Contratto di utenza per il servizio di depurazione delle acque: inefficienza degli impianti e pagamento della tariffa
11 Dicembre 2024
Massima In tema di servizio idrico integrato il pagamento della tariffa per il servizio di depurazione delle acque non è dovuto dagli utenti non solo nel caso di inesistenza o temporanea inattività degli impianti centralizzati di depurazione, comunque disposta, ma anche in caso di inefficienza e di inidoneità al funzionamento. Il caso La Corte Costituzionale (C.Cost. 10 ottobre 2008 n. 335) aveva dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 14 c. 1 L. 36/1994, nonché dell'art. 155 c. 1 primo periodo D.lgs. 152/2006, nelle parti in cui prevedevano che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione delle acque fosse dovuta dagli utenti del servizio idrico anche nel caso in cui la fognatura fosse sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi fossero temporaneamente inattivi e aveva stabilito che i canoni dovessero essere pagati dagli utenti solo come corrispettivo dell'effettiva esistenza del servizio di depurazione. Successivamente alcuni utenti del servizio idrico e altri successivamente intervenuti in causa, serviti dal depuratore di Cuma, hanno chiesto la restituzione a titolo di indebito dei canoni di depurazione oggetto delle fatture degli ultimi dieci anni. Il Giudice di pace adito ha accolto la domanda e ha condannato in solido tra loro il gestore e la Regione Campania alla restituzione di quanto pagato dagli attori e dagli interventori. Il Tribunale di Napoli ha accolto l'appello del gestore e ha rigettato le domande proposte dagli attori e dagli interventori, condannandoli alla restituzione di quanto percepito in forza della sentenza di primo grado. Il Tribunale ha ritenuto che ai fini dell'accoglimento della domanda di ripetizione di indebito non bastava provare che il depuratore in questione non avesse funzionato in modo ottimale o che non avesse fornito un servizio pienamente soddisfacente quanto agli standard qualitativi di trattamento delle acque reflue, perché il pagamento del canone di depurazione, che trova titolo nell'esistenza del servizio, può essere preteso in restituzione solo quando manchi del tutto la prestazione cui è ricollegato e cioè quando gli impianti di depurazione non esistano o risultino temporaneamente inattivi. Nella fattispecie il depuratore di Cuma, pur bisognoso di una serie di ammodernamenti e di riparazioni per garantire un trattamento adeguato dei reflui e il rispetto della normativa vigente quanto alla qualità degli scarichi, era risultato in esercizio e quindi in grado di assicurare, sia pure in via parziale e non ottimale, il servizio di depurazione. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso degli utenti e ha cassato con rinvio la sentenza impugnata affermando il principio che il pagamento della tariffa per il servizio di depurazione delle acque non è dovuto dagli utenti non solo nel caso di inesistenza o «temporanea inattività» degli impianti centralizzati di depurazione, comunque disposta, ma anche in caso di inefficienza e di inidoneità al funzionamento. La questione
La decisione Con la sentenza in commento la Cassazione ha innanzitutto sgombrato il campo dall'equivoco in cui era incorso il Tribunale partenopeo, che a sostegno della sua decisione aveva invocato quale precedente la pronuncia Cass. 15 giugno 2020 n.11585. La Corte al riguardo ha chiarito che quella pronuncia (relativa allo stesso depuratore) si era limitata a dichiarare inammissibile il motivo di ricorso degli utenti solo perché volto a censurare l'apprezzamento che del materiale probatorio aveva fatto il Tribunale e la conclusione raggiunta in ordine alle condizioni del predetto depuratore, senza alcuna pronuncia in ordine alla questione di diritto. La Corte ha invece affermato, accogliendo il ricorso e richiamando la sua precedente giurisprudenza, che all'esito dell'intervento caducatorio della Corte Costituzionale, nell'ambito del contratto di utenza relativo alla fruizione del servizio idrico, deve ritenersi indebita la pretesa della tariffa per la depurazione acque indifferentemente per «la mancanza» degli impianti di depurazione, ovvero per la loro «temporanea inattività»; ha poi aggiunto che quest'ultima nozione comprende non solo il «fermo» volontariamente disposto (qualunque ne sia la ragione), ma anche l'inefficienza dell'impianto e quindi la sua inidoneità al funzionamento. Diversamente opinando, infatti, si perverrebbe a una conclusione in contrasto con la ratio della pronuncia del giudice delle leggi che qualifica indebito il pagamento «in caso di mancata fruizione» da parte dell'utente del servizio di depurazione, per fatto a lui non imputabile: sarebbe in tal caso irragionevole, per mancanza della controprestazione, l'imposizione dell'obbligo del pagamento della quota riferita a detto servizio. Le soluzioni giuridiche La pronuncia in esame risolve la questione proposta ribadendo un orientamento in via di consolidamento, ispirato alla ratio della decisione della Corte Costituzionale. La Suprema Corte afferma altresì che nel giudizio finalizzato alla restituzione, ai sensi dell'art. 2033 c.c., della somma pagata a titolo di canone per la depurazione delle acque (quale parte del complessivo corrispettivo dovuto per il servizio idrico) l'onere della prova circa il funzionamento dell'impianto di depurazione e gli oneri derivanti dalle attività di progettazione, realizzazione o completamento del medesimo impianto incombe, ai sensi dell'art. 2697 c. 2 c.c. sul convenuto, quale gestore del suddetto servizio e debitore della corrispondente prestazione nei confronti degli utenti, trattandosi di fatti impeditivi della pretesa restitutoria. Osservazioni La Corte Costituzionale con sentenza C.Cost. 10 ottobre 2008 n. 335 ha affermato che la tariffa del servizio idrico integrato si configura, in tutte le sue componenti, come corrispettivo di una prestazione commerciale complessa, che, pur determinato nel suo ammontare in base alla legge, trova fonte non in un atto autoritativo direttamente incidente sul patrimonio dell'utente, bensì nel contratto di utenza: l'inestricabile connessione delle suddette componenti è evidenziata, in particolare, dal fatto che, a fronte del pagamento della tariffa, l'utente riceve un complesso di prestazioni, consistenti sia nella somministrazione della risorsa idrica, sia nella fornitura dei servizi di fognatura e depurazione. Di conseguenza la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione, in quanto componente della complessiva tariffa del servizio idrico integrato, ne ripete necessariamente la natura di corrispettivo contrattuale, il cui ammontare è inserito automaticamente nel contratto. È stato pertanto ritenuto costituzionalmente illegittimo l'art. 155 c. 1 primo periodo D.Lgs. 152/2006 (che ha sostituito, con decorrenza dal 29 aprile 2006, l'art. 14 c. 1 L. 36/1994), nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti «anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi» poiché irragionevolmente introduce un obbligo di pagamento non correlato alla controprestazione in un sistema di finanziamento del servizio idrico integrato, costruito unitariamente dal legislatore sull'esistenza di un nesso sinallagmatico. Proprio la riconduzione della quota di tariffa riferita al servizio di depurazione a un rapporto sinallagmatico ha indirizzato la successiva giurisprudenza di legittimità. La terza sezione della Cassazione (Cass. 11 febbraio 2020 n. 3314) ha affermato che alla mancanza e alla temporanea inattività degli impianti di depurazione, che giustificano il diritto dell'utente di chiedere ai gestori del servizio idrico integrato la restituzione della quota non dovuta di tariffa, va equiparata l'assoluta insufficienza di detti impianti poiché, alla luce delle sentenze C.Cost. 8 febbraio 2010 n. 39 e C.Cost. 10 ottobre 2008 n. 335, il pagamento di un servizio di depurazione del quale non si è comunque potuto usufruire per fatto non imputabile è da ritenere, in ogni caso, indebito. In quell'occasione la Cassazione ha precisato altresì che l'azione di ripetizione dell'indebito presuppone l'inesistenza dell'obbligazione adempiuta, derivante dall'assenza originaria di un titolo negoziale che la giustifichi o dal suo successivo venir meno a seguito di annullamento, rescissione o inefficacia connessa ad una condizione risolutiva avveratasi, ipotesi alle quali va equiparata la declaratoria di illegittimità costituzionale della disposizione di legge in cui trovi fondamento il pagamento eseguito, così che il diritto alla restituzione dell'indebito che sorge in conseguenza della pronuncia di incostituzionalità è soggetto all'ordinario termine di prescrizione decennale. Nello stesso senso: Cass. 13 febbraio 2020 n. 3692, Cass. 15 giugno 2020 n. 11585, Cass. 1 febbraio 2022 n. 3044, in cui si dà rilievo ad ogni «cattivo funzionamento del depuratore tale da comportare la mancata fruizione del servizio»; Cass. 14 novembre 2022 n. 33462. Merita un approfondimento l'affermazione della Corte in ordine al riparto dell'onere probatorio. Nessun dubbio è lecito nutrire nel caso in cui l'utente si opponga alla richiesta di pagamento eccependo l'inadempimento del gestore. Alla luce del fondamentale orientamento risalente alla sentenza Cass. SU 30 ottobre 2001 n. 13533, secondo cui in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell'onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell'eccezione di inadempimento ai sensi dell'art. 1460 c.c. (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l'altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell'obbligazione). Anche nel caso in cui sia dedotto non l'inadempimento dell'obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell'obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto, esatto adempimento. Invece, in generale, in tema di ripetizione dell'indebito oggettivo la giurisprudenza insegna che l'onere della prova grava su chi agisce per la ripetizione di un pagamento che assume non dovuto, sia pur solo con riferimento ai rapporti specifici intercorsi e dedotti in giudizio, costituendo una prova diabolica esigere altrimenti dall'attore la dimostrazione dell'inesistenza di ogni e qualsivoglia causa di dazione tra solvens e accipiens. (Cass. 27 dicembre 2022 n. 37800, Cass. 23 novembre 2022 n. 34427, Cass.5 ottobre 2022 n. 28878, Cass. 26 maggio 2021 n. 14428, Cass. 13 dicembre 2019 n. 33009, Cass. 27 novembre 2018 n. 30713, Cass. 3 agosto 2018 n. 20522). Solo apparente è il contrasto fra questo orientamento e le affermazioni della sentenza in commento: queste infatti si basano, al pari delle pronunce che l'hanno preceduta, sulla norma speciale dell'art. 8 sexies c. 2 DL 208/2008 aggiunto dall'art. 1 L. 13/2009, in sede di conversione, modif. dall'art. 15 c. 2 quater DL 135/2009, che ha disposto che in attuazione della sentenza della sentenza C.Cost. 10 ottobre 2008 n. 335, i gestori del servizio idrico integrato provvedano anche in forma rateizzata, entro il termine massimo di cinque anni, a decorrere dal 1° ottobre 2009, alla restituzione della quota di tariffa non dovuta riferita all'esercizio del servizio di depurazione. Nei casi di cui al secondo periodo del comma 1 (avvio delle procedure di affidamento delle prestazioni di progettazione o di completamento delle opere necessarie alla attivazione del servizio di depurazione, nel rispetto dei tempi programmati) dall'importo da restituire vanno dedotti gli oneri derivati dalle attività di progettazione, di realizzazione o di completamento avviate. Ciò ha indotto la Cassazione a sostenere, sulla base della specialità del regime regolato dalla predetta espressa disposizione normativa, volta ad attuare la sentenza della Corte Costituzionale, che nel giudizio finalizzato alla restituzione della somma pagata a titolo di canone per la depurazione delle acque (quale parte del complessivo corrispettivo dovuto per il servizio idrico, l'onere della prova circa il funzionamento dell'impianto di depurazione e gli oneri derivanti dalle attività di progettazione, realizzazione o completamento del medesimo impianto incombe, ai sensi dell'art. 2697 c. 2 c.c. sul convenuto, quale gestore del suddetto servizio e debitore della corrispondente prestazione nei confronti degli utenti, trattandosi di fatti impeditivi della pretesa restitutoria (Cass. 12 giugno 2020 n. 11270, Cass. 14 novembre 2022 n. 33462). Principio questo condiviso anche dalla sentenza della Cass. 12 giugno 2020 n. 11294, massimata in modo incompleto. |