Codice di Procedura Civile art. 548 - Mancata dichiarazione del terzo (1).

Maria Ludovica Russo

Mancata dichiarazione del terzo (1).

[I]. (2) Quando all'udienza il creditore dichiara di non aver ricevuto la dichiarazione, il giudice, con ordinanza, fissa un'udienza successiva. L'ordinanza è notificata al terzo almeno dieci giorni prima della nuova udienza. Se questi non compare alla nuova udienza o, comparendo, rifiuta di fare la dichiarazione, il credito pignorato o il possesso del bene di appartenenza del debitore, nei termini indicati dal creditore, si considera non contestato ai fini del procedimento in corso e dell'esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione se l'allegazione del creditore consente l'identificazione del credito o dei beni di appartenenza del debitore in possesso del terzo e il giudice provvede a norma degli articoli 552 o 553 (3) (4).

[II]. Il terzo può impugnare nelle forme e nei termini di cui all'articolo 617 [, primo comma,] l'ordinanza di assegnazione di crediti adottata a norma del presente articolo, se prova di non averne avuto tempestiva conoscenza per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore (5).

(1) Articolo così sostituito dall'art. 1, comma 20, l. 24 dicembre 2012, n. 228. Il testo, che già era stato modificato dall'art. 9, d.P.R. 17 ottobre 1950, n. 857, e dall'art. 98, d.lg. 19 febbraio 1998, n. 51, che ne aveva sostituito il secondo comma, recitava: «Mancata o contestata dichiarazione del terzo - [I]. Se il terzo non compare all'udienza stabilita o, comparendo, rifiuta di fare la dichiarazione, o se intorno a questa sorgono contestazioni, il giudice, su istanza di parte, provvede all'istruzione della causa a norma del libro secondo. [II]. Se il terzo non fa la dichiarazione neppure nel corso del giudizio di primo grado, può essere applicata nei suoi confronti la disposizione dell'articolo 232 primo comma».

(2) Comma abrogato dall'art. 19 d.l. 12 settembre 2014 n. 132, conv., con modif., in l. 10 novembre 2014, n. 162. A norma del comma 6, del medesimo articolo, le disposizioni di cui al presente comma si applicano ai procedimenti iniziati a decorrere dal trentesimo giorno dall'entrata in vigore della legge di conversione. Il testo recitava: «Se il pignoramento riguarda i crediti di cui all'articolo 545, terzo e quarto comma, quando il terzo non compare all'udienza stabilita, il credito pignorato, nei termini indicati dal creditore, si considera non contestato ai fini del procedimento in corso e dell'esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione, e il giudice provvede a norma degli articoli 552 o 553».

(3) Comma sostituito dall'art. 18 d.l. 12 settembre 2014 n. 132, conv., con modif., in l. 10 novembre 2014, n. 162. A norma del comma 6, del medesimo articolo, le disposizioni di cui al presente comma si applicano ai procedimenti iniziati a decorrere dal trentesimo giorno dall'entrata in vigore della legge di conversione. Il testo recitava: «Fuori dei casi di cui al primo comma, quando all'udienza il creditore dichiara di non aver ricevuto la dichiarazione, il giudice, con ordinanza, fissa un'udienza successiva. L'ordinanza è notificata al terzo almeno dieci giorni prima della nuova udienza. Se questi non compare alla nuova udienza, il credito pignorato o il possesso del bene di appartenenza del debitore, nei termini indicati dal creditore, si considera non contestato a norma del primo comma».

(4) L'art. 13, d.l. 27 giugno 2015, n. 83, conv. con modif. in l. 6 agosto 2015, n. 132, ha inserito, dopo le parole: "di assegnazione", le parole: "se l'allegazione del creditore consente l'identificazione del credito o dei beni di appartenenza del debitore in possesso del terzo", per l'applicazione vedi l'art. 23, comma 9, del d.l. n. 83 del 2015 medesimo.

(5) L'art. 13, d.l. 27 giugno 2015, n. 83, conv. con modif. in l. 6 agosto 2015, n. 132, ha soppresso le parole: ", primo comma,". Per l'applicazione vedi l'art. 23, comma 9, del d.l. n. 83 del 2015 medesimo.

Inquadramento

L'art. 548 c.p.c. ha subito profonde modifiche legislative, nella direzione di dare un significato (favorevole al creditore procedente) alla mancata dichiarazione del terzo, ove scientemente non effettuata (ossia dopo aver fugato il dubbio che il terzo non abbia ricevuto l'invito a rendere la dichiarazione e comunque, in ultima analisi, a comparire all'udienza indicata nell'atto di pignoramento ex art. 543 c.p.c.

Prima della riforma del 2012 la mancata dichiarazione da parte del terzo poteva solo condurre a due scenari opposti: la chiusura della procedura esecutiva, oppure dare la stura all'avvio del giudizio di cognizione deputato all'accertamento dell'obbligo del terzo.

Inoltre, considerato il tenore dell'art. 543 c.p.c., secondo cui il pignoramento può anche contenere una generica indicazione del credito o delle cose in relazione a cui è obbligato il debitor debitoris, era chiaro che l'oggetto della procura poteva acquisire certezza solo a mezzo della dichiarazione del terzo (o all'esito dell'eventuale giudizio di cognizione relativo all'accertamento dell'obbligo di quest'ultimo).

In particolare, l'art. 548 c.p.c. – nella formulazione introdotta con il d.lgs. n. 51/1998 (Istituzione del giudice unico di primo grado) – prevedeva che se il terzo pignorato non compariva all'udienza stabilita ai sensi dell'art. 543 c.p.c. o, comparendo, rifiutava di fare la dichiarazione, o se intorno alla stessa sorgevano contestazioni, il giudice, su istanza di parte, provvedeva all'istruzione della causa a norma del libro secondo del codice di rito. Dunque, originariamente la legge non distingueva fra il caso dell'omessa dichiarazione e quello della dichiarazione reticente o comunque di contenuto contestato. In tutte le ipotesi, il creditore che voleva ottenere una pronuncia sull'esistenza e sulla consistenza del credito che egli aveva inteso pignorare, era tenuto ad introdurre il giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo pignorato. Tale giudizio che si svolgeva ai sensi del libro secondo del codice di procedura civile, ossia nelle forme del giudizio ordinario di cognizione, con il conseguente regime di acquisizione della prova e i relativi strumenti impugnatori. L'unica agevolazione di cui godeva colui che introduceva il giudizio di accertamento era costituita dalla circostanza che la condotta del terzo che, avendo omesso di rendere la dichiarazione innanzi al giudice dell'esecuzione, non l'avesse resa neppure nel corso del primo grado, poteva essere equiparata alla mancata risposta nel caso di interrogatorio formale (art. 548, comma 2, c.p.c.).

L'assetto normativo è stato profondamente innovato dalla l. n. 228/2012 (Legge di stabilità 2013) che, con decorrenza dal 10 gennaio 2013, ha soppresso il giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo pignorato, quantomeno come giudizio incidentale al processo esecutivo da svolgersi nelle forme ordinarie, e ha differenziato il regime giuridico a seconda che il terzo non renda la dichiarazione oppure che il contenuto della stessa sia contestato. In particolare, nel primo caso non occorreva che fosse introdotto il giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo: il suo silenzio – rafforzato dalla notificazione di un'ordinanza che fissa una nuova apposita udienza – è equiparato alla non contestazione dell'esistenza del credito pignorato.

In particolare, la norma prevedeva che (dopo aver espletato le attività necessarie ad assicurarsi oppure ad ovviare alla errata conoscenza da parte del terzo dell'invito a rendere la dichiarazione e della conoscenza dell'udienza – a cui comunque il terzo potrà partecipare – finalizzato all'emissione dell'ordinanza di assegnazione) ove il terzo non fosse comparso neanche alla nuova udienza: «il credito pignorato o il possesso del bene di appartenenza del debitore, nei termini indicati dal creditore, si considera non contestato a norma del comma 1 (ossia ai fini del procedimento in corso e di quello generato dall'emettenda ordinanza di assegnazione).

Nel delineare il comportamento del terzo, veniva distinta l'ipotesi in cui il pignoramento avesse ad oggetto i crediti di cui all'art. 545 comma 3 (ossia gli emolumenti lato sensu retributivi e pensionistici) dalle altre tipologie di credito, per cui nel primo caso era rilevante la mancata comparizione all'udienza, nel secondo caso il mancato invio della dichiarazione al creditore procedente. In entrambi i casi, comunque era previsto (come è previsto tutt'ora) il rinvio a successiva udienza, attraverso meccanismo idoneo a sincerarsi della avvenuta conoscenza del pignoramento e dei propri doveri, in capo al terzo pignorato.

Pertanto, la l. n. 228/2012 ha rafforzato significativamente gli oneri a carico del terzo pignorato, con una disciplina che non era scevra, nella formulazione originaria, da alcune problematiche sotto il profilo della compatibilità con l'assetto costituzionale.

È evidente l'innovazione rispetto al sistema tradizionale, nel quale la mancata dichiarazione del terzo è sempre stata, circostanza tale da impedire il perfezionamento del pignoramento per difetto di oggetto, ferma la possibilità di introdurre il giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo; al contrario attualmente il silenzio del terzo finisce per valere come riconoscimento implicito della debenza delle somme indicate dal creditore (D'Alessandro, in Luiso, 76).

Il problema di maggiore rilevanza, sotto il profilo della compatibilità con i principi costituzionali, era che l'effetto della non contestazione veniva a prodursi senza che il debitor debitoris ne fosse reso edotto, in evidente distonia con gli altri specifici avvertimenti sulle conseguenze processuali di un'omessa condotta processuale previsti dal sistema, ad esempio dall'art. 163 in tema di atto di citazione in ordine alle decadenze del convenuto non tempestivamente costituito ed ancor più dall'art. 660, comma 3, in materia di intimazione di sfratto, quanto alle conseguenze correlate alla mancata comparizione e/o opposizione del conduttore all'udienza di convalida (Farina P., 235 ss.). Il d.l. n. 132/2014 ha peraltro risolto tale questione intervenendo sull'art. 543 (v. il relativo commento).

In particolare, è intervenuto il d.l. n. 132/2014, conv., con modif., dalla l. n. 162/2014 il d.l. n. 132/2014 è entrato in vigore il 13 settembre 2014, ma le modifiche così disposte hanno trovato applicazione solo per i procedimenti iniziati a decorrere dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione. Poiché la legge di conversione 10 novembre 2014, n. 162, è entrata in vigore l'11 novembre 2014, le modifiche sono applicabili alle procedure cominciate dal 10 dicembre 2014.

La novella ha modificato l'art. 548 c.p.c. nella parte in cui prevedeva un diverso regime a seconda che il credito pignorato avesse natura di credito di lavoro oppure no, coerentemente alla modifica degli artt. 543, comma 2, n. 4, e 547 c.p.c., che prevedevano che, quando il pignoramento riguardava i crediti di cui all'art. 545, commi 3 e 4, c.p.c., la dichiarazione dovesse rendersi in udienza, anziché a mezzo di lettera raccomandata o posta elettronica certificata.

Dunque, la riforma del 2014 ha, innanzitutto, individuato nella spedizione della lettera raccomandata ovvero nella trasmissione del massaggio di posta elettronica certificata le uniche modalità con cui il terzo deve rendere la sua dichiarazione. La riforma da ultimo citata ha, conseguentemente, novellato l'art. 548 c.p.c. che, nel delineare i presupporti necessari a configurare il riconosci-mento «implicito o presunto» dell'esistenza del credito ovvero del possesso delle cose mobili, ora non considera più l'ipotesi in cui il terzo pignorato abbia violato l'obbligo di comparire in udienza per rendere la dichiarazione in relazione ai crediti di cui all'art. 545 c.p.c., ma contempla esclusivamente il caso in cui il terzo sia rimasto inerte omettendo di inviare la dichiarazione al creditore con la posta ordinaria o elettronica. Di conseguenza, siccome la dichiarazione resa dal terzo pignorato ex art. 547 c.p.c. deve essere resa al creditore pignorante con comunicazione formale – cioè, a mezzo lettera raccomandata o PEC – avendo la funzione, se positiva, di individuare il bene o il credito del debitore esecutato che forma oggetto dell'azione esecutiva, secondo la Suprema Corte: detta dichiarazione, qualora effettuata con mezzi diversi (es come nel caso all'esame via telefax) da quelli prescritti e inidonei a dimostrare immediatamente ed incontestabilmente la sua esistenza e il suo contenuto, è da considerarsi tamquam non esset, dovendosi pertanto procedere, ai sensi dell'art. 548, comma 2, c.p.c., alla fissazione di apposita udienza, in esito alla quale, in mancanza di dichiarazione del terzo e alle ulteriori condizioni indicate dalla citata norma, il credito pignorato si ha per non contestato secondo il meccanismo della ficta confessio. (Cass. n. 16005/2023).

Successivamente, il d.l. n. 83/2015, convertito con modificazioni dalla l. n. 132/2015, ha modificato ulteriormente l'art. 548 c.p.c., circoscrivendo gli effetti della c.d. ficta confessio ai soli casi in cui «l'allegazione del creditore consente l'identificazione del credito». Parallelamente, ha esteso l'ambito di applicazione dell'art. 549 c.p.c. non solo ai casi di dichiarazione contestata, ma anche a quelli in cui «a seguito della mancata dichiarazione del terzo non è possibile l'esatta identificazione del credito», a causa dell'incompleta allegazione del creditore. Ha, inoltre, previsto che il giudice dell'esecuzione possa procedere all'accertamento incidentale solamente su istanza di parte e debba, comunque, garantire il rispetto del contraddittorio fra le parti e con il terzo.

La riforma del 2015, invero, si è limitata a mettere a punto la disciplina introdotta nel 2014 «codificando» la tesi, elaborata in via solo interpretativa, secondo cui la dichiarazione per fatto concludente non può consentite l'assegnazione dei crediti o dei beni mobili quando l'indicazione dell'oggetto del pignoramento non sia sufficientemente puntuale

Il medesimo d.l. n. 83/2015 ha modificato pure l'ultimo comma dell'art. 548 c.p.c., relativo allo strumento disposizione del terzo pignorato per impugnare l'ordinanza di assegnazione pronunciata sulla base della ficta confessio, eliminando il riferimento al «comma 1» dell'art. 617 c.p.c.

Il d.l. n. 83/2015 è entrato in vigore il 27 giugno 2015 e le disposizioni in esso contenute si applicano anche ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore.

Il legislatore in sede di conversione del d.l. n. 83/2015, nella l. n. 132/2015, ha inserito nell'ultimo periodo dell'art. 548 c.p.c. la precisazione per la quale, a fronte della condotta processualmente inerte del terzo pignorato, il Giudice emetterà l'ordinanza di assegnazione soltanto laddove l'allegazione del creditore consenta l'identificazione del credito o dei beni di appartenenza del debitore in possesso del terzo.

In relazione all'ordinanza di assegnazione, così emessa «il terzo (la) può impugnare nelle forme e nei termini di cui all'art. 617, comma 1, [...] se prova di non averne avuto tempestiva conoscenza per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore» (così, in motivazione, Cass. n. 17663/2019, che compie un approfondito excursus sull'evoluzione legislativa che ha interessato l'art. 548 c.p.c.).

L'attuale meccanismo della non contestazione

A far data dall'11 dicembre 2014, per tutte le procedure è procedimentalizzata la modalità per addivenire alla non contestazione del credito da assegnare, ossia a configurare una dichiarazione positiva del terzo per fatto concludente.

Come già accennato la novella del 2015, non ha influito su tale maccanismo, ma ha esclusivamente impedito che si possa pervenire all'assegnazione ove l'oggetto del pignoramento (ed in particolare della futura assegnazione) non sia sufficientemente determinato (Soldi).

Nello specifico, l'art. 548 c.p.c. comma 1 nel testo novellato dal d.l. n. 132/2014 convertito dalla l. n. 162/2014, (ed attualmente in vigore sul punto) stabilisce che «Quando all'udienza il creditore dichiara di non aver ricevuto la dichiarazione, il giudice, con ordinanza, fissa un'udienza successiva. L'ordinanza è notificata al terzo almeno dieci giorni prima della nuova udienza. Se questi non compare alla nuova udienza e, comparendo, rifiuta di fare la dichiarazione, il credito pignorato o il possesso del bene di appartenenza del debitore, nei termini indicati dal creditore, si considera non contestato...».

Pertanto, il silenzio del terzo pignorato non assume valore di riconoscimento tacito per il solo fatto che il terzo non abbia inviato, entro l'udienza fissata nella citazione (o fissata dal giudice), la dichiarazione con le modalità indicate dall'art. 547 c.p.c. (ossia lettera racco-mandata e messaggio di posta elettronica certificata).

L'inerzia del terzo che consente, invece, di ritenere che quest'ultimo abbia riconosciuto l'esistenza del credito ovvero il possesso delle cose mobili di proprietà del debitore implica ulteriori passaggi.

È necessario, infatti che il terzo, oltre a non aver inviato la lettera raccomandata né trasmesso il messaggio di posta elettronica certificata entro la data della successiva udienza fissata dal giudice, a seguito del rinvio di quella di prima comparizione già celebrata, abbia omesso anche di comparire a tale udienza ovvero, pur comparendo, abbia rifiutato di rendere la dichiarazione.

Pertanto, al fine della produzione del meccanismo del riconoscimento implicito, la fissazione della seconda udienza diviene un passaggio obbligato, in modo tale che diventi certo che il terzo, pur correttamente evocato, abbia scientemente, omesso di rendere la dichiarazione.

È utile precisare che se il terzo dovesse rendere la dichiarazione nel tempo che intercorre tra la prima e la seconda udienza, tale evenienza interromperebbe lo sviluppo della fattispecie procedimentale descritta dall'art. 548 c.p.c. e consentirebbe di procedere all'assegnazione in virtù della dichiarazione «espressa».

Connesso al problema dell'individuazione del credito, come previsto dall'art. 548 c.p.c. novellato (di cui infra) va chiarito il concetto di «non contestazione», inserito già dalla riforma del 2014 nella dizione dell'art. 548 c.p.c.

Occorre infatti chiarire la portata del concetto della non contestazione, rispetto alle implicazioni ad esso connaturate in base al disposto dell'art. 115 c.p.c., la quale afferisce ontologicamente al giudizio di cognizione. La non contestazione di cui all'art. 1115 c.p.c. rileva quale «elevatio ab onere probandi» essa, in altri termini, esaurisce i suoi effetti sul piano dell'onere della prova, nel senso che la parte che sarebbe tenuta a fornire la dimostrazione del fatto costitutivo del proprio diritto è esonerata da tanto se la controparte costituita non effettua una specifica contestazione di quanto allegato dall'attore; in definitiva, la non contestazione «si inserisce tra gli elementi che il giudice deve valutare per formulare il giudizio sulla fondatezza o meno della pretesa, unitamente quindi a tutto il materiale probatorio a sua disposizione» (Crivelli, Auletta, 2018); nell'accezione dell'art. 115 c.p.c., la non contestazione opera solo se riferita al comportamento processuale di una parte del processo; tale comportamento, peraltro, non assume una valenza oggettiva che obbliga il giudice a considerare come vero un fatto sol perché non contestato ma impone una valutazione giudiziale alla stregua di tutte le risultanze del giudizio. Dunque, tale accezione di «non contestazione» non può essere riprodotta nell'ambito dell'art. 548 c.p.c., con riferimento alla posizione di un soggetto, il terzo pignorato, che non è parte dell'espropriazione, per di più attraverso un meccanismo che riconosce una valenza oggettiva alla mancata comparizione all'udienza senza prevedere alcun tipo di valutazione da parte del giudice.

Per le considerazioni che precedono, è, dunque, preferibile ritenere che l'art. 548 c.p.c. accenni alla «non contestazione» con una finalità meramente descrittiva; più precisamente, laddove il legislatore della riforma afferma che, in presenza di determinati presupposti, il credito o il possesso delle cose risulta «non contestato» deve ritenersi abbia inteso disporre che in quei casi il credito o il possesso delle cose si presume «riconosciuto» (Soldi).

I limiti del riconoscimento implicito

Di fronte al venire in essere delle condizioni atte a determinare il riconoscimento del credito, ci si è chiesti, sin dall'indomani della riforma del 2014, se ciò fosse sufficiente per l'emissione dell'ordinanza di assegnazione ed in quali limiti.

L'art. 548 c.p.c., nel testo introdotto dalla l. n. 228/2012, e prima delle modifiche operate nel 2015 (dal d.l. n. 83/2015, convertito dalla l. n. 132/2015,) stabiliva che, in presenza di determinate condizioni, il credito o il possesso dei beni appartenenti al debitore poteva ritenersi non contestato «nei termini indicati dal creditore». Quest'ultimo riferimento non aveva subito modifiche a seguito della novella del 2014 (d.l. n. 132/2014 conv. in l. n. 162/2014), in quanto il legislatore aveva modificato l'assetto della norma, portando il riferimento al riconoscimento implicito per non contestazione) «nei termini indicati dal creditore» dal comma 1 all'ultimo periodo del comma 2 dell'art. 548 c.p.c.

Ci si chiedeva dunque, quale significato assumesse tale locuzione. A tale proposito due erano le soluzioni prospettate. A detta di alcuni autori si era ipotizzato che, con la terminologia utilizzata, il legislatore avesse inteso riferirsi alla misura della pretesa esecutiva azionata dal creditore nel precetto e poi nel pignoramento: dunque un riconoscimento implicito operante con l'unico limite del credito indicato nel pignoramento ex art. 543, comma 2, n. 1 c.p.c.; secondo altro orientamento il riconoscimento poteva operare solo nei limiti dell'indicazione «almeno generica» delle cose o delle somme dovute dal terzo al debitore (ossia nell'ambito dell'individuazione dell'oggetto del pignoramento compiuta dal creditore ex art. 543, comma 2, n. 2 c.p.c.).

La seconda delle impostazioni era sembrata la più convincente, in quanto il primo orientamento risultava completamente disancorato rispetto al rapporto tra debitore esecutato e terzo.

Ciò da un lato determinava la possibilità di far ritenere il credito accertato in relazione al rapporto tra debitore e debitor debitoris e quindi astrattamente sino all'importo del valore del precettato, più la metà, ma presupponeva comunque un certo grado di determinazione del credito da assegnare (in relazione alla natura del rapporto ed al quantum dello stesso), con concreta difficoltà in caso di impossibilità a determinare il valore dell'assegnazione (Soldi).

Il legislatore del 2015 ha sicuramente colto queste difficoltà interpretative, modificando l'art. 548 c.p.c., secondo commo, inserendovi determinate specificazione, in particolare prevedendo che: «il credito pignorato o il possesso del bene di appartenenza del debitore si considera non contestato se l'allegazione del creditore consente la identificazione del credito o dei beni di appartenenza del debitore».

Coordinatamente, l'art. 549 c.p.c. (al cui commento si rinvia), come novellato dalla medesima legge, dispone che, su istanza di parte, il giudice provvede ad accertare l'obbligo del terzo, non solo quando «sulla dichiarazione sorgono contestazioni», ma anche quando «a seguito della mancata dichiarazione del terzo non è possibile l'esatta identificazione del credito o dei beni in possesso del terzo».

Dunque, adesso risulta esplicitata la scelta legislativa, nel seno che: l'espropriazione non può evolversi approdando all'assegnazione o alla vendita dei beni o dei crediti quando le indicazioni fornite dal creditore non soddisfino i «requisiti minimi» e che, qualora tali «requisiti minimi» non ricorrano il giudice, su richiesta dei creditori «titolati», deve procedere all'accertamento dell'obbligo del terzo ai sensi dell'art. 549 c.p.c.

L'interrogativo consiste nel delineare quali siano i «requisiti minimi» dell'allegazione del creditore, affinché il giudice possa procedere all'assegnazione oppure, su istanza di uno dei creditori si debba dare corso al sub-procedimento di accertamento dell'obbligo del terzo.

Occorre dunque stabilire in che cosa debbano consistere siffatte allegazioni in quale momento esse debbano venire in essere per produrre l'effetto del riconoscimento implicito, valevole per l'assegnazione.

Con riguardo al primo aspetto, è ragionevole sostenere che l'allegazione del creditore sia idonea a rendere operante la dichiarazione implicita o presunta del terzo quando, per un verso, sia stato identificato, anche se in termini generali, il titolo costitutivo del rapporto che si assume sia intercorso tra il debitore ed il terzo e, per altro verso, quando siano stati forniti elementi sufficienti a quantificare il credito o a identificare i beni mobili.

Immaginare che possa essere sufficiente la mera indicazione del titolo alla base del rapporto di debito/credito esistente tra il debitore esecutato ed il debitor debitori porterebbe a delle conseguenze distorte nell'emanazione dell'ordinanza di assegnazione.

L'esempio più calzante degli effetti distorti dati da questa possibile costruzione si potrebbero verificare nel caso in cui il credito oggetto di pignoramento fosse una prestazione retributiva o pensionistica, ove oggetto di vincolo (e dunque di futura assegnazione) è la quota del quinto (in caso di pensione con la sottrazione dell'importo impignorabile) dell'emolumento mensile percepito dal debitore esecutato. È palese che, in tale ipotesi, ove il terzo non dovesse rendere la sua dichiarazione, il riconoscimento presunto o implicito potrebbe al più riguardare l'esistenza del rapporto di lavoro dipendente, ma non il credito atteso che, senza la dichiarazione del terzo, non sarebbe dato conoscere l'entità della retribuzione corrisposta dal terzo-datore di lavoro al debitore-lavoratore dipendente.

Con riferimento al caso da ultimo menzionato si è ipotizzata un'assegnazione del credito scaturente dal rapporto di lavoro nei limiti della quota pignorabile e sino alla concorrenza della pretesa del creditore azionata con il precetto, con la precisazione, però, che, in tal caso, l'ordinanza di assegnazione non possa costituire titolo esecutivo contro il terzo pignorato inadempiente non essendo quantificato il credito né potendo esserlo in mancanza dei necessari parametri (Saletti, 15 e ss.; Storto, 44 e ss.).

Siffatta impostazione, non può essere condivisa in quanto sarebbe una contraddizione in termini immaginare un'ordinanza di assegnazione priva di efficacia esecutiva o anche generica e bisognevole di una ulteriore intervento giurisdizionale successivo, ulteriore rispetto alla procedura esecutiva, chiamata essa stessa a dare soddisfazione alle pretese creditorie che non hanno avuto seguito in altro modo.

Ecco dunque che l'allegazione del creditore su cui si formerà il riconoscimento implicito deve contenere anche la quantificazione del credito vantato dal debitore nei confronti del terzo pignorato (Soldi).

Per quanto concerne la tempistica e le modalità di allegazione, sembra potersi sostenere che un'eventuale indicazione generica delle cose mobili e dei crediti, contenuta nel pignora-mento, potrebbe essere integrata anche in un momento successivo.

Questa soluzione sembra desumibile dal tenore letterale dell'art. 548 c.p.c. comma 1-terzo periodo, che ricollega l'oggetto della dichiarazione implicita o presunta, non al contenuto dell'atto di pignoramento, ma più genericamente alla «allegazione» del creditore, inoltre affermare che la determinazione della somma o cosa mobile da assegnare debba essere specificata nell'atto di pignoramento, significa cancellare del tutto la portata dell'art. 543, comma 2, n. 2 c.p.c., che ammette come regolare anche l'indicazione generica delle cose o delle somme dovute dal terzo.

Dunque, il concetto di «allegazione» non appare, necessariamente connesso al contenuto del pignoramento, ma lascia intendere l'astratta configurabilità di un'attività ulteriore del creditore.

Ciò implica quale corollari: 1) che alla «allegazione» necessaria a definire l'oggetto dell'espropriazione e della dichiarazione del terzo, possa provvedere oltre al creditore pignorante, anche un altro creditore intervenuto «titolato»; 2) che il giudice dell'esecuzione, nel corso dell'udienza fissata per la comparizione delle parti, ove riscontri che il terzo pignorato non ha reso la dichiarazione, prima di rinviare l'udienza per provvedere ai sensi dell'art. 548 comma 2 secondo periodo o contestualmente a tale rinvio, se ritiene che l'indicazione generica dei crediti o delle cose mobili contenuta nel pignoramento non sia sufficiente, per difetto dei «requisiti minimi» a far operare il meccanismo della non contestazione, dovrà invitare i creditori «titolati» ad integrare, con ulteriori allegazioni, le notizie già acquisite; una volta ottenuta l'integrazione, il giudice, se ritiene che quest'ultima sia esaustiva, dispone la convocazione del terzo, preferibilmente avvisandolo, ancora una volta, del fatto che, non comparendo, l'esistenza del credito ovvero il possesso delle cose mobili, si riterrà acclarato alla stregua delle indicazioni del creditore.

In pratica il meccanismo della non contestazione del credito presuppone, che o con l'atto di pignoramento o con la successiva allegazione del creditore identifichi la fonte del credito e ne quantifichi l'importo (in modo tale da permettere al giudice di pronunciare l'ordinanza di assegnazione) e che questa determinazione del credito che si assume vantato dall'esecutato nei confronti del terzo pignorato, sai messa a conoscenza del terzo, in modo tale che possa desumersi che il terzo scientemente non abbia reso la propria dichiarazione.

È da sottolineare che, al pari della indicazione che potrebbe essere contenuta nello stesso atto di pignoramento l'allegazione del creditore, non implica che lo stesso fornisca la prova dell'esistenza e del quantum dovuto dal terzo, a differenza di quanto potrà avvenire ove si aprisse il sub-procedimento di accertamento dell'obbligo del terzo.

Dunque, se a fronte di siffatta allegazione il terzo non compare alla seconda udienza ovvero, pur comparendo, rifiuta di rendere la dichiarazione, il giudice, dato atto che le indicazioni del creditore soddisfano i «requisiti minimi» e considerato che il comportamento concludente del terzo consente di ritenere «non contestati» il credito ovvero il possesso delle cose di proprietà del debitore, procede, pertanto, all'assegnazione o alla vendita.

Diverso è il caso in cui le indicazioni del creditore pignorante contenute nel pignoramento siano generiche e nessuno dei creditori sia stato in grado di integrarle con successive «allegazioni», in questo caso non potrà operare il meccanismo della ficta confessio, che si concreta solo quando l'allegazione del creditore consenta la compiuta identificazione del preteso credito nei confronti del debitor debitoris (Cass. n. 11864/2024)

Al di là di poter ipotizzare di fatto la possibilità di sollecitare la dichiarazione del terzo (specie ove si tratti di enti come l'I.N.P.S. che hanno dei tempi di risposta piuttosto lunghi per evadere le richieste relative agli iscritti nei propri iscritti registri) rinviando se del caso a nuova e successiva udienza, ove non ci sia spazio per poter attendere una tardiva dichiarazione o presenza in udienza, l'impossibilità di individuare il credito da assegnare, porta inevitabilmente ad ipotizzare due scenari: 1) l'avvio del sub-procedimento di accertamento dell'obbligo del terzo ex art. 549 c.p.c.; 2) ove nessuno dei creditori abbia formalizzato l'eventuale richiesta di procedere all'accertamento dell'obbligo del terzo, dovrà dichiararsi l'estinzione del procedimento.

I creditori potranno impugnare, ai sensi dell'art. 617 c.p.c., il provvedimento recante il rigetto dell'istanza di assegnazione o di vendita che il giudice abbia adottato sul presupposto dell'inidoneità del riconoscimento presunto, affermando che l'oggetto del pignoramento era, invece, identificato in modo sufficiente e rendeva possibile il compimento degli atti esecutivi successivi. Allo stesso modo deve ritenersi che possano impugnare l'ordinanza ove ritengano che il giudice abbia ritenuto esistente il riconoscimento implicito in termini inferiori rispetto a quanto dagli stessi ritenuto non contestato.

L'iter testé descritto pone l'ulteriore interrogativo relativo alla possibilità di ammettere la possibilità che la dichiarazione di quantità implicita o presunta possa essere revocata.

Più precisamente, quindi, occorre domandarsi se il terzo possa rendere una dichiarazione espressa che revochi la dichiarazione presunta ovviamente nell'ipotesi in cui il giudice non abbia provveduto sull'assegnazione nella medesima udienza e, comunque, fino all'adozione del provvedimento di assegnazione.

La soluzione a tale quesito deve ritenersi positiva (Vincre, 67), Ciò proprio avendo contezza della natura ontologica del meccanismo di non contestazione, che presuppone l'emissione dell'ordinanza di assegnazione in carenza di una presa di posizione esplicita ad opera del terzo pignorato.

Una lettura costituzionalmente orientata della disciplina deve, infatti, evitare un ulteriore aggravamento della posizione del terzo inerte al quale sembra, perciò, opportuno riconoscere lo stesso potere di revoca attribuito al terzo che ha effettuato la dichiarazione; a opinare differentemente si tratterebbero differentemente due situazioni analoghe.

Conforta tale conclusione anche la circostanza che la disciplina prevista dall'art. 548, comma 3 c.p.c., nella sua nuova formulazione, attribuisce al terzo la facoltà di impugnare l'ordinanza di assegnazione in relazione a vizi del riconoscimento presunto (vedi infra par. 4).

Se, infatti, al terzo è consentito contestare il riconoscimento presunto non si vede per quale ragione non debba essere consentito al terzo di porre nel nulla, revocandola, una dichiarazione di volontà «per fatto concludente» probabilmente inconsapevole (perché conseguenza di un'errata operatività del meccanismo), intervenuta prima dell'ordinanza di assegnazione evitando, in tal modo, che si debba successivamente instaurare il giudizio previsto dall'art. 548 comma 3 c.p.c. (Soldi, 1182).

Ovviamente, deve in ogni caso deve consentirsi al creditore di contestare la dichiarazione esplicita di revoca del riconoscimento implicito innestando il sub-procedimento di accertamento dell'obbligo del terzo (art. 549 c.p.c.) o di impugnare con l'opposizione agli atti esecutivi, il provvedimento del giudice di chiusura del procedimento o di assegnazione delle somme in misura minore rispetto a quanto ne sarebbe derivato dal meccanismo del riconoscimento implicito.

Valenza endoesecutiva, stabilità dell'accertamento e rimedi del terzo

Ai sensi dell'art. 548 c.p.c. il riconoscimento presunto o implicito del credito o del possesso delle cose del debitore ha valenza limitata «ai fini del procedimento in corso e dell'esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione».

Questo implica, prima di tutto che la dichiarazione positiva meramente presunta, ai sensi dell'art. 548 c.p.c., di regola, non può avere alcuna incidenza in altre espropriazioni o in processi di cognizione.

La sola funzione del riconoscimento implicito è dunque quella di rendere possibile l'assegnazione o la vendita nel processo di esecuzione in cui il comportamento del terzo ha consentito di configurare un silenzio-assenso.

Il legislatore ha chiarito inoltre che l'efficacia del riconoscimento presunto si estende anche ai processi esecutivi eventualmente instaurati in virtù dell'ordinanza di assegnazione del credito che su di esso si fonda.

Tale previsione normativa è pienamente conseguenziale alla prima asserzione, infatti non contraddice la valenza esclusivamente endoesecutiva del riconoscimento implicito, ma si limita a ribadire che l'ordinanza di assegnazione emessa in base alla predetta fictio , ovviamente costituisce titolo esecutivo a vantaggio del creditore.

In particolare nel momento in cui, in qualsiasi modalità ed in base a qualsiasi presupposto, venga posta in essere l'ordinanza di assegnazione, la stessa costituisce titolo esecutivo giurisdizionale, i cui vizi vanno fatti valere contro l'ordinanza stessa, ex art. 617, comma 2 c.p.c., senza poter mettere in discussione il contenuto della stessa nel corso della successiva esecuzione forzata, eventualmente cominciata contro il terzo, il quale pertanto resta preclusa la possibilità di far valere l'inesistenza dei presupposti per il riconoscimento del credito (ex multis, tra le più recenti, Cass. n. 11191/2019).

Alla luce di quanto finora detto, dunque il debitor debitoris – che pur resta in prima battuta soggetto terzo rispetto al processo esecutivo, non essendone parte – finisce per essere «vincolato» all'accertamento circa la esistenza e l'ammontare del proprio debito, anche nell'ipotesi in cui il terzo non abbia fornito la prescritta dichiarazione di quantità.

L'art. 548 c.p.c., al comma 2, prevede che: «terzo può impugnare nelle forme e nei termini di cui all'art. 617 [comma 1,] l'ordinanza di assegnazione di crediti adottata a norma del presente articolo, se prova di non averne avuto tempestiva conoscenza per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore».

Il terzo, dunque, resta vincolato alle conseguenze della propria condotta omissiva, in quanto in questo caso gli è data soltanto la possibilità di impugnare il provvedimento di assegnazione (fondato concettualmente sul riconoscimento implicito) laddove provi di non aver avuto conoscenza dello stesso per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore.

Altrimenti detto, al terzo è consentito di rimettere in discussione gli effetti dell'accertamento fondato sul riconoscimento implicito se e solo se dimostri – nell'ambito di una opposizione agli atti esecutivi – di non aver avuto conoscenza del procedimento e degli adempimenti allo stesso correlati per irregolarità della notifica del pignoramento o dell'ordinanza ex art. 548, comma 2, c.p.c. (o per altra causa a lui non imputabile); ovvero, ancora, se dimostri di non aver fornito la dichiarazione (pur essendo a conoscenza dell'esistenza del procedimento) per caso fortuito o forza maggiore.

La dottrina ha posto in luce l'intento sanzionatorio sotteso a tale scelta normativa: il comma 3 dell'art. 548 c.p.c., si è affermato, «mira a sanzionare ulteriormente il terzo per avere omesso di rendere la propria dichiarazione», in quanto «non solo da tale comportamento deriva la non contestazione di quanto affermato dal creditore procedente, con il conseguente riconoscimento, ma tale riconoscimento presunto non può più essere messo in discussione, quando si sia realizzato in un procedimento in cui il terzo avrebbe potuto partecipare attivamente», salvo che la dichiarazione – pur essendo inizialmente mancata – sia resa in un momento anteriore alla ordinanza di assegnazione (Crivelli, ilprocessocivile.com; Saletti, 19).

Il rimedio dato per impugnare l'ordinanza di assegnazione è quello dell'opposizione agli atti esecutivi.

La versione anteriore alle modifiche disposte in parte qua per effetto del d.l. n. 83/2015, che aveva dato luogo a forti perplessità. Infatti, il richiamo (poi soppresso) al comma 1 dell'art. 617 c.p.c. esprimeva – come è stato notato – una posizione meno garantista per il terzo, posto che questi, per impugnare l'ordinanza di assegnazione avrebbe dovuto attendere la notifica dell'atto di precetto, laddove a fronte dell'apertura di una parentesi di cognizione ex art. 549 c.p.c. l'accertamento ivi svolto, che produce effetti (anche) quanto all'esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione, è contestabile nelle forme e nei termini di cui all'art. 617 c.p.c. e, dunque, per il terzo, senza necessità di attendere la notifica dell'atto di precetto da parte del creditore (Soldi, Auletta, 8).

Alla stregua del diritto vigente, invece, è stato omologato il rimedio a disposizione del terzo sia in ipotesi di ordinanza di assegnazione fondata sul riconoscimento implicito del suo debito verso l'esecutato, è – analogamente al caso in cui vi sia stato un accertamento endoesecutivo di tale rapporto – quello dell'opposizione agli atti esecutivi avverso la medesima ordinanza (art. 549 c.p.c.).

Per ciò che concerne l'oggetto dell'opposizione, la formulazione della norma, fa ritenere che non è dato rimettere in discussione l'accertamento fondato sul riconoscimento implicito, se non per le cause indicate dalla norma appena richiamata, ossia ove vi siano stati vizi nel processo formativo del riconoscimento implicito.

Eventuali fatti impeditivi o estintivi della pretesa creditoria venuti in essere successivamente all'ordinanza di assegnazione (ad esempio laddove il terzo intenda portare in compensazione un controcredito vantato verso il creditor creditoris) troveranno invece spazio in sede di opposizione all'esecuzione, e ciò presuppone che: a) all'ordinanza di assegnazione non sia seguito il pagamento da parte del terzo; b) che – in ragione di quanto sopra – il creditore abbia intrapreso una distinta azione esecutiva nei riguardi del terzo (che in questa sede assumerà ovviamente la veste di debitore esecutato (Auletta, 10).

Per ciò che concerne la tempistica di impugnazione, essa, una volta sganciata dalla previa emissione dell'atto di precetto, può essere proposta entro venti giorni dalla conoscenza legale dell'atto, da parte del terzo. Ciò implica che lo stesso ne debba essere stato messo al corrente ove non presente nell'udienza in cui contestualmente sia stata emessa l'ordinanza di assegnazione.

Sul punto la giurisprudenza, ha chiarito che: «in tema di espropriazione forzata presso terzi, il termine per proporre l'opposizione agli atti esecutivi, ex art. 617 c.p.c., avverso l'ordinanza di assegnazione di cui all'art. 553 c.p.c., decorre, per il terzo pignorato, dal momento in cui ha avuto conoscenza legale tramite notificazione da parte del creditore, e non, dalla notificazione dell'atto di precetto, che costituisce il titolo per agire in executivis nei confronti del terzo» (cfr. Cass. n. 25110/2015).

In conclusione, dunque, ove il terzo non renda ex art. 548 c.p.c., alcuna dichiarazione nonostante la sua convocazione ad un'apposita udienza successiva alla prima e se l'allegazione del creditore (nell'atto di pignoramento) consente l'identificazione del credito pignorato, quest'ultimo va inteso come non contestato (ficta confessio) e il giudice dell'esecuzione procede alla sua assegnazione; in tal caso, il provvedimento conclusivo può essere impugnato dal terzo pignorato con l'opposizione ex art. 617 c.p.c. soltanto se prova di non aver avuto tempestiva conoscenza del processo esecutivo per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore (Cass. n. 16234/2022); in difetto i motivi di opposizione saranno ritenuti inammissibili (Cass. III, n. 30090/2021).

Per ciò che concerne, infine, la stabilità dell'ordinanza emessa e non impugnata, la Corte di legittimità ormai è granitica nel ritenere che: «il provvedimento che chiude il procedimento esecutivo, pur non avendo, per la mancanza di contenuto decisorio, efficacia di giudicato, è, tuttavia, caratterizzato da una definitività insita nella chiusura di un procedimento esplicato col rispetto delle forme atte a salvaguardare gli interessi delle parti, incompatibile con qualsiasi sua revocabilità, sussistendo un sistema di garanzie di legalità per la soluzione di eventuali contrasti, all'interno del processo esecutivo, di talché il soggetto espropriato non può esperire, dopo la chiusura del procedimento di esecuzione forzata, l'azione di ripetizione di indebito contro il creditore procedente (o intervenuto) per ottenere la restituzione di quanto costui abbia riscosso, sul presupposto dell'illegittimità per motivi sostanziali dell'esecuzione forzata (Cass. n. 17371/2011).

La liquidazione delle spese a favore del terzo pignorato

La giurisprudenza deve ritenersi che il terzo pignorato che ha reso la dichiarazione di cui all'art. 547 c.p.c. abbia diritto al rimborso delle spese sostenute, indipendentemente dal tenore della sua dichiarazione, e quindi a prescindere dal fatto che essa sia negativa o positiva. Tra tali spese rientrano, comunque, solo quelle corrispondenti agli esborsi e non anche gli oneri sostenuti per l'assistenza di un difensore, atteso che il terzo non è parte del processo e non deve costituirsi ma solo prestare, ove lo ritenga, la propria collaborazione.

Alla liquidazione provvede il giudice dell'esecuzione, sia nel caso in cui a fronte di una dichiarazione positiva si proceda all'assegnazione, sia (opinando in tale modo) anche nel caso in cui, pur essendo stata resa una dichiarazione negativa, essa non venga contestata ed il processo sia estinto.

Nel vigore della precedente disciplina dell'accertamento dell'obbligo del terzo era stata espressa l'opinione che competente alla liquidazione fosse il giudice della cognizione investito dell'accertamento dell'obbligo del terzo dopo aver valutato la veridicità della dichiarazione (Cass. n. 2655/1962).

Già nella vigenza della vecchia disciplina tale tesi non appariva condivisibile (Soldi) atteso che il rimborso delle spese sostenute spetta al terzo per il solo fatto di aver reso la dichiarazione ed indipendentemente dal contenuto di questa, per cui non vi sarebbe stato motivo per affidare tale liquidazione al giudice del giudizio cognitorio.

La nuova regolamentazione dell'istituto che configura l'accertamento dell'obbligo del terzo come un incidente endo-esecutivo affidato al giudice dell'esecuzione ha fatto venir meno il problema interpretativo poiché la liquidazione spetta in ogni caso al giudice dell'esecuzione, competente anche per la decisione sull'accertamento ex art. 548 c.p.c.

L'eventuale «soccombenza» del terzo nel corso di tale procedimento inciderà sulla regolamentazione delle spese relative ad esso mentre le spese per la dichiarazione sono liquidate dallo stesso giudice dell'esecuzione per il solo fatto che la dichiarazione è stata resa.

Per ciò che concerne le spese del giudizio di opposizione agli atti esecutivi, introdotto ai sensi dell'art. 548, comma 3 c.p.c., seguono invece le regole generali e devono essere liquidate dal giudice della cognizione di quel processo.

Secondo la giurisprudenza (Cass. n. 7151/1993 e prima Cass. n. 9407/1987) il provvedimento di liquidazione delle spese sostenute dal terzo può essere assimilato alla liquidazione del compenso per gli ausiliari del giudice, secondo lo schema delineato dagli artt. 52 e 53 disp. att. c.p.c. (in senso difforme Arieta, De Santis, 977, secondo cui il provvedimento andrebbe invece assimilato all'indennità spettante a favore del testimone, intimato e comparso).

Inquadrato in questo modo, il provvedimento di liquidazione va adottato nella forma del decreto e tale decreto ha valore di ingiunzione (ma nulla vieta che venga inglobato nel corpo della ordinanza di assegnazione, pur avendo una diversa natura e destinatario).

Le spese relative alla dichiarazione vanno poste a carico del creditore che, avendo effettuato il pignoramento, ha richiesto la collaborazione del terzo. Trattandosi comunque, di oneri sostenuti nell'interesse del ceto creditorio per cui essi vanno posti a carico dell'attivo in prededuzione (rectius in privilegio ex art. 2770 c.c.) e debbono essere rimborsati direttamente dal creditore solo nell'ipotesi in cui non vi siano somme disponibili.

Rimane il problema di stabilire cosa accada se il giudice dell'esecuzione ometta di provvedere sulla richiesta di liquidazione del terzo. La giurisprudenza a questo proposito ha ritenuto che il terzo possa agire in via ordinaria contro il creditore procedente quando il giudice dell'esecuzione non ritenga di accogliere la sua richiesta.

La giurisprudenza di legittimità, abbracciando questa lettura ha chiarito che il provvedimento negativo del giudice dell'esecuzione non ha, pertanto, natura di provvedimento definitivo sicché non rileva la mancata previsione di un mezzo di gravame, potendo appunto il credito essere fatto valere in via ordinaria contro il creditore, ossia del soggetto che ha richiesto la dichiarazione e che è perciò tenuto, a norma dell'art. 90 c.p.c., a provvedere alle relative spese (Cass. n. 7151/1993).

È di palmare evidenza come, l'attuale modalità di invio della dichiarazione, specialmente quando a mezzo PEC, riduce in maniera drastica le spese sostenute dal terzo e l'onere della dichiarazione stessa, per quest'ultimo.

Bibliografia

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