Danno patrimoniale per assistenza a paraplegico e assistenza (gratuita?) dei familiari
23 Dicembre 2024
Massima In tema di danno patrimoniale per spese di assistenza in favore di persona affetta da paraplegia necessitante di assistenza continua, è illogica la motivazione che esclude l'esistenza del danno in presenza del volontario contributo assistenziale fornito da un familiare. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto inesistente un danno patrimoniale in conseguenza del fatto che la madre del ragazzo paraplegico apportava un volontario contributo assistenziale, peraltro affermando, in maniera arbitraria, o non adeguatamente supportata sul piano argomentativo, che il ragazzo paraplegico con invalidità all'85% avrebbe avuto bisogno solo di quattro ore al giorno di assistenza e accudimento). Il caso A seguito di un sinistro stradale un adolescente, rimasto paraplegico con un'invalidità accertata dell'85%, agisce in giudizio per il risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali. In particolare, oltre al danno biologico, veniva chiesto il danno patrimoniale futuro derivante dalla perdita della capacità di guadagno, nonché il danno patrimoniale per spese di assistenza in favore di persona affetta da paraplegia necessitante di assistenza continua. I giudici di merito negavano il risarcimento del danno da menomazione della capacità lavorativa specifica. Soprattutto, per quanto interessa, negavano anche il danno per assistenza alla persona, ritenendo inesistente un danno patrimoniale in conseguenza del fatto che la madre del ragazzo paraplegico apportava un volontario contributo assistenziale. La questione La questione riguarda il risarcimento del danno patrimoniale con particolare riferimento alle spese di assistenza in favore di persona affetta da paraplegia (un adolescente che ha subito un'invalidità dell85%), necessitante di assistenza continua. Il problema si pone in relazione al contributo assistenziale fornito da un familiare stretto, nella specie la madre, ritenuto volontario. Le soluzioni giuridiche In termini generali, di fronte ad un'invalidità si deve verificare la limitatezza dell'accudimento personale necessitato dalla vittima, con il conseguente adeguamento della liquidazione del corrispondente danno patrimoniale imposto dall'esigenza di un'adeguata assistenza personale. Il problema è che si discuteva di una persona paraplegica invalida all'85%, per cui dovrebbe essere evidente la necessità di un'assistenza personale estesa a un ben più ampio arco temporale giornaliero. Nella specie, invece, l'assistenza era stata limitata, dai giudici di merito, ad appena quattro ore giornaliere. Al di là di questa questione (verificare la limitatezza dell'assistenza), quel che interessa riguarda il fatto che l'accudimento veniva svolto da un parente stretto, quale la madre dell'adolescente poi divenuto maggiorenne. Vi è una presunzione di gratuita dell'assistenza familiare? L'assistenza di un familiare si può ritenere gratuita, come ha fatto la corte territoriale. È interessante notare come, nel diverso ambito giuslavoristico (e per evidenti ragioni) non vi sia uniformità di opinioni:
La sentenza in esame cassa duramente la decisione. Sul fronte della valutazione del danno, occorre valutare la prevedibile “emancipazione” del danneggiato dall'assistenza domestica materna. Questa tipologia si danno deve considerare due ”fasi”. Se è vero che il danno patrimoniale derivante a carico della vittima. in correlazione alle relative esigenze di assistenza personale va determinato muovendo dalla distinzione di una prima fase, in cui avrebbe assunto valore decisivo il volontario apporto assistenziale della madre, e una fase successiva in cui la madre avrebbe dovuto essere necessariamente sostituita da terzi, la Suprema Corte prende le distanze dalla decisione impugnata, ove afferma che: «Non possono condividersi le censure svolte dall'appellante in ordine alla richiesta di maggior ristoro delle spese di assistenza, perché, quanto al presente, non è stata offerta alcuna prova dell'attualità dell'esborso e, per il futuro, il danno è stato calcolato in via presuntiva, avuto riguardo al grado di invalidità del danneggiato e dunque delle sue necessità di soggetto paraplegico, che non ha bisogno di assistenza continua nelle ventiquattro ore, bensì di un adeguato supporto domestico e di limitato accudimento personale, ovvero d'incombenze giornaliere, al momento sufficientemente svolte dalla sola madre e che per il futuro andranno appunto remunerate». La statuizione ha carattere illogico, secondo la Cassazione, apparendo del tutto apodittico ritenere inesistente un danno patrimoniale in conseguenza del fatto che la madre del ragazzo paraplegico apporti un volontario contributo assistenziale, così come arbitraria - o non adeguatamente supportata sul piano argomentativo - l'affermazione secondo cui un ragazzo paraplegico con invalidità all'85% avrebbe bisogno di solo quattro ore al giorno di assistenza e accudimento. Al di là dell'aspetto connesso alla patente illogicità della motivazione, vengono violati i principi di cui all'art. 2729 c.c. nella misura in cui il giudice del merito risulta aver gestito il valore rappresentativo delle presunzioni in maniera palesemente infedele rispetto alla necessità della loro gravità, precisione e concordanza, dovendo ritenersi come il fatto noto di «disporre dell'apporto assistenziale volontario della madre» non giustifichi affatto l'inferenza del fatto ignoto «assenza di danno»; così come il fatto noto «'invalidità pari all'85%» non giustifica affatto l'inferenza del fatto ignoto «necessità di quattro ore giornaliere di assistenza e accudimento». Osservazioni La sentenza in esame ha il condivisibile pregio di “risolvere” la questione, che potrebbe apparire giuridicamente opinabile, in modo semplice e diretto, ricorrendo all'applicazione dei principi in materia di presunzioni. La questione potrebbe essere opinabile perché, oggettivamente, in presenza di un'assistenza prestata dal familiare stretto, si può presumere che questo avvenga a titolo gratuito, in forza di quel vincolo di solidarietà e cooperazione familiare che contraddistingue i rapporti familiari. In questo senso, a fronte di una ritenuta gratuità dell'apporto o assistenza e in applicazione dell'effettività del danno, potrebbe ritenersi non provata l'entità del danno stesso o addirittura inesistente il danno. Il condizionale è d'obbligo, perché, a ben vedere, così non può essere. Nel caso estremo in esame, di persona paraplegica, è illogico pensare che il danno o la necessità dell'assistenza possa mancare o essere limitato, in presenza di un familiare che svolge le funzioni di assistenza. Ma questo vale, come vedremo, anche per altri casi “meno gravi” di assistenza familiare. In questo senso la regola richiamata dalla Cassazione è tranciante: il fatto noto di «disporre dell'apporto assistenziale volontario della madre» non giustifica affatto l'inferenza del fatto ignoto «assenza di danno», in applicazione dell'art. 2729 c.c. Volendo sviluppare il percorso argomentativo, occorre distinguere il profilo dell'esistenza del danno e il profilo dell'esistenza di un contratto di lavoro oneroso di assistenza. Qui, forse, risiede l'inganno in cui è caduta la Corte territoriale. Indubbiamente l'esistenza di un contratto di lavoro per l'assistenza può costituire una voce di danno patrimoniale risarcibile. Ma in presenza di un apporto di un familiare, l'assenza di un contratto di lavoro (rectius, l'assenza di un vincolo di subordinazione e del carattere dell'onerosità) non implica l'assenza del danno. Corre l'obbligo di avvertire del pericolo di ritenere questo rapporto in senso bi-univoco. Così non può essere. Riconoscere la voce di danno non può significare riconoscere automaticamente anche l'esistenza di un rapporto di lavoro. Questo avrebbe conseguenze a livello sistematico inaccettabili, come vedremo. In questo senso è utile considerare la giurisprudenza giuslavoristica. In termini generali, è vero che la prestazione lavorativa, consistente nello svolgimento di attività domestiche resa a favore del cognato nell'ambito del ménage familiare, è da presumersi di carattere gratuito, dovendosi escludere il vincolo di subordinazione ove non adeguatamente provato (Cass. civ., sez. lav., 29 novembre 2018, n. 30899). Con riguardo agli obblighi assicurativi, quando un soggetto abbia comunanza di vita o di interessi con un proprio parente, l'attività di assistenza espletata a favore di questo deve considerarsi, salvo prova contraria, rientrante nei vincoli familiari o costituire un rapporto di lavoro familiare a titolo gratuito, non già un rapporto di lavoro subordinato soggetto agli oneri contributivi. A tale fine, invece, non sussiste l'onere della prova della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato ove l'assistenza, pur in presenza di vincoli di coniugio, parentela o affinità, sia prestata in favore di un soggetto invalido appartenente ad una delle categorie di cui al d.P.R. n. 1403/1971 (Cass. civ., sez. lav., 15 novembre 1988, n.6173). Per le prestazioni lavorative di collaborazione familiare e di assistenza offerte in favore di parenti o affini anche in difetto della convivenza non viene meno la presunzione di gratuità che trova la sua fonte nella circostanza che le suddette prestazioni vengono normalmente rese "affectionis vel benevolentiae causa"; pertanto, in caso di contestazione, la parte che faccia valere diritti derivanti da simili rapporti ha l'obbligo di dimostrarne, con prova precisa e rigorosa, tutti gli elementi costitutivi e, in particolare, i requisiti indefettibili della subordinazione e della onerosità (Cass. civ., sez. lav., 17 agosto 2000, n.10923; in senso parzialmente contrario con riguardo alla necessaria convivenza, Cass. civ., sez. lav., 10 luglio 1990, n. 7185: per negare che le prestazioni lavorative svolte nell'ambito di un gruppo parentale diano luogo a un rapporto di lavoro subordinato o di parasubordinazione, occorre accertare l'esistenza di una partecipazione costante dei vari membri alla vita e agli interessi del gruppo, ossia uno stato di mutua solidarietà ed assistenza. Diverso se le prestazioni lavorative siano svolte nell'ambito di un'attività professionale esercitata al di fuori della comunità familiare, dovendo escludersi l'ipotesi del lavoro gratuito, la cui presunzione peraltro non opera quando i soggetti non sono conviventi sotto il medesimo tetto ma in unità abitative autonome e distinte). Opinare diversamente, ossia configurare l'assistenza familiare un'attività lavorativa, porrebbe questioni più ampie:
Valga l'esempio di un parente in congedo per assistere un familiare e che presti assistenza per qualche ora anche ad un altro familiare stretto: se l'assistenza familiare fosse intesa come attività lavorativa (pur a titolo gratuito), il familiare non potrebbe dedicarsi neppure parzialmente ad aiutare altri parenti, con sfregio dei doveri di solidarietà.
Così non può essere, perché semplicemente il “danno patrimoniale” per l'assistenza non si identifica necessariamente con un rapporto oneroso. Le preminenti esigenze familiari e solidaristiche impediscono di configurare un rapporto di lavoro subordinato di assistenza, salvo che non venga espressamente stipulato, cosa sempre possibile. D'altra parte, il dovere di solidarietà trova sostanza in norme dell'ordinamento. Basti pensare al reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 c.p.): integra il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare la mancata prestazione da parte del soggetto obbligato e capace di provvedervi, a fronte di grave patologia invalidante del familiare, di quei mezzi necessari per integrare le spese delle cure mediche non assicurate nella forma dell'assistenza diretta e gratuita degli enti di previdenza, nonché la mancata osservanza dell'ulteriore dovere di assicurarsi, a mezzo di costanti rapporti personali, dello effettivo stato di bisogno del predetto familiare (Cass. pen., sez. VI, 8 maggio 2014, n. 26494; Cass. pen., sez. VI, 29 maggio 1995, n.11228). Senza dubbio viene in considerazione il dovere di solidarietà sociale e nella famiglia tutelato dall'art. 2 Cost. posto a presidio di tutte le aggregazioni sociali. Così sono positivamente affermati i doveri di mantenimento, eduzione ed istruzione dei genitori nei confronti dei figli (art. 147 c.c.). L'esistenza di un danno per l'assistenza è innegabile, in quanto obiettivamente presente e l'assistenza caratterizzata dalla necessità, soprattutto nel caso di persona paraplegica:
Al più si potrebbe porre la questione di legittimazione attiva per il risarcimento del danno patrimoniale azionato dal familiare iure proprio che presta assistenza. Non potendosi duplicare, in tesi, i risarcimenti per il medesimo danno, si tratta di coordinare le eventuali azioni. Ciò non toglie che, come statuito dalla Suprema Corte, la gratuità dell'assistenza non implica o non presume l'assenza di danno. |