Domanda generica di risarcimento danni: dietrofront della Cassazione
30 Dicembre 2024
Massima La domanda con la quale un soggetto chieda il risarcimento dei danni a lui cagionati da un dato comportamento del convenuto, senza ulteriori specificazioni, si riferisce a tutte le possibili voci di danno originate da quella condotta; pertanto, a fronte di una domanda di risarcimento pure generica, che utilizzi formule: «danni tutti, patrimoniali e non patrimoniali, patiti e patiendi»; danno «subìto e subendo», come nel caso di specie, ed in assenza di ulteriori allegazioni, deve riconoscersi anche la voce di danno non patrimoniale. Il caso L'attore agiva innanzi al Tribunale di Pistoia nei confronti del venditore dell'immobile che egli aveva acquistato onde sentirlo condannare all'eliminazione dei difetti, alla corresponsione della differenza tra il prezzo d'acquisto e il minor valore dell'immobile, nonché al risarcimento dei danni. Il Tribunale di Pistoia condannava il convenuto al pagamento di 24.208,69 euro a titolo di riduzione del prezzo. Adita in sede di gravame da parte del venditore, la Corte d'appello di Firenze riformava parzialmente la sentenza del giudice di prime cure accogliendo l'appello incidentale dell'acquirente e condannava la società costruttrice, chiamata in manleva dall'appellante in via principale, al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali in favore dell'appellante incidentale. Osservava, in particolare, la Corte, per quanto qui rileva, che la formula generica utilizzata dall'attore in primo grado per chiedere il risarcimento dei danni poteva essere specificata nelle sue diverse voci in comparsa conclusionale. Avverso la sentenza del giudice d'appello, la società costruttrice proponeva ricorso per cassazione dolendosi, per quanto qui d'interesse, del fatto la decisione impugnata aveva riconosciuto alla parte attrice la possibilità di specificare le voci di danno solo in comparsa conclusionale, laddove l'attore aveva, diversamente, un preciso dovere di indicare e di allegare i fatti materiali che assumeva come fonte di danno. La questione In tema di risarcimento del danno da fatto illecito o da inadempimento contrattuale, qual è l'ampiezza allegatoria della domanda con la quale il danneggiato richieda il ristoro dei danni subiti? La soluzione giuridica Secondo la sentenza in commento, è sufficiente che l'attore formuli una domanda di risarcimento, ancorché generica e di stile, come «condannarsi a risarcire i danni tutti, patrimoniali e non patrimoniali, patiti e patiendi», per ricomprendere tutte le possibili voci di danno, con la conseguenza che la specificazione delle diverse tipologie di danno potrà essere contenuta anche in sede di comparsa conclusionale. Osservazioni Al contrario, la Suprema Corte, ormai da parecchio tempo, ha ritenuto che l'onere di allegazione nei giudizi di risarcimento del danno va assolto in modo puntuale e preciso e ciò sia per mettere il convenuto in condizione di difendersi, sia per mettere il giudice in condizione di stabilire esattamente quale sia il thema decidendum, e quindi le prove ad esso pertinenti. Ha stabilito, in particolare, Cass. civ., sez. III, 13 maggio 2011, n. 10527, che «l'onere di allegazione (...) va adempiuto in modo circostanziato, non potendo risolversi in mere enunciazioni generiche, astratte od ipotetiche», e ha ribadito Cass. civ., sez. III, 18 gennaio 2012, n. 691, che «le allegazioni che devono accompagnare la proposizione di una domanda risarcitoria non possono essere limitate alla prospettazione della condotta in tesi colpevole della controparte (...), ma devono includere anche la descrizione delle lesioni, patrimoniali e/o non patrimoniali, prodotte da tale condotta, dovendo l'attore mettere il convenuto in condizione di conoscere quali pregiudizi vengono imputati al suo comportamento, e ciò a prescindere dalla loro esatta quantificazione e dall'assolvimento di ogni onere probatorio al riguardo». Il principio, negli ultimi dieci anni, è stato ribadito da oltre trenta decisioni, tra le quali Cass. civ., sez. lav., 18 maggio 2021, n. 13536; Cass. civ., sez. lav., 23 aprile 2021, n. 10868; Cass. civ., sez. III, 15 aprile 2019, n.10450; Cass. civ., sez. I, 24 settembre 2018, n. 22460; Cass. civ., sez. III, 15 giugno 2018, n. 15769 (M. Rossetti, Risarcimento del danno, onere di allegazione e mutamento della domanda, in IUS Responsabilità civile (ius.giuffrefl.it), 7 febbraio 2022). Così, è stato assai correttamente osservato, se i congiunti di persona deceduta in conseguenza dell'altrui fatto illecito domandano il ristoro del “danno patrimoniale”, senza alcun'altra specificazione, il convenuto si trova nell'impossibilità di sapere se gli attori abbiano inteso domandare il danno patito dalla vittima primaria e ad esse trasmesso iure haereditario, ovvero il pregiudizio patito direttamente dagli attori, in conseguenza della perdita delle utilità ad essi erogate dal defunto, od ancora il danno emergente rappresentato dalle spese funerarie, od infine il danno patito in proprio, e derivato dalla perduta capacità di guadagno, a sua volta conseguenza della malattia psichica insorta in conseguenza dell'evento luttuoso (M. Rossetti, Risarcimento del danno, onere di allegazione e mutamento della domanda, cit.). Pertanto, l'attore nell'atto introduttivo del giudizio risarcitorio avrà l'onere di indicare analiticamente le voci di danno delle quali chiede il ristoro, pur senza ricorrere a formule sacramentali, beninteso, ma a condizione che il convenuto sia posto in grado di sapere quali e di che natura siano i pregiudizi dei quali l'attore chiede il risarcimento (Cass. civ., sez. un., 17 giugno 2004, n.11353). Ed infine, merita rimarcare che una richiesta di risarcimento dei «danni subiti e subendi», quando non sia accompagnata dalla concreta descrizione del pregiudizio di cui si chiede il ristoro, va qualificata generica ed inutile. Generica, perché non mette né il giudice né il convenuto in condizione di sapere di quale concreto pregiudizio si chieda il ristoro; inutile, perché tale genericità non fa sorgere in capo al giudice il potere-dovere di provvedere (così, testualmente, Cass. civ., sez. III, 30 giugno 2015, n. 13328). Didascalicamente, in motivazione la sentenza precisa che «L'art. 163 c.p.c., comma 2, nn. 3 e 4, impone all'attore di esporre, nell'atto di citazione:
In tema di risarcimento del danno da fatto illecito o da inadempimento contrattuale, la "cosa" oggetto della domanda è il pregiudizio di cui si invochi il ristoro, e gli "elementi di fatto" costitutivi della pretesa sono rappresentati dalla descrizione della perdita che l'attore lamenti di avere patito. L'adempimento dell'onere di allegare i fatti costitutivi della pretesa è preordinato:
L'attore, dunque, non ha certamente l'onere di designare con un preciso nomen iuris il danno di cui chiede il risarcimento; né ha l'onere di quantificarlo al centesimo: tali adempimenti non sono infatti strettamente necessari né per delimitare il thema decidendum, né per mettere il convenuto in condizioni di difendersi. L'attore ha invece il dovere di indicare analiticamente e con rigore i fatti materiali che assume essere stati fonte di danno. E dunque:
Questo essendo l'onere imposto dalla legge all'attore che domanda il risarcimento del danno, ne discende che una richiesta di risarcimento dei "danni subiti e subendi", quando non sia accompagnata dalla concreta descrizione del pregiudizio di cui si chiede il ristoro, va qualificata generica ed inutile. Generica, perché non mette né il giudice, né il convenuto, in condizione di sapere di quale concreto pregiudizio si chieda il ristoro; inutile, perché tale genericità non fa sorgere in capo al giudice il potere- dovere di provvedere». Tali principi, si è detto, sono stati ripetutamente affermati in sede di legittimità. Già Cass. civ., sez. un., 17 giugno 2004, n.11353 aveva stabilito che l'onere di contestazione che incombe sul convenuto e quello di allegazione che incombe sull'attore, sono tra loro speculari e complementari, cosicché il mancato assolvimento del secondo non fa sorgere il primo. Orientamenti difformi
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