Decreto del Presidente della Repubblica - 29/09/1973 - n. 602 art. 49 - Espropriazione forzata 1. (A)

Rosaria Giordano

Espropriazione forzata 12. (A)

[1. Per la riscossione delle somme non pagate il concessionario procede ad espropriazione forzata sulla base del ruolo, che costituisce titolo esecutivo, [fatto salvo il diritto del debitore di dimostrare, con apposita documentazione rilasciata ai sensi del comma 1-bis, l'avvenuto pagamento delle somme dovute ovvero lo sgravio totale riconosciuto dall'ente creditore;] il concessionario può altresì promuovere azioni cautelari e conservative, nonché ogni altra azione prevista dalle norme ordinarie a tutela del creditore 3.

1-bis. I pagamenti delle somme dovute all'ente creditore ovvero il riconoscimento dello sgravio da parte dell'ente creditore, effettuati in una data successiva a quella di iscrizione a ruolo, devono essere tempestivamente comunicati dall'ente creditore al concessionario della riscossione. [L'ente creditore rilascia al debitore, in triplice copia, una dichiarazione attestante l'avvenuto pagamento ovvero lo sgravio totale riconosciuto; la dichiarazione è opponibile al concessionario ] 4.

[1-ter. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sono stabilite le modalità di attuazione delle disposizioni di cui al comma 1-bis ed è approvato il modello di dichiarazione attestante l'avvenuto pagamento o lo sgravio totale. La dichiarazione deve essere rilasciata dall'ente creditore in triplice copia ]5.

[1-quater. Nei casi di opposizione all'attività di riscossione di cui al comma 1-bis, il concessionario ha diritto al rimborso delle spese sostenute per l'attività di riscossione qualora l'ente creditore non abbia inviato la comunicazione dell'avvenuto pagamento o dello sgravio totale riconosciuto al debitore] 6

2 . Il procedimento di espropriazione forzata è regolato dalle norme ordinarie applicabili in rapporto al bene oggetto di esecuzione, in quanto non derogate dalle disposizioni del presente capo e con esso compatibili; gli atti relativi a tale procedimento sono notificati con le modalità previste dall' articolo 26 7.

3 . Le funzioni demandate agli ufficiali giudiziari sono esercitate dagli ufficiali della riscossione.]

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(A) In riferimento al presente articolo, vedi: Risoluzione Ministero dell'Economia e Finanze 22 marzo 2021, n. 2/DF.

[1]  Articolo abrogato dall'articolo 241, comma 1, lettera c), del D.Lgs. 24 marzo 2025, n. 33, con applicazione a decorrere dal 1° gennaio 2026, a norma di quanto previsto dall'articolo 243 del D.Lgs. 33/2025 medesimo. Per le nuove disposizioni legislative in materia di versamenti e di riscossione, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 145 del D.Lgs. 24 marzo 2025, n. 33.

Inquadramento

L'esecuzione forzata tributaria costituisce la fase finale dell'attività di riscossione che si rende necessaria se il contribuente persiste nel proprio inadempimento nonostante intimazioni di pagamento, solleciti e misure cautelari.

La disposizione in esame, nel comma 2, sancisce la norma fondamentale, in tema di disciplina applicabile all'espropriazione forzata per crediti tributari, secondo cui «il procedimento di espropriazione forzata è regolato dalle norme ordinarie applicabili in rapporto al bene oggetto di esecuzione, in quanto non derogate dalle disposizioni del presente capo e con esso compatibili; gli atti relativi a tale procedimento sono notificati con le modalità previste dall'art. 26»: ciò significa che le «lacune» contenute nel capo II del titolo II del d.P.R. n. 602/1973 possono essere colmate mediante il riferimento alla disciplina dettata, per le singole forme di espropriazione forzata, dal libro terzo del codice di procedura civile.

Problematica tradizionale, non priva di riflessi pratici, è quella afferente la natura, amministrativa o giurisdizionale, dell'esecuzione forzata esattoriale.

Tale esecuzione si fonda, come quella «ordinaria» disciplinata dal codice di procedura civile, sul principio nulla executio sine titulo e, dunque, non può essere iniziata, né proseguita, in mancanza di un titolo esecutivo.

Ai sensi della disposizione in esame il titolo esecutivo è il ruolo, in quanto si prevede che «Per la riscossione delle somme non pagate il concessionario procede ad espropriazione forzata sulla base del ruolo, che costituisce titolo esecutivo».

Dal ruolo deve essere distinto l'estratto di ruolo: quest'ultimo è il documento, rilasciato dall'Agente della riscossione, su richiesta dell'interessato, recante la specificazione dei debiti eventualmente esistenti a carico dello stesso e, con indicazione sintetica, delle relative causali.

Nella giurisprudenza della Corte di legittimità si era formato un contrasto tra alcune pronunce secondo le quali il ruolo non era autonomamente impugnabile in quanto atto «interno», impugnabile solo unitamente all'atto impositivo nel quale viene trasfuso ed a mezzo del quale viene notificato, ed altre decisioni che avevano invece affermato l'autonoma impugnabilità del ruolo.

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la sent. n. 19704/2015, hanno affermato che è impugnabile la cartella di pagamento della quale, a causa dell'invalidità della relativa notifica, il contribuente sia venuto a conoscenza solo attraverso un estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dal concessionario della riscossione, senza che a ciò osti l'ultima parte del comma 3 dell'art. 19 del d.lgs. n. 546/1992, in quanto una lettura costituzionalmente orientata impone di ritenere che l'impugnabilità dell'atto precedente non notificato unitamente all'atto successivo notificato – impugnabilità prevista da tale norma – non costituisca l'unica possibilità di far valere l'invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque venuto legittimamente a conoscenza e quindi non escluda la possibilità di far valere l'invalidità stessa anche prima, atteso che l'esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale non può essere compresso, ritardato, reso più difficile o gravoso, ove non ricorra la stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo, rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione.

L'esecuzione forzata tributaria

L'esecuzione forzata tributaria costituisce la fase finale dell'attività di riscossione che si rende necessaria qualora il contribuente persista nel proprio inadempimento nonostante intimazioni di pagamento, solleciti e misure cautelari.

Come quella ordinaria, anche l'espropriazione forzata fondata su crediti erariali si caratterizza perché consiste nell'apprensione del patrimonio del contribuente, nella sua monetizzazione attraverso la vendita dei beni espropriati (ove non si tratti di denaro) e nella successiva distribuzione del ricavato in eventuale concorso con altri creditori ovvero nella minoritaria soddisfazione alternativa della pretesa pubblica, data dall'assegnazione allo Stato dell'immobile pignorato che non si è potuto vendere.

La disposizione in esame, nel comma 2, esprime la norma fondamentale, in tema di disciplina applicabile all'espropriazione forzata per crediti tributari, secondo cui «il procedimento di espropriazione forzata è regolato dalle norme ordinarie applicabili in rapporto al bene oggetto di esecuzione, in quanto non derogate dalle disposizioni del presente capo e con esso compatibili; gli atti relativi a tale procedimento sono notificati con le modalità previste dall'art. 26»: ciò significa che le «lacune» contenute nel capo II del titolo II del d.P.R. n. 602/1973 possono essere colmate mediante il riferimento alla disciplina dettata, per le singole forme di espropriazione forzata, dal libro terzo del codice di procedura civile.

In questi termini in sede di legittimità si è, ad esempio, affermato che, nell'espropriazione esattoriale immobiliare, il giudice dell'esecuzione, in sede di emissione del decreto di trasferimento del bene aggiudicato, deve uniformarsi alle norme del codice di procedura civile che, ai sensi dell'art. 49 d.P.R. n. 602/1973, non risultino espressamente derogate nella materia, in esse rientrando sia l'art. 586 c.p.c., che consente al giudice di sospendere la vendita, quando ritenga il prezzo notevolmente inferiore a quello giusto, sia l'art. 600 c.p.c. che, per l'ipotesi di espropriazione di quota indivisa, dispone procedersi preliminarmente alla divisione, salvo che la quota possa essere venduta per prezzo almeno pari al suo valore (Cass. n. 692/2012).

Tuttavia, l'applicazione delle norme del terzo libro del codice di procedura civile all'esecuzione speciale per crediti tributari può avvenire soltanto con riserva di compatibilità: è evidente, quindi, il complesso lavoro demandato di volta in volta all'interprete nella ricostruzione della disciplina complessiva.

Un esempio emblematico di tale difficoltà – che può registrarsi anche a seconda dell'oggetto dell'espropriazione – è quello che riguarda l'operatività nell'esecuzione esattoriale dell'istituto della conversione del pignoramento, regolato dall'art. 495 c.p.c. che consente, in presenza di determinate condizioni, di trasferire il vincolo derivante dal pignoramento dal bene o dai beni pignorati ad una somma di denaro, attribuendo al debitore la facoltà di domandare, sino all'udienza di autorizzazione alla vendita, la sostituzione di una somma di denaro alle cose pignorate, somma che sarà il giudice dell'esecuzione a determinare con ordinanza, dopo aver sentito le parti, in relazione all'importo delle spese e dei crediti del creditore pignorante e dei creditori intervenuti.

La giurisprudenza di legittimità aveva, da un certo momento in poi, riconosciuto che nell'esecuzione esattoriale è ammessa la conversione del pignoramento (Cass. S.U., n. 494/1999, in Foro it., 2000, I, 149, con nota di Costantino).

Tuttavia, la questione è tornata d'attualità dopo che, in forza delle modifiche recate dalla l. n. 80/2005 all'art. 495, comma 1, c.p.c. la conversione può essere richiesta «prima che sia disposta la vendita o l'assegnazione a norma degli artt. 530, 532 e 569», poiché di regola nell'esecuzione esattoriale la vendita è disposta insieme al pignoramento. In dottrina è stata quindi proposta, al fine di evitare una interpretazione che escluda l'operatività della conversione o la circoscriva alle ipotesi in cui il pignoramento non inglobi l'ordine di vendita, una lettura costituzionalmente orientata volta ad ammettere comunque la conversione, purché la relativa istanza sia presentata prima della vendita o dell'assegnazione (Soldi, 1647).

Nondimeno, sebbene con riguardo all'espropriazione forzata ordinaria la questione afferente la dubbia compatibilità dell'istituto della conversione del pignoramento con l'espropriazione presso terzi possa dirsi infine risolta nel senso dell'ammissibilità dell'istituto anche nel pignoramento di crediti (Cass. n. 6662/2011), ad una differente conclusione è pervenuta la S.C. con riferimento al pignoramento ex art. 72-bis del d.P.R. n. 602/1973: infatti, la Corte di cassazione ha ritenuto incompatibile l'istituto della conversione di cui all'art. 495 c.p.c. con tale pignoramento diretto di crediti, essendo in detta ultima fattispecie sovrapposte la fase espropriativa con quella satisfattiva, con conseguente esclusione del provvedimento di assegnazione del credito e della stessa presenza del giudice dell'esecuzione, se non adito nelle forme dell'opposizione (Cass. n. 20706/2018, in Ilprocessocivile.it, con nota di L. Messina).

Natura dell'esecuzione esattoriale

Problematica tradizionale, non priva di riflessi pratici, è quella afferente la natura, amministrativa o giurisdizionale, dell'esecuzione forzata esattoriale.

La tesi della natura amministrativa

Secondo una prima impostazione interpretativa, l'esecuzione esattoriale avrebbe natura amministrativa, in quanto sussisterebbe un'evidente continuità tra le modalità espropriative dell'agente della riscossione e l'esercizio autoritativo dei propri poteri di ricerca dei beni e di vero e proprio blocco dei pagamenti e dei rimborsi.

Sottolineano i sostenitori di questa tesi che non può confondersi l'imparzialità giurisdizionale con quella amministrativa, anch'essa costituzionalmente tutelata dall'art. 97 Cost., intesa in riferimento all'azione amministrativa essenzialmente come legalità e ragionevolezza della stessa, poiché l'agente della riscossione, non ritenersi dirsi terzo e imparziale: come è noto, è la longa manus dell'amministrazione finanziaria, nell'interesse della quale agisce, peraltro dietro compenso, anche in conseguenza della sua professionalità; ovverosia, come comunemente si dice, è un organo indiretto dell'amministrazione finanziaria, della quale in definitiva partecipa (cfr., anche per la relativa distinzione, Russo 2004, 17 ss.). Queste conclusioni sarebbero vieppiù avvalorate nel sistema attuale nel quale, dopo la soppressione della società Equitalia s.p.a., è, almeno per i crediti erariali statali, esclusivamente l'Agenzia delle entrate Riscossione, e quindi direttamente la Pubblica amministrazione, ad occuparsi dell'attività di esazione dei crediti in questione.

Si evidenzia, inoltre, sempre a sostegno della tesi per la quale l'esecuzione forzata tributaria avrebbe natura amministrativa che, a differenza di quanto avviene nell'ambito dell'esecuzione forzata «ordinaria» disciplinata dal c.p.c., l'intervento del giudice è solo eventuale e, comunque, circoscritto a profili secondari subordinati all'iniziativa del debitore. Esempio paradigmatico sarebbe costituito, ancora una volta, dal pignoramento c.d. diretto presso terzi di cui all'art. 72-bis, del d.P.R. n. 602/1973, nel quale lo schema dell'espropriazione forzata dei crediti viene realizzato prescindendo completamente dalla fase apud iudicem (che invece caratterizza l'esecuzione «presso terzi» disciplinata dal codice di rito), in quanto il terzo è destinatario dell'ordine di pagare una certa somma, del quale il terzo è debitor debitoris, senza la necessità di un provvedimento di assegnazione, sicché, qualora non vengano proposte opposizioni, l'esecuzione è destinata a concludersi senza alcun controllo o accertamento di natura giudiziale (Auletta, 2020, spec. 851 ss., il quale ricorda che resta salva l'eventualità che il terzo non effettui il pagamento nel termine a tal fine previsto, ipotesi nella quale, secondo quanto disposto dall'art. 72 del d.P.R. n. 602/1973 il pignoramento dovrà aver luogo nella forma disciplinata dagli artt. 543 e ss. c.p.c.).

Né quanti sostengono che la natura dell'esecuzione forzata tributaria sia essenzialmente amministrativa ritengono che questa conclusione possa essere «scalfita» dalla circostanza che anche in tale forma di esecuzione – ormai in generale dopo la fondamentale pronuncia n. 114/2018 della C. cost. – possano innestarsi incidenti cognitivi a seguito della proposizione di un'opposizione, incidenti demandati alla decisione del giudice, talvolta ordinario, e ciò perché si tratterebbe di controversie che trovano occasione nell'esecuzione forzata, essendo autonome da essa, che rimane amministrativa (cfr. Guidara 2017, 1179 ss.). Si sottolinea, in questa prospettiva, che neppure potrebbe sostenersi che la riforma del 1999 abbia condotto all'evoluzione in senso giurisdizionale di una procedura amministrativa, avendo ampliato le possibilità di tutela innanzi al giudice ordinario, ma anche abolito il ricorso amministrativo avverso gli atti esecutivi dell'esattore e il divieto delle opposizioni all'esecuzione e agli atti esecutivi di cui agli artt. 615 e 618 c.p.c. Di conseguenza, la riforma in questione non avrebbe ampliato le tutele del debitore, bensì rimodulato e sistematizzato le stesse in modo più coerente, in funzione di una maggiore effettività, volta a valorizzare il ruolo dei giudici naturalmente coinvolti, tributario e ordinario, in luogo di quello amministrativo. Anzi, per una parte della dottrina «nonostante la più incisiva presenza giurisdizionale, introdotta nel sistema della riscossione coattiva mediante ruolo dalle recenti modifiche legislative, l'elemento caratterizzante del procedimento in questione rimane l'«autotutela», intesa quale diretta attuazione coattiva del credito da parte del concessionario, che agisce nel nome e nell'interesse dell'ente impositore al fine di realizzare il credito d'imposta» (Arieta, De Santis, 2007, II, 1342).

La tesi della natura giurisdizionale

Per altri, l'espropriazione forzata esattoriale costituisce esercizio di giurisdizione ed anzi, quale forma di esecuzione forzata, è esercizio di quella parte della giurisdizione che implica l'uso della forza dello Stato in funzione della realizzazione coattiva dei diritti di credito riconosciuti in un titolo esecutivo (tra gli altri, Bongiorno, 58 ss.; Costantino 1993, 1057 ss.; ID. 1984, 317 ss.; Vittoria, 731 ss.).

Questa impostazione è invalsa, almeno da un certo momento in poi, anche nella giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 20294/2011; Cass. S.U., n. 15201/2005; Cass. S.U., n. 494/1999; Cass. S.U., n. 5255/1993).

A sostegno della natura giurisdizionale dell'esecuzione forzata esattoriale vengono, in particolare, addotte le seguenti argomentazioni:

a) può accadere, in presenza di una pluralità di creditori dello stesso debitore, che l'esattore non si soddisfi immediatamente, ma in concorso con eventuali creditori;

b) non è escluso l'intervento dell'organo giurisdizionale (eventualmente diverso dal giudice dell'esecuzione);

c) il debitore esecutato ha la possibilità di agire in ripetizione di quanto versato a seguito dell'esecuzione forzata senza la previa tempestiva impugnazione degli atti della stessa.

Mentre nel processo ordinario, ai sensi dell'art. 484, comma 1, lett. a), c.p.c., «l'esecuzione è diretta da un giudice», il quale è designato, ai sensi dei successivi capoversi della medesima disposizione, entro due giorni dalla formazione del fascicolo dell'esecuzione, che, a sua volta, deve essere formato subito dopo il pignoramento, ai sensi degli art. 518, ultimo cpv., 543, ultimo cpv., e 557, ultimo cpv., c.p.c., nell'esecuzione esattoriale, in considerazione della predeterminazione legale delle forme per l'apprensione dei beni e per la vendita dei medesimi e, quindi, della mancanza di spazi entro i quali esercitare opzioni valutative, il controllo giudiziale è successivo ed eventuale. Tuttavia, si sottolinea, l'esclusione di ogni forma di controllo giudiziale preventivo sull'attività dell'esattore e poi del concessionario del servizio di riscossione ovvero della necessità di provvedimenti autorizzativi per il compimento di attività tipiche degli organi esecutivi trova giustificazione vuoi in base ai criteri di scelta dei soggetti, alla loro affidabilità, vuoi in base alla circostanza che il modus procedendi è predeterminato dalla legge: il concessionario del servizio di riscossione non può scegliere se vendere con incanto o senza incanto, se disporre o no l'amministrazione giudiziaria dei beni pignorati; le opzioni sono limitate e sono determinate dalla legge. Inoltre, anche nell'espropriazione forzata esattoriale, il giudice dell'esecuzione è comunque chiamato ad esercitare una serie di controlli anche sulla fase espropriativa in senso stretto: dalla valutazione dell'ammissibilità delle offerte dopo l'incanto nell'espropriazione immobiliare a quella delle istanze di conversione del pignoramento; è, comunque, previsto il controllo successivo, mediante l'azione di risarcimento danni; l'esecuzione esattoriale è e resta un procedimento esecutivo speciale (cfr. Costantino, 1995, I, 3092, il quale sottolinea che «il riferimento alla «natura del credito», pur sovente invocato dal giudice delle leggi, non regge, sia perché non vale a giustificare i limiti alla difesa del soggetto passivo, sia soprattutto perché, in generale, la «natura del credito» consente di giustificare la previsione di cause di prelazione, non anche la specialità del procedimento. Questo, infatti, può concludersi anche con la soddisfazione di creditori diversi da quelli in favore dei quali è stato formato il ruolo, perché la disciplina speciale non implica alcuna deroga alle regole del concorso»).

Sul piano del diritto positivo, poi, i sostenitori della tesi della natura giurisdizionale valorizzano il rinvio – contenuto nell'art. 49, comma 2, del d.P.R. n. 602/1973 – in mancanza di una disciplina specifica per l'esecuzione forzata tributaria alle disposizioni «ordinarie» (cfr. Tinelli, 3 ss., per il quale la conferma della natura di esecuzione speciale di quella esattoriale si evince chiaramente dal comma 2 dell'art. 49, ove si prevede che il procedimento di espropriazione forzata è regolato dalle norme ordinarie applicabili in rapporto al bene oggetto di esecuzione, in quanto non derogate dalle disposizioni del presente capo e con esso compatibili. In tal modo si attribuisce carattere di specialità alla disciplina propria dell'esecuzione fiscale, presupponendo così la generalità di quella comune, che trova la sua regolamentazione nel Libro Terzo del codice di procedura civile, e che torna applicabile ove non espressamente derogata dalla disciplina speciale. La compatibilità delle regole di diritto comune con la specialità dell'esecuzione fiscale potrà essere verificata alla luce della natura pubblicistica del credito portato ad esecuzione, che esclude, di per sé, l'applicabilità di istituti processuali fondati sul presupposto della disponibilità negoziale del credito).

Sempre in dottrina si è osservato che, soprattutto dopo la riforma del 1999, che è andata nel senso dell'attenuazione dei tratti di specialità dell'esecuzione esattoriale, appare tuttavia prevalente, nella stessa dottrina, la tesi che riconduce l'espropriazione forzata tributaria alla disciplina comune, sul rilievo della sostanziale analogia della struttura dell'espropriazione forzata tributaria con quella regolata dal codice di rito, salve le deroghe espressamente previste, che sono da porsi in stretta connessione all'interesse pubblico sottostante alla realizzazione coattiva del tributo (Giorgetti, 2010, 210; Tinelli, 3 ss., il quale rileva che tali deroghe riguardano in particolar modo la fase della tutela del debitore escusso, in cui si esprime il risultato della composizione degli interessi pubblici alla riscossione del tributo con quelli privatistici alla tutela della posizione patrimoniale del debitore dell'imposta in riscossione coatta, ma si manifestano anche nella struttura dell'esecuzione, in cui il ruolo del creditore procedente viene ad assumere una centralità che non è riscontrabile nella disciplina comune).

Sotto un distinto profilo, è stato osservato che, almeno nell'esecuzione esattoriale immobiliare ed in quella mobiliare, l'attuazione del diritto portato dal titolo avviene, alla medesima stregua di quanto previsto dal codice di procedura civile, mediante le tre fasi dell'apprensione, della vendita e soprattutto della distribuzione del ricavato, fase che si svolge, come espressamente previsto dall'art. 56 del d.P.R. n. 602/1973, pur con tutte le peculiarità del caso, sotto la direzione del giudice dell'esecuzione (così Costantino, 1984, 23, il quale sottolinea che di conseguenza «anche in riferimento alle forme speciali di tutela espropriativa, può dirsi operante l'intima connessione (...) tra l'art. 2740 c.c., che sancisce il principio della responsabilità patrimoniale, e l'art. 2910 c.c., disposizione generale in tema di espropriazione forzata », con la conseguenza che « il combinato disposto di tali articoli appare il dato aggregante che ex positivo iure consente di considerare unitaria la nozione di espropriazione forzata, quali che siano le forme dei procedimenti»).

In sostanza, anche nell'esecuzione esattoriale, l'attuazione della pretesa sostanziale e la sua concreta soddisfazione dipendono da un provvedimento giudiziale, al di là delle specificità della fase di imposizione del vincolo e della fase liquidativa, specificità improntate all'esigenza di garantire la massima celerità della procedura (Trimeleoni, 1345).

La dottrina che propende per la natura giurisdizionale dell'esecuzione tributaria non si è sottratta, poi, al confronto con l'istituto del pignoramento diretto presso terzi ex art. 72 -bis del d.P.R. n. 602/1973, ritenendo fuorviante il richiamo allo stesso per avallare la tesi contraria. Sul punto si è in particolare sottolineato che «questo sarebbe l'unico caso di atto esecutivo speciale che può determinare l'attuazione del credito tributario in assenza di un provvedimento giurisdizionale; a ben vedere, si tratta, però, di un atto solo apparentemente espropriativo, poiché, in assenza della collaborazione del terzo pignorato, l'Agente della riscossione deve intraprendere la procedura espropriativa ordinaria ai sensi dell'art. 543 c.p.c. (...). Ciò conferma (...) che l'autotutela esecutiva determina, in questa esecuzione speciale, un effetto coercitivo che, solo mediante la collaborazione del debitore o del terzo pignorato, può comportare la completa attuazione del credito tributario», sicché «quando nell'esecuzione tributaria si ottiene l'effetto sostitutivo desiderato e tipico di cui all'art. 2910 c.c. (...) tale effetto dipenderà sempre da un provvedimento giurisdizionale a dimostrazione del fatto che gli atti espropriativi tributari sono estranei all'autotutela esecutiva» (Odoardi, par. 1).

La tesi che sostiene la natura giurisdizionale dell'espropriazione esattoriale è stata avallata anche da quella parte della giurisprudenza di legittimità che, nel processo di progressiva equiparazione degli atti tipici dell'esecuzione a mezzo ruolo a quelli dell'ordinario processo esecutivo (nel condivisibile intento di ricondurre il primo al secondo come una species ad un genus), ha ritenuto che i primi sono atti formalmente e soggettivamente amministrativi ma funzionalmente e strutturalmente giurisdizionali (Cass. n. 6521/2014).

La tesi intermedia

Non mancano in dottrina tesi intermedie, anche autorevolmente suffragate, le quali partono dal presupposto che non avrebbe senso cercare di attribuire la medesima natura a tutte le forme di esecuzione esattoriale, in quanto nell'ambito di ciascuna di esse si possano ravvisare sia elementi di natura propriamente amministrativa che elementi di natura giurisdizionale (tra gli altri, Ingrao, 2701).

Si rileva, in particolare, che se per un verso indubbiamente nell'esecuzione esattoriale immobiliare o in quella mobiliare si registrino più spiccati tratti di giurisdizionalità, poiché, come evidenziato, l'attuazione della pretesa esecutiva dipende da un provvedimento del giudice, per un altro, il pignoramento c.d. presso terzi nella forma disciplinata dall'art. 72-bis, d.P.R. n. 602/1973 ha natura amministrativa, non apparendo decisivo l'argomento secondo cui la mancata collaborazione del terzo imporrebbe all'Agente della riscossione di agire nelle forme ordinarie. Tuttavia, anche rispetto al pignoramento presso terzi nel quale è solo eventuale l'intervento del giudice, ove stimolato dalla proposizione di un'opposizione, la S.C. sembra aver da tempo condiviso la tesi della natura sostanzialmente giurisdizionale, osservando che  l'ordine di pagamento diretto, essendo atto iniziale di una procedura espropriativa vera e propria, sia pure nel contesto di specialità assicurato all'agente della riscossione, assoggetta immediatamente il credito al vincolo preordinato all'espropriazione con tutto quanto ne consegue.

Pertanto, l'ordine di pagamento non è tanto un atto preordinato all'espropriazione, ma, essendo (anche) un pignoramento in forma speciale, è un atto iniziale della procedura (...), in virtù del quale il terzo assume gli obblighi che la legge impone al custode ex art. 546 c.p.c., con riferimento alle somme per le quali il diritto alla percezione sia maturato anteriormente alla notifica dell'atto di pignoramento ai sensi dell'art. 72-bis (Cass. n. 2857/2015; invero, come più volte evidenziato dalla S.C., il pignoramento diretto esattoriale rappresenta una speciale forma di esecuzione, con procedimento semplificato interamente stragiudiziale, che non prevede l'intervento del g.e. se all'ordine impartito dall'Agente per la riscossione segue l'effettivo pagamento da parte del terzo, che ha immediato effetto satisfattivo del credito: Cass. n. 32203/2019).

Funzione e natura del ruolo

L'esecuzione esattoriale si fonda, come quella «ordinaria» disciplinata dal codice di procedura civile, sul principio nulla executio sine titulo e, dunque, non può essere iniziata, né proseguita in mancanza di un titolo esecutivo.

Ai sensi della disposizione in esame il titolo esecutivo è il ruolo, in quanto si prevede che «Per la riscossione delle somme non pagate il concessionario procede ad espropriazione forzata sulla base del ruolo, che costituisce titolo esecutivo».

Il carattere di titolo esecutivo del ruolo comporta che l'intervento dell'agente della riscossione nell'esecuzione forzata non è subordinato alla preventiva notifica della cartella di pagamento, atteso che, a mente dell'art. 499 c.p.c., l'intervento nell'espropriazione postula l'esistenza di un credito assistito da titolo esecutivo (costituito, per i crediti fatti valere dall'agente della riscossione, dal ruolo) e non anche la notificazione di esso e l'intimazione del precetto (attività accorpate, per i menzionati crediti, nella notificazione della cartella di pagamento ex art. 25, comma 2, del d.P.R. n. 602/1973), e in quanto la ratio dell'art. 479, comma 1, lett. a), c.p.c. riguarda, salvo specifiche eccezioni, unicamente l'espropriazione promossa con il pignoramento, non quella esercitata in via di intervento, in relazione alla quale la previa intimazione del precetto non potrebbe permettere al debitore di elidere, mediante l'adempimento spontaneo o l'esperimento in via preventiva dei rimedi oppositivi exartt. 615 e 617 c.p.c., la «minaccia» della espropriazione e le incidenze negative sul suo patrimonio, per essersi queste ultime già verificate in conseguenza del precedente pignoramento (Cass. n. 3021/2019, in Il Fisco, 2019, n. 11, 1067, con nota di Russo).

Nel sistema della riscossione coattiva a mezzo ruolo disciplinato dal d.P.R. n. 602/1973, il diritto di procedere in executivis dell'agente della riscossione si fonda quindi su tale peculiare titolo esecutivo, contenente l'elenco dei debitori predisposto dall'ente creditore e trasmesso all'agente della riscossione, avente natura di titolo di formazione amministrativa, munito ab origine e per espressa volontà di legge, di idoneità esecutiva senza necessità, a tal fine, di alcuna comunicazione o notificazione al debitore (Cass. III, n. 3021/2018).

In tema di riscossione di crediti tributari nei confronti di soggetti obbligati in solido, è considerata legittima la formazione di un'unica partita di ruolo con più intestatari, in relazione alla quale il concessionario, che ha ricevuto in carico il ruolo, non è tenuto a notificare la cartella di pagamento a tutti, potendo provvedere ad effettuare tale notifica solo nei confronti del primo intestatario, inviando a ciascuno degli altri obbligati una comunicazione informativa, che ha nei riguardi di questi ultimi gli stessi effetti della notifica della cartella esattoriale (Cass. n. 31054/2018).

Il ruolo è quindi un atto amministrativo impositivo (fiscale, contributivo o di riscossione di altre entrate, quando previsto come strumento di riscossione coattiva delle stesse), contenente l'elenco dei debitori aventi il domicilio fiscale nell'area territoriale di riferimento e delle somme da essi dovute, formato dall'ufficio competente ai fini della riscossione (v. art. 12, comma 1, d.P.R. n. 602/1973: Cass. S.U., n. 19704/2015).

Il procedimento che culmina nella formazione del ruolo ha una struttura bifasica: a) l'ente impositore provvede ad accertare un credito d'ufficio o sulla base di un atto proveniente dal debitore ed alla formazione e notificazione al debitore di un atto lato sensu impositivo, ove è attribuito un termine per l'adempimento spontaneo; se tale adempimento spontaneo manca, l'Ente impositore provvede alla iscrizione a ruolo del credito (con aggiunta di interessi e sanzioni); b) il ruolo è dato in carico all'Agente della riscossione, al quale è affidato il compito di procedere in via esecutiva (con conseguente assunzione di responsabilità al riguardo).

In definitiva, il ruolo è al tempo stesso atto proprio ed esclusivo dell'Ente creditore e presupposto indefettibile di ogni attività esecutiva posta in essere dall'Agente della riscossione.

Nella giurisprudenza di legittimità, sulla scorta dei superiori principi richiamati, è stato affermato che, in materia di recupero di somme oggetto di sgravio indebito, deve escludersi l'applicazione dell'art. 43 del d.P.R. n. 602/1973 che consente all'ufficio di recuperare le «somme erroneamente rimborsate» e gli «interessi eventualmente corrisposti», tramite diretta iscrizione a ruolo entro termini decorrenti dall'«esecuzione del rimborso», tenuto conto che la norma fa esclusivo riferimento al rimborso, e non allo sgravio, e che i due istituti sono tra loro eterogenei, essendo l'uno un provvedimento in autotutela con effetto sull'obligatio e l'altro un mero atto con effetto sulla solutio, e non potendo pertanto estendersi all'uno la disposizione letteralmente riferita all'altro, con la conseguenza che la diretta reiscrizione a ruolo, senza previo avviso di accertamento, è consentita solo per il recupero del rimborso erroneamente effettuato, non implicante gli aspetti provvedimentali connaturati allo sgravio, mentre la declaratoria di erroneità di uno sgravio deve seguire la via ordinaria dell'accertamento, dovendo rimuoversi un provvedimento di secondo grado (Cass. n. 677/2019; Cass. n. 22570/2017). Sgravio e rimborso possono sovrapporsi, ma restano eterogenei, poiché l'uno è provvedimento in autotutela con effetto sull'obligatio, l'altro mero atto con effetto sulla solutio; la differenza di natura ed effetto tra i due istituti impedisce di estendere all'uno la disposizione letteralmente riferita all'altro; la diretta reiscrizione a ruolo senza previo avviso di accertamento è autorizzata dal legislatore per il recupero del rimborso indebito, non implicante gli aspetti provvedimentali connaturati allo sgravio, mentre la declaratoria di erroneità di uno sgravio ha da seguire la via ordinaria dell'accertamento, trattandosi di rimuovere un provvedimento di secondo grado.

Sottoscrizione

Il ruolo acquista efficacia esecutiva dopo che vi sia stata apposta la sottoscrizione da parte del titolare dell'ufficio impositore o di un suo delegato (art. 12, comma 4, d.P.R. n. 602/1973).

La S.C. ha tuttavia chiarito che il ruolo esattoriale, quale atto amministrativo, è assistito da una presunzione di legittimità, che opera anche nei giudizi in cui è parte l'Amministrazione che ha formato l'atto e che, pertanto, spetta al contribuente superare, sicché quest'ultimo, ove ne lamenti la carenza di sottoscrizione prescritta dall'art. 12, comma 4, del d.P.R. n. 602/1973, dovrà darne dimostrazione tramite istanza di accesso (Cass. n. 26546/2016). In sostanza, come è stato chiarito in modo ancor più netto da una recente pronuncia, l'art. 12 del d.P.R. n. 602/1973 non contempla alcuna sanzione per l'ipotesi dell'omessa sottoscrizione, sicché non può che operare la presunzione generale di riferibilità dell'atto amministrativo all'organo da cui promana, con onere della prova contraria a carico del contribuente, che non può limitarsi ad una generica contestazione dell'esistenza del potere o della provenienza dell'atto, ma deve allegare elementi specifici e concreti a sostegno delle sue deduzioni (Cass. n. 27561/2018). La S.C. ha osservato, per altro verso, che la natura vincolata del ruolo, che non presenta in fase di formazione e redazione margini di discrezionalità amministrativa, comporta l'applicazione del generale principio di irrilevanza dei vizi di invalidità del provvedimento, ai sensi dell'art. 21-octies della l. n. 241/1990, norma che, come noto, impedisce l'annullamento del provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, il suo contenuto dispositivo non avrebbe comunque potuto essere diverso da quello in concreto adottato (cfr. Cass. n. 2365/2013).

Occorre inoltre considerare che, in materia di riscossione delle imposte sui redditi, ai sensi dell'art. 1, comma 5-ter, del d.l. n. 106/2005, conv., con modif., dalla l. n. 156/2005, norma di interpretazione autentica dell'art. 12, comma 4, del d.P.R. n. 602/1973, i ruoli sono formati e resi esecutivi anche mediante la c.d. validazione informatica dei dati in essi contenuti, eseguita in via centralizzata dal sistema informativo dell'Amministrazione creditrice, che deve considerarsi equipollente alla sottoscrizione del ruolo stesso (in arg. cfr. Cass. n. 1449/2017).

L'estratto di ruolo

Dal ruolo deve essere distinto l'estratto di ruolo: quest'ultimo è il documento, rilasciato dall'Agente della riscossione, su richiesta dell'interessato, recante la specificazione dei debiti eventualmente esistenti a carico dello stesso e, con indicazione sintetica, delle relative causali.

Più in particolare, l'estratto di ruolo è la fedele riproduzione della parte del ruolo relativa alla o alle pretese creditorie azionate con la cartella esattoriale. Sul punto la S.C. ha chiarito che «l'estratto di ruolo non è una sintesi del ruolo operata a sua discrezione dallo stesso soggetto che l'ha formato, ma è la riproduzione di quella parte del ruolo che si riferisce alla o alle pretese impositive che si fanno valere nei confronti del singolo contribuente con la cartella notificatagli» (Cass. n. 11028/2018; Cass. n. 12415/2016) e deve contenere tutti gli elementi essenziali per identificare la persona del debitore, la causa e l'ammontare della pretesa creditoria, sicché esso costituisce prova idonea dell'entità e della natura del credito portato dalla cartella esattoriale anche ai fini della verifica della natura tributaria o meno del credito azionato e, quindi, della verifica della giurisdizione del giudice adito. Di conseguenza la cartella esattoriale non è altro che la stampa del ruolo in unico originale notificata alla parte, dovendo l'estratto di ruolo contenere tutti i dati essenziali per consentire al contribuente di identificare a quale pretesa dell'amministrazione esso si riferisca (e per consentire al contribuente di apprestare le sue difese e al giudice, ove adito, di verificare la fondatezza della pretesa creditoria o degli altri motivi dedotti dall'opponente) perché contiene tutti i dati necessari ad identificare in modo inequivoco il contribuente, ovvero nominativo, codice fiscale, data di nascita e domicilio fiscale; tutti i dati indispensabili necessari per individuare la natura e l'entità̀ delle pretese iscritte a ruolo, ovvero l'importo dovuto, distinguendo eventualmente tra quello già riscosso e quello residuo, l'aggio, la descrizione del tributo, il codice e l'anno di riferimento del tributo, l'anno di iscrizione a ruolo, la data di esecutività del ruolo, l'ente creditore (indicazioni obbligatoriamente previste dall'art. 25 del d.P.R. n. 602/1973, oltre che dagli artt. 1 e 6 del d.m. n. 321/1999 (Cass. n. 11028/2018).

L'estratto di ruolo costituisce prova idonea dell'entità e della natura del credito portato dalla cartella esattoriale anche ai fini della verifica della natura tributaria o meno del credito azionato, per la verifica della sussistenza della giurisdizione del giudice adito (Cass. n. 11028/2018; Cass. n. 12415/2016).

Occorre considerare che il soggetto deputato alla riscossione dei crediti erariali può domandare l'ammissione al passivo dei crediti tributari maturati nei confronti del fallito sulla base del semplice ruolo, senza che occorra, in difetto di espressa disposizione normativa, anche la previa notifica della cartella esattoriale, come previsto dall'art. 87, comma 2, del d.P.R. n. 602/1973, nel testo introdotto dal d.lgs. n. 46/1999 (cfr. Cass. n. 26296/2017): a tal fine non occorre che l'estratto sia munito dell'autenticazione nelle forme di legge, essendo sufficiente che la copia della parte del ruolo relativa al contribuente sia munita della dichiarazione di conformità all'originale resa dal collettore delle imposte, atteso che quest'ultimo esercita le stesse funzioni dell'esattore, del quale è coadiutore ex art. 130 del d.P.R. n. 858/1963 (Cass. n. 23576/2017).

Resta ferma la necessità, in presenza di contestazioni del curatore, dell'ammissione con riserva, da sciogliere poi ai sensi dell'art. 88, comma 2, del d.P.R. n. 602/1973, allorché sia stata definita la sorte dell'impugnazione esperibile dinanzi al giudice tributario (cfr., ex ceteris, Cass. n. 23110/2016; Cass. n. 6126/2014; Cass. n. 6520/2013). Più di recente tale principio è stato declinato nel senso che sia possibile l'ammissione al passivo concorsuale anche in base al solo estratto di ruolo, in ragione del processo di informatizzazione dell'amministrazione finanziaria che, comportando la smaterializzazione del ruolo, rende indisponibile un documento cartaceo, imponendone la sostituzione con una stampa dei dati riguardanti la partita da riscuotere e da cui consegue che gli estratti del ruolo, consistenti in copie operate su supporto analogico di un documento informatico, formate nell'osservanza delle regole tecniche che presiedono alla trasmissione dei dati dall'ente creditore al concessionario della riscossione, hanno piena efficacia probatoria ove il curatore non abbia sollevato contestazioni in ordine alla loro conformità all'originale (Cass. n. 31190/2017).

Impugnabilità del ruolo e dell'estratto di ruolo

Come si è evidenziato, nel sistema della riscossione coattiva a mezzo ruolo, disciplinato dal d.P.R. n. 602/1973, l'agente della riscossione fonda il proprio diritto a procedere all'esecuzione su di un titolo esecutivo peculiare, individuato, ai sensi dell'art. 49, comma 1, del citato d.P.R., nel ruolo che costituisce un elenco dei debitori predisposto dall'ente creditore e trasmesso all'agente della riscossione, avente natura amministrativa, munito ab origine e per espressa volontà di legge, di idoneità esecutiva senza necessità, a tal fine, di alcuna ulteriore comunicazione o notificazione al debitore.

Questo caratteristico titolo esecutivo è riprodotto, come già evidenziato, nel c.d. estratto di ruolo, un documento che, secondo quanto prescritto dall'art. 25 del d.P.R. n. 602/1973, riporta i dati relativi al soggetto contribuente, alla natura ed entità delle pretese iscritte a ruolo, nonché la descrizione, il codice e l'anno di riferimento del tributo, l'anno di iscrizione a ruolo, la data di esecutività del ruolo, l'ente creditore: esso, corredato della dichiarazione di conformità all'originale resa dall'agente della riscossione, integra idonea prova del credito, ai sensi dell'art. 2718 c.c., anche in ordine all'accertamento della giurisdizione del giudice adito.

Nella giurisprudenza della Corte di legittimità si era formato un contrasto tra alcune pronunce secondo le quali il ruolo non era autonomamente impugnabile in quanto atto «interno», che può essere impugnato solo unitamente all'atto impositivo nel quale viene trasfuso ed a mezzo del quale viene notificato, ed altre decisioni che avevano invece affermato l'autonoma impugnabilità del ruolo.

Sulla problematica sono intervenute – rendendo fondamentali precisazioni, in una prospettiva di effettività del diritto di difesa del contribuente – le Sezioni Unite della Corte di cassazione con la pronuncia n. 19704 del 2015 (Cass. S.U., n. 19704/2015, in Giur. it., 2016, n. 8-9, 1983, con nota di Carè; in Riv. giur. trib., 2016, n. 1, 40, con nota di Cerioni; in Corr. trib., 2015, n. 44, 4377, con nota di Bruzzone; in Riv. dir. trib., 2016, n. 4, 168, con nota di Corda ed in Il Fisco, 2015, n. 41, 3976, con nota di Russo).

Tale decisione ha posto in rilievo, in primo luogo, la necessaria distinzione, anche ai fini della soluzione della questione, tra «ruolo» ed «estratto di ruolo».

In particolare, le Sezioni Unite hanno evidenziato che il ruolo è un atto tipicamente disciplinato dagli artt. 10 lett. b), 11 e 12 del d.P.R. n. 602/1973 che, sottoscritto dal capo dell'ufficio o da un suo delegato, diviene titolo esecutivo ed è consegnato al concessionario, dell'attività del quale costituisce «presupposto indefettibile».

Ricevuto il ruolo, il concessionario alla riscossione redige, in conformità al modello approvato dall'Agenzia delle Entrate, la cartella di pagamento che, ai sensi dell'art. 25, comma 2, dello stesso d.P.R., contiene l'intimazione al pagamento degli importi risultanti dal ruolo entro sessanta giorni, con l'avvertimento che, in difetto, si procederà ad esecuzione forzata. La cartella di pagamento è quindi notificata al contribuente che ha la possibilità di impugnare la stessa, anche unitamente al ruolo, ai sensi dell'art. 19, comma 1, lett. d), dinanzi al giudice tributario.

Le Sezioni Unite hanno sottolineato che, pertanto, se è indubbia l'impugnabilità del ruolo, differente è, in ragione della diversa natura dello stesso, la soluzione per il c.d. estratto di ruolo. Quest'ultimo, infatti, è un atto non disciplinato dalla legge che viene formato e consegnato soltanto su richiesta del debitore e costituisce un elaborato informatico contenente gli elementi della cartella e, quindi, quelli del ruolo afferente la stessa. Ne deriva che soltanto il ruolo è un provvedimento dell'ente impositore, ossia «un atto potestativo contenente una pretesa economica dell'ente suddetto», mentre l'estratto di ruolo è un mero elaborato informatico rilasciato dal concessionario della riscossione, che «non contiene (né, per sua natura, può contenere) nessuna pretesa impositiva, diretta o indiretta».

Osservano quindi le Sezioni Unite che il contribuente non può avere alcun interesse giuridicamente rilevante, ex art. 100 c.p.c., a proporre ricorso contro l'estratto di ruolo, inteso secondo questa accezione.

Peraltro, occorre considerare la situazione nella quale può venirsi a trovare il contribuente il quale sia venuto a conoscenza dell'esistenza della pretesa impositiva, versata in una cartella di pagamento della quale non ha ricevuto, per omissione o invalidità della stessa, la notifica, soltanto a seguito della richiesta e della ricezione, da parte del concessionario, dell'estratto di ruolo.

In tale prospettiva, le Sezioni Unite affermano che la natura recettizia degli atti tributari, pur postulando, ai fini del decorso del termine per impugnare, la piena conoscenza che segue ad una comunicazione effettuata nelle forme previste dalla legge, non impedisce al contribuente che abbia avuto notizia in altro modo della pretesa impositiva di esercitare la facoltà di impugnare l'atto presupposto non notificato. Ne deriva che è impugnabile la cartella di pagamento della quale, a causa dell'invalidità della relativa notifica, il contribuente sia venuto a conoscenza solo attraverso un estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dal concessionario della riscossione, senza che a ciò osti l'ultima parte del comma 3 dell'art. 19 del d.lgs. n. 546/1992, in quanto una lettura costituzionalmente orientata impone di ritenere che l'impugnabilità dell'atto precedente non notificato unitamente all'atto successivo notificato – impugnabilità prevista da tale norma – non costituisca l'unica possibilità di far valere l'invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque venuto legittimamente a conoscenza e quindi non escluda la possibilità di far valere l'invalidità stessa anche prima, atteso che l'esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale non può essere compresso, ritardato, reso più difficile o gravoso, ove non ricorra la stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo, rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione (Cass. n. 27799/2018).

Con tale fondamentale pronuncia le Sezioni Unite hanno fornito una risposta rispetto alla questione, in precedenza incerta, concernente l'esaustività o meno dell'elenco degli atti impugnabili contenuto nell'art. 19 del d.lgs. n. 546/1992, a fronte della constatazione della frequenza del fenomeno della scoperta da parte dei contribuenti dell'esistenza di carichi tributari nel momento in cui veniva richiesto all'agente per la riscossione un estratto di ruolo per conoscere la propria posizione debitoria verso l'erario.

In ogni caso il ricorso contro l'estratto di ruolo deve essere proposto nel rispetto del termine generale di cui all'art. 21 del d.lgs. n. 546/1992, decorrente dalla conoscenza di tale atto, non assumendo rilevanza, in senso contrario, la facoltatività della relativa impugnazione, attesa la possibilità per il contribuente di ricorrere anche avverso il primo atto impositivo o della riscossione «tipico» successivamente notificatogli (Cass. n. 23076/2019).

Come sottolineato dalla stessa Corte di cassazione, peraltro, l'impugnazione diretta del ruolo esattoriale, da parte del debitore che chieda di procedere ad un accertamento negativo del credito dell'Amministrazione in esso risultante, è inammissibile per difetto di interesse, ove le cartelle esattoriali siano state regolarmente notificate, non prospettandosi tale accertamento come unico strumento volto ad eliminare la pretesa impositiva della Amministrazione, alla quale, invece, il debitore può rivolgersi in via amministrativa, domandando l'eliminazione del credito in autotutela mediante il c.d. sgravio (Cass. n. 22946/2016).

In termini analoghi la S.C. ha affermato che in presenza di un'intimazione di pagamento regolarmente notificata e non opposta nei termini di legge, è inammissibile l'impugnazione di un estratto di ruolo successivamente conseguito, rivolta a far valere l'invalidità dell'intimazione per l'omessa notifica delle prodromiche cartelle di pagamento, in quanto l'estratto di ruolo non è un atto autonomamente impugnabile, non contenendo qualsivoglia (autonoma e/o nuova) pretesa impositiva, diretta o indiretta (Cass. n. 31240/2019).

In sostanza, l'estratto di ruolo è atto interno all'Amministrazione da impugnare unitamente all'atto impositivo, notificato di regola con la cartella di pagamento, perché solo da quel momento sorge l'interesse ad instaurare la lite ex art. 100 c.p.c., salvo il caso in cui il ruolo e la cartella non siano stati notificati: ipotesi in cui, non potendo essere compresso o ritardato l'esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale, è invece ammissibile, nel rispetto del termine generale previsto dall'art. 21 del d.lgs. n. 546/1992, l'autonoma impugnativa dell'estratto, non ostandovi il disposto dell'art. 19, comma 3, del d.lgs. n. 546/1992, cit. che, secondo una lettura costituzionalmente orientata, impone di ritenere che l'impugnabilità dell'atto precedente non notificato unitamente all'atto successivo notificato non costituisce l'unica possibilità di far valere la mancanza di una valida notifica dell'atto precedente del quale il contribuente sia comunque venuto a conoscenza (Cass. n. 22507/2019).

Tuttavia, con specifico riguardo alla riscossione di entrate diverse da quelle di natura tributaria, si è discusso se il debitore (che assuma di avere appreso tale qualità a seguito di estratto di ruolo) possa, in via recuperatoria, impugnare la cartella di pagamento che, secondo le risultanze dell'estratto stesso, è stata formata nei suoi confronti e gli è stata notificata.

La Corte di cassazione, intervenendo a precisare le ricadute applicative dei principi sanciti dalle Sezioni Unite al di fuori della materia tributaria, ha chiarito che non si può richiedere l'accertamento negativo del diritto di agire in via esecutiva quando, essendo emersa in giudizio la rituale notifica della cartella, non sia frattanto stata posta in essere alcuna ulteriore attività da parte dell'Agente della riscossione e l'attore pretenda dichiararsi l'intervenuta prescrizione tenuto conto del momento in cui ha chiesto l'estratto di ruolo (v., tra le altre, Cass. n. 20618/2016; Cass. n. 6034/2017).

Diversamente opinando e cioè ammettendo l'azione di mero accertamento negativo del credito risultante dalla cartella o dal ruolo tutte le volte in cui il contribuente si procuri un estratto di ruolo in cui essa sia riportata, si produrrebbe l'effetto distorto di rimettere in termini il debitore rispetto alla possibilità di impugnare la cartella anche in tutti i casi in cui egli fosse già stato ben a conoscenza, in precedenza, della sua esistenza. Nel caso in cui il debitore intenda far valere fatti estintivi del credito successivi alla formazione del titolo (in particolare, la prescrizione), si è ritenuto che lo strumento a sua disposizione sarebbe stato, a fronte dell'iniziativa esecutiva dell'amministrazione in forza di un credito prescritto, l'opposizione all'esecuzione. Laddove, però, nessuna iniziativa esecutiva sia stata intrapresa dall'amministrazione, l'impugnazione diretta del ruolo esattoriale da parte del debitore che chieda procedersi ad un accertamento negativo del credito dell'amministrazione ivi risultante deve ritenersi inammissibile per difetto di interesse, non prospettandosi tale accertamento come l'unico strumento volto ad eliminare la pretesa impositiva dell'amministrazione: infatti, il debitore ben avrebbe potuto rivolgersi direttamente all'amministrazione, in via amministrativa, chiedendo l'eliminazione del credito in via di autotutela (il c.d. sgravio). Si è pure osservato che l'inammissibilità dell'opposizione deriverebbe pure in via generale dall'impossibilità di far valere, in via di azione, l'intervenuta estinzione per prescrizione di un diritto altrui, posto che seppure è vero che l'ordinamento, con la disciplina della prescrizione, attribuisce al soggetto passivo del rapporto la disponibilità dell'effetto estintivo, escludendone la rilevabilità d'ufficio, l'attribuzione al debitore della scelta se far valere o meno l'estinzione della pretesa nei suoi confronti in dipendenza dell'inerzia del creditore prolungata nel tempo è strutturata, nella previsione normativa (artt. 2938 e 2939 c.c.) nella forma dell'eccezione, mentre deve escludersi, perché estranea all'operatività giudiziale e oppositiva della prescrizione come fatto estintivo del credito altrui, che essa possa essere fatta valere in via di azione, a mezzo, come in questo caso, di un'azione di mero accertamento.

Nel processo tributario, il contribuente non può, mediante l'impugnazione dell'estratto del ruolo, formulare l'eccezione di prescrizione e decadenza per mancata notifica nei termini di legge delle relative cartelle di pagamento, dovendo essa proporsi entro il termine di impugnazione di quest'ultime, decorso il quale, divengono definitive (Cass. n. 19010/2019).

Anche la giurisprudenza di merito segue, in prevalenza, questa impostazione negando la sussistenza di un interesse a far valere la prescrizione laddove – nel giudizio – risulti la effettiva notificazione della cartella, in tal caso la tutela essendo rappresentata dalla presentazione di una istanza di sgravio all'Ente creditore (Trib. Bergamo n. 61/2018; Trib. Napoli Nord n. 1700/2018).

Secondo una giurisprudenza minoritaria occorre avere riguardo, invece, in concreto, al se sussista un interesse giuridicamente apprezzabile a sostegno l'azione intrapresa, dovendosi ritenere che la notifica della cartella si palesa del tutto irrilevante rispetto all'eccezione di prescrizione sopravvenuta (Trib. Napoli 11 giugno 2017).

Questa tesi è stata affermata rispetto alla prescrizione di crediti previdenziali iscritti a ruolo anche dalla Sezione lavoro della Corte di cassazione (Cass. n. 29294/2019), la quale ha evidenziato che un differente discorso deve, però, farsi laddove il contribuente — sempre affermando di essere venuto a conoscenza dell'iscrizione a ruolo solo a seguito del rilascio dell'estratto — chieda l'accertamento negativo del debito contributivo in seguito al decorso del termine di prescrizione maturato successivamente alla notifica della cartella, in quanto, trattandosi di prescrizione di contributi previdenziali, il regime della prescrizione già maturata è sottratto alla disponibilità delle parti, a differenza della materia civile e ciò impedisce l'operatività della regola generale dell'inammissibilità di un'azione di accertamento negativo il cui unico oggetto si sostanzi nell'affermazione della prescrizione. Ne deriva che la definitività dell'accertamento relativo alla sussistenza dei crediti contributivi portati dalla cartella, per effetto della mancata opposizione alle medesime, non è preclusiva dell'accertamento della prescrizione o di altri fatti comunque estintivi del credito maturati successivamente alla notifica delle cartelle in oggetto, laddove venga contestata l'effettiva prescrizione o estinzione dell'obbligo contributivo da parte dell'ente creditore, ipotesi delle quali occorrerà, secondo le regole generali, valutare in concreto la sussistenza dell'interesse ad agire, che ricorre solo ove sussista uno stato di incertezza oggettiva, anche non preesistente al processo, in quanto sorto nel corso di giudizio a seguito della contestazione sull'esistenza di un rapporto giuridico o sull'esatta portata dei diritti e degli obblighi da esso scaturenti, che non sia superabile se non con l'intervento del giudice.

Vi è tuttavia che, in seguito, l'art. 12, comma 4-bis, del d.P.R. n. 602/1973, come modificato dall'art. 3-bis del d.l. n. 146/2021, come convertito, ha stabilito che «L'estratto di ruolo non è impugnabile. Il ruolo e la cartella che si assume invalidamene notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall'iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto, per effetto di quanto previsto nell'articolo 80, comma 4, del codice dei contratti pubblici, di cui al d.lgs. n. 50/2016, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all'articolo 1, comma 1, lettera a), del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze n. 40/2008, per effetto delle verifiche di cui all'articolo 48-bis del presente decreto o infine per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione».

Quanto all'ambito di applicazione ratione temporis della indicata norma, le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno affermato che, in tema di impugnazione dell'estratto di ruolo, l'art. 12, comma 4-bis, del d.P.R. n. 602/1973 (introdotto dall'art. 3-bis del d.l. n. 146/2021, come convertito dalla l. n. 215/2021), selezionando specifici casi in cui l'invalida notificazione della cartella ingenera di per sé il bisogno di tutela giurisdizionale, ha plasmato l'interesse ad agire, condizione dell'azione avente natura "dinamica" che, come tale, può assumere una diversa configurazione, anche per norma sopravvenuta, fino al momento della decisione. Di qui hanno ritenuto che la citata disposizione, dunque, incide sulla pronuncia della sentenza e si applica anche nei processi pendenti, nei quali lo specifico interesse ad agire deve essere dimostrato, nelle fasi di merito attraverso il tempestivo ricorso alla rimessione nei termini (istituto applicabile anche al processo tributario), nel grado di legittimità mediante deposito di documentazione ex art. 372 c.p.c. o fino all'udienza di discussione (prima dell'inizio della relazione) o fino all'adunanza camerale oppure, qualora occorrano accertamenti di fatto, nel giudizio di rinvio (Cass., S.U., n. 26983/2022).

La norma di nuovo conio, nell'interpretazione resa dalla richiamata decisione delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, è stata oggetto di dubbi di legittimità costiuzionale sollevati dalla Corte di Giustizia Tributaria di Napoli, in riferimento agli artt. 3,24 e 113 della Costituzione. Con peculiare riguardo a questi ultimi, fondamentali parametri, la Corte rimettente aveva osservato che «la nuova norma, per come interpretata, comprimerebbe in maniera ingiustificata il diritto di difesa, «costituzionalmente garantito (anche a livello CEDU e di diritto dell'Unione)», facendo «regredire la possibilità di tutela che era stata sancita dalle SS.UU. del 2015»». In particolare, a fondamento di tale assunto il giudice a quo rilevava che «nelle ipotesi non contemplate dal comma 4-bis per poter impugnare il Ruolo il contribuente è costretto ad attendere la notifica di un atto successivo che però spesso è un atto esecutivo (ad es. il pignoramento o comunque la minaccia di un atto esecutivo-cautelare come il preavviso di fermo o di ipoteca)». In tali casi, quindi, il contribuente «subi[rebbe] un danno immediato (mancanza di disponibilità del bene: ad es. blocco di parte del suo stipendio) che non può in alcun modo prevenire se non ricorrendo alla tutela cautelare dopo aver subito tale pregiudizio».

LaCorte Costituzionale, con la sentenza n. 190/2023, pur dichiarando inammissibili le questioni perché la risoluzione delle stesse – nel contemperamento tra il diritto all'effettività della tutela giurisdizionale e l'esigenza di limitare la proliferazione dei ricorsi – avrebbe implicato scelte di sistema, sottratte alla discrezionalità del legislatore ordinario, ha in motivazione rimarcato i profili rispetto ai quali la norma censurata si pone in distonia con il preminente valore di una tutela giurisdizionale effettiva anche alla parte che ha ragione, di qui rivolgendo un forte monito al legislatore ad intervenire con una disciplina più equilibrata.

Ad ogni modo, nella giurisprudenza di legittimità è stato puntualizzato che, in tema di impugnazione dell'estratto di ruolo, l'applicabilità, anche nei giudizi pendenti, dell'art. 12, comma 4-bis del d.P.R. n. 602/1973 (introdotto con l'art. 3-bis del d.l. n. 146/2021, convertito con l. n. 215/2021), e della configurazione assunta dall'interesse ad agire in virtù della norma sopravvenuta, rilevante, secondo una concezione dinamica, fino al momento della decisione, trova il suo limite nell'espresso giudicato interno sulla sussistenza dell'interesse (Cass. n. 4448/2023).

Tipi di ruoli

Ruoli provvisori e ruoli definitivi

Occorre considerare la distinzione tra ruoli provvisori e ruoli definitivi che può essere sinteticamente espressa nel senso che, con i primi, è iscritta a ruolo la totalità delle imposte, sanzioni ed interessi dovuti, e con i secondi una parte delle somme dovute dal contribuente. Questi ultimi si fondano su atti aventi natura «precaria» destinati ad essere confermati o annullati in tutto o in parte.

In sostanza, i ruoli definitivi vengono formati nei casi in cui vi sia una sostanziale certezza in ordine alla sussistenza del credito dell'Amministrazione, come accade qualora il debito d'imposta risulti direttamente dalla dichiarazione del contribuente (dichiarazione dei redditi, sostituti d'imposta, IVA, ecc.) o da un avviso di accertamento divenuto definitivo, in quanto non impugnato entro i termini da parte del contribuente.

I ruoli provvisori, invece, sono formati, nelle ipotesi nelle quali il credito non possa ritenersi consolidato, i.e. in presenza di avvisi di accertamento impugnati dal contribuente e non ancora definiti con sentenza passata in giudicato, ipotesi nelle quali l'art. 68 del d.P.R. n. 602/1973 consente all'Ufficio di iscrivere a ruolo solamente una parte delle somme contestate negli avvisi di accertamento.

In virtù dell'art. 15 del d.P.R. n. 602/1973, i tributi corrispondenti agli imponibili accertati ma non ancora definitivi, nonché i relativi interessi (ma non le sanzioni), sono iscritti a titolo provvisorio nei ruoli, dopo la notifica dell'atto di accertamento, per la metà degli importi corrispondenti agli imponibili o ai maggiori imponibili accertati.

Nelle more della decisione del giudizio tributario, dunque, l'Ufficio ha la possibilità di iscrivere a ruolo il 50% delle maggiori imposte dovute in base all'avviso di accertamento ed i relativi interessi. Ai sensi dell'art. 68 del d.lgs. n. 546/1992, poi, la maggiore imposta e gli interessi devono essere corrisposti:

a) per i due terzi, dopo la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale che respinge il ricorso;

b) per l'ammontare risultante dalla sentenza della Commissione Tributaria Provinciale, e comunque non oltre i due terzi del totale, se la stessa accoglie parzialmente il ricorso;

c) per il residuo ammontare determinato nella sentenza della Commissione Tributaria Regionale: il contribuente, quindi, una volta depositata la sentenza di secondo grado, sarà chiamato a pagare la totalità delle imposte, interessi e sanzioni dovuti in base alla decisione della Commissione Tributaria Regionale (in tema di riscossione dei tributi, in pendenza del giudizio di impugnazione degli stessi, infatti, non trova applicazione la disciplina civilistica, bensì quella speciale dettata dall'art. 68 del d.lgs. n. 546/1992, con la conseguenza che, in forza del comma 1, lett. c), emessa la sentenza di secondo grado di rigetto dell'impugnazione del contribuente, è esigibile il residuo ammontare del tributo: Cass. n. 4170/2018).

Quanto all'ambito di applicazione della descritta disciplina, la S.C. ha chiarito che, in tema di riscossione delle imposte sui redditi, l'art. 15 del d.P.R. n. 602/1973 che fonda la gradualità dell'iscrizione a ruolo, deve essere interpretato estensivamente, includendo nel relativo ambito di applicazione anche la riscossione degli avvisi di recupero di credito d'imposta, dato che la ratio della disposizione, ossia il contemperamento delle contrapposte esigenze del Fisco, di celere riscossione dei tributi e del contribuente, di non anticipare il pagamento di somme che potrebbero non essere dovute, non può che operare sia con riferimento agli atti di accertamento di imponibile, che con riferimento alla riscossione degli avvisi di recupero dei crediti d'imposta, in quanto questi contribuiscono a definire l'entità della somma concretamente dovuta dal contribuente (Cass. n. 29378/2019; Cass. n. 3838/2013).

L'iscrizione a ruolo provvisoria, ai sensi dell'art. 68 del d.lgs. n. 546/1992, deve ritenersi «travolta» nel caso in cui la sentenza, sulla base della quale quell'iscrizione è stata eseguita, sia stata riformata o cassata da decisioni della commissione regionale o della Corte di Cassazione, indipendentemente dall'impugnazione del ruolo stesso o dall'intervenuto pagamento della somma iscritta a ruolo, in considerazione dell'effetto espansivo esterno della sentenza di riforma o di cassazione, ai sensi dell'art. 336, comma 2, c.p.c. (Cass. n. 30775/2018).

Ruoli ordinari e ruoli straordinari

I ruoli si distinguono, inoltre, in ordinari e straordinari: questi ultimi sono formati al di fuori delle tempistiche canoniche, nei casi in cui vi sia un fondato pericolo per la riscossione.

In particolare, ai sensi dell'art 15-bis del d.P.R. n. 602/1973 «in deroga all'art. 15, nei ruoli straordinari le imposte, gli interessi e le sanzioni sono iscritti per l'intero importo risultante dall'avviso di accertamento, anche se non definitivo».

La Suprema Corte ha sottolineato, su un piano generale, che l'iscrizione nel ruolo straordinario previsto dall'art. 15-bis del d.P.R. n. 602/1973 – che consente all'amministrazione di procedere, sulla base di accertamenti non definitivi e perciò passibili di annullamento totale o parziale ad opera del giudice, alla riscossione dell'intero importo delle imposte, sanzioni ed interessi in luogo della riscossione del solo terzo delle imposte e degli interessi (con esclusione delle sanzioni), ha carattere eccezionale e presuppone la sussistenza di un fondato pericolo per la riscossione, ciò che impone l'obbligo, in capo all'amministrazione, ai sensi degli artt. 7, comma 3, della l. n. 212/2000 e 12, comma 3, del d.P.R. n. 602/1973, di indicare nella cartella, anche in forma sintetica e con motivazione per relationem, le ragioni per cui, in deroga alla procedura ordinaria, siano stati ritenuti sussistenti fatti indicativi di un fondato periculum in mora tali da giustificare l'integrale riscossione del credito, compromettendosi altrimenti il diritto di difesa del contribuente (v., di recente, Cass. n. 7795/2020).

Anche in dottrina è diffusa la tendenza a ritenere che l'iscrizione nel ruolo straordinario (e la correlata motivazione) si fondi principalmente sul periculum in mora e non anche sul fumus boni juris (cfr. Basilavecchia, 247 ss.; Carinci, 975 ss.; Turis, 3339).

Si è osservato, inoltre, che l'Amministrazione finanziaria, una volta formatasi la convinzione della esistenza del presupposto cautelare, è tenuta ad adottare tutte le misure idonee ad assicurare pronta e sicura riscossione, compresa la procedura di esazione integrale del credito in presenza di atto di accertamento non definitivo (Giovannini, 33, nt. 27).

In giurisprudenza, si è ritenuto che, ad esempio, la dichiarazione di fallimento del contribuente integra il requisito del periculum in mora richiesto per l'iscrizione delle imposte nel ruolo straordinario (Cass. n. 9180/2001). In termini analoghi è stata considerata legittima l'iscrizione nel ruolo straordinario per l'ipotesi di ammissione a concordato preventivo del contribuente (cfr. Cass. n. 7654/1999, la quale, con riferimento ad una società ammessa al concordato preventivo che aveva omesso il versamento delle ritenute operate alla fonte su retribuzioni ed indennità di buonuscita, pur avendole dichiarate, afferma che lo stato di insolvenza della debitrice costituisce elemento di fondato pericolo per la riscossione, ha evidenziato che «appare dunque legittima l'emissione di un ruolo straordinario per l'ammissione al passivo del concordato della pretesa tributaria, .... mentre l'instaurazione di un contenzioso tributario, come nel caso in esame, per pretesi vizi di forma del ruolo, non può evitare l'ammissione condizionata del credito tributario ma ha soltanto l'effetto di prolungare il momento dell'adempimento ...da parte degli organi della procedura»).

Sino ad un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite della Corte di cassazione sussisteva un contrasto all'interno della stessa giurisprudenza di legittimità circa la permanente efficacia dell'iscrizione a ruolo straordinaria anche in pendenza della controversia introdotta dal contribuente che contesti l'accertamento e ciò anche quando vi sia una pronuncia, ancorché non definitiva, sfavorevole all'Amministrazione Finanziaria.

In particolare, secondo una prima impostazione interpretativa, «l'emissione del ruolo straordinario con obbligo di pagamento immediato delle imposte iscritte, ai sensi dell'art. 11 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, è legittima quando sussiste fondato pericolo per la riscossione, senza che rilevi l'eventuale emissione di un avviso di accertamento, con pendenza del relativo giudizio d'impugnazione, come nella specie» (cfr. Cass. n. 9180/2001, la quale ha evidenziato, nella parte motiva, che per l'iscrizione delle imposte nei ruoli straordinari, la sussistenza, alla data della formazione del ruolo, di provvedimento (valido ed efficace) di iscrizione di ipoteca legale sui beni di società assoggettata ad IRPEG, o altre imposte, e la circostanza che la medesima si trovi in fase di liquidazione costituiscono elementi concorrenti ad integrare il requisito del «fondato pericolo per la riscossione», richiesto dall'art. 11).

In sostanza, per questa tesi ciò che rileva è soltanto l'esistenza del presupposto del pericolo per la riscossione alla data di iscrizione nel ruolo straordinario: si è osservato, invero, dopo aver evidenziato come il pericolo per la riscossione vada valutato in relazione alla attualità e alla attenta analisi di elementi oggettivi e soggettivi che consentano di identificare le condizioni del contribuente, che è invece irrilevante la circostanza che l'avviso d'accertamento sia stato impugnato o siano ancora pendenti i termini per promuovere l'impugnazione, in quanto i presupposti richiesti dalla norma sono esclusivamente la sussistenza di un fondato pericolo per la riscossione e che la pretesa erariale risulti da un avviso di accertamento» (Fabri, 359 ss.).

È stato così sottolineato, a riguardo, premesso che ai fini della legittimità della iscrizione a ruolo dell'intera imposta a titolo provvisorio deve farsi riferimento alla situazione di fatto e di diritto sussistente alla data di formazione del ruolo stesso, che «allorquando ...sia stato emesso dalla competente autorità, nei confronti del contribuente, un provvedimento di iscrizione di ipoteca legale sui beni di quest'ultimo valido ed efficace, l'esistenza di un provvedimento siffatto costituisce, di per sé, uno dei possibili elementi idonei ad integrare il requisito del «fondato pericolo per la riscossione»: e ciò, per il decisivo rilievo che l'applicazione dell'istituto dell'iscrizione di ipoteca legale sui beni del contribuente, sia nel previgente ordinamento tributario..., sia in quello vigente (cfr. art. 22 del d.lgs. n. 472/1997), presuppone, a sua volta, quale suo imprescindibile requisito, quello della sussistenza del fondato timore di perdere la garanzia del credito d'imposta, e cioè della sua realizzazione» (Cass. n. 11225/2002).

In conformità ad un'altra tesi, affermata nella stessa giurisprudenza di legittimità, invece, l'accoglimento in tutto o in parte delle contestazioni del contribuente alle pretese della Amministrazione finanziaria fa venir meno il titolo per l'iscrizione dell'intero importo accertato nel ruolo straordinario. In particolare, in accordo con questa impostazione, non è a tal fine necessaria una sentenza passata in giudicato poiché la sentenza che, accogliendo il ricorso proposto dal contribuente, annulla l'atto impositivo fa venir meno, indipendentemente dal suo passaggio in giudicato, il titolo sul quale si fonda la pretesa tributaria, privandola del supporto dell'atto amministrativo che la legittima, ed escludendo quindi che essa possa formare ulteriormente oggetto di alcuna forma di riscossione provvisoria (v. Cass. n. 13445/2012, con riferimento ad una fattispecie nella quale l'iscrizione a ruolo e l'emissione della cartella sarebbero avvenute dopo l'annullamento dell'atto presupposto, sia pur parziale e provvisorio, da parte del giudice tributario adito in sede di impugnazione, afferma l'illegittimità del ruolo straordinario a seguito; cfr., analogamente, Cass. n. 19078/2008, secondo cui l'accoglimento del ricorso del contribuente contro l'avviso di accertamento, annullando l'atto impositivo, sebbene non ancora definitivamente, priva del supporto dell'atto amministrativo la pretesa tributaria relativa alla riscossione provvisoria dell'intero; a conforto delle conclusioni invoca anche l'art. 68, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992, che prevede il rimborso d'ufficio del tributo corrisposto eventualmente in eccedenza rispetto a quanto accertato dalla Commissione tributaria provinciale v., altresì, in sede applicativa, Commissione Tributaria Centrale, Sez. 19, 23 settembre 2002, n. 6653, la quale, pur reputando legittima ai sensi dell'art. 11 del d.P.R. n. 602/1973 l'emissione di un ruolo straordinario per la riscossione di imposte a carico di una società fallita, in tale condizione ravvisando il presupposto del periculum dunque, afferma tuttavia che qualora il giudice tributario abbia annullato gli accertamenti IRPEG e ILOR relativi a determinati anni, è illegittima l'iscrizione a ruolo di tali imposte per i relativi anni).

In dottrina quest'orientamento, rimasto per lungo tempo minoritario in giurisprudenza, era condiviso sia da quanti ritenevano che nella ipotesi di sentenza, anche di primo grado, che annulli l'avviso di accertamento, sorge il diritto al rimborso, a tal fine ritenendo che «tra il fondato pericolo per la riscossione e l'infondatezza della pretesa tributaria, quest'ultima prevale» (Rocco, 1081), sia da quella parte della dottrina che, esaminando l'ipotesi della impugnazione del ruolo per difetto del presupposto cautelare o per mancanza di prova sul punto, sostiene che con la sentenza che accoglie il ricorso viene meno il titolo stesso (Amatucci, 2922).

La questione attinente l'efficacia dell'istituto cautelare di garanzia del credito tributario costituito dall'iscrizione nel ruolo straordinario, effettuata in caso di fondato pericolo per la riscossione ai sensi del citato art. 15-bis del d.P.R. n. 602/1973, a fronte di una sentenza non definitiva del giudice tributario che annulli, in tutto o in parte, l'atto impositivo presupposto, è stata infine decisa dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, le quali nell'incipit della motivazione hanno con chiarezza evidenziato il senso della stessa, sottolineando che «si tratta, cioè, di stabilire se la pronuncia del giudice in senso (totalmente o parzialmente) favorevole al contribuente, sia pure ancora soggetta ad impugnazione, si rifletta sulla detta misura cautelare, incidendo sulla sua efficacia, oppure se questa resti insensibile alla statuizione giudiziale e i suoi effetti perdurino fino all'eventuale sopravvenire del giudicato negativo del credito». Ciò posto, le Sezioni Unite hanno affermato il principio di diritto, in precedenza seguito dalla giurisprudenza di legittimità non prevalente, secondo cui l'iscrizione nei ruoli straordinari dell'intero importo delle imposte, degli interessi e delle sanzioni, risultante dall'avviso di accertamento non definitivo, prevista, in caso di fondato pericolo per la riscossione, dagli artt. 11 e 15-bis del d.P.R. n. 602/1973, costituisce misura cautelare posta a garanzia del credito erariale, la cui legittimità dipende pur sempre da quella dell'atto impositivo presupposto, che ne è il titolo fondante, sicché, qualora intervenga una sentenza del giudice tributario, anche non passata in giudicato, che annulla in tutto o in parte tale atto, l'ente impositore, così come il giudice dinanzi al quale sia stata impugnata la relativa cartella di pagamento, ha l'obbligo di agire in conformità della statuizione giudiziale, sia ove l'iscrizione non sia stata ancora effettuata, sia, se già effettuata, adottando i conseguenziali provvedimenti di sgravio, o eventualmente di rimborso dell'eccedenza versata (Cass. S.U., n. 758/2017, in Riv. giur. trib., 2017, n. 3, 214, con nota di Basilavecchia; in Il Fisco, 2017, n. 7, 683, con nota di Russo; in Corr. trib., 2017, n. 17, 1349, con nota di Randazzo; in Foro it., 2017, 516, I, con nota di Perrino; in Riv. dir. trib., 2018, n. 1, II, con nota di Peruzza, ed in Giur. it., 2018, n. 1, 99, con nota di Francioso). In motivazione si legge, in particolare, che l'efficacia immediata delle sentenze delle commissioni tributarie trova base normativa sia nel primo che nel comma 2 dell'art. 68 d.lgs. 546/1992, in quanto «sia il comma 2... sia il comma 1 – che disciplina la riscossione frazionata e graduale del tributo e dei relativi interessi sempre sulla base delle statuizioni della sentenza, trovando in questa, quindi, il titolo per l'esercizio del relativo potere – « postulano evidentemente che le sentenze tributarie di merito abbiano un effetto immediato : basta osservare che, se quanto già eventualmente riscosso in più va (celermente) restituito, a fortiori, non può configurarsi la riscossione di un credito la cui esistenza sia stata negata dalla pronuncia del giudice». Seguendo quest'impostazione, proseguono le Sezioni Unite, se il giudice tributario annulla in tutto o in parte l'atto impositivo (pur se in via non definitiva in attesa dell'eventuale giudizio di impugnazione), quest'ultimo, rispettivamente in toto o nei limiti della parte annullata, non può che perdere efficacia quale titolo idoneo a legittimare, in radice, l'inizio o la prosecuzione di un'azione di riscossione provvisoria, anche avente natura cautelare. Invero, «riconoscere all'istituto in esame una capacità di resistenza all'annullamento, ancorché non ancora irretrattabile, dell'avviso di accertamento che ne costituisce il presupposto di base, cioè, in definitiva, al venir meno anche della mera probabilità di fondatezza della pretesa tributaria in ragione della quale la misura è adottata (e quindi dell'esistenza del diritto di credito il cui soddisfacimento si intende garantire), non ha fondamento normativo e non risponde ad un equo bilanciamento degli interessi contrapposti».

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