Commesso e committente: il perseguimento di finalità proprie esclude il nesso di occasionalità necessaria
09 Dicembre 2024
Massima Ai fini della configurabilità della responsabilità del committente per il danno arrecato dal fatto illecito del commesso (ex art. 2049 c.c.), pur essendo sufficiente un nesso di occasionalità necessaria tra l'illecito e il rapporto tra detti soggetti, è necessario accertare che il commesso abbia perseguito finalità coerenti con quelle per le quali erano state affidate le mansioni e non finalità proprie, alle quali il committente non sia neppure mediatamente interessato o compartecipe. (Nella specie, sul rilievo che il preposto aveva agito per fini esclusivamente personali e voluttuari, la S.C. ha confermato la sentenza della Corte territoriale che aveva escluso la corresponsabilità ex art. 2049 c.c. di una fondazione in concorso con un componente del suo consiglio di amministrazione, il quale aveva cagionato ingenti perdite patrimoniali alla fondazione stessa convincendola a spostare tutti i propri titoli alla filiale dell'istituto di credito dove lavorava la moglie del preposto, che provvedeva sistematicamente a distrarre i fondi ivi pervenuti per uso personale). Il caso Un consigliere di amministrazione convinse una Fondazione a spostare tutti i propri titoli presso la banca ove lavorava la propria moglie, la quale provvide sistematicamente a distrarre i fondi che ivi pervenivano per uso personale. La Fondazione, dopo aver appurato l’esistenza di ingenti ammanchi, superiori ai novecentomila euro, convenne in giudizio dinanzi al Tribunale la Banca ove era stati spostati i propri titoli, il consigliere di amministrazione e sua moglie, al fine di ottenere il risarcimento dei danni. Il Tribunale condannò in solido i convenuti a pagare alla Fondazione i danni subiti. Proposto appello, i giudici di secondo grado condannarono il consigliere di amministrazione e sua moglie a tenere indenne la banca di quanto da questa corrisposto in favore della Fondazione. Proposto ricorso, i giudici di legittimità confermarono la pronuncia di secondo grado, sul rilievo che il consigliere di amministrazione aveva realizzato una attività di storno dei titoli e della provvista di denaro, in modo del tutto divergente dalle finalità perseguite dalla Fondazione, avendo utilizzato il denaro per fini esclusivamente personali e voluttuari. La questione In tema di responsabilità del committente quando può dirsi superato il nesso di occasionalità necessaria? Le soluzioni giuridiche L'art. 2049 c.c. sancisce la responsabilità a carico dei «padroni» e «committenti» per i fatti illeciti compiuti dai «domestici» e «commessi». Si tratta di una formula che il codice del 1865 (v. art. 1153, comma 4) aveva mutuato dal codice francese (art. 1384, comma 5, corrispondente all'attuale art. 1242) e che il legislatore del 1942, pur avvertendone la portata restrittiva ed anacronistica, non ritenne di superare. Stando all'orientamento prevalente, la norma configura una forma di responsabilità oggettiva, indipendente cioè dalla colpa del soggetto responsabile, per la quale chi, nell'adempimento della propria obbligazione o nell'espletamento della propria attività si avvale dell'opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro (Cass. civ., sez. III, 12 ottobre 2018, n. 25373; Cass. civ., sez. III, 6 marzo 2008, n. 6033), ancorché non siano alle sue dipendenze (Cass. civ., sez. III, 11 dicembre 2012, n. 22619). Detta norma, per come è stata costantemente interpretata da questa Corte negli anni, è finalizzata a proteggere i terzi i quali vengano a subire incolpevolmente un danno a causa del cattivo operato del dipendente; rispetto al quale il soggetto preponente risponde per il fatto puro e semplice del c.d. collegamento funzionale (v. da ultimo, a proposito della responsabilità dello Stato e degli enti pubblici per il fatto illecito del dipendente, la sentenza delle Cass. civ., sez. un., 16 maggio 2019, n. 13246, ove si richiama il concetto della occasionalità necessaria). Il fondamento di tale responsabilità viene rinvenuto nella teoria del rischio di impresa e riposa sul principio cuius commoda et eius incommoda (ovvero dell'appropriazione o "avvalimento" dell'attività altrui), considerato espressione di un criterio di allocazione dei rischi per il quale i danni cagionati dal dipendente sono posti a carico dell'impresa, come componente dei costi di quest'ultima (Cass. civ., sez. III, 27 agosto 2014, n. 18304). Presupposti per l'applicazione dell'art. 2049 c.c. sono dunque:
Così, con riguardo al primo profilo, tra l'area centrale di operatività della norma — rappresentata dal classico rapporto di lavoro subordinato — e i suoi confini esterni — al di là dei quali si collocano l'appalto, l'intervento spontaneo nella sfera giuridica altrui, i rapporti di cortesia (Cass. civ., n. 1135/1958) — sussiste tutta una serie di gradazioni che consentono al giudice di ritenere nei fatti integrato un rapporto di preposizione tale da implicare la responsabilità del preponente per le condotte del preposto. Rapporti in tal senso rilevanti sono quelli che legano la società di intermediazione al promotore finanziario (Cass. civ., sez. III, 19 luglio 2012, n. 12448; Cass. civ., sez. I, 24 luglio 2009, n. 17393); la compagnia di assicurazioni al suo agente (Cass. civ., sez. III, 5 marzo 2009, n. 5370); l'associazione scoutistica (Cass. civ., sez. 26 luglio 2001, n. 10213; Trib. Roma, 2 ottobre 1997), il circolo sportivo (Trib. Monza, 13 settembre 1988); quello di un maneggio agli istruttori — non dipendenti — incaricati di far svolgere l'attività sportiva (Trib. Perugia, 15 ottobre 1998); il notaio e il suo coadiutore (Cass. civ., sez. III, 25 maggio 1981, n. 3433); il mandante e il mandatario (Cass. civ., sez. III, 27 giugno 1984, n. 3776: occorre in tal caso che l'attività del mandatario appaia verosimilmente, al terzo di buona fede, come rientrante nei limiti del mandato); il cliente di un'autorimessa al meccanico al quale il primo aveva chiesto di essere condotto a effettuare un giro di prova della vettura (Cass. civ., n. 1635/1964; Trib. Verona, 12 febbraio 1963). Gli esempi potrebbero continuare, ma quelli forniti appaiono sufficienti a evidenziare come:
Pertanto, è acquisito il principio per il quale il rapporto che lega preponente e preposto non deve essere necessariamente un rapporto di lavoro subordinato, essendo sufficiente che il preposto sia inserito, anche se temporaneamente o occasionalmente, nell'organizzazione aziendale e abbia agito per conto e sotto la vigilanza del primo (Cass. civ., sez. VI, 19 ottobre 2011, n. 21685). In relazione al nesso tra il danno e l'esercizio delle incombenze dell'ausiliario, la giurisprudenza di legittimità non richiede l'accertamento del nesso di causalità tra l'opera dell'ausiliario e l'obbligo del debitore, ritenendo sufficiente un «rapporto di occasionalità necessaria». In altre parole, l'incombenza affidata al preposto deve essere tale da determinare una situazione che renda possibile, o anche soltanto agevole, la consumazione del fatto illecito e, quindi, la produzione dell'evento dannoso, anche se il preposto abbia in effetti operato oltre i limiti dell'incarico affidatogli o contro la volontà del committente, ovvero abbia agito con dolo, purché sempre nell'ambito delle proprie mansioni, così da non configurare una condotta del tutto estranea al rapporto di lavoro (Cass. civ., sez. III, 6 marzo 2008, n. 6033; Cass. civ., sez. III, 24 gennaio 2007, n. 1516). Osservazioni La pronuncia in commento si conforma all'orientamento granitico di legittimità a mente del quale affinché possa operare l'art. 2049 c.c. non è più necessario accertare un vero e proprio nesso di causalità tra l'esercizio dell'incombenza e il danno; è, invece, sufficiente che tale esercizio favorisca di fatto la condotta illecita, ovvero che si ponga con questa in un rapporto di occasionalità necessaria ovvero di un collegamento che non si risolve in un vero e proprio nesso di causalità, dovendo essere inteso nel senso che l'incarico svolto deve aver determinato una situazione tale da rendere possibile ed agevole il fatto illecito, ma non deve trattarsi di una condotta estranea al rapporto. All'origine dell'obbligazione risarcitoria, cioè, non vi è la colpa nella scelta o nella sorveglianza del preposto, bensì la riferibilità della condotta colposa all'area di rischio del preponente, il quale, servendosi di altri per lo svolgimento della propria attività d'impresa, si vede imputati i danni che derivino a terzi, secondo il canone cuius commoda eius et incommoda, in forza del quale l'avvalimento, da parte di un soggetto, dell'attività di un altro per il perseguimento di propri fini comporta l'attribuzione al primo di quella posta in essere dal secondo nell'ambito dei poteri conferitigli. Tale appropriazione di attività deve comportarne l'imputazione nel suo complesso e, così, sia degli effetti favorevoli che di quelli pregiudizievoli, rispondendo un simile principio ad esigenze generali dell'ordinamento di riallocazione dei costi delle condotte dannose in capo a colui cui è riconosciuto di avvalersi dell'operato di altri. È opportuno notare che l'art. 2049 c.c. non contempla una prova liberatoria per il preponente, diversamente da quanto accade in altre fattispecie di responsabilità per fatto altrui (si pensi alla responsabilità conseguente all'esercizio di attività pericolose). Il nesso di occasionalità necessaria con le funzioni o poteri che esercita o di cui è titolare, va inteso nel senso che la condotta illecita dannosa - e, quale sua conseguenza, il danno ingiusto a terzi - non sarebbe stata possibile, in applicazione del principio di causalità adeguata ed in base ad un giudizio controfattuale riferito al tempo della condotta, senza l'esercizio di quelle funzioni o poteri che, per quanto deviati o abusivi od illeciti, non ne integri uno sviluppo oggettivamente anomalo (Cass. civ., sez. un., 16 maggio 2019, n. 13246). Tuttavia, il nesso di occasionalità necessaria deve ritenersi reciso, come nella odierna fattispecie, allorquando il dipendente, approfittando delle sue attribuzioni, abbia agito in funzione del conseguimento di una finalità esclusivamente egoistica e personale, estranea al datore di lavoro e addirittura contraria ai fini da esso perseguiti. In altri termini, il nesso di occasionalità necessaria (e la responsabilità del preponente) sussiste nella misura in cui le funzioni esercitate abbiano determinato, agevolato o reso possibile la realizzazione del fatto lesivo, nel qual caso è irrilevante che il dipendente abbia superato i limiti delle mansioni affidategli od abbia agito con dolo e per finalità strettamente personali (Cass. civ., sez. III, 24 settembre 2015, n. 18860; Cass. civ., sez. lav., 25 marzo 2013, n. 7403); alla condizione però che la condotta del preposto costituisca pur sempre il non imprevedibile sviluppo dello scorretto esercizio delle mansioni, non potendo il preponente essere chiamato a rispondere di un'attività del preposto che non corrisponda, neppure quale degenerazione od eccesso, al normale sviluppo di sequenze di eventi connesse all'espletamento delle sue incombenze (Cass. civ., sez. III, 9 giugno 2016, n. 11816). Al riguardo il giudice della nomofilachia ha precisato che l'appropriazione deli risultati delle altrui condotte «deve...essere correlata (e, corrispondentemente, limitata) alla normale estrinsecazione delle attività del preponente e di quelle oggetto della preposizione ad esse collegate, sia pure considerandone le violazioni o deviazioni oggettivamente probabili: sicché chi si avvale dell'altrui operato in tanto può essere chiamato a rispondere, per di più senza eccezioni e la rilevanza del proprio elemento soggettivo, delle sue conseguenze dannose in quanto egli possa ragionevolmente raffigurarsi, per prevenirle, le violazioni o deviazioni dei poteri conferiti o almeno tenerne conto nell'organizzazione dei propri rischi; e così risponde di quelle identificate in base ad un giudizio oggettivizzato di normalità statistica, cioè riferita non alle peculiarità del caso, ma alle ipotesi in astratto definibili come di verificazione probabile o - secondo i principi di causalità adeguata del "più probabile che non", in un dato contesto storico» (Cass. civ., sez. un., 16 maggio 2019, n. 13246, cit.). |