Il danno da segnalazione a sofferenza può essere provato per presunzioni

02 Gennaio 2025

La Cassazione torna ad occuparsi delle conseguenze pregiudizievoli di una segnalazione illegittima alla Centrale dei rischi, con particolare riferimento alla prova del danno.

Massima

Il danno patrimoniale derivante da una segnalazione indebita alla Centrale dei Rischi di Banca d'Italia può essere provato anche mediante presunzioni. Nel caso di un imprenditore, tale danno può consistere in un peggioramento della sua affidabilità commerciale, che è cruciale per ottenere e mantenere finanziamenti, con conseguente lesione del diritto di operare sul mercato in conformità alle regole della libera concorrenza. Per un altro soggetto, il danno può consistere nella difficoltà aumentata nell'accesso al credito. Nel caso specifico, dagli atti del giudizio emergono indizi che consentono di dedurre il nesso causale tra la segnalazione e la successiva revoca degli affidamenti concessi alla debitrice principale, nonché il danno subìto dal ricorrente. In particolare, tra la segnalazione e la revoca degli affidamenti è trascorso un breve lasso di tempo, che rafforza questa connessione.

Il caso

Il ricorrente si lamenta del fatto che la Corte d'appello, pur avendo ritenuto fondata la domanda di accertamento dell'abusività della segnalazione della debitrice principale alla Centrale Rischi, abbia successivamente negato il risarcimento del danno, patrimoniale e non. Secondo il ricorrente, dalla documentazione acquisita agli atti del giudizio emerge che il «demerito creditizio segnalato», in assenza dei presupposti che lo giustificassero, ha impedito alla debitrice principale di mantenere i propri affidamenti presso banche e fornitori, costringendo così il garante a far fronte alle sue obbligazioni.

La questione

La questione di diritto riguarda la prova del danno, patrimoniale o non, derivante da una segnalazione indebita alla Centrale dei Rischi di Banca d'Italia, e in particolare la possibilità di provare il danno per presunzioni. In tale contesto, la questione si concentra anche sul nesso causale tra la segnalazione e la successiva revoca degli affidamenti concessi.

Osservazioni

È consolidato il convincimento giurisprudenziale che la condotta dell'intermediario che effettui una illegittima segnalazione alla Centrale dei rischi configuri una responsabilità sia contrattuale (1. la raccolta e trasmissione dei dati derivano da un rapporto contrattuale; 2. violazione dei canoni di correttezza e buona fede richiesti nello svolgimento di ogni rapporto obbligatorio secondo le norme generali exartt. 1715,1374,1375 c.c.) sia extracontrattuale (ex art. 2043 c.c.: risarcimento per fatto illecito) (ex multis: Trib. Cosenza 16.2.2017; Trib. Ascoli Piceno 13.9.2016; Trib. Verona 12.11.2015 e 27.4.2014; Trib. Milano 19.2.2001; Trib. Napoli 19.1.1998).

La Cassazione ha osservato che la normativa in materia di Centrale dei rischi, sebbene persegua interessi pubblicistici di contenimento dei rischi bancari, finisce, nel momento in cui delinea i presupposti che giustificano la segnalazione alla Centrale Rischi, anche per integrare il contenuto del rapporto contrattuale con il cliente. È infatti evidente che la puntualizzazione dei limiti che giustificano, in quanto doverosa, un'iniziativa suscettibile di incidere sulla 'reputazione' economica e l'operatività bancaria dei clienti è destinata anche a proteggere direttamente questi ultimi interessi, rispetto alla diffusione di dati che le banche conoscono in ragione dello specifico rapporto obbligatorio che le lega al cliente stesso.

 Ne discende che la violazione di tale disciplina - laddove si traduca nell'erronea individuazione della ricorrenza di tali presupposti - genera una responsabilità negoziale della banca, sulla quale grave l'onere, in coerenza con i principi generali desumibili dall'art. 1218 c.c., di dimostrare, ove sorga controversia, l'adempimento dei propri obblighi (Cass. n. 25512/2017).

Nell'ambito della responsabilità aquiliana, la dottrina (Gazzoni) include tra le fattispecie di danno ingiusto ex art. 2043 c.c. le ipotesi di informazioni inesatte cui segua la lesione del diritto all'integrità del patrimonio. Altre ipotesi di responsabilità extracontrattuale per illecita segnalazione sono state individuate nei casi in cui la segnalazione sia effettuata in assenza di un rapporto contrattuale con l'intermediario segnalante, perché mai instaurato o cessato.

Occorre, infine, menzionare che, a norma dell'art. 82, comma 1, del Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR UE/2016/679), chiunque subisca un danno materiale o immateriale causato da una violazione del suddetto regolamento ha il diritto di ottenere il risarcimento del danno dal titolare del trattamento o dal responsabile del trattamento.

Il soggetto che assume l'illegittimità della segnalazione “a sofferenza” del proprio nominativo alla Centrale dei rischi deve fornire la prova di avere subìto, in conseguenza di ciò, un concreto pregiudizio (patrimoniale o meno) (ex multis: Cass. n. 8421/2011; Cass. n. 6199/2004; Cass. n. 4881/2004; Cass. n. 4366/2003; Cass. n. 2679/1997). Non sono, infatti, ricevibili richieste di risarcimento generiche: il diritto al risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo non è riconosciuto con caratteristiche e finalità punitive, ma in relazione all'effettivo pregiudizio subìto dal titolare del diritto leso, che deve essere dimostrato (Cass., Sez. Un., n. 15350/2015; Cass., Sez. Un., n. 26972/2008; Cass. nn. 3133/2020, 1931/2017; 23206/2015, 16133/2014, 1781/2012 e 1183/2007).

Ai fini della dimostrazione del concreto pregiudizio subìto dalla illegittima segnalazione, non può essere invocata la tesi del danno in re ipsa, poiché «snatura la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell'effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo» (Cass., Sez. Un., n. 26972/2008). Non esistono danni in re ipsa: la lesione di un diritto è il presupposto del danno, ma non il danno stesso. Pertanto, chi invoca il risarcimento ha l'onere di allegare e provare non solo la lesione del diritto, ma anche il pregiudizio che ne sia derivato (Cass. n. 26438/2022; Cass. n. 6589/2023; Cass. n. 11732/2024).

È parimenti consolidato il convincimento che la liquidazione equitativa del danno - criterio abitualmente utilizzato nei casi di illegittima segnalazione alla Centrale dei rischi - può aver luogo soltanto se il danno è provato nell'an, e comunque la possibilità della liquidazione equitativa non esime il danneggiato dall'offrire al giudice gli elementi di fatto necessari alla liquidazione, nell'ipotesi in cui il danno non possa essere provato nel suo preciso ammontare ai sensi dell'art. 1226 c.c.

La Cassazione ha ormai definitivamente chiarito che la facoltà per il giudice di liquidare in via equitativa il danno esige due presupposti: in primo luogo, che sia concretamente accertata l'ontologica esistenza d'un danno risarcibile, prova il cui onere ricade sul danneggiato; in secondo luogo, il ricorso alla liquidazione equitativa richiede che il giudice di merito abbia previamente accertato che l'impossibilità (o l'estrema difficoltà) di una stima esatta del danno dipenda da fattori oggettivi, e non già dalla negligenza della parte danneggiata nell'allegare e dimostrare gli elementi dai quali desumere l'entità del danno (Cass. n. 11698/2018; Cass. n. 4534/2017; Cass. n. 1931/2017; Cass. n. 127/2016).

La liquidazione equitativa del danno, dunque, presuppone: l'accertamento dell'esistenza di un danno risarcibile; l'impossibilità o rilevante difficoltà di una stima esatta del danno; la circostanza che tale impossibilità non dipenda dall'inerzia della parte gravata dell'onere della prova. In altre parole, la richiesta di condanna ex art. 1226 c.c. non può risolversi in uno strumento processuale per sottrarsi all'ordinario onere della prova di cui all'art. 2697 c.c.

Riguardo alle conseguenze di una illegittima segnalazione alla Centrale dei rischi, occorre infine  distinguere tra danno patrimoniale (danno emergente/perdita subita: ad es., smobilizzazione di investimenti a causa della illegittima segnalazione ovvero lucro cessante/mancato guadagno: ad es., perdita di opportunità imprenditoriali a causa della conseguente interruzione del credito) e danno non patrimoniale (ad es., danno reputazionale, derivante dalla lesione dell'immagine personale o imprenditoriale).

In questo panorama giurisprudenziale si inserisce la decisione in commento, secondo cui, in materia di responsabilità civile, il danno derivante da «illegittima segnalazione alla Centrale Rischi», in quanto costituente «danno conseguenza», non può ritenersi sussistente «in re ipsa», dovendo essere allegato e provato da chi ne domanda il risarcimento. Pertanto, nel giudizio di risarcimento del danno da illegittima segnalazione alla Centrale dei Rischi, l'onere della prova si ripartisce secondo le regole ordinarie: trattandosi di illecito aquiliano, spetta all'attore dimostrare sia l'esistenza del danno, sia il nesso di causa tra la condotta colposa del creditore e il danno subìto.

Si è inoltre precisato, ricorda la decisione in esame, che il danno patrimoniale da segnalazione indebita può essere provato anche mediante presunzioni, che, nel caso di un imprenditore, possono riguardare «un peggioramento della sua affidabilità commerciale, essenziale anche per l'ottenimento e la conservazione dei finanziamenti, con lesione del diritto ad operare sul mercato secondo le regole della libera concorrenza» (così, in motivazione, Cass. 9.7.2014, n. 15609). Per un qualsiasi altro soggetto, il danno può consistere anche nella dimostrazione di una maggiore difficoltà nell'accesso al credito (v. Cass. 10.2.2020, n. 3133).

Nel caso specifico, dagli atti del giudizio emergono indizi che consentono di dedurre il nesso causale tra la segnalazione e la successiva revoca degli affidamenti concessi alla debitrice principale, nonché il danno subìto dal ricorrente. In particolare, tra la segnalazione e la revoca degli affidamenti è trascorso un breve lasso di tempo, che rafforza questa connessione.

Conclusioni

La decisione in esame conferma l'orientamento consolidato secondo cui il danno derivante da illegittima segnalazione alla Centrale dei Rischi deve essere allegato e provato dal danneggiato, secondo le ordinarie regole in materia di onere probatorio. Tale impostazione esclude ogni configurazione del danno «in re ipsa», riaffermando il principio che il risarcimento non ha carattere punitivo ma compensativo, dipendendo dall'effettiva dimostrazione di un pregiudizio subìto e del nesso causale con la condotta lesiva.

La pronuncia ribadisce, inoltre, che la prova del danno patrimoniale può essere fornita anche attraverso presunzioni basate su elementi concreti, come la compromissione dell'affidabilità commerciale di un imprenditore o la maggiore difficoltà di accesso al credito per soggetti non imprenditoriali.

L'analisi degli atti del giudizio in questione evidenzia indizi probatori significativi, tra cui la prossimità temporale tra la segnalazione e la revoca degli affidamenti, idonei a supportare la deduzione del nesso causale e a corroborare la pretesa risarcitoria del ricorrente. In tale contesto, la decisione in commento contribuisce a definire con maggiore chiarezza le conseguenze giuridiche derivanti da un'illegittima segnalazione alla Centrale dei Rischi, consolidando i principi in materia di responsabilità civile e onere della prova.

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