Decreto legislativo - 18/08/2000 - n. 267 art. 248 - Conseguenze della dichiarazione di dissesto 1.Conseguenze della dichiarazione di dissesto 1. 1. A seguito della dichiarazione di dissesto, e sino all'emanazione del decreto di cui all'art. 261, sono sospesi i termini per la deliberazione del bilancio. 2. Dalla data della dichiarazione di dissesto e sino all'approvazione del rendiconto di cui all'art. 256 non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti dell'ente per i debiti che rientrano nella competenza dell'organo straordinario di liquidazione. Le procedure esecutive pendenti alla data della dichiarazione di dissesto, nelle quali sono scaduti i termini per l'opposizione giudiziale da parte dell'ente, o la stessa benchè proposta è stata rigettata, sono dichiarate estinte d'ufficio dal giudice con inserimento nella massa passiva dell'importo dovuto a titolo di capitale, accessori e spese. 3. I pignoramenti eventualmente eseguiti dopo la deliberazione dello stato di dissesto non vincolano l'ente ed il tesoriere, i quali possono disporre delle somme per i fini dell'ente e le finalità di legge. 4. Dalla data della deliberazione di dissesto e sino all'approvazione del rendiconto di cui all'art. 256 i debiti insoluti a tale data e le somme dovute per anticipazioni di cassa già erogate non producono più interessi nè sono soggetti a rivalutazione monetaria. Uguale disciplina si applica ai crediti nei confronti dell'ente che rientrano nella competenza dell'organo straordinario di liquidazione a decorrere dal momento della loro liquidità ed esigibilità. 5. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, gli amministratori che la Corte dei conti ha riconosciuto, anche in primo grado, responsabili di aver contribuito con condotte, dolose o gravemente colpose, sia omissive che commissive, al verificarsi del dissesto finanziario, non possono ricoprire, per un periodo di dieci anni, incarichi di assessore, di revisore dei conti di enti locali e di rappresentante di enti locali presso altri enti, istituzioni ed organismi pubblici e privati. I sindaci e i presidenti di provincia ritenuti responsabili ai sensi del periodo precedente, inoltre, non sono candidabili, per un periodo di dieci anni, alle cariche di sindaco, di presidente di provincia, di presidente di Giunta regionale, nonche' di membro dei consigli comunali, dei consigli provinciali, delle assemblee e dei consigli regionali, del Parlamento e del Parlamento europeo. Non possono altresi' ricoprire per un periodo di tempo di dieci anni la carica di assessore comunale, provinciale o regionale ne' alcuna carica in enti vigilati o partecipati da enti pubblici. Ai medesimi soggetti, ove riconosciuti responsabili, le sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti irrogano una sanzione pecuniaria pari ad un minimo di cinque e fino ad un massimo di venti volte la retribuzione mensile lorda dovuta al momento di commissione della violazione. Le disposizioni di cui al primo, secondo e terzo periodo del presente comma non si applicano agli amministratori che, nei soli casi in cui la responsabilità sia attribuita per colpa grave, abbiano adottato un piano di riequilibrio finanziario pluriennale approvato dalla Corte dei conti, ai sensi dell'articolo 243-bis, entro due anni dall'insediamento del loro primo mandato e a seguito di delibera della Corte dei conti ai sensi dell'articolo 148-bis, comma 3, di accertamento di gravi irregolarità o criticità relative agli esercizi precedenti l'elezione2. 5-bis. Fermo restando quanto previsto dall' articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20 , qualora, a seguito della dichiarazione di dissesto, la Corte dei conti accerti gravi responsabilita' nello svolgimento dell'attivita' del collegio dei revisori, o ritardata o mancata comunicazione, secondo le normative vigenti, delle informazioni, i componenti del collegio riconosciuti responsabili in sede di giudizio della predetta Corte non possono essere nominati nel collegio dei revisori degli enti locali e degli enti ed organismi agli stessi riconducibili fino a dieci anni, in funzione della gravita' accertata. La Corte dei conti trasmette l'esito dell'accertamento anche all'ordine professionale di appartenenza dei revisori per valutazioni inerenti all'eventuale avvio di procedimenti disciplinari, nonche' al Ministero dell'interno per la conseguente sospensione dall'elenco di cui all' articolo 16, comma 25, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 , convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148 . Ai medesimi soggetti, ove ritenuti responsabili, le sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti irrogano una sanzione pecuniaria pari ad un minimo di cinque e fino ad un massimo di venti volte la retribuzione mensile lorda dovuta al momento di commissione della violazione 3.
[1] Le disposizioni del presente articolo, non trovano più applicazione secondo quanto disposto dall'articolo 31, comma 15 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, come modificato dall'articolo 4, comma 208, della legge 24 dicembre 2003, n. 350. [2] Comma sostituito dall'articolo 6, comma 1, del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 149, dall'articolo 3, comma 1, lettera s), del D.L. 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla Legge 7 dicembre 2012, n. 213 e da ultimo modificato dall'articolo 8, comma 7, del D.L. 14 marzo 2025, n. 25, non ancora convertito in legge. [3] Comma inserito dall'articolo 3, comma 1, lettera s), del D.L. 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla Legge 7 dicembre 2012, n. 213. InquadramentoLa disposizione in esame concerne gli effetti della dichiarazione di dissesto. Interessa in particolare lo studio dell'effetto che la delibera di dissesto determina in relazione al potere del creditore dell'Ente dissestato di dare corso all'azione esecutiva per recuperare quanto gli è dovuto. Analisi dell'art. 48, commi e 3A mente del comma 2 dell'art. 248 TUEL «dalla data della dichiarazione di dissesto e sino all'approvazione del rendiconto di cui all'art. 256 non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti dell'ente per i debiti che rientrano nella competenza dell'organo straordinario di liquidazione. Le procedure esecutive pendenti alla data della dichiarazione di dissesto, nelle quali sono scaduti i termini per l'opposizione giudiziale da parte dell'ente, o la stessa benché proposta è stata rigettata, sono dichiarate estinte d'ufficio dal giudice con inserimento nella massa passiva dell'importo dovuto a titolo di capitale, accessori e spese». A mente del comma 3, invece, «i pignoramenti eventualmente eseguiti dopo la deliberazione dello stato di dissesto non vincolano l'ente ed il tesoriere, i quali possono disporre delle somme per i fini dell'ente e le finalità di legge». Si tratta di disposizioni volte a salvaguardare la consistenza della massa attiva dell'Ente dissestato, nell'ottica dell'accertamento (in via amministrativa) della massa passiva, alla stregua di un meccanismo non dissimile da quello che governa i rapporti tra procedure esecutive individuali e procedure (giudiziali) a carattere concorsuale (su tutte: il fallimento). Più in dettaglio, con riferimento alla identificazione dei «debiti che rientrano nella competenza dell'organismo di liquidazione» – ai fini di cui al comma 2 – si rinvia al commento agli artt. 252 e 254 TUEL. Con riferimento alla disposizione del comma 3 si ravvisa la forte similitudine con quelle disposizioni che prevedono una volta per tutte un divieto di procedere in via esecutiva quanto l'azione del creditore riguardi crediti destinati al soddisfacimento di peculiari finalità di natura. Deve ritenersi che, in questi casi, il g.e. debba dichiarare l'improcedibilità dell'esecuzione e lo svincolo delle somme staggite, fermo restando che, per assicurare l'effettività del meccanismo di cui si tratta, i pignoramenti eseguiti sono, a prescindere dal provvedimento del giudice, improduttivi di effetti. Analisi della giurisprudenza sulle predette disposizioniLa giurisprudenza ha chiarito che nell'ambito di applicazione delle norme in esame rientra anche il giudizio di ottemperanza. In specie, si è ritenuto che il giudizio di ottemperanza, in caso di dichiarazione di dissesto finanziario, costituisce un procedimento attraverso il quale il creditore cristallizza la propria pretesa in attesa che il relativo credito sia inserito nella massa passiva: ne consegue che, pur essendo inammissibile l'azione esecutiva, il credito in questione va comunque inserito nella massa passiva per sorta capitale, spese e accessori (T.A.R. Abruzzo I, n. 126/2015; T.A.R. Sicilia, Catania, I, n. 1080/2015; più di recente v. T.A.R. Campania, Napoli, VIII, n. 3721/2019). Invero, si è in altra occasione precisato che «a fronte di una sentenza di accertamento di un debito successiva alla dichiarazione di dissesto di un ente locale, il giudice dell'esecuzione dovrà verificare non solo l'epoca di insorgenza, ma anche la natura del debito e, solo nel caso in cui esso scaturisca o sia da ricollegare alla pregressa attività gestoria fallimentare, dovrà essere ricondotto alla massa passiva, con conseguente declaratoria di inammissibilità dell'azione esecutiva. Nel caso in cui, invece, il fatto genetico del debito non sia da ricondurre ad un'operazione di gestione, la sentenza successiva alla dichiarazione di dissesto che accerti il debito sarà passibile di esecuzione in via ordinaria» (T.A.R. Calabria I, n. 231/2018). Pertanto, è stato ritenuto ammissibile il ricorso in ottemperanza per l'esecuzione del giudicato nascente da una sentenza con la quale un Comune era stato condannato a risarcire i danni derivanti da eventi alluvionali, in considerazione della natura risarcitoria del credito portato in esecuzione, derivante da un mero illecito civile, riconosciuto e liquidato successivamente alla dichiarazione di dissesto dell'ente locale). Di recente, sul punto v. C.G.A.R. Sicilia n. 416/2023, secondo cui dalla dichiarazione di dissesto e sino all'approvazione del rendiconto non possono essere intraprese azioni esecutive per i debiti che rientrano nella competenza dell'organo straordinario di liquidazione. In tale arresto, anche richiamando la giurisprudenza dell'Adunanza Plenaria del Cons. St. n. 5/2020, il Giudice amministrativo ha chiarito che “rientrano nella competenza dell'organo straordinario di liquidazione non solo le poste passive pecuniarie già contabilizzate alla data della dichiarazione di dissesto, ma anche tutte le svariate obbligazioni che, pur se stricto jure sorte in seguito, costituiscano comunque la conseguenza diretta ed immediata di ‘atti e fatti di gestione' pregressi alla dichiarazione di dissesto”. Difatti, a tale conclusioni si perviene non solo attraverso una interpretazione letterale delle disposizioni in esame, ma anche tenendo conto del criterio ermeneutico teleologico, in quanto “la disciplina normativa del dissesto, basata sulla creazione di una massa separata affidata alla gestione di un organo straordinario, distinto dagli organi istituzionali dell'ente locale, può produrre effetti positivi soltanto se tutte le poste passive riferibili a fatti antecedenti al riequilibrio del bilancio dell'ente possono essere attratte alla predetta gestione, benché il relativo accertamento (giurisdizionale o, come nel caso di specie, amministrativo) sia successivo”. Unico limite è rappresentato dall'approvazione del rendiconto della gestione, il quale segna la chiusura della gestione liquidatoria: dopo tale data non sarà più possibile imputare alcunché all'organo straordinario di liquidazione, giacché – dal punto di vista giuridico – ha ormai cessato la propria esistenza. Sulla scorta di tale quadro interpretativo, dopo qualche iniziale incertezza (Cons. St. V, n. 2263/2015), la giurisprudenza è ormai orientata nel senso che ove il credito azionato, per quanto liquidato in data successiva alla dichiarazione di dissesto, trae la sua fonte da obbligazioni sorte, in virtù di contratti stipulati con l'ente comunale in data antecedente, dovendo farsi applicazione del principio di par condicio tra i creditori, esso va soddisfatto esclusivamente in forma concorsuale ed in sede liquidatoria». Analisi della giurisprudenza CEDU in relazione alle procedure di dissesto degli Enti localiLa Corte EDU si è pronunciata sulla tutela dei creditori di un Ente dissestato allorché il loro diritto risulti consacrato in un titolo giudiziale passato in giudicato (Corte EDU, 24 settembre 2013, De Luca e Pennino c. Italia; in altra occasione, la Corte EDU, pur muovendo dalle medesime coordinate di riferimento, ha ritenuto il ricorso irricevibile tenuto conto della circostanza che tra il ricorrente e l'OSL era intervenuta una transazione. Cfr. Corte EDU, 17 gennaio 2014, Condominio di Porta Rufina n. 48 c. Italia). Come opportunamente sottolineato in dottrina (Mercati, Il dissesto degli enti locali dinanzi alla Corte Europea dei diritti umani, in Giur. It., 2014, 2), tale giurisprudenza «merita attenzione perché, mostrando di riconoscere prevalenza ai diritti del creditore dell'ente dissestato, può impattare – come norma interposta – su una normativa nazionale estremamente complessa (...) che, dalla sua nascita e fino alle più recenti modifiche, ha sempre cercato di bilanciare quei diritti con le esigenze relative al ripristino degli equilibri di bilancio, con l'autonomia degli enti locali e con l'ordinaria funzionalità dei medesimi». La Corte di Strasburgo era stata adita da un cittadino italiano che, in seguito ad una azione risarcitoria intrapresa nel 1987, era stato riconosciuto creditore del Comune di Benevento con sentenza passata in giudicato nel 2003, ma non aveva potuto coltivare l'azione esecutiva in quanto il Comune – nelle more (1993) – aveva dichiarato il dissesto; donde il T.A.R. aveva dichiarato irricevibile il ricorso per l'ottemperanza della sentenza passata in giudicato. Secondo la prospettazione del ricorrente lo stato di dissesto del Comune e il connesso divieto di azioni esecutive avrebbe impedito il soddisfacimento del suo diritto in contrasto con l'art. 1, Protocollo n. 1, dell'art. 6, par. 1, e dell'art. 13 CEDU. La Corte ha accolto il ricorso quanto ai primi due profili ed ha condannato lo Stato italiano al risarcimento del danno. Riguardo all'art. 1, Protocollo n. 1, la Corte muove dal rilievo che un diritto certo liquido ed esigibile è un bene ai sensi della precitata disposizione. Non rilevano, in tale prospettiva, solo la proprietà ma anche gli interessi patrimoniali di puro fatto. Ciò chiarito, la Corte tiene in considerazione soltanto la proposizione normativa relativa al diritto al rispetto dei beni, concludendo nel senso che «le manque de ressources d'une commune ne saurait justifier qu'elle omette d'honorer les obligations découlant d'un jugement definitif rendu en sa défaveur» (par. 58). Riguardo all'art. 6, par. 1, la Corte si riporta ad un proprio consolidato filone (già prima ricordato ad altri fini) secondo cui l'esecuzione di una sentenza è parte integrante della tutela giurisdizionale dei diritti (perché questa rimarrebbe, in sostanza, una freccia spuntata se non fosse garantita l'effettività anche della fase esecutiva). Il diritto ad un processo (anche esecutivo) equo però – prosegue la Corte – non è assoluto: in considerazione di scopi legittimi, infatti, l'adozione delle misure dirette all'esecuzione del giudicato può essere ritardata, ma deve sempre sussistere un rapporto di proporzionalità tra i mezzi adoperati ed il risultato perseguito. Ciò che la Corte ritiene nella specie lesivo del diritto consacrato nell'art. 6, par. 1 della Convenzione non è il divieto di azioni esecutive in sé e per sé considerato, quanto piuttosto l'eccessiva durata della procedura di dissesto, che, peraltro, sfugge a qualsivoglia forma di controllo da parte del procedente, così minando qualsiasi rapporto di proporzionalità nel senso anzidetto. Inoltre, non è secondario, nella prospettiva in esame, il rilievo che si tratta di un debito «d'un organe de l'Etat». Come anticipato, la dottrina ha sottolineato che la giurisprudenza in esame potrebbe determinare una breccia nell'ambito del principio del pareggio di bilancio, introdotto con l. cost. n. 1/2012: «si rischia di introdurre una sorta di automatismo in base al quale lo Stato sarebbe obbligato a ripianare i dissesti degli enti locali, automatismo che, in effetti, era presente nelle prime versioni della disciplina sul dissesto e che poi è stato eliminato e sostituito con l'obbligo degli enti dissestati di adottare una serie di interventi di contenimento della spesa (...) alla cui presenza l'intervento, seppur parziale, dello Stato risulta condizionato» (Mercati). Ciò nondimeno, a livello interno, la Corte Costituzionale ha più volte risolto il conflitto tra esigenze finanziarie dello Stato o degli Enti locali e diritti dei creditori a detrimento di questi ultimi (C. cost. n. 310/2003, con riguardo al d.l. n. 450/2001 (conv. in l. n. 14/2001), recante «Proroga della sospensione delle procedure esecutive di rilascio di immobili ad uso» abitativo, ove vengono valorizzate le particolari esigenze di tutela di soggetti svantaggiati; C. cost. n. 186/2013, già citata nel testo, che ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 1, comma 51, l. n. 220/2010 e ss. mm.). Con riferimento specifico alle procedure di dissesto, come sopra evidenziato, il Giudice delle leggi ha rilevato che «la evenienza che una esposizione debitoria particolarmente accentuata comprometta l'espletamento dei servizi essenziali dell'ente rende piena ragione della predisposizione di una procedura diretta al risanamento, e quindi alla normalizzazione finanziaria, dell'ente stesso, che, ancorché dissestato, non può cessare di esistere in quanto espressione di autonomia locale, che costituisce un valore costituzionalmente tutelato; né tanto meno l'ente può essere condannato alla paralisi amministrativa per una adombrata (dal giudice remittente), ma in realtà insussistente, intangibilità delle posizioni dei creditori» (C. cost. n. 155/1994). Ebbene, in questo quadro l'interpretazione fornita dalla Corte EDU potrebbe assurgere al rango di parametro interposto e, quindi, condizionare la valutazione di costituzionalità delle norme che disciplinano le procedure di dissesto. Nel senso che tra i beni protetti dall'art. 1, Protocollo n. 1 rientrino anche gli interessi di natura patrimoniale si era già espressa la dottrina: v. Manganaro, La Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e il diritto di proprietà, in Dir. Amm., 2008, 379 e ss.; nello stesso senso Trimarchi, Proprietà e diritto Europeo, in Europa dir. priv., 2002, 726; Padelletti, La tutela della proprietà nella Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, Milano, 2003; Buonomo, La tutela della proprietà dinanzi alla Corte Europea dei diritti dell'uomo, Milano, 2005; Conti, Diritto di proprietà e Cedu. Itinerari giurisprudenziali Europei. Viaggio fra Corte e Corti alla ricerca di un nuovo statuto proprietario, Roma, 2012). Decorrenza degli interessiDella questione si occupa il quarto comma della disposizione in esame, secondo cui «dalla data della deliberazione di dissesto e sino all'approvazione del rendiconto di cui all'art. 256 i debiti insoluti a tale data e le somme dovute per anticipazioni di cassa già erogate non producono più interessi né sono soggetti a rivalutazione monetaria. Uguale disciplina si applica ai crediti nei confronti dell'ente che rientrano nella competenza dell'organo straordinario di liquidazione a decorrere dal momento della loro liquidità ed esigibilità». Va premesso che, in relazione alla disposizione previgente di analogo tenore (art. 81, comma 4, d.lgs. n. 77/1995), la Corte Costituzionale aveva ritenuto che «in coerenza con le caratteristiche di una procedura concorsuale», la disposizione relativa agli accessori del credito ha la finalità di determinare esattamente la consistenza della massa passiva da ammettere al pagamento nell'ambito del dissesto dell'ente locale, ma essa «non implica la “estinzione” dei crediti non ammessi o residui, i quali conclusa la procedura di liquidazione, potranno essere fatti valere nei confronti dell'ente risanato» (C. cost. n. 69/1998). Il Consiglio di Stato (ord. n. 5502/2021) ha ritenuto che il principio affermato nel precedente costituzionale ora richiamato possa essere rivalutato, quanto meno sotto il profilo della sua perdurante conformità alla Carta fondamentale, alla luce della successiva riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione, approvata con l. cost. n. 3/2011, e di ulteriori interventi normativi di seguito richiamati. In altri termini, «secondo l'interpretazione datane dalla giurisprudenza costituzionale, con la sopra richiamata sentenza della Corte costituzionale n. 269/1998, la stessa disposizione comporta che ogni pretesa creditoria rimasta insoluta nella procedura di dissesto torna ad essere esigibile nei confronti dell'ente locale dissestato una volta cessato il regime di sospensione temporanea strumentale all'attività di rilevazione ed estinzione delle passività di questo, a prescindere se vi sia stato o meno l'integrale pagamento della sorte capitale». Di qui la rilevanza della questione, atteso che «l'interpretazione dell'art. 248, comma 4, T.U.E.L. data dalla Corte costituzionale nel precedente più volte richiamato non consente inoltre di ritenere, sul distinto piano dell'ammissibilità delle questioni di costituzionalità, che i possibili profili di contrasto della disposizione di legge applicabile nel presente giudizio siano superabili in via interpretativa». Il Giudice remittente dà inoltre contezza del «processo di omologazione tra dissesto degli enti locali e fallimento privatistico», processo che si è (...) accentuato con i successivi interventi normativi, realizzati con il già citato d.lgs. n. 77/1995 (Ordinamento finanziario e contabile degli enti locali) e il relativo decreto correttivo (d.lgs. n. 336/1996), con i quali si sono tra l'altro introdotte delle cause di prelazione dei crediti e si è previsto che l'organo straordinario di liquidazione predisponga un primo piano di rilevazione dei debiti recante l'elenco di quelli esclusi dalla massa passiva della procedura, strumentale all'erogazione del mutuo con la Cassa depositi e prestiti e il pagamento in acconto dei debiti inseriti nel piano di rilevazione». Ora, considerato che l'attività contrattuale della pubblica amministrazione è stata assoggettata alla normativa sul contrasto ai ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali, di cui al d.lgs. n. 231/2002, a giudizio della Corte, «il dissesto finanziario degli enti locali si colloca quindi all'interno dell'antitesi Stato-mercato». In specie, dall'analisi della evoluzione normativa dell'istituto (alla luce del nuovo Titolo V) si ricava che «in coerenza con l'obiettivo primario dell'istituto del dissesto finanziario dell'ente locale, consistente nel suo stabile risanamento, un nuovo dissesto costituisce per l'ordinamento giuridico un'evenienza in grado di frustrare le finalità dell'istituto, contro la quale sono pertanto previste soluzioni per quanto possibile in grado di assicurare lo stabile riequilibrio di bilancio». La Corte Costituzionale, con sent. n. 219/2022, ha ritenuto le questioni non fondate. A giudizio del Giudice delle leggi, con segnato riferimento al parametro della ragionevolezza, va evidenziato che «le attuali norme sul dissesto sono dunque espressive di un bilanciamento non irragionevole tra l'esigenza, che è alla base della sicurezza dei traffici commerciali, che si correla all'art. 41 Cost., di tutelare i creditori e l'esigenza di ripristinare sia la continuità di esercizio dell'ente locale incapace di assolvere alle funzioni, sia i servizi indispensabili per la comunità locale» e che «benché, dunque, con la separazione tra le attività finalizzate al risanamento e quelle di liquidazione della massa passiva, il dissesto abbia assunto una fisionomia che lo avvicina al fallimento dell'impresa, la normativa, complessivamente considerata, include anche dei correttivi, a tutela sia dell'ente locale – che deve continuare a esistere – sia dei creditori, che possono contare sul contributo a carico dello Stato». Con riferimento ai parametri di cui agli artt. 5,81,97, commi 1 e 2, 114 e 118 Cost., la Corte evidenzia che «il dissesto ‘a catena', che il rimettente imputa all'art. 248, comma 4, T.U. enti locali, non è la conseguenza diretta della norma, ma è attribuibile piuttosto a scelte amministrative dell'ente, il quale – nella pendenza della procedura di dissesto – avrebbe dovuto apprestare misure, anche contabili, idonee a garantire il più rapido ripristino dell'equilibrio finanziario»; ha inoltre osservato come «il tema dell'imputabilità all'ente risanato dei debiti non soddisfatti dall'OSL è stato peraltro segnalato di recente dall'Osservatorio sulla finanza e la contabilità degli enti locali istituito presso il Ministero dell'interno («Criticità finanziarie degli enti locali. Cause e spunti di riflessione per una riforma delle procedure di prevenzione e risanamento», pubblicato il 12 luglio 2019), il quale, nel valutare gli strumenti posti in essere dal legislatore per fronteggiare le situazioni di crisi degli enti locali – segnatamente, il dissesto, il dissesto guidato e la procedura di riequilibrio finanziario – ne ha messo in luce gli aspetti problematici, riferiti in particolare alla facoltà concessa ai creditori di rifiutare la proposta transattiva formulata dall'OSL, ovvero di chiedere all'ente tornato in bonis eventuali interessi maturati nel corso della procedura» e che pertanto «il legislatore, nell'apprestarsi a riformare la normativa sulla crisi finanziaria degli enti locali, potrà prestare adeguata attenzione alle diverse esigenze che si contrappongono». BibliografiaAuletta A., L'esecuzione forzata contro la pubblica amministrazione, Milano, 2020; Auletta A., Aspetti problematici dell'esecuzione contro la pubblica amministrazione, in inexecutivis.it; Buonomo, La tutela della proprietà dinanzi alla Corte Europea dei diritti dell'uomo, Milano, 2005; Conti, Diritto di proprietà e Cedu. Itinerari giurisprudenziali Europei. Viaggio fra Corte e Corti alla ricerca di un nuovo statuto proprietario, Roma, 2012; Manganaro, La Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e il diritto di proprietà, in Dir. amm., 2008, 379 e ss.; Rossi, L'espropriazione presso terzi di crediti e di cose della pubblica amministrazione, in Auletta F., Espropriazione; Tatangelo, Questioni attuali in tema di espropriazione forzata presso terzi, con specifico riferimento all'espropriazione dei crediti della pubblica amministrazione, in Riv. esecuz. forzata, 2003, 408 e ss.; Trimarchi, Proprietà e diritto Europeo, in Eu. e dir. priv., 2002, 726. |