Codice di Procedura Civile art. 545 - Crediti impignorabili.Crediti impignorabili. [I]. Non possono essere pignorati i crediti alimentari [433 ss. c.c.], tranne che per cause di alimenti e sempre con l'autorizzazione del presidente del tribunale o di un giudice da lui delegato e per la parte dal medesimo determinata mediante decreto 1. [II]. Non possono essere pignorati crediti aventi per oggetto sussidi di grazia o di sostentamento a persone comprese nell'elenco dei poveri, oppure sussidi dovuti per maternità, malattie e funerali da casse di assicurazione, da enti di assistenza o da istituti di beneficenza. [III]. Le somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate per crediti alimentari nella misura autorizzata dal presidente del tribunale o da un giudice da lui delegato2 . [IV]. Tali somme possono essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito 3. [V]. Il pignoramento per il simultaneo concorso delle cause indicate precedentemente non può estendersi oltre la metà dell'ammontare delle somme predette4 . [VI]. Restano in ogni caso ferme le altre limitazioni contenute in speciali disposizioni di legge [1881, 1923 1 c.c.]. [VII]. Le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennita' che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente al doppio della misura massima mensile dell'assegno sociale, con un minimo di 1.000 euro. La parte eccedente tale ammontare e' pignorabile nei limiti previsti dal terzo, dal quarto e dal quinto comma nonche' dalle speciali disposizioni di legge5. [VIII]. Le somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, possono essere pignorate, per l'importo eccedente il triplo dell'assegno sociale, quando l'accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento; quando l'accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, le predette somme possono essere pignorate nei limiti previsti dal terzo, quarto, quinto e settimo comma, nonché dalle speciali disposizioni di legge 67. [IX]. Il pignoramento eseguito sulle somme di cui al presente articolo in violazione dei divieti e oltre i limiti previsti dallo stesso e dalle speciali disposizioni di legge è parzialmente inefficace. L'inefficacia è rilevata dal giudice anche d'ufficio8 .
[1] Comma così sostituito dall'art. 97, comma 1, lett. a), d.lg. 19 febbraio 1998, n. 51, con effetto, ai sensi dell'art. 247 comma 1 dello stesso decreto quale modificato dall'art. 1 l. 16 giugno 1998, n. 188, dal 2 giugno 1999. [2] Comma così sostituito dall'art. unico del d.lg.C.p.S. 10 dicembre 1947, n. 1548. Successivamente il presente comma è stato così modificato dall'art. 97, comma 1, lett. b), d.lg. n. 51, cit., con effetto, ai sensi dell'art. 247, comma 1, dello stesso decreto quale modificato dall'art. 1 l. 16 giugno 1998, n. 188, cit., dal 2 giugno 1999. [3] Comma così sostituito dall'art. unico del d.lg.C.p.S. 10 dicembre 1947, n. 1548. [4] Comma così sostituito dall'art. unico del d.lg.C.p.S. 10 dicembre 1947, n. 1548. [5] Comma così sostituito dall'art. 21-bis d.l. 9 agosto 2022, n. 115 , conv. con modif. in l. 21 settembre 2022, n. 142. Il testo del comma, come inserito dall'art. 13, d.l. 27 giugno 2015 n. 83, conv. con modif. in l. 6 agosto 2015, n. 132, era il seguente: « Le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell'assegno sociale, aumentato della metà. La parte eccedente tale ammontare è pignorabile nei limiti previsti dal terzo, quarto e quinto comma nonché dalle speciali disposizioni di legge». [6] Comma inserito dall'art. 13, d.l. 27 giugno 2015 n. 83, conv. con modif. in l. 6 agosto 2015, n. 132, per l'applicazione vedi l'art. 23, comma 6, del d.l. n. 83 del 2015 medesimo. [7] V. Corte cost. 31 gennaio 2019, n. 12, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 23, comma 6 d.l. n. 83 del 2015 , nella parte in cui non prevede che il presente comma, introdotto dall’art. 13, comma 1 lett. l) del medesimo decreto-legge, si applichi anche alle procedure esecutive aventi ad oggetto prestazioni pensionistiche pendenti alla data di entrata in vigore di detto decreto-legge. [8] Comma inserito dall'art. 13, d.l. 27 giugno 2015 n. 83, conv. con modif. in l. 6 agosto 2015, n. 132, per l'applicazione vedi l'art. 23, comma 6, del d.l. n. 83 del 2015 medesimo. InquadramentoL'art. 545 c.p.c., contiene una elencazione di crediti per cui vigono regimi particolari di: impignorabilità assoluta; impignorabilità relativa (o come è stato detto parziale), nonché, da ultimo in relazione ai commi 7 e 8 dell'art. 545 c.p.c., crediti in parte assolutamente ed in parte relativamente impignorabili. I suddetti regimi, costituendo una eccezione al generale principio di cui all'art. 2740 c.c., vanno intesi come eccezionali e quindi – di massima – come insuscettibili di interpretazione analogica. Invero, la giurisprudenza ha esteso l'ambito di applicazione di siffatte deroghe, precisando che i limiti di impignorabilità previsti dall'art. 545 c.p.c. (e posti a tutela di esigenze preminenti di varia natura) si applicano anche (vedi Auletta, Focus 2018): – all'istituto della sostituzione del creditore ai sensi dell'art. 511 c.p.c. (Trib. Cassino 4 ottobre 1991); – al provvedimento con cui viene ordinato al terzo il pagamento diretto di quota dei redditi percepiti dal debitore a favore di chi sostenga il mantenimento della prole ex art. 316-bis c.c. (Trib. Torino 9 marzo 2012); – al sequestro conservativo sui beni dell'imputato o del responsabile civile, atteso che l'art. 316, comma 1, c.p.p. prevede che lo stesso possa avvenire «nei limiti in cui la legge ne consente il pignoramento» (Cass. pen., n. 16618/2011). Rilevante è anche la disposizione contenuta nel comma 6 della disposizione in esame, per cui «restano ferme le altre limitazioni contenute in speciali disposizioni di legge». Il confronto con tali normative speciali ha dato la stura a numerose pronunce della Corte costituzionale, il cui esame è essenziale alla comprensione dell'attuale assetto del sistema. I crediti impignorabiliSono impignorabili in modo assoluto «i crediti aventi per oggetto sussidi di grazia o sostentamento a persone comprese nell'elenco dei poveri, oppure sussidi dovuti per maternità, malattie o funerali da casse di assicurazione, da enti di assistenza o da istituti di beneficenza» (art. 545, comma 2, c.p.c.). La ratio di questo regime è collegata alla funzione vitale assolta da tali crediti, destinati come sono a soddisfare situazioni di bisogno più intense rispetto a quelle di natura alimentare (disciplinate dal comma 1). La giurisprudenza ha escluso da tale regime di impignorabilità i sussidi dovuti a titolo di contributo per la ricostruzione di zone colpite dagli eventi sismici del 1980 e 1981 (Cass. n. 10642/2014). Un regime assimilabile, ma solo relativamente ad una parte del credito, è previsto dall'art. 545, comma 7, c.p.c., relativamente al «minimo vitale» (oggi codificato), onde si parla di crediti in parte assolutamente impignorabili. I crediti relativamente impignorabiliIn quest'area tematica possono essere ricompresi regimi differenti: 1) quello «più rigoroso» dei crediti alimentari (art. 545, comma 1, c.p.c.); 2) quello «meno incisivo» previsto per stipendi, salari e altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego. I crediti alimentari Per quanto concerne il primo gruppo, la dottrina ha chiarito che i «crediti alimentari» e quelli «per cause di alimenti» siano completamente assimilabili. Si discute però se siano assoggettati al regime di cui al comma 1 solo i crediti alimentari che siano tali per specifica disposizione di legge o anche quelli che, invece, lo siano divenuti su base negoziale. L'opinione preferibile è che la valutazione circa la natura alimentare del credito sia rimessa alla valutazione Discrezionale del giudice (Auletta, op. cit., 2018). Tenuto conto di quanto sopra, ci si chiede se possa esser qualificato come alimentare un credito corrispettivo ad un obbligo di mantenimento in capo al coniuge separato o divorziato. In particolare, se il credito in questione è diretto a soddisfare le esigenze basilari del beneficiario lo stesso sarà pignorabile, relativamente alla quota caratterizzata da questa finalità, solo per cause di alimenti (e quindi con osservanza dell'art. 545, comma 1, c.p.c.); nel caso opposto sarà pignorabile senza alcun limite. Le pronunce in proposito registrano forti oscillazioni. Secondo diverse pronunce di merito si osservato come la prestazione resti unitaria e che, quindi, non sia possibile scinderne due parti, la prima a carattere alimentare e la seconda priva di tale carattere (App. Napoli, 18 gennaio 2011; Trib. Nocera Inferiore, 15 dicembre 2011). Suggerimenti specifici possono, però, trarsi dalle pronunce della Suprema Corte, la quale ha chiarito che: «Il limite della impignorabilità della retribuzione oltre il quinto non opera con riferimento all'esecuzione promossa dal creditore per contributo al mantenimento della prole, avendo questo funzione alimentare» (Cass. n. 15374/2007; al contrario, di recente, la Cassazione ha precisato che invece l'assegno di mantenimento dovuto all'ex coniuge non ha natura di credito alimentare (Cass. n. 9686/2000). Pertanto, sembra potersi affermare che, senza scindere la componente alimentare da quella legata agli stili di vita dei soggetti coinvolti, a beneficiare del regime di impignorabilità sarà solo l'assegno di mantenimento goduto dai figli direttamente (ove maggiorenni) o dal coniuge per attendere alle loro esigenze, nella misura indicata nei provvedimenti emessi dal giudice della famiglia. L'espropriazione di crediti di natura alimentare (per cause di alimenti) richiede, come condizione di efficacia del pignoramento, l'autorizzazione presidenziale, la cui mancanza andrà fatta valere con l'opposizione all'esecuzione; lo stesso rimedio è esperibile quando il debitore lamenti la eccessività della misura per la quale sia accordata l'autorizzazione. Sul versante opposto, il rimedio concesso al creditore avverso il provvedimento pronunciato sulla istanza di autorizzazione è quello dell'opposizione agli atti esecutivi. L'autorizzazione deve recare l'indicazione della misura entro la quale può avvenire il pignoramento del credito alimentare e tale elemento deve risultare chiaramente dall'atto di pignoramento. I crediti retributivi Il secondo regime: «meno incisivo» attiene ai crediti di lavoro ovvero, più precisamente, «le somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego comprese quelle dovute a causa di licenziamento». La pignorabilità di questi crediti era, in passato, diversamente disciplinata a seconda che il rapporto di lavoro fosse di diritto privato (regolato art. 545 c.p.c.) o di diritto pubblico (regolato dal d.P.R. n. 180/1950). Sennonché una lunga serie di pronunce della Corte costituzionale, prima, e l'intervento del legislatore, poi, hanno portato alla progressiva erosione della specialità della disciplina prevista per pubblico impiego, tanto che si ritiene che le norme del d.P.R. n. 180/1950, nella attuale formulazione, unitamente alle previsioni di cui all'art. 545, commi 3, 4 e 5, c.p.c., trovino applicazione generale. Vi è chi precisa, però, che il riferimento alla «azienda privata» contenuto nell'art. 1 del citato provvedimento normativo non copra crediti di lavoro nascenti da attività estranee all'esercizio di una attività imprenditoriale (si pensi all'attività di collaborazione familiare o a quella di chi presti la propria attività alle dipendenze di un libero professionista). La equiparazione tra impiego pubblico e privato sancita dal legislatore e dalla interpretazione giurisprudenziale, fa ritenere che anche a queste attività lavorativa vadano applicati i principi di cui all'art. 545 c.p.c. Volendo ripercorrere brevemente le tappe di questa evoluzione giurisprudenziale e normativa, esse possono essere così sintetizzate: A) l'art. 1, d.P.R. n. 180/1950 prevedeva la impignorabilità degli stipendi e delle pensioni percepite dai dipendenti di pubbliche amministrazioni o soggetti equiparati (a questi fini), mentre l'art. 2, d.P.R. n. 180/1950 prevedeva delle eccezioni al citato divieto di assoggettare ad esecuzione forzata ed in particolare: 1. pignorabilità fino ad un terzo per i crediti alimentari; 2. pignorabilità fino a un quinto per debiti verso lo Stato o per tributi (era evidente allora il carattere deteriore per il debitore della disciplina dettata dall'art. 545 c.p.c. che prevede il limite del quinto – fatta eccezione per i crediti alimentari – quale che sia la natura del credito azionato); 3. in caso di concorso simultaneo delle cause di cui al comma 1, nn. 2 e 3 [lett. ii)] il pignoramento non poteva colpire una quota superiore al quinto e una quota superiore alla metà in caso di concorso anche delle cause di cui al comma 1, n. 1 [lett. i)]; 4. era fatta salva una diversa disciplina in caso di concorso di vincoli per cessioni e delegazioni. B) In una prima fase, la Corte costituzionale aveva escluso che lo speciale regime dettato per i crediti di lavoro pubblico si ponesse in contrasto con i principi costituzionali (C. cost. n. 88/1963; C. cost. n. 49/1976; C. cost. n. 337/1985). C) Successivamente la giurisprudenza costituzionale ha mutato orientamento e quindi ha dichiarato la incostituzionalità, delle norme di seguito elencate: 1. dell'art. 2, comma 1, n. 3 cit. nella parte in cui non prevede la pignorabilità e la sequestrabilità degli stipendi corrisposti da soggetti diversi da quelli indicati dall'art. 1, d.P.R. fino a concorrenza di un quinto per ogni credito vantato nei confronti del personale (C. cost. n. 89/1987). In tale pronuncia – ove il terzo pignorato era un soggetto diverso dallo Stato, sebbene ricompreso nell'elenco di cui all'art. 1, d.P.R. n. 180/1950 – si legge: «nessuna distinzione ontologica residua, a seguito del progressivo costante dilatarsi del settore pubblico, per oggetto dell'attività di imprenditori e oggetto delle prestazioni dei dipendenti tra imprese private ed enti, aziende ed imprese di cui al ripetuto art. 1». C. cost. n. 878/1988 ha risolto nel medesimo senso la questione questa volta con riferimento al caso in cui l'emolumento sia dovuto dallo Stato. Tale pronuncia – premesso un approfondito excursus della normativa (anche preunitaria) in materia – ha motivato fonditus circa l'avvenuto superamento delle ragioni che giustificavano regimi giuridici differenziati tra lavoratori del settore pubblico e di quello privato. 2. dell'art. 2, comma 1, n. 3 cit. nella parte in cui esclude per i dipendenti dei soggetti di cui al comma 1 la pignorabilità nei limiti di cui all'art. 545, comma 4, c.p.c. con riguardo alle indennità di fine rapporto (C. cost. n. 99/1993). In questa occasione, la Corte ha ritenuto che «essendo ormai progressivamente assimilabili i rispettivi trattamenti di fine rapporto (...) non vi è alcuna valida ragione giustificativa per mantenere la disparità di trattamento in ordine alla pignorabilità (...) della indennità di fine rapporto percepita dai lavoratori dei due comparti»; 3. degli artt. 1 e 2, cit. nella parte in cui escludono la pignorabilità per ogni credito dell'intero ammontare di pensioni e indennità erogate ai dipendenti dai soggetti di cui all'art. 1, anziché prevedere l'impignorabilità, con le eccezioni previste dalla legge per crediti qualificati, della sola parte delle pensioni, indennità o altri assegni necessaria ad assicurare al beneficiario mezzi adeguati di vita, con pignorabilità del quinto della somma residua (C. cost. n. 506/2002). Invero, l'incostituzionalità di tali norme è stata dichiarata, nella citata pronuncia, «per estensione», ex art. 27, l. n. 87/1953, posto che – come meglio si dirà trattando del regime della pensione – la questione era stata sollevata con riferimento agli artt. 128 r.d.l. n. 1827/1935 (norma dichiarata incostituzionale) e 69 l. n. 153/1969 (norma per la quale la q.l.c. è stata dichiarata manifestamente infondata). 4. Il legislatore è intervenuto con l'art. 1, comma 137 della l. n. 311/2004 e con l'art. 13-bis, d.l. n. 35/2005 superando tutte le differenze di regime giuridico quanto alla pignorabilità dei crediti di lavoro, non solo tra quelli derivanti da rapporti di pubblico impiego o di lavoro privato, ma anche all'interno dei due. Gli emolumenti equiparati Le pronunce della Corte Costituzionale hanno comportato l'equiparazione ai trattamenti retributivi di cui sopra di diverse categorie di emolumenti, in particolare, è stata dichiarata la incostituzionalità di una serie di norme relative a: a) L'indennità integrativa speciale. È stata dichiarata l'incostituzionalità dell'art. 1, comma 3, l. n. 324/1959 nella parte in cui non prevede la pignorabilità dell'indennità integrativa speciale istituita al comma 1 dell'articolo fino alla concorrenza di un quinto, per ogni credito vantato nei confronti del personale (C. cost. n. 115/1990). In questa occasione la Corte, sulla scorta della giurisprudenza in materia di retribuzioni (ed in specie di C. cost. n. 878/1988), ha rilevato che, al tempo della sua introduzione, l'istituto della indennità integrativa speciale aveva la funzione di contrastare, a vantaggio dei lavoratori del comparto pubblico, gli effetti dell'inflazione, secondo un meccanismo del tutto simile a quello della indennità di contingenza previsto per i lavoratori privati. Sennonché, l'impignorabilità della indennità integrativa speciale era omogenea alla impignorabilità dello stipendio dei lavoratori pubblici; venuta meno quest'ultima, «la norma in esame continua a determinare una ingiustificabile condizione di privilegio, relativamente alla sola indennità integrativa, tra i dipendenti dello Stato ed i dipendenti privati che percepiscono una retribuzione sottoposta nel suo complesso alle azioni esecutive, sia pure nei limiti indicati dall'art. 545 c.p.c.». b) Indennità di fine rapporto per i dipendenti civili e militari per danno erariale L'incostituzionalità ha riguardato l'art. 4 l. n. 424/1966 e l'art. 21 d.P.R. n. 1032/1973 nella parte in cui prevedono per i dipendenti civili e militari dello Stato la pignorabilità delle indennità di fine rapporto anche per i crediti da danno erariale, senza osservare i limiti stabiliti dall'art. 545, comma 4, c.p.c. (C. cost. n. 225/1997). Ad avviso della Corte, «non si può (...) asserire (...) che l'assenza di limiti al pignoramento o al sequestro conosca le sue ragioni giustificatrici nella tutela rafforzata, prevista per l'erario, se (e quando) esso debba realizzare il ristoro per il danno cagionato da dipendenti incapaci e infedeli, in quanto è proprio tale privilegio che, nel bilanciamento dei valori, non può prevalere sul diritto al trattamento di fine rapporto del lavoratore, pubblico o privato che sia». c) Indennità di fine rapporto per i crediti da danno erariale per i dipendenti di enti pubblici diversi dallo Stato. La Corte di Legittimità ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 4, l. n. 424/1966 nella parte in cui prevede per i dipendenti di enti pubblici diversi dallo Stato la pignorabilità di indennità di fine rapporto per i crediti da danno erariale senza l'osservanza dei limiti di cui all'art. 545, comma 4, c.p.c. (C. cost. n. 438/2005). d) Emolumenti retributivi degli arruolati e dei lavoratori aerei. La giurisprudenza «manipolativa» della Corte costituzionale ha riguardato anche discipline speciali diverse da quella contenuta nel d.P.R. n. 180/1950. Ad esempio, C. cost. n. 72/1996 ha dichiarato la incostituzionalità degli artt. 369 e 930 cod. nav. nella parte in cui ammettono il pignoramento degli arruolati e dei lavoratori aerei fino ad un quinto del loro ammontare esclusivamente a causa di alimenti dovuti per legge o per debiti certi, liquidi ed esigibili verso l'armatore o l'esercente, dipendenti dal servizio della nave o dell'aeromobile e non anche per ogni credito come previsto per i lavoratori privati (va segnalato che in precedenza, la Corte costituzionale aveva ritenuto che «ricorrono serie e valide ragioni a giustificazione della speciale disciplina»: C. cost. n. 101/1974). In conseguenza delle sentenze che hanno eliminato il trattamento privilegiato dei pubblici dipendenti – rileva la Corte – è venuta meno la ragione del trattamento differenziato. Né residuano – prosegue il Giudice delle leggi – ulteriori elementi di specialità della materia del lavoro degli arruolati: «la rilevanza dell'aspetto pubblicistico del contratto di arruolamento è stata ulteriormente attenuata dalla l. n. 649/1979, aggiuntiva di un nuovo comma all'art. 325 cod. nav., che ha rimesso alla contrattazione collettiva la determinazione della misura e delle componenti della retribuzione, così confermando implicitamente la spettanza del diritto di sciopero anche a questa categoria di lavoratori, nel limite indicato dalla sentenza citata. Altri elementi di specialità, essi pure correlati al fatto della navigazione, sono stati rimossi dalle sentt. nn. 96/1987 e 364/1991, che hanno dichiarato l'illegittimità dell'art. 35, comma 3, della l. n. 300/1970, (statuto dei lavoratori), nelle parti in cui escludeva l'applicabilità al personale navigante delle imprese di navigazione delle norme di tutela contro i provvedimenti disciplinari, i licenziamenti di cui agli artt. 7, primi tre commi, e 18 della legge medesima». Riflessioni conclusive Si può dire in definitiva che, oggi, il regime di impignorabilità relativa sia lo stesso quale che sia la natura (pubblicistica o privatistica) del rapporto di lavoro. La giurisprudenza di legittimità ritiene estensibile il regime di impignorabilità relativa cd. «unificato» ai crediti derivanti da tutte le tipologie di rapporto lavorativo contemplate dall'art. 409 c.p.c. (Cass. n. 685/2012). Appare così superata la giurisprudenza restrittiva sui crediti vantati dall'agente di commercio (Cass. n. 4211/1980) o agli emolumenti corrisposti ai medici convenzionati con il SSN (in relazione ai quali C. cost., n. 580/1989 aveva dichiarato non fondata la q.l.c. – sollevata con riguardo all'art. 3 Cost. – dell'art. 545 c.p.c. nella parte in cui non prevede alcun limite alla pignorabilità di tali crediti). È conseguente ai ragionamenti di cui sopra, che il regime di impignorabilità relativa dei crediti di cui si tratta non viene meno nel momento in cui viene a cessare il rapporto in cui i crediti trovano la propria fonte. Ciò nondimeno, è stato escluso il regime di impignorabilità con riferimento all'indennizzo dovuto da una società assicuratrice privata al lavoratore per infortunio sul lavoro, quantunque la polizza fosse stata stipulata dal datore di lavoro in forza di un preciso obbligo contrattuale (in tale senso: Cass. n. 11345/1999), nonché con riferimento al corrispettivo promesso al dipendente per l'obbligo di non concorrenza, anche se il relativo patto sia inserito nel contratto di lavoro, attesa l'autonomia di tale rapporto negoziale rispetto al rapporto lavorativo presupposto (Cass. n. 6618/1987). Per quanto riguarda le somme transitate sul conto corrente bancario trovanti la fonte negli emolumenti di cui sopra il legislatore – rispondendo alle «sollecitazioni» della giurisprudenza costituzionale – ha previsto un regime peculiare, per cui v. art. 545, comma 8, c.p.c. (si veda infra). Il pignoramento delle pensioni e degli importi assimilati Per i crediti pensionistici si registra una evoluzione per certi versi simile a quella sopra per i crediti in riferimento agli stipendi. In questo caso, il settore più favorito, risultava, inizialmente quello pubblico. Con riguardo ai dipendenti privati la materia era disciplinata dagli artt. 128 r.d.l. n. 1827/1935 e 69 l. n. 153/1969: secondo tali norme le pensioni, gli assegni e le altre indennità in favore dei lavoratori privati potevano essere ceduti, sequestrati e pignorati nei limiti di un quinto del loro ammontare per debiti verso l'I.N.P.S. derivanti da indebite prestazioni percepite a carico di forme di previdenza gestite dall'Istituto stesso o da omissioni contributive. La Corte costituzionale ha, con una serie di pronunce, eroso la specialità del regime previsto per i lavoratori del settore pubblico, ed in specie: – ha dichiarato la illegittimità costituzionale degli artt. 128 e 69 cit. nella parte in cui non consentiva, entro i limiti previsti dall'art. 2, comma 1, n. 1 cit., la pignorabilità per crediti alimentari delle pensioni corrisposte dall'I.N.P.S. (C. cost. n. 1041/1988); – ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 128 cit. nella parte in cui non consentiva, nei limiti previsti dall'art. 2, comma 1, n. 3 cit., la pignorabilità per crediti tributari delle pensioni (C. cost. n. 468/2002); – ha (come già anticipato) dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 128 cit. nella parte in cui escludeva la pignorabilità per ogni credito dell'intero ammontare di pensioni erogate dall'I.N.P.S. anziché prevedere l'impignorabilità, con le eccezioni previste dalla legge per i crediti qualificati, della sola parte di pensione necessaria ad assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita (cd. minimo vitale) con pignorabilità della restante parte, nei limiti del quinto (C. cost., n. 506/2002). In pratica, in modo speculare rispetto agli emolumenti retributivi, l'evoluzione della giurisprudenza della Corte costituzionale in materia è caratterizzata dall'assunzione dell'art. 2, d.P.R. n. 180/1950 come «norma di carattere generale». Mentre nell'ambito della giurisprudenza in materia di pignoramento degli stipendi la Corte costituzionale ha individuato come tertium comparationis il rapporto di lavoro privato (e quindi dichiarato la incostituzionalità di tutti quei regimi speciali e più favorevoli per i lavoratori del comparto pubblico), in materia di pensioni il tertium comparationis è stato individuato nel modello pubblicistico. Come rileva in modo efficace la Corte nella pronuncia n. 506/2002 (cit.), nell'uno e nell'altro caso, il risultato è stato quello «di comprimere, con l'area dell'impignorabilità, le eccezioni al principio per cui il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri». Peraltro, proprio l'adozione di un tertium comparationis differente – in un caso l'art. 545 c.p.c. e nell'altro l'art. 2, d.P.R. n. 180/1950 – aveva fatto sì che, per le retribuzioni, fosse superato il generale principio della impignorabilità, laddove, per le pensioni «tale principio – essendosi operato esclusivamente sulle eccezioni ad esso apportate – [è] rimasto in vigore (e, quindi, solo apparentemente assunto quale premessa di ogni intervento della Corte in subiecta materia)», essendo venute in rilievo, fino a quel momento, solo normative che, in ragione della natura del credito, consentivano ai creditori qualificati di soddisfarsi su una quota dell'intero ammontare della pensione. In definitiva, la pensione restava aggredibile soltanto da creditori qualificati (appunto perché si trattava dei diritti di credito menzionati dall'art. 2, cit.). Partendo da questo dato ordinamentale e argomentando dalle esigenze di solidarietà sociale sottese all'art. 38 Cost., la Corte ha osservato che, se tale interesse può e deve comportare una compressione del diritto dei terzi a soddisfare le proprie pretese sulla pensione del proprio debitore, ciò nondimeno tale compressione non può essere totale ed indiscriminata «bensì deve rispondere a criteri di ragionevolezza che valgano, da un lato, ad assicurare in ogni caso (e, quindi, anche con sacrificio delle ragioni di terzi) al pensionato mezzi adeguati alle sue esigenze di vita e, dall'altro lato, a non imporre ai terzi, oltre il ragionevole limite sopra indicato, un sacrificio dei loro crediti, negando alla intera pensione la qualità di bene su cui possano soddisfarsi». Al fine di realizzare le esigenze di cui si è detto, quindi, non è necessario prevedere la impignorabilità della pensione ma solo «di quella parte di essa che vale appunto, ad assicurare al pensionato quei «mezzi adeguati alle esigenze di vita» che la Costituzione impone gli siano garantiti, ispirandosi ad un criterio di solidarietà sociale: e, pertanto ad un criterio che, da un lato, sancisce un dovere dello Stato e, dall'altro, legittimamente impone un sacrificio (ma nei limiti funzionali allo scopo) a tutti i consociati (e segnatamente ai creditori)» (Auletta, Focus 2018, in executivis, cit.). Invece, la parte eccedente rispetto a quella diretta a garantire le basilari esigenze di vita del debitore è pignorabile nei limiti di cui all'art. 545 c.p.c. (art. 545 c. 7 c.p.c.). La Corte di legittimità precisa, inoltre, che «individuato il proprium del disposto dell'art. 38, comma 2, Cost. nell'esigenza di garantire nei confronti di chiunque (con le sole eccezioni di crediti qualificati, tassativamente indicati dal legislatore) l'intangibilità della parte della pensione necessaria per assicurare mezzi adeguati alle esigenze di vita del pensionato, non ne discende automaticamente analoga conseguenza riguardo alle retribuzioni, dal momento che non ne risulta incisa la ragione per cui, a proposito del regime della pignorabilità, questa Corte ha negato sussistere l'esigenza di una soglia di impignorabilità assoluta: da un lato, infatti, l'art. 38, comma 2, Cost. enuncia un precetto che, quale espressione di un principio di solidarietà sociale, ha come destinatari anche (nei limiti di ragione) tutti i consociati, dall'altro, l'art. 36 Cost. – secondo quanto questa Corte ha statuito nelle ricordate decisioni – indica parametri ai quali, ma nei rapporti lavoratore-datore di lavoro, deve conformarsi l'entità della retribuzione, senza che ne scaturisca, quindi, vincolo alcuno per terzi estranei a tale rapporto, oltre quello – frutto di razionale «contemperamento dell'interesse del creditore con quello del debitore che percepisca uno stipendio» (Cass. n. 20/1968 e n. 38/1970) – del limite del quinto della retribuzione quale possibile oggetto di pignoramento». Con fini evidentemente chiarificatori, sul punto intervenuto, il d.l. n. 83/2015, conv. in l. n. 132/2015, che, integrando la disposizione in esame, ha stabilito che le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, «non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell'assegno sociale, aumentato della metà, ferma la pignorabilità, degli importi eventualmente eccedenti tale minimo vitale, secondo il consueto limite generale di 1/5 (e fino ad 1/3, previa autorizzazione del Presidente del Tribunale, nell'ipotesi di crediti alimentari e di mantenimento).Come evidenziato nella Relazione Illustrativa, proprio per superare definitivamente l'incertezza correlata alla determinazione del minimo vitale (effettuata diversamente dai numerosi enti previdenziali e nella stessa prassi giudiziaria) e così prevenire ulteriori contenziosi rispetto a quelli già incardinati sulla questione, il d.l. n. 83/2015, conv. nella l. n. 132/2015, in virtù di tale formulazione normativa, il trattamento pensionistico era impignorabile fino all'importo di euro 672,63 (salvi gli aggiornamenti dell'importo dell'assegno sociale negli anni successivi) restando invece pignorabile entro i limiti già precisati, di regola pari ad un quinto, per l'eventuale eccedenza. La norma in esame è stata in parte qua oggetto di un ulteriore intervento di riforma realizzato dall'art. 21-bis d.l. n. 115/2022, conv. con modif. in l. 21 settembre 2022, n. 142, che – in una prospettiva solidaristica volta a tenere in maggiore considerazione le esigenze di tutela del pensionato, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale – ha elevato l'importo del c.d. minimo vitale del trattamento pensionistico impignorabile in modo assoluto, su due fronti. In particolare, l'importo impignorabile da un lato diventa pari al doppio della pensione sociale, dall'altro la somma minima assolutamente impignorabile – dunque, anche ove il doppio della pensione sociale fisse di valore inferiore – ammonta almeno a 1.000 euro mensili. Solo per la parte eccedente la somma di euro 1.000 al mese ovvero del superiore importo corrispondente al doppio della pensione sociale, il trattamento pensionistico potrà essere pignorato entro i limiti di un quinto. Per quanto attiene all'applicazione temporale della novella in oggetto, la giurisprudenza di merito è nel senso dell'applicazione della nuova disciplina di favore per il debitore, anche per le procedure instaurate prima dell'entrata in vigore della norma e per cui non sia stata emessa ancora l'ordinanza di assegnazione. Come affermato, infatti dal Tribunale di Catania (Ordinanza del 27 settembre 2022) i nuovi limiti di pignorabilità trovano applicazione retroattiva anche per le procedure incardinate prima dell'emanazione della norma, in base ai principi espressi dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 12/2019 che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 23, comma 6, del d.l. n. 83/2015, conv., con modif., in l. n. 132/2015, nella parte in cui non prevede che il nuovo regime di impignorabilità parziale dei trattamenti pensionistici o assistenziali – ossia per la sola eccedenza dalla parte necessaria per assicurare condizioni di vita minime al pensionato –, di cui all'ottavo comma dell'art. 545 c.p.c., introdotto dall'art. 13, comma 1, lett. l), del medesimo decreto-legge, si applichi anche alle procedure esecutive pendenti alla data della sua entrata in vigore (27 giugno 2015). Ipotesi assimilate ai trattamenti pensionistici Le pronunce, specialmente della Corte di legittimità hanno portato alla equiparazione, per ciò che concerne il regime di impignorabilità di un'altra serie di emolumenti, aventi finalità ritenute analoghe ai trattamenti pensionistici, in particolare rispetto a pensioni erogate da altre casse previdenziali, ossia: – Pensione erogata dalla Cassa Nazionale del Notariato. Per ciò che concerne la Cassa nazionale del notariato, l'art. 12, r.d.l. n. 1324/1923, è stato dichiarato incostituzionale da C. cost. n. 444/2005, nella parte in cui prevedeva l'impignorabilità assoluta della pensione erogata da tale Cassa anziché prevedere l'impignorabilità, con le eccezioni previste dalla legge per crediti qualificati, della sola parte di pensione necessaria ad assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita e la pignorabilità nei limiti del quinto della residua parte). – Pensione erogata dall'Istituto di Previdenza Giovanni Amendola L'art. 1. l. n. 1122/1955, regolante la disciplina dell'Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani «Giovanni Amendola» dichiarato incostituzionale dalla C. cost. n. 256/2006, nella parte in cui prevedeva l'impignorabilità assoluta della pensione erogata da tale Cassa anziché prevedere l'impignorabilità, con le eccezioni previste dalla legge per crediti qualificati, della sola parte di pensione necessaria ad assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita e la pignorabilità nei limiti del quinto della residua parte). – Pensione ENASARCO In relazione all'ENASARCO, l'art. 28, comma 1, l. n. 12/1973 è stato dichiarato incostituzionale dalla C. Cost. n. 183/2009, nella parte in cui prevedeva l'impignorabilità assoluta della pensione erogata da tale Cassa anziché prevedere l'impignorabilità, con le eccezioni previste dalla legge per crediti qualificati, della sola parte di pensione necessaria ad assicura al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita e la pignorabilità nei limiti del quinto della residua parte. – Pensioni INAIL In proposito, è stata dichiarata l'incostituzionalità dell'art. 110, d.P.R. n. 1124/1965 nella parte in cui non consente la pignorabilità per crediti alimentari delle rendite erogate da tale ente previdenziale (INAIL), nei limiti di cui all'art. 2, comma 1, n. 1, d.P.R. n. 180/1950 (C. cost. n. 572/1989). In sintesi, le pensioni sono state ritenute – quale che fosse l'Ente che le erogava e anche a prescindere dalla genesi del trattamento pensionistico – impignorabili solo per la parte necessaria a garantire al pensionato i basilari mezzi di sussistenza, con pignorabilità relativa della parte eccedente il minimo vitale. Si è dunque prospettata l'esigenza di delineare il concetto di «minimo» vitale. Sulla individuazione del c.d. «minimo vitale», la giurisprudenza ha ritenuto che «in assenza di parametri normativi specifici ed analitici idonei a consentire la determinazione del cd. minimo vitale, ben può il giudice dell'esecuzione, in considerazione degli elementi concreti del caso (e non dovendo necessariamente fare riferimento all'importo di trattamento minimo di pensione indicato dallo stesso ente erogatore, come invero sostenuto dall'odierno ricorrente), pervenire all'individuazione dell'importo maggiormente adeguato a soddisfare la detta esigenza di assicurare al pensionato adeguati mezzi di vita» (Cass. n. 18225/2014; Cass. n. 24536/2014, che ha rigettato il ricorso proposto avverso la sentenza con la quale il Trib. aveva ritenuto adeguato il minimo fissato dalla finanziaria 2002, incrementato delle maggiorazioni di cui agli artt. 38,1 e 2 comma, della l. n. 448/2001 e 39, 8 comma, della l. n. 289/2002, considerato come parametro idoneo ad esprimere una sorta di presunzione di legge circa l'individuazione del reddito minimo indispensabile a far fronte alle ordinarie incombenze e necessità di vita di qualsiasi soggetto, escludendo che le condizioni soggettive del debitore fossero idonee ad intaccare siffatta presunzione, in particolare con riguardo alla circostanza dell'intervenuta cessione volontaria del credito da parte dell'opponente). Quanto al TFR, la giurisprudenza ha chiarito che «non sono impignorabili i fondi accantonati da un ente pubblico per il trattamento di fine rapporto dei propri dipendenti, non essendo l'indisponibilità degli stessi prevista da alcuna norma, e non potendo estendersi a essi né l'art. 545, commi 3 e 4, c.p.c. e il d.P.R. 5 gennaio 1950 n. 180, i quali presuppongono che il debitore escusso sia il dipendente, né l'art. 2117 c.c., il quale, nel dichiarare impignorabili i fondi speciali per l'assistenza e la previdenza, detta una norma di carattere eccezionale, come tale non suscettibile di applicazione analogica» (Cass. n. 3964/2007). Riguardo ai fondi previdenziali di cui all'art. 2117 c.c., invece, si è ritenuto che «essi rimangono strettamente vincolati agli scopi per cui sono stati istituiti, non potendo essere distratti, ai sensi dell'art. 2117 c.c., dal fine cui risultano destinati, al quale viene definitivamente subordinata la loro disponibilità; né tali fondi possono formare oggetto di esecuzione da parte dei creditori dell'imprenditore o del prestatore di lavoro, trattandosi di somme che, non facendo più parte del patrimonio di coloro che le hanno versate, non possono essere considerate a garanzia delle obbligazioni da essi eventualmente assunte» (Cass. n. 17178/2012). La compensazione, il cumulo con la cessione del quinto e la quota massima pignorabileIn base al combinato disposto degli artt. 1246, n. 3, c.c. e 545, n. 3 c.p.c., le somme dovute ai privati a titolo di crediti di lavoro sono pignorabili e compensabili nella limitata misura di un quinto. La giurisprudenza ha individuato alcune eccezioni. G In particolare, la regola non si applica laddove il controcredito sia vantato dal datore di lavoro per fatto illecito del prestatore di lavoro (Cass. n. 7337/2004; inoltre C. cost. n. 259/2006, che ha dichiarato non fondata la q.l.c. dell'art. 1246, comma 1, n. 3, c.c. e dell'art. 545, comma 4, c.p.c., nella parte in cui, secondo il diritto vivente, non prevedono che la compensazione dei crediti del lavoratore per stipendio o altre indennità collegate al rapporto di lavoro debba avvenire nei limiti della misura del quinto anche quando il credito opposto in compensazione abbia origine dal medesimo rapporto di lavoro). Nel caso in cui il controcredito vantato dal datore di lavoro abbia la propria origine da un diverso rapporto, la Cassazione ha affermato che «la ritenuta mensile sullo stipendio o salario del prestatore di lavoro subordinato in regime di diritto privato per il pagamento rateale di un mutuo concessogli dal datore di lavoro, effettuata non a causa di una cessione volontaria del credito di lavoro da parte del dipendente, ex art. 1260, ma a titolo di compensazione legale di due crediti entrambi liquidi ed esigibili, ex art. 1241 c.c., va computata, ai sensi dell'art. 545 comma 5 c.p.c., al fine dell'osservanza della misura massima della metà della retribuzione assoggettabile a pignoramento per il simultaneo concorso di più crediti azionati contro il debitore esecutato nelle forme della espropriazione mobiliare presso terzi» (Cass. n. 5692/1995). Per quanto concerne la somma dovuta a titolo di TFR, secondo la giurisprudenza di merito, non può essere compensata se non nei limiti di cui al comb. disp. degli artt. 1246, n. 3, c.c. e 545 c.p.c., data la sua natura alimentare (Trib. Roma, 20 luglio 1999). Quanto al cumulo tra pignoramenti e cessioni volontarie dei crediti di lavoro (ad es. cessione volontaria del quinto) va in primo luogo segnalato che, anche in questo ambito, il regime previsto per i lavoratori pubblici e quello previsto per i lavoratori privati è stato equiparato, dapprima, per effetto di pronunce della Corte costituzionale (C. cost. n. 220/1991; C. cost. n. 102/1998; C. cost. n. 258/2000; C. cost. n. 494/2000), e, poi, in forza dell'intervento del legislatore. Allo stato, la fattispecie trova la propria disciplina nel comb. disp. artt. 545, comma 4, c.p.c. e artt. 2 e 68, comma 2, d.P.R. n. 180/1950 (vedi però Soldi, secondo cui la mancata previsione di una disciplina che regoli nel settore privato la cessione del quinto, renderebbe l'esistenza della stessa irrilevante ai fini del computo della quota pignorabile). Secondo il suddetto impianto normativo ed interpretativo, se il pignoramento è successivo ad una precedente cessione (pertanto opponibile al procedente) è possibile solo nei limiti della differenza tra la metà dello stipendio e la quota ceduta. La cessione volontaria del quinto va considerata opponibile al creditore ove perfezionata e debitamente notificata prima del pignoramento. In questo caso, al livello pratico, per calcolare se ed in che misura vi sia ancora spazio per vincolare una somma per il pignoramento (in caso di cessione del quinto opponibile) la quota pignorabile della retribuzione va calcolata come se la cessione non fosse mai avvenuta (se ne calcola quindi la metà e se ne sottrae il quinto ceduto); ecco che la quota pignorabile non viene comunque erosa, in quanto lo stipendio resta comunque pignorabile nei limiti dei tre decimi (Cass. n. 4584/2005). Pertanto, il superamento del limite della metà potrebbe aversi solo nel caso di più cessioni opponibili. Va, però, considerato inoltre che la disciplina relativa ai dipendenti pubblici (art. 5 d.P.R. cit.) prevede anche «Gli impiegati e salariati dipendenti dallo Stato e dagli altri enti, aziende ed imprese indicati nell'art. 1 possono contrarre prestiti da estinguersi con cessione di quote dello stipendio o del salario fino al quinto dell'ammontare di tali emolumenti valutato al netto di ritenute che la cessione della retribuzione non possa superare il quinto dello stipendio». Per ciò che concerne la misura massima dello stipendio, anche in questo ambito la Corte di legittimità ha eliminato il divario tra settore pubblico e privato, prevedendo in linea generale il valore massimo della metà dell'emolumento mensile netto percepito. La giurisprudenza ha precisato che «il ‘simultaneo concorso delle cause' previsto dal comma 2 dell'art. 2 d.P.R. n. 180/1950 sta ad indicare la coesistenza, nello stesso tempo, di più crediti verso il debitore esecutato, derivanti da diverse cause tra quelle previste dal comma 1 dell'art. 2» (estese ad ogni credito dalle sentenze della C. cost. n. 89/1987, n. 878/1988, n. 99/1993, n. 105/1977, n. 155/1987, n. 1041/1988, nonché – seppure in termini impliciti – da Corte cost. n. 506/2002). Ne consegue che la disposizione in questione disciplina il limite di pignorabilità della retribuzione del debitore nell'ipotesi della simultanea esistenza di più crediti nei suoi confronti, situazione che si verifica anche quando una parte della retribuzione sia stata già assegnata a soddisfacimento futuro di un credito – il quale permane e viene pertanto a concorrere con il credito eventualmente insorgente successivamente verso lo stesso debitore – e che prescinde dall'unicità del processo esecutivo, essendo al riguardo irrilevante che i creditori agiscano o meno nello stesso processo esecutivo» (Cass. n. 6432/2003). La disciplina dei commi 3, 4 e 5 dell'art. 545 c.p.c. (ormai sovrapponibile a quanto previsto dall'art. 2 del d.P.R. n. 150/1980, per il settore pubblico) prevede la misura entro cui può essere effettuato il pignoramento; nella misura che può essere così sintetizzata: – nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni ed in egual misura per ogni altro credito; – in caso di simultaneo concorso delle cause indicate dianzi il pignoramento non può estendersi oltre alla metà dell'ammontare delle predette somme. Si tratta di limiti inderogabili previsti dal legislatore, ragion per cui risulta preclusa al giudice dell'esecuzione qualunque valutazione in concreto delle esigenze di vita del debitore esecutato. Pignoramenti di stipendi e pensioni confluiti su conti correntiL'analisi della riforma del 2015 va completata dando contezza di quanto previsto dai commi 7 e 8 dell'art. L'aggiunta all'art. 545 c.p.c.. di suddetti commi trae origine da una pronuncia della C. cost. n. 85/2015 che, – pur dichiarando la questione inammissibile, sul rilievo che il giudice a quo avesse errato nell'individuare la normativa di sospetta compatibilità con la Costituzione – aveva chiaramente individuato un vulnus nella tutela del percettore di redditi da lavoro o pensionistici. In particolare, l'oggetto della verifica costituzionale atteneva all'art. 12, comma 2, d.l. n. 201/2011, che ha inserito il comma 4-ter, lett. c), nell'art. 2 d.l. n. 138/2011, censurato per violazione degli artt. 3 e 38, comma 2, Cost., nella parte in cui, imponendo che il pagamento dei redditi da lavoro o da pensione superiori all'importo mensile di mille Euro avvenisse esclusivamente con accredito su conti correnti bancari o postali, libretti di deposito, carte prepagate, carte istituzionali, non aveva previsto la salvezza delle limitazioni in materia di pignoramento di cui all'art. 545 c.p.c. A giudizio della Corte, l'art. 12, comma 2, cit. «non ha, quindi, inciso sulla tematica inerente alla soggezione al pignoramento delle somme giacenti sul conto corrente, in relazione alla quale è costante in senso affermativo la giurisprudenza della Corte di cassazione, ma ha soltanto acutizzato, in via di fatto, il problema della pignorabilità indiscriminata degli emolumenti provenienti da crediti di lavoro e pensionistici, una volta transitati nel conto corrente, dal momento che ha reso obbligatorio detto transito. D'altra parte, la cessazione della situazione di impignorabilità già in precedenza conseguiva all'avvenuta erogazione di detti emolumenti, quand'anche riscossi in contanti dall'avente titolo». In definitiva, alla stregua della disciplina previgente, che nulla disponeva al riguardo, prevaleva l'opinione che le somme accreditate sul conto a titolo di stipendio o di pensione si «confondessero» con quelle ivi giacenti, con conseguente inapplicabilità dell'art. 545 c.p.c., per quanto sia necessario segnalare l'orientamento di quella giurisprudenza che, nei casi di conto «di mero appoggio» – cioè di conto utilizzato esclusivamente per farvi confluire i suddetti emolumenti –, trovassero applicazione i limiti di pignorabilità previsti dal Codice e da leggi speciali (Trib. Udine 3 gennaio 2013, peraltro relativa ad un pignoramento «esattoriale»). Il legislatore, tenuto conto delle esigenze messe in luce dalla Corte costituzionale, ha avvertito la necessità di prendere posizione normativamente in ordine alle suddette questioni, prevedendo due regimi differenti da applicare al pignoramento dei crediti di lavoro e pensionistici accreditati su conto corrente, a seconda del momento in cui viene in essere il pignoramento, ossia se lo stesso intervenga successivamente o anteriormente all'accredito, in pratica: 1. le somme accreditate prima del pignoramento possono essere pignorate per l'importo eccedente il triplo dell'assegno sociale; 2. quelle accreditate dopo il pignoramento seguono le ordinarie regole del pignoramento di crediti di lavoro o pensionistici fatti presso il datore di lavoro o l'ente previdenziale. In pratica, in caso di emolumenti suddetti, sulle somme già presenti sul conto, saranno pignorabili, gli importi eccedenti il triplo del valore dell'assegno sociale, mentre le successive somme eventualmente accreditate ogni mese saranno pignorabili, nei limiti previsti sempre dall'art. 545 c.p.c. per le diverse tipologie di emolumenti (stipendi o pensioni). Quanto agli obblighi del terzo, che «nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore di somme a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, gli obblighi del terzo pignorato non operano, quando l'accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento, per un importo pari al triplo dell'assegno sociale; quando l'accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, gli obblighi del terzo pignorato operano nei limiti previsti dall'art. 545 e dalle speciali disposizioni di legge». Come è stato condivisibilmente osservato, il legislatore, nel disciplinare in modo difforme l'ipotesi del pignoramento sulle somme già presenti sul conto e quella del vincolo sugli accrediti successivi, da un lato non ha affatto smentito l'assunto tradizionale secondo cui il credito è verso il banchiere ed è un credito derivante dal contratto di conto corrente bancario o postale, dall'altro ha voluto contemperare tale principio con l'esigenza di tutela dei bisogni primari, che passa attraverso l'impignorabilità di tali somme benché confluite nel conto (Auletta, Focus 2018). Va segnalato che sul punto è intervenuta la C. Cost. con la pronuncia del 31 gennaio 2019 n. 12, per ciò che concerne l'applicazione intertemporale della novella in esame, In particolare, considerando che il principio l'impignorabilità parziale della pensione «è posta a tutela dell'interesse di natura pubblicistica consistente nel garantire al pensionato i mezzi adeguati alle proprie esigenze di vita» (ex multis, Cass. n. 6548/2011), la Corte ha affermato che, deve dunque essere dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 23, comma 6, del d.l. n. 83/2015, conv., con modif., nella l. n. 132/2015, nella parte in cui non prevede che l'ottavo comma dell'art. 545 c.p.c., introdotto dall'art. 13, comma 1, lettera l), del medesimo d.l., si applichi anche alle procedure esecutive aventi ad oggetto prestazioni pensionistiche pendenti alla data di entrata in vigore del predetto decreto. La rilevabilità della impignorabilitàRilevante è la previsione dell'ultimo comma dell'art. 545 c.p.c., nella versione vigente a seguito della riforma appena citata. La disposizione, che stabilisce la inefficacia (parziale) del pignoramento effettuato in violazione dei limiti e dei divieti posti dai commi sopra esaminati e, soprattutto, il potere di rilievo officioso di tale inefficacia in capo al giudice dell'esecuzione, va a colmare una lacuna del previgente art. 545 c.p.c. oltre all'espresso riconoscimento del potere di rilevare d'ufficio la violazione dei limiti di pignorabilità, val la pena sottolineare che la previsione della inefficacia del pignoramento effettuato oltre i limiti del consentito ha una notevole incidenza pratica: rispetto alle ulteriori somme non scaturiscono, in capo al terzo, gli obblighi di custodia. Vero è però che, come sottolineato in dottrina, in questo modo si fa gravare sul terzo l'esclusiva responsabilità di errori nell'applicazione delle norme in materia di impignorabilità, laddove in altre ipotesi di inefficacia tale responsabilità grava sul creditore (in caso di tardiva iscrizione a ruolo ex art. 543 c.p.c. il creditore deve tempestivamente notificare al terzo la dichiarazione di sopravvenuta inefficacia del pignoramento). I crediti vantati nei confronti della Pubblica AmministrazioneL'assoggettamento delle pubbliche amministrazioni alla disciplina offerta dal Codice civile e dal Codice di procedura civile «ha imposto, quindi, per un verso, l'adeguamento in via interpretativa della disciplina comune e, per altro verso, un controllo dei flussi di spesa». In taluni casi la legge dispone il divieto di pignorare determinate somme di pertinenza dell'Ente pubblico (individuate specificamente con riferimento alla relativa collocazione presso sezioni speciali delle tesorerie); spesso tali disposizioni sono «rafforzate» dalla previsione che, benché eventualmente effettuato, il pignoramento posto in essere dal creditore non ha alcun effetto a prescindere da una pronuncia del G.E. e, inoltre, non vincolo in alcun modo il terzo. In altri casi, la legge attribuisce alla pubblica amministrazione il potere discrezionale di determinare, con un proprio provvedimento, le somme che, in quanto destinate ad uno specifico servizio di rilievo pubblicistico, sono impignorabili per un tempo determinato. In particolare, il legislatore affida alla P.A. il potere di determinare, volta per volta, vincoli di destinazione relativi alle somme di cui la stessa dispone presso il proprio tesoriere, in ragione della necessità di soddisfare finalità ritenute prioritarie: si determina, cioè (tramite delibera dell'organo competente), un limite fino a concorrenza del quale il patrimonio dell'Ente è considerato impignorabile. Sul punto, merita particolare rilievo l'esame delle disposizioni dettate in materia di ASL (già USL) ed in materia di Enti locali, sulla cui evoluzione un ruolo determinante è stato assolto dalla giurisprudenza costituzionale. Il pignoramento nei confronti degli enti locali Il d.lgs. n. 267/2000, all'art. 159 comma 1 prevede che l'esecuzione nei confronti degli Enti locali debba compiersi esclusivamente nella forma dell'espropriazione forzata dei crediti vantati dall'amministrazione debitrice nei riguardi del proprio tesoriere. Ne consegue che il pignoramento effettuato nei riguardi di un terzo diverso dal tesoriere è irrimediabilmente nullo. Ad avviso della Corte di legittimità in caso di pignoramento presso soggetto diverso dal tesoriere «non viene in considerazione la questione della modalità concreta di estrinsecazione del processo esecutivo, quanto piuttosto quella della sussistenza e della stessa intrinseca pignorabilità del bene costituito da un credito verso soggetto non tesoriere, nonostante il chiaro e tassativo divieto del comma 1 dell'art. 159 del TUEL (d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267)». La situazione in esame può essere rilevata d'ufficio dal giudice dell'esecuzione, oppure può essere fatta constare dal debitore con due metodologie: a) attraverso una opposizione all'esecuzione; b) attraverso una istanza ex art. 486 c.p.c. al giudice dell'esecuzione (così, Cass. n. 15554/2017; Cass. n. 4961/2019). Il comma 2 dell'art. 159 TUEL prevede che non sono soggette ad esecuzione forzata, a pena di nullità rilevabile anche d'ufficio dal giudice, le somme di competenza degli enti locali destinate a: a) pagamento delle retribuzioni al personale dipendente e dei conseguenti oneri previdenziali per i tre mesi successivi; b) pagamento delle rate di mutui e di prestiti obbligazionari scadenti nel semestre in corso; c) espletamento dei servizi locali indispensabili. La Corte di legittimità con la pronuncia n. 211/2003, ha dichiarato l'illegittimità Costituzionale dell'art. 159 commi 2, 3 e 4, del d.lgs. n. 267/2000, nella parte in cui non prevede che la impignorabilità delle somme destinate ai fini indicati alle lettere a), b) e c) del comma 2 non operi qualora, dopo l'adozione da parte dell'organo esecutivo della deliberazione semestrale di preventiva quantificazione degli importi delle somme destinate alle suddette finalità e la notificazione di essa al soggetto tesoriere dell'ente locale, siano emessi mandati a titoli diversi da quelli vincolati, senza seguire l'ordine cronologico delle fatture così come pervenute per il pagamento o, se non è prescritta fattura, delle deliberazioni di impegno da parte dell'ente stesso. Secondo l'opinione ormai prevalente e preferibile, l'adozione della delibera implica di per sé la nascita del vincolo mentre la emissione di mandati di pagamento a titolo diverso in violazione dell'ordine cronologico delle fatture rileva come circostanza (peraltro eventuale) che incide su un vincolo già perfetto (cfr. Cass. n. 23727/2008; Cass. n. 12259/2009; Cass. n. 4207/2011, in dottrina Rossi 296). Altrimenti detto: 1) l'adozione della delibera è sufficiente ai fini del perfezionamento del vincolo; 2) l'emissione di mandati di pagamento a titolo diverso è fatto estintivo del vincolo; 3) il rispetto dell'ordine cronologico dei pagamenti per titoli diversi rappresenta un fatto impeditivo del dispiegarsi dell'effetto estintivo connesso all'emissione di mandati di pagamento. Con riferimento alla opponibilità della delibera, va segnalato che è ormai del tutto prevalente l'opinione secondo cui è opponibile solo quella delibera che sia stata adottata e munita di efficacia in data anteriore alla notifica del pignoramento al debitore (Cass. n. 10654/2008; Cass. n. 496/2000). Laddove non risulti adottata alcuna delibera per il semestre di riferimento oppure laddove, in ipotesi, la stessa sia stata adottata dopo la notifica (al debitore) del pignoramento (e dopo la cessazione dell'efficacia della delibera relativa al semestre precedente), non dovrà farsi questione, nei termini di cui si dirà, del rispetto dell'ordine cronologico dei mandati di pagamento per finalità diverse da quelle protette dalla delibera, potendosi tout court (sia chiaro: ove non siano fondatamente dedotti fatti estintivi del diritto di procedere in via esecutiva) provvedere all'assegnazione del credito (disponibile) pignorato. La Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi in relazione alla sorte dei crediti indicati dallo stesso art. 159 TUEL, ha chiarito che: «l'impignorabilità, infatti, è in sostanza destinata a operare allorquando il saldo attivo presso l'istituto tesoriere sia di ammontare inferiore o eguale all'entità delle somme quantificate con la delibera semestrale dell'ente locale. In siffatto contesto, è evidente come l'aggressione individuale, ancorché basata su un credito «qualificato», in quanto maturato in relazione a una delle menzionate finalità, potrebbe comunque condurre alla decurtazione anche significativa o, addirittura, all'azzeramento delle risorse finanziarie dell'ente stesso, così compromettendone la funzionalità» (La C. cost. n. 233/2020). Dunque, anche i crediti «qualificati» sono sottoposti allo stesso regime di quelli ordinari. Per quanto concerne dunque la distribuzione dell'onere probatorio tra l'ente debitore ed il creditore La Suprema Corte, ha chiarito che, qualora, anche in base alle dichiarazioni del Tesoriere, il giudice verifichi che lo stesso è caduto su somme destinate con delibera dell'organo esecutivo alle finalità di cui all'art. 159, comma 2, d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, il creditore procedente che intende far valere l'inefficacia del vincolo di destinazione per la sussistenza della condizione preclusiva dell'impignorabilità delle somme prevista dalla sentenza della Corte cost. n. 211 del 2003 assolve l'onere della prova incombente su di lui adducendo circostanze di fatto dalle quali sia desumibile il sospetto della sussistenza dell'indicata condizione preclusiva, né tale allegazione è validamente contrastata dalla produzione di una mera certificazione proveniente da uno degli organi o uffici dell'ente, in quanto, nel processo civile, salvo specifiche eccezioni previste dalla legge, nessuno può formare prove a proprio favore, tanto più che il giudice, specie a fronte dell'impossibilità per il creditore di fornire ulteriore prova, può disporre consulenza tecnica di ufficio (cfr. Cass. n. 4820/2012 e di recente Cass. n. 25836/2020). In particolare, spetta al creditore allegare gli specifici pagamenti per debiti estranei eseguiti successivamente alla delibera, mentre spetta, a questo punto, all'ente locale dare la prova che tali pagamenti sono stati eseguiti in base a mandati emessi nel rispetto del dovuto ordine cronologico, essendo inidonee, a questo fine, attestazioni di rispetto dell'ordine cronologico provenienti dallo stesso ente (vedi Cass. 2012 cit., Cass. n. 13676/2021; Cass. n. 1450/2023). La norma prevede la nullità «rilevabile d'ufficio» del pignoramento che interessi somme vincolate con delibera, il comma 4 prevede che «le procedure esecutive eventualmente intraprese in violazione del comma 2 non determinano vincoli sulle somme né limitazioni all'attività del tesoriere». La giurisprudenza di merito, si è espressa sul concetto della «vigenza della delibera». La ricostruzione effettuata dalla giurisprudenza parte da un principio: la condizione preclusiva dell'impignorabilità delle somme presuppone l'adozione di una delibera indicata e la relativa notificazione al tesoriere dell'ente locale. Orbene le delibere di impignorabilità hanno valenza semestrale e l'ente «per ogni semestre è tenuto a quantificare preventivamente le somme oggetto delle destinazioni previste nel primo periodo. Pertanto il vincolo di impignorabilità atto a bloccare l'assegnazione delle somme nei confronti dei creditori dell'ente presuppone: a) l'adozione di una delibera precedente al pignoramento; b) anche la sussistenza successiva del vincolo di impignorabilità nei periodi successivi, a mezzo di adozione di successive delibere emesse senza soluzione di continuità, che tengano costantemente bloccate le somme dall'ente ritenute essenziali per lo svolgimento delle funzioni degli ente comunale ex art. 159 comma 2 TUEL. Dunque così come l'inesistenza (anche temporalmente circoscritta) di una delibera semestrale di impignorabilità relativa al momento in cui il pignoramento risulta notificato al Terzo Tesoriere, comporta il dovere per il Tesoriere di bloccare le somme pignorate a favore del creditore procedente, non esistendo una situazione non aggredibilità delle somme, così in caso di venuta meno della causa di impignorabilità, il Tesoriere sia tenuto a vincolare le somme (divenute disponibili) dell'ente sanitario a favore dei creditori pignoranti (v. in motivazione sent. Cass. n. 7863/2011), tenendo presente secondo l'ordine cronologico della notifica dei pignoramenti e dando atto nei successivi pignoramenti delle notifiche precedentemente avvenute, ai fini della riunione delle procedure (su tutto il ragionamento, Trib. Napoli 8 marzo 2021, n. 2171). Il pignoramento nei confronti degli enti sanitari locali La normativa in materia di ASL ha avuto una evoluzione similare a quella in materia di Enti locali. L'art. 1 comma 5 del d.l. n. 9/1993, così recita: «le somme dovute a qualsiasi titolo alle aziende sanitarie locali e ospedaliere e agli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico non sono sottoposte ad esecuzione forzata nei limiti degli importi corrispondenti agli stipendi e alle competenze comunque spettanti al personale dipendente o convenzionato, nonché nella misura dei fondi a destinazione vincolata essenziali ai fini dell'erogazione dei servizi sanitari definiti con decreto del Ministro della sanità, di concerto con il Ministro del tesoro, da emanare entro due mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. A tal fine l'organo amministrativo dei predetti enti, con deliberazione adottata per ogni trimestre, quantifica preventivamente le somme oggetto delle destinazioni previste nel primo periodo». La C. cost. n. 285/1995, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di tale comma, nella parte in cui, per l'effetto della non sottoponibilità ad esecuzione forzata delle somme destinate ai fini ivi indicati, non prevede la condizione che l'organo di amministrazione dell'unità sanitaria locale, con deliberazione da adottare per ogni trimestre, quantifichi preventivamente gli importi delle somme innanzi destinate e che dall'adozione della predetta delibera non siano emessi mandati a titoli diversi da quelli vincolati, se non seguendo l'ordine cronologico delle fatture così come pervenute per il pagamento o, se non è prescritta fattura, dalla data della deliberazione di impegno da parte dell'ente. Il legislatore con l'art. 35, comma 8 lett. b), d.l. n. 66/2014 ha modificato la norma appena citata al fine di «adeguarla» alla giurisprudenza costituzionale, introducendo il nuovo comma 5-bis, (con l'art. 35, comma 8, lett. b), d.l. n. 66 del 2014 conv. in l. n. 89/2014), con una norma il cui contenuto risulta obiettivamente poco chiaro, ha interpolato l'art. 1 del d.l. del 1993, inserendovi l'art. 5-bis che così recita: «la deliberazione di cui al comma 5 è comunicata, a mezzo di posta elettronica certificata, all'istituto cui è affidato il servizio di tesoreria o cassa contestualmente alla sua adozione. Al fine di garantire l'espletamento delle finalità di cui al comma 5, dalla data della predetta comunicazione il tesoriere è obbligato a rendere immediatamente disponibili le somme di spettanza dell'ente indicate nella deliberazione, anche in caso di notifica di pignoramento o di pendenza di procedura esecutiva nei confronti dell'ente, senza necessità di previa pronuncia giurisdizionale. Dalla data di adozione della deliberazione l'ente non può emettere mandati a titoli diversi da quelli vincolati, se non seguendo l'ordine cronologico delle fatture così come pervenute per il pagamento o, se non è prescritta fattura, dalla data della deliberazione di impegno». La disposizione – pur con una formulazione diversa – ha un contenuto analogo, a quello desumibile dal comma 4 dell'art. 159 TUEL. Con la particolarità, in questo caso che qui viene esplicitato che il tesoriere, anche prima della declaratoria giurisdizionale di nullità del pignoramento, il tesoriere non è tenuto a vincolare somme (nei limiti degli importi coperti dalla delibera periodica), così come il divieto di emettere mandati di pagamento per titoli diversi in violazione dell'ordine cronologico – già affermato dalla Corte, per quanto detto, anche rispetto alle ASL – è ribadito dalla disposizione in esame. Alla luce del quadro normativo sopra esaminato, quindi, le questioni che si pongono relativamente alle ASL in tema di impignorabilità delle somme destinate a taluna delle finalità protette e di non sussistenza di obblighi di custodia del tesoriere sono sostanzialmente sovrapponibili rispetto a quelle che si pongono in materia di Enti locali. In specie, si ripropongono le questioni in materia di ripartizione dell'onere probatorio in tema di violazione dell'ordine cronologico dei pagamenti. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione, muovendo dal presupposto – già esposto – che il provvedimento con il quale il giudice dell'esecuzione. dichiarava improcedibile l'esecuzione per mancata dimostrazione della suddetta violazione aveva gravato il creditore di un onere della prova a lui non spettante (ossia il rispetto dell'ordine cronologico dei pagamenti), ha ribadito (in linea con la giurisprudenza citata) che «il creditore procedente che intenda far valere l'inefficacia del vincolo di destinazione è onerato di allegare gli specifici pagamenti per debiti estranei eseguiti successivamente alla delibera, mentre, in base al principio di vicinanza della prova, spetta all'ente locale provare che tali pagamenti sono stati eseguiti in base a mandati emessi nel rispetto del dovuto ordine cronologico» (cfr. Cass. n. 19103/2020). Per ciò che concerne il rilievo della impignorabilità nella materia in esame si registra la mancata previsione esplicita di un potere di rilievo officioso del vincolo posto con la delibera periodica in capo al G.E. (diversamente da quanto emerge dall'art. 159 TUEL, in cui ciò è esplicitamente previsto); tuttavia la giurisprudenza di legittimità, riconosce tale potere in concorso con quello del debitore di sollevare la questione in sede di opposizione all'esecuzione, anche in relazione alle ASL (così Cass. n. 5761/1999; Cass. n. 6548/2011 e Cass. n. 3987/2019). Altre ipotesi di impignorabilità nei confronti degli enti pubblici Un breve cenno meritano i pignoramenti nei confronti delle Regioni, in relazione alle quali non vigono i vincoli valevoli per gli enti locali e le ASL, con l'unica particolarità dell'applicazione del criterio di priorità stabilito dall'art. 7 del d.lgs. n. 279/1997, secondo cui il Tesoriere deve eseguire i pagamenti utilizzando prima le entrate proprie depositate presso le banche e poi le entrate giacenti presso la contabilità speciale. Ai sensi dell'art. 7 comma 5 del d.lgs. cit.: non si considerano liquidità pignorabili gli accantonamenti per i fondi di previdenza e capitalizzazione per la quiescenza del personale dipendente, nonché i valori mobiliari provenienti da atti di liberalità di privati destinati a borse di studio. È discussa invece l'applicabilità dell'art. 159 del TUEL (d.lgs. n. 267/2000) ai Consorzi di Sviluppo industriale. Il d.lgs. n. 267/2000 all'art. 2, comma 2 dispone «Le norme sugli enti locali... si applicano altresì... ai consorzi cui partecipano enti locali, con esclusione di quelli che gestiscono attività aventi rilevanza economica ed imprenditoriale e, ove previsto dallo statuto, dei consorzi per la gestione dei servizi sociali...». In pratica se è pacifico che i Consorzi abbiano natura di enti pubblici, ciò che è crea perplessità è l'assimilazione tout court ai Consorzi tra Enti locali per i quali si applica la disciplina del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL). Sul punto la Corte di legittimità sul punto, senza oscillazioni, ha dichiarato che: «Il consorzio ASI (Area per lo Sviluppo Industriale), costituito tra enti pubblici territoriali ed altri enti (pubblici o privati), è un ente pubblico economico, come previsto dall'art. 36, comma 4, della l. n. 317/1992» (cfr. V, ord., n. 31037/2018), infatti, «l'art. 36, comma 4, della l. n. 317/1992 stabilisce che «i consorzi di sviluppo industriale, costituiti ai sensi della vigente legislazione nazionale e regionale sono enti pubblici economici, spettando alle Regioni soltanto il controllo sui piani economici e finanziari dei consorzi» (cfr. Cass., ord. n. 26575/2018). Inoltre, le SS.UU. della Cassazione, con le sentt. nn. 14293/2010 e 12797/2016, hanno chiarito i limiti entro i quali detti consorzi assolvano finalità di natura pubblicistica, restando per il resto soggetti alla normativa generale riguardante gli enti aventi finalità lucrative. Pertanto, si ritiene che ai Consorzi cd ASI non si applichi la disciplina di cui all'art. 159 TUEL (per la giurisprudenza di merito vedi Sent. 24 marzo 2021 n. 2822 del Trib. di Napoli). Infine, tra le ipotesi di impignorabilità va menzionata quella prevista dall'art. 2 comma 85 della l. 23 dicembre 1996 n. 662 per i crediti dell'IACP derivanti dai canoni di locazione e dall'alienazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica destinati a servizi e finalità di istituto, nonché al pagamento degli emolumenti e delle competenze a qualsiasi titolo dovuti al personale di servizio o in quiescenza. Le anticipazioni di cassa dell'ente locale Una questione particolarmente dibattuta attiene alla pignorabilità delle somme di cui l'Ente esecutato abbia disponibilità presso il proprio tesoriere in regime di anticipazione di cassa. Tale modalità di gestione del rapporto di tesoreria è particolarmente diffusa con riferimento agli Enti locali, tanto che l'art. 222 TUEL reca una specifica disciplina della materia. Il profilo problematico di maggiore rilievo attiene al se le rimesse effettuate sul conto intestato all'Ente locale siano opponibili o meno al creditore procedente. La giurisprudenza di merito, più copiosa (cfr. ex plurimis Trib. Catanzaro, sez. distaccata di Chiaravalle, ord. 24 aprile 2013, n. 188; Trib. Napoli, ord. 12 aprile 2010; Trib. Nola, 26 maggio 2010; Trib. Santa Maria Capua Vetere 21 febbraio 2006; Trib. Napoli 29 aprile 1999; Trib. Torre Annunziata 19 luglio 2013), aveva affermato come le somme oggetto di anticipazione di cassa, in quanto entrate nel patrimonio disponibile dell'Ente, acquistassero la qualità dell'esigibilità, in uno con quella della pignorabilità, al pari degli altri proventi. Pertanto, la dichiarazione del terzo, laddove dia atto dell'esistenza di un'anticipazione e di un margine disponibile residuo, ha carattere positivo, perché attesta un credito eventuale dell'Ente nei confronti dell'Istituto Tesoriere. D'altro canto, è stato anche rilevato che, partendo dalla premessa secondo cui va esclusa una qualificazione del rapporto di tesoreria in termini privatistici (in specie facendo ricorso alle norme in materia di conto corrente o di apertura di credito), andrebbe esclusa la pignorabilità delle somme sopraggiunte sul conto intestato all'Ente locale qualora le stesse siano dirette a consentire il ripristino della disponibilità. Depongono in questo senso i seguenti argomenti: a) l'art. 4, d.m. 4 agosto 2009 disciplina un meccanismo di regolazione dei rapporti tra Ente e tesoriere in virtù del quale le somme rimesse sul conto corrente sono prioritariamente destinate al rientro dell'anticipazione ed hanno quindi una funzione ripristinatoria; b) proprio per la loro funzione non si tratta di pagamenti successivi al pignoramento, inopponibili al creditore pignorante in virtù dell'art. 2917 c.c. (cfr. Trib. Napoli Nord 5 febbraio 2020). Sulla questione, si è pronunciata di recente la Suprema Corte. Quest'ultima. partendo dall'analisi della posizione dell'istituto tesoriere, ha evidenziato che i rapporti con l'Ente sanitario (o altro ente pubblico) sono plurimi, in specie trattandosi: a) di un «conto corrente bancario» sul quale l'Istituto aveva erogato le «anticipazioni di cassa» nei limiti consentiti dalla normativa vigente; b) un conto corrente in contabilità speciale «infruttifero» presso le Sezioni di tesoreria provinciale dello Stato (destinato alle somme a destinazione vincolata ex lege). Relativamente al primo rapporto, va evidenziato che le rimesse effettuate dal correntista o da terzi possono assolvere o ad una funzione ripristinatoria della provvista o ad una funzione solutoria, onde nei rapporti tra banca e cliente i «singoli versamenti» sul conto effettuati dalla banca-mandataria all'incasso per conto del cliente-mandante non individuano una autonoma obbligazione cui corrisponde un diritto di credito o un bene autonomamente assoggettabile a pignoramento o sequestro, in quanto atti di attuazione di un medesimo ed unico rapporto di natura complessa; il secondo rapporto (quello intestato all'Azienda sanitaria in «contabilità speciale», infruttifero) invece va ricondotto alla figura della delegazione all'incasso ed al pagamento, non essendo configurabili nelle singole operazioni attuative del mandato autonomi rapporti obbligatori di debito-credito tra la banca e l'Azienda sanitaria. La questione controversa attiene alla incidenza che, nella individuazione del bene oggetto del pignoramento presso terzi (nello specifico le somme giacenti sui conti intestati alla ASP e movimentati dalla banca gestore del servizio di tesoreria), vengono a svolgere le norme disciplinanti il servizio di tesoreria nella parte in cui impongono ai tesorieri, con norma regolamentare (il citato art. 4 d.m. 4 agosto 2009), in assenza di disponibilità non vincolate nelle contabilità speciali, di estinguere immediatamente i saldi negativi sul conto corrente per utilizzo anticipazioni, «immediatamente» con i primi introiti non vincolati rimessi sul conto corrente bancario, ovvero – in mancanza di introiti – «entro il giorno successivo» a quello di acquisizione di nuove disponibilità su contabilità speciali. La Corte, partendo dalla distinzione tra i due rapporti sopra tratteggiata, ha chiarito quanto segue. Limitatamente al servizio di tesoreria in senso stretto, la banca agisce secondo le regole del mandato integrato da specifiche norme di settore, effettuando i prelievi necessari ad eseguire i pagamenti dovuti dalla Azienda sanitaria anche a valere sul conto speciale infruttifero (con l'unica limitazione di somme per le quali già sussista un vincolo di destinazione). Tali somme sono nella immediata disponibilità dell'ente e per tale motivo la legge le qualifica come pignorabili con la peculiarità che è la banca che gestisce il rapporto di tesoreria ad assumere la veste di terzo, malgrado il rapporto di conto corrente speciale infruttifero intercorra tra l'Azienda sanitaria e la Sezione provinciale di tesoreria dello Stato presso cui il conto è acceso; altrimenti detto, il tesoriere non ha nella sua disponibilità le vicende del conto speciale infruttifero né può impiegare liberamente le somme giacenti su tale conto né deve restituire alcunché all'Azienda sanitaria quando cesserà il servizio di gestione sul predetto conto corrente; il pignoramento riguarderà quindi le giacenze esistenti e gli accrediti già disposti sul «conto speciale» a favore dell'Azienda sanitaria, rendendosi inopponibile al creditore pignorante, secondo il criterio della priorità cronologica, gli atti dispositivi di tali somme compiuti successivamente, dovendo soltanto aversi riguardo al perfezionamento della notifica nei confronti del tesoriere; se tra tale data e quella della dichiarazione di quantità dovessero essere accreditate sul conto speciale infruttifero nuove somme, non vincolate ex lege, queste vanno certamente a integrare la capienza del conto pignorabile (cfr. su tutto il ragionamento Cass. n. 9250/2020). Relativamente al distinto rapporto di conto corrente, quando lo stesso presenti, invece, un saldo contabile negativo, la rimessa non costituisce autonomo bene aggredibile dal creditore pignorante. 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