Anche sottrarsi al confronto e non consegnare la necessaria documentazione integra il delitto di ostacolo alle funzioni di vigilanza
13 Gennaio 2025
Massima Anche una condotta meramente omissiva – come la mancata risposta ai ripetuti tentativi da parte dell'autorità di vigilanza di stabilire un contatto con l'ente sopposto a controllo o la mancata trasmissione della documentazione contabile e societaria necessaria per lo svolgimento dell'attività di verifica – può integrare il delitto ostacolo all'autorità di vigilanza. Il delitto di ostacolo all'esercizio delle funzioni dell'autorità di vigilanza, di cui al secondo comma dell'art. 2638 c.c., è reato a dolo generico diretto, dovendosi escludere, tra le forme di dolo idonee a integrare la fattispecie incriminatrice, il dolo eventuale atteso l'utilizzo nella disposizione incriminatrice dell'avverbio "consapevolmente". Il caso In sede di merito, l'amministratrice unica di una società cooperativa a responsabilità limitata, sottoposta per legge alla vigilanza della Direzione centrale per le attività produttive di una Regione italiana a statuto speciale, era condannata per il delitto di cui all'art. 2638, comma 2, c.c., per avere ostacolato consapevolmente l'attività ispettiva da parte del revisore incaricato, omettendo, nonostante le reiterate richieste ricevute, di porre a disposizione del revisore la documentazione contabile e societaria necessaria per lo svolgimento della relativa attività di revisione. In particolare, il revisore aveva inviato all'imputata una comunicazione "informale", via PEC, all'indirizzo mail della cooperativa, invitandola a prendere contatti con lui; invio cui aveva fatto seguito, in assenza di qualunque risposta, una formale diffida trasmessa alla cooperativa, rimasta anch'essa senza riscontro, nonostante il duplice invio, sia a mezzo PEC, sia con raccomandata, trasmessa al domicilio dell'amministratrice, risultata colà irreperibile, avendo ella mutato più volte residenza senza darne comunicazione alla Camera di commercio e in assenza di riscontri da parte della destinataria degli avvisi, il revisore si era trovato nell'impossibilità di procedere oltre negli accertamenti. Secondo i Giudici di merito, l'imputata era pienamente a conoscenza delle vicende aziendali, tanto più che la cooperativa era stata sottoposta a revisione due anni prima, sicché ella era certamente consapevole del fatto che sarebbe stata contattata dal revisore, atteso che i controlli sono previsti, per legge, con cadenza biennale e dal momento che, in occasione della precedente revisione, erano emersi rilievi a carico della cooperativa, doveva ritenersi che l'imputata si fosse volontariamente sottratta al controllo. In sede di ricorso per cassazione, la difesa sosteneva in primo luogo che la revisione cooperativa prevista dalla legge regionale non rientrava tra le attività di pubblica vigilanza, posto che tale nozione riguarderebbe gli enti titolari di funzioni di controllo, ma non le autorità che, come nel caso del revisore, sono prive di poteri di vigilanza e che svolgono solo un compito di regolamentazione. Dunque, al revisore non si applicherebbe l'art. 2638, comma 2, c.c., tanto più che la legge regionale di riferimento prevede che la violazione delle norme in materia di revisione sia sanzionata con la sola «perdita della qualifica di società di mutuo soccorso e la cancellazione dal Registro delle Imprese e dall'Albo delle società cooperative», sicché sarebbe abnorme che un eventuale «ostacolo» all'attività di verifica, pur essendo una situazione meno grave, determini addirittura l'applicazione di una sanzione penale. In secondo luogo, si contestava la fondatezza della conclusione circa la presunta conoscenza da parte dell'imputata della richiesta di documentazione e quindi la sua volontà di impedire ogni controllo; quanto alla mancata comunicazione, da parte dell'imputata, del cambiamento del domicilio alla Camera di commercio, si tratterebbe di profilo non sanzionabile ai sensi dell'art. 2638 c.c., in quanto conoscibile dai pubblici registri e facilmente ricavabile con una richiesta in comune – oltre a doversi considerare che la condotta di ostacolato alle funzioni del revisore richiederebbe un comportamento attivo e non meramente omissivo, non avendo la sentenza impugnata motivato in che modo la mancata risposta a una mail possa integrare un rilevante ostacolo all'attività di vigilanza. Veniva contestata anche la sussistenza del dolo diretto, consistente nella consapevolezza di ostacolare le funzioni dell'autorità di vigilanza, che sarebbe stato dimostrato da considerazioni non pertinenti. La questione Da sempre il diritto penale appronta una qualche forma di tutela alle attività di vigilanza nei confronti della società che rivestano, a diverso titolo, interesse pubblico e che possano incidere in senso negativo, con il loro esercizio, interessi della collettività. Originariamente, il legislatore penale aveva preso in considerazione il solo settore bancario e finanziario. la cui vigilanza competenza alla Banca d'Italia, mentre ora è vigente la previsione generale di cui all'art. 2638 c.cv., rubricato «Ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza», venendosi così ad armonizzare e coordinare le ipotesi riguardanti le falsità nelle comunicazioni alle autorità pubbliche di vigilanza, ostacolo alle relative funzioni e omesse comunicazioni da parte di amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari (BONINI, La violazione degli obblighi di collaborazione con le autorità di settore, in A. MEYER – L. STORTONI, Diritto penale della banca, del mercato mobiliare e finanziario, in Giurisprudenza sistematica di diritto penale, diretta da BRICOLA – ZAGREBELSKY, Torino 2002, 140; SEMINARA, False comunicazioni sociali, falso in prospetto e nella revisione contabile ed ostacolo alle funzioni dell'autorità di vigilanza, in Dir. Pen. Proc. 2002, 687; MAGNANENSI, Ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza (art. 2638 c.c.), in AA.VV. (a cura di SCHIANO DI PEPE), Diritto penale delle società, II^ ed., Milano 2003, 372; ALESSANDRI, Ostacolo all'esercizio delle autorità pubbliche di vigilanza, in AA.VV., Il nuovo diritto penale delle società, a cura di A. ALESSANDRI, Milano 2002, 254; ZANOTTI, Il nuovo diritto penale dell'economia, 2^ ed., Milano 2008, 188: LOVECCHIO MUSTI, Ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza (art. 2638 c.c.), in AA.VV. (a cura di A. ROSSI), Reati societari, Torino 2005, 247). L'art. 2638 cod. civ. prevede un articolato meccanismo di tutela penale delle funzioni di vigilanza affidate alle autorità pubbliche rispetto a molteplici condotte che ne «ostacolano» l'esercizio. La disposizione prevede due fattispecie: la prima, prevista dal comma primo, riguarda l'esposizione, nelle comunicazioni previste dalla legge, di fatti materiali non rispondenti al vero sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria dei sottoposti alla vigilanza ovvero l'occultamento con mezzi fraudolenti diversi dall'esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero, di fatti sempre relativi alla situazione predetta, che i soggetti indicati avrebbero dovuto comunicare; la seconda ipotesi delittuosa, contemplata dal comma successivo, concerne le condotte «che, in qualsiasi forma, anche omettendo le comunicazioni dovute alle predette autorità, consapevolmente (...) ostacolano le funzioni» delle «autorità pubbliche di vigilanza». Secondo la giurisprudenza di legittimità, il delitto previsto dal primo comma dell'art. 2638 c.c. è un reato di mera condotta, che nel caso dell'occultamento di fatti deve concretarsi nel ricorso a mezzi fraudolenti, senza risolversi nel mero silenzio sulla loro esistenza (Cass., sez. VI, 9 novembre 2010, n. 40164), mentre quello previsto dal secondo comma è un delitto di evento, che richiede la verificazione di un effettivo e rilevante ostacolo alla funzione di vigilanza, quale conseguenza di una condotta che può assumere qualsiasi forma (Cass., sez. V, 12 novembre 2015, n. 6884; Cass., sez. V, 26 maggio 2017, n. 42778). Mentre nel primo caso l'elemento soggettivo è descritto con l'espressione, «al fine di ostacolare le funzioni di vigilanza», integrando una ipotesi di dolo specifico, nel secondo comma esso deve essere identificato nel dolo generico diretto, atteso l'utilizzo nella disposizione incriminatrice dell'avverbio «consapevolmente», la cui presenza peraltro esclude che tra le forme di dolo idonee a integrare la fattispecie incriminatrice possa rientrare il dolo eventuale (Cass., sez. 5, 16 marzo 2023, n. 21878. In dottrina, MEYER, Comunicazioni alla C.O.N.S.O.B. e rilevanza dell'errore su legge extrapenale, in Giur. Cost. 1987, II, 876; L. STORTONI, L'introduzione nel sistema penale dell'errore scusabile di diritto: significati e prospettiva, in Riv. Trim. Dir. Pen. Ec. 1988, 1350). Stante la circostanza che l'art. 2638 fa riferimento ad attività di controllo di autorità pubbliche di vigilanza, senza specificarne la natura, né fornire alcun elemento per la loro concreta individuazione, la giurisprudenza ha concluso nel senso che tale disposizione si riferisce ad un concetto tecnico di vigilanza, che deve essere inteso nel senso di potere di tipo ispettivo funzionale a esercitare un controllo preventivo e successivo sull'attività dei soggetti sottoposti, al fine di garantirne l'affidabilità nel mercato e nel rapporto con il pubblico (Cass., sez. III, 29 maggio 2013, n. 10108). Di conseguenza, si è ritenuto che la norma appresti tutela alle funzioni di controllo della Federazione Italiana Gioco Calcio (FIGC) (Cass., sez. V, 31 ottobre 2014, n. 10108. In dottrina, FUX, Ostacolo all'esercizio delle funzioni pubbliche di vigilanza: nel pantheon delle autorità entra anche la F.I.G.C., in Cass. Pen., 2015, 3740), alla Commissione di Vigilanza sulle Società di Calcio Professionistiche (Cass., sez. III, 29 maggio 2013, n. 28164), mentre non integra il delitto di ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche l'omissione di comunicazioni dovute all'Autorità per l'energia elettrica e il gas (Cass., sez. V, 11 febbraio 2013, n. 28070), così come l'omessa segnalazione all'Ufficio italiano cambi (UIC) di un'operazione sospetta da parte del responsabile di un istituto bancario (Cass., sez. VI, 24 ottobre 2005, n. 44234). Quanto alle condotte punite dalla disposizione in esame, mentre non si rinvengono problematiche con riferimento alla previsione di cui al primo comma della stessa, maggiori dubbi insorgono con riferimento ai comportamenti descritti dal comma secondo che, in sostanza, fa riferimento a qualsiasi forma di intralcio all'esercizio delle funzioni di vigilanza, ivi compresa l'omessa comunicazione di informazioni dovute (Cass., sez. V, 7 dicembre 2012, n. 49362). Come accennato, il delitto, in relazione a questa ipotesi, è costruito in forma di evento – quindi si è in presenza di un reato omissivo improprio - per cui l'ostacolo all'attività di controllo deve verificarsi effettivamente, quale effetto della condotta dell'agente (Cass., sez. I, 20 ottobre 2022, n. 16800), anche se non rileva solo l'impedimento in toto dell'esercizio della funzione di vigilanza, ma pure il verificarsi di difficoltà di considerevole spessore o un significativo rallentamento dell'attività di controllo, con esclusione del mero ritardo, alla stregua di un'interpretazione conforme al canone costituzionale di offensività (Cass., sez. V, 29 maggio 2019, n. 29377). A quest'ultimo proposito, dottrina e giurisprudenza concordano sul fatto che l'impedimento potrà sostanziarsi, innanzitutto, in un condizionamento, qualitativo o quantitativo, nell'esercizio della funzione di vigilanza, atteso che la nozione di «ostacolo» rimanda a un intervento opposto allo svolgimento di un'azione o all'esplicazione di una facoltà, valido a ridurne notevolmente l'effetto o la portata, ovvero anche a ritardarne il compimento, mentre non appartengono, invece, ad essa i caratteri della insuperabilità e definitività (Cass., sez. V, 7 dicembre 2012, n. 49362. BONINI, La violazione degli obblighi, cit., 140; ZANOTTI, Il nuovo diritto penale, cit., 188) o potrà consistere, nell'ipotesi in cui l'effetto di ostacolo sia stato esercitato nella sua massima portata, in un mancato esercizio della stessa funzione. Osservazioni Il ricorso è stato dichiarato fondato. La Cassazione non concorda con la tesi difensiva secondo la società di cui l'imputata era amministratrice non fosse soggetta al controllo da parte di organi pubblici di vigilanza. La predetta persona giuridica, infatti, era una cooperativa con carattere di mutualità, soggetta quindi alla disciplina di cui all'art. 2545-quaterdecies c.c. che stabilisce che tali soggetti «sono sottopost[i] alla vigilanza e agli altri controlli previsti dalle leggi speciali», onde verificarne la presenza dei requisiti mutualistici (e, in particolare, l'assenza di scopi di lucro dell'ente nonché la sua legittimazione a beneficiare delle agevolazioni fiscali, previdenziali e di altro genere). Tale vigilanza è esercitata dal Ministero delle attività produttive nonché – secondo l'art. 1, comma 5, d.lgs. n. 220 del 2002 - «dalle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano, nell'ambito della rispettiva competenza territoriale» - come, peraltro, previsto anche dall'art. 5 dello Statuto speciale della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia che attribuisce alla Regione « la vigilanza sulle cooperative» e dall'art. 15, comma 1, lg. Reg. n. 27 del 2007 che prevede la possibilità di controlli, da esercitare a mezzo di revisore incaricato, il quale è, nell'esercizio delle sue funzioni, un incaricato di pubblico servizio, volti «ad accertare, anche attraverso una verifica della gestione amministrativo contabile, la natura mutualistica dell'ente, verificando l'effettività della base sociale, la partecipazione dei soci alla vita sociale e allo scambio mutualistico con l'ente, la qualità di tale partecipazione, l'assenza di scopi di lucro dell'ente, nei limiti previsti dalla legislazione vigente, e la legittimazione dell'ente a beneficiare delle agevolazioni fiscali, previdenziali e di altra natura». La conclusione, dunque, è nel senso che, ai sensi dell'art. 2638 c.c., nel caso di specie si era in presenza dell'attività di un'autorità di vigilanza, da individuare nella Direzione regionale competente in materia di vigilanza sulla cooperazione, ovvero nella Direzione centrale per le attività produttive della Regione Friuli-Venezia Giulia, che si avvaleva di revisore cui erano attribuiti compiti ausiliari. Parimenti infondata viene ritenuta la tesi difensiva secondo cui nel caso di specie non vi era stato un significativo ostacolo alle funzioni all'esercizio della vigilanza di competenza dei predetti uffici regionali. Secondo la Cassazione, la mancata risposta ai ripetuti tentativi da parte del revisore di stabilire un contatto con l'amministratrice, in uno con la mancata trasmissione della documentazione contabile e societaria necessaria per lo svolgimento dell'attività di revisione, ha costituito una condotta che certamente aveva ostacolato l'esercizio della funzione di controllo, non consentendo all'organo di vigilanza e ai suoi ausiliari di accedere alle informazioni ritenute necessarie e di dare concreto avvio alla procedura di revisione, costituente la prima e iniziale fase delle attività di vigilanza. Quello che risulta mancare, invece, per pervenire ad una decisione di condanna è, secondo la Cassazione, la dimostrazione della sussistenza del necessario dolo generico diretto ovvero non sarebbe stato dimostrato che l'imputata fosse consapevole nelle azioni positive realizzate dal revisore al fine di acquisire, nell'esercizio dei compiti di ausilio dell'organo di vigilanza, le informazioni atte a verificare la situazione della società cooperativa, onde intervenire in caso di violazione delle regole che la riguardavano, in particolare sul versante del permanere della sua vocazione mutualistica. Secondo la Corte di legittimità, infatti, i giudici di merito si erano soffermati, al fine di dimostrare la volontà dell'imputata di sottrarsi alle operazioni di verificare, su una serie di elementi – come l'avvenuta notifica della richiesta a mezzo PEC presso l'indirizzo di posta elettronica della società cooperativa o l'invio di una lettera raccomandata all'indirizzo della sede sociale – che, pur rilevando al fine di attestare la conoscenza legale dell'apertura della procedura di verifica nei confronti di una persona giuridica, non possono essere utilizzati ai fini della dimostrazione del dolo di un reato, per la cui sussistenza occorre provare la presenza di un dato psicologico reale e non presuntivamente affermato. Conclusioni Tre i profili di interesse che presenta la decisione in commento. In primo luogo, la Cassazione ribadisce che il riferimento alle “autorità pubbliche di vigilanza” debba intendersi in senso ampio, confermandosi il superamento dei dubbi avanzati sul punto da alcune decisioni (Cass., sez. V, 11 febbraio 2013, n. 28070, con riferimento all'Autorità per l'energia elettrica ed il gas). In secondo luogo, si riconnette rilievo, con riferimento al delitto di cui al comma 2 dell'art. 2638 c.c. ai comportamenti omissivi. La disposizione in esame, infatti, descrive la condotta in termini estremamente sintetici dal legislatore e perciò il delitto deve ritenersi realizzabile in qualsiasi forma, anche omettendo le comunicazioni dovute alle predette autorità. Il reato sussiste dunque in presenza di una qualsiasi attività di ostacolo che sia idonea ad impedire all'autorità di vigilanza di esercitare le proprie funzioni e l'unico elemento di descrizione della condotta incriminata è rappresentato dal richiamo al comportamento omissivo, nel senso che, come accennato, il reato può essere realizzato anche mediante il mancato invio all'autorità di vigilanza delle comunicazioni imposte dalla legge o richieste dallo stesso organo di controllo (Cass., sez. V, 19 giugno 2014, n. 26596) – oltre che in caso di comportamenti ostruzionistici o di mancata collaborazione, come l'opposizione ad ispezioni, il ritardo nelle comunicazioni ecc.. Infine, sempre in relazione all'ipotesi di cui al secondo comma dell'art. 2638 c.c., è attribuito rilievo penale alle sole condotte di ostacolo alle funzioni di vigilanza commesse con dolo sì generico, ma diretto, e quindi escludendo la responsabilità a titolo di dolo eventuale. |