per tempi e luoghi di svolgimento che impedisca l'integrale partecipazione. In altri termini, «atto fraudolento è quello che, pur essendo improntato ad astuzia o malizia, sia idoneo a sorprendere l'altrui buona fede». In giurisprudenza la fraudolenza degli atti è stata ravvisata nella condotta di colui che abbia fatto figurare come presente un socio in realtà assente, falsificandone la firma sul verbale (Cass. pen., sez. V, 14 ottobre 2011, n. 555). Così come per gli atti simulati, può dirsi che a nulla rileva il carattere di illiceità degli stessi, ben potendo un atto lecito avere un'idoneità ingannatoria tale da determinare l'evento richiesto dalla fattispecie. Tali atti, come richiesto dalla norma, devono “determinare la maggioranza in assemblea”. Pertanto, il reato di cui all'art. 2636 c.c. è strutturato quale reato di evento a forma vincolata, fugando ogni dubbio – sostenuto da taluni in dottrina (cfr. M. Gallo, Forma dei reati e funzione del danno in talune norme penali societarie, in Ind. Pen., 1971, 423) - circa la possibilità che la fattispecie possa sanzionare la semplice condotta, senza che quindi sia richiesto l'accertamento di un nesso tra quest'ultima e l'effettiva formazione della maggioranza in assemblea. Tale impostazione è confortata anche dalla giurisprudenza (cfr. Cass. Pen., Sez. V, 29 aprile 2014, Rv. 260192). Come affermato dalla sentenza in commento, dunque, sembra pacifico sostenere che la frode o la simulazione debba avere un'efficacia causale rispetto alla formazione della maggioranza in assemblea, dovendosi quindi escludere la sussistenza del reato qualora i voti ottenuti per effetto della simulazione o della frode si siano aggiunti a quelli che già determinano la maggioranza. In sostanza, ai fini dell'accertamento del nesso di causalità tra atto simulato o fraudolento e determinazione della maggioranza si potrà ricorrere alla c.d. prova di resistenza, verificando se, decurtando i voti frutto dell'atto tipico, la delibera avrebbe ottenuto comunque la maggioranza. Osservazioni Con la sentenza in esame la Corte di Cassazione conferma la natura di reato di evento del delitto di indebita influenza sull'assemblea. Ciò entro un iter argomentativo lineare che ripercorre le statuizioni della giurisprudenza di legittimità sul punto. In particolare, viene ribadito come il delitto in esame possa dirsi integrato da qualsiasi operazione che artificiosamente consenta la formazione delle maggioranze assembleari, con il conseguimento di risultati vietati dalla legge o non consentiti dallo statuto sociale. Allo stesso modo la Corte fa proprio quell'orientamento, ormai consolidato, secondo il quale, dal momento che il reato è posto a tutela dell'interesse al corretto funzionamento dell'organo assembleare, la condotta simulatoria e fraudolenta debba essere tale da determinare l'alterazione della maggioranza in maniera effettiva per la consumazione del reato di cui all'art. 2636 c.c. È necessario quindi che la condotta abbia effettivamente inciso sulla formazione della maggioranza. Viene precisato inoltre che la condotta simulatoria e fraudolenta debba essere tale da determinare l'alterazione della maggioranza in maniera effettiva, e quindi nell'ambito di una assemblea effettivamente tenutasi e non solo simulata. In difetto, non potrebbe innescarsi quel processo eziologico in grado di alterare la maggioranza a seguito della condotta tipizzata negli atti di frode o simulatori. Conclusioni Le conclusioni cui perviene la pronuncia in esame appaiono coerenti con la natura del bene giuridico tutelato e con struttura di reato d'evento della fattispecie di cui all'art. 2636 c.c. che, benché non frequente nei repertori della Cassazione, risulta ricorrente nella prassi ove ne è frequentemente (quanto, talvolta, impropriamente) invocata l'applicazione ogni qualvolta i soci, soprattutto di minoranza, subiscano un qualsivoglia pregiudizio delle proprie prerogative assembleari. Non può, tuttavia, trascurarsi come l'approccio dei giudici di legittimità - secondo cui l'evento del reato dell'aver determinato la maggioranza in assemblea richiede necessariamente l'effettivo verificarsi del consesso assembleare - potrebbe determinare un eccessivo restringimento dell'ambito di tutela penalistica. Se infatti appare senz'altro corretto che l'iscrizione nel registro delle imprese di una assemblea in effetti mai tenutasi è una forma di pubblicità cui l'ordinamento non attribuisce efficacia costitutiva, è pur vero che neppure si tratta di una semplice forma di pubblicità notizia che assolve semplicemente alla funzione di rendere conoscibile l'atto, ma irrilevante per la validità ed efficacia dell'atto medesimo. Trattandosi, infatti, di una pubblicità dichiarativa o legale, ne deriva che il deposito del verbale di una assemblea (sebbene mai tenutasi) presso il registro delle imprese produrrebbe l'effetto della opponibilità delle delibere ivi contenute ai terzi ai sensi dell'art. 2375 c.c., con conseguente aggressione del bene giuridico tutelato dalla fattispecie, fintantoché tali determinazioni non siano impugnate. V'è da domandarsi, dunque, se la formazione di un verbale falso relativo a una assemblea mai tenutasi con cui si attuino le decisioni di una maggioranza assembleare mai venuta a esistenza possa essere ricondotta all'ipotesi dell'atto simulato previsto dalla fattispecie, essendo l'evento del reato integrato dalla efficacia dell'opponibilità ai terzi che detto verbale produrrebbe dal momento della sua registrazione presso il registro delle imprese. |