Legge - 31/05/1995 - n. 218 art. 64 - Riconoscimento di sentenze straniere.

Giuseppe Fiengo

Riconoscimento di sentenze straniere.

1. La sentenza straniera è riconosciuta in Italia senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento quando:

a) il giudice che l'ha pronunciata poteva conoscere della causa secondo i princìpi sulla competenza giurisdizionale propri dell'ordinamento italiano;

b) l'atto introduttivo del giudizio è stato portato a conoscenza del convenuto in conformità a quanto previsto dalla legge del luogo dove si è svolto il processo e non sono stati violati i diritti essenziali della difesa;

c) le parti si sono costituite in giudizio secondo la legge del luogo dove si è svolto il processo o la contumacia è stata dichiarata in conformità a tale legge;

d) essa è passata in giudicato secondo la legge del luogo in cui è stata pronunziata;

e) essa non è contraria ad altra sentenza pronunziata da un giudice italiano passata in giudicato;

f) non pende un processo davanti a un giudice italiano per il medesimo oggetto e fra le stesse parti, che abbia avuto inizio prima del processo straniero;

g) le sue disposizioni non producono effetti contrari all'ordine pubblico.

Inquadramento

Uno dei profili caratterizzanti la riforma del diritto internazionale privato recata dalla l. n. 218/1995 è la disciplina del riconoscimento e dell'efficacia di sentenze ed atti stranieri (cfr. art. 1, l. n. 218/1995) posta al titolo IV.

Tale disciplina si compone di almeno tre momenti.

Mediante l'individuazione delle materie oggetto delle decisioni pronunciate all'estero (della tipologia degli atti emessi all'estero) e delle condizioni ostative al loro riconoscimento, la legge di riforma del diritto internazionale privato provvede, in primis, alla determinazione delle condizioni in presenza delle quali è ammesso il riconoscimento. Sotto tale profilo le disposizioni dettate dalla l. n. 218/1995 sono espressione della maggiore o minore apertura dell'ordinamento rispetto ai valori giuridici stranieri.

Ancora, la disciplina del riconoscimento delle decisioni pronunciate all'estero contempla disposizioni procedurali relative alla sequenza di atti da compiere al fine del riconoscimento.

Infine, la legge determina gli effetti prodotti dal riconoscimento sotto i profili tanto soggettivi, quanto oggettivi.

Il riconoscimento automatico delle sentenze straniere

La disciplina in materia di riconoscimento delle sentenze straniere contenuta all'art. 64, l. n. 218/1995trova applicazione nel caso in cui non siano applicabili norme dell'Unione europea (in precedenza sono state esaminate quelle contenute nei regolamenti UE nn. 1215/2012 e CE 805/2004) o di accordi internazionali in materia di riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale.

La legge di riforma del diritto internazionale privato contempla una disciplina del riconoscimento delle sentenze straniere che, nelle sue linee essenziali, riprende diversi punti della disciplina già introdotta dalla convenzione di Bruxelles del 1968 sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni (Marongiu Buonaiuti, 375 ss.).

L'art. 64 accoglie il principio generale (e fortemente innovativo rispetto alla disciplina previgente – Bariatti, 318 ss.) del riconoscimento automatico delle pronunce rese all'estero in presenza di determinati requisiti. La sentenza o il provvedimento straniero produrranno quindi in Italia i propri effetti tipici nell'ordinamento del foro ove sussistano le condizioni espressamente indicate dal medesimo articolo (Maresca, 1464) e non ricorrano le cause ostative previste sempre dall'art. 64.

Nel rispetto del principio di tendenziale equivalenza del prodotto giurisdizionale straniero a quello italiano, il nostro ordinamento quindi non considera a priori le giurisdizioni straniere meno affidabili della giurisdizione interna, prevedendo la verifica dei requisiti di cui all'art. 64 solo in via eventuale e successiva all'automatico riconoscimento (Turatto, 672).

Viene in questo modo realizzato sia l'obiettivo della uniformità delle soluzioni, sia l'obiettivo della collaborazione internazionale attraverso la coerenza degli ordinamenti (Maresca, 1464).

L'attribuzione di effetti all'atto straniero avviene, con l'art. 64 (analogamente agli artt. 65 e 66) in via normativa e non attraverso una pronuncia costitutiva come accadeva nel caso della delibazione nel vigore dell'art. 796 c.p.c. (Maresca, 1463).

Oggetto del riconoscimento automatico sono le pronunce straniere che, indipendentemente dal nomen iuris adottato, nell'ordinamento di origine e nel nostro rilevano quali atti giurisdizionali, cioè quali atti espressivi dell'autorità giurisdizionale, quali atti conclusivi di un procedimento che, ove instaurato in Italia, si sarebbe concluso con una statuizione avente per oggetto l'accertamento, la costituzione, la modifica o l'estinzione di un diritto soggettivo, di una capacità o di una situazione personale; statuizione adottata da un organo munito di potestà giurisdizionale che, non limitandosi a prendere atto dell'accordo delle parti, ma esprimendo in modo imperativo la volontà della legge, incide su situazioni contrapposte di diritto soggettivo con una statuizione idonea ad acquistare autorità di giudicato (Bariatti, 320-321). Inoltre, secondo quanto risulta dalla relazione ministeriale, deve trattarsi di una decisione adottata «da autorità giudiziaria non italiana o da un organo comune a due o più Stati stranieri che si sia pronunciato fuori del territorio della Repubblica o in territorio italiano da autorità straniere in materie loro riservate o consentite da convenzioni o consuetudini internazionali».

Il riconoscimento non si estende, invece, a decisioni di mero rito, a sentenze di delibazione ed a sentenze non definitive (Bariatti, 321, la quale osserva tuttavia come un limitato effetto possa esser prodotto dalle sentenze straniere che declinano o accertano la giurisdizione; sentenze rilevanti, ai sensi dell'art. 4, comma 3, in relazione all'efficacia della clausola di deroga alla giurisdizione italiana ed ai sensi dell'art. 7 in materia di litispendenza).

Ai sensi dell'art. 64 le sentenze straniere producono – senza necessità di alcun provvedimento – l'effetto di giudicato sostanziale e processuale sia tra le parti, sia rispetto ai giudici italiani, sotto il profilo positivo dell'obbligo di attenersi ad esse e sotto il profilo negato dell'impedimento al formarsi di un giudicato italiano avente il medesimo oggetto (Bariatti, 320).

Cass. I, n. 20382/ 2012 , ha affermato che, ai fini della individuazione della normativa concretamente applicabile onde ottenere la declaratoria di esecutività, in Italia, di una sentenza resa da un giudice di uno Stato comunitario, occorre fare riferimento alla relativa disciplina vigente non al momento della instaurazione, nello Stato membro, del giudizio in cui essa è stata emessa, bensì a quello in cui in cui è stato intrapreso il corrispondente procedimento di riconoscimento di tale pronuncia nello Stato richiestone. La medesima sentenza ha inoltre precisato che, nel rapporto fra le disposizioni di cui alla l. n. 218/1995 ed al regolamento CE n. 44/2001 (oggi, regolamento UE n. 1215/2012), va data prevalenza, nella indicata fattispecie, a quest'ultimo in quanto fonte normativa gerarchicamente sovraordinata, oltre che successiva nel tempo (nella specie, la Suprema Corte, respingendo la proposta impugnazione, ha ritenuto applicabile, ratione temporis, in applicazione del riportato principio, la normativa di cui al menzionato regolamento CE n. 44/01 ad una richiesta di declaratoria di esecutività, in Italia, di una sentenza resa da un giudice tedesco nel novembre 1998, all'esito di un giudizio ivi intrapreso nel gennaio 1989).

Secondo Cass. I, n. 21367/2018, condizione per la proposizione dell'azione di riconoscimento di una sentenza straniera è che il provvedimento, al momento della domanda, sia divenuto definitivo, dovendo, in caso contrario, dichiararsi inammissibile la domanda di delibazione. Ne consegue che non può procedersi al riconoscimento di una sentenza straniera di primo grado, riformata in secondo grado e divenuta esecutiva solo nel corso del giudizio di delibazione, tenendo conto delle modifiche apportate in sede di riforma. Così operando si determina la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, oltre che la compromissione del diritto di difesa sia delle parti private che della parte pubblica la quale, nella specie, aveva espresso il proprio parere in riferimento alla sentenza non definitiva prodotta al momento della domanda.

Cass. I, n. 9483/ 2013 ha osservato che in sede di delibazione di sentenza straniera, il giudice deve valutare gli «effetti» della decisione nel nostro ordinamento e non la correttezza della soluzione adottata alla luce dell'ordinamento straniero o della legge italiana, non essendo consentita un'indagine sul merito del rapporto giuridico dedotto.

I requisiti previsti dall'art. 64: profili generali

L'art. 64 della l. n. 218/1995 elenca i requisiti in presenza dei quali è destinato ad operare il riconoscimento automatico delle sentenze straniere (gli artt. 65 e 66 – sui quali non è possibile in questa sede dilungarsi – contengono una disciplina speciale per quanto riguarda il riconoscimento di provvedimenti stranieri in materia di capacità, esistenza di rapporti di famiglia e diritti della personalità, nonché di provvedimenti di volontaria giurisdizione).

I requisiti necessari ai fini del riconoscimento automatico sono normativamente formulati in positivo anziché in negativo come faceva invece, all'art. 27, la convenzione di Bruxelles del 1968. Ferma la differente formulazione, si è tuttavia osservato che sussiste un certo parallelismo tra la l. n. 218 e la convenzione. In entrambi i testi normativi, infatti, si prevede un sistema di accertamento della sussistenza dei requisiti che avviene, tendenzialmente, in via stragiudiziale tanto che solo il difetto di uno o più di tali requisiti può comportare l'instaurazione di un eventuale giudizio di contestazione nel quale, solo, la sussistenza o il difetto dei motivi ostativi potrà essere oggetto di accertamento giudiziale (Marongiu Buonaiuti, 380).

In dottrina (Bariatti, 322-323) si è osservato che tali requisiti non integrano condizioni dell'azione (come, prima della l. n. 218 prevalentemente si riteneva con riferimento all'ormai abrogato regime della delibazione), ma condizioni di fondatezza della domanda (il cui accertamento costituisce l'oggetto del procedimento). In questo senso, secondo l'autrice da ultimo citata, depongono tanto il fatto che il riconoscimento automatico è svincolato dal necessario esperimento di un'azione (quale che sia la natura della stessa), quanto il fatto che l'art. 67 prevede l'accertamento giudiziale dei requisiti solo in caso di mancato adempimento o di contestazione del riconoscimento.

Nella segnalata prospettiva del parallelismo tra legge n. 218 e convenzione del 1968 si è inoltre osservato come, in entrambi i sistemi, si faccia riferimento a requisiti essenzialmente incentrati sui profili di ordine strutturale dei provvedimenti al fine di evitare un riesame nel merito e, allo stesso tempo, di assicurare il rispetto di garanzie processuali che comportino, nel complesso, «un ragionevole margine di certezza in ordine al conseguimento di una finalità di tutela sostanziale» (Marongiu Buonaiuti, 380).

I requisiti relativi al rispetto dei diritti della difesa.

I requisiti contemplati alle lett. a ), b ) e c ) dell'art. 64 sono relativi al regolare svolgimento del processo con specifico riguardo al rispetto dei diritti della difesa. L'indagine sul rispetto di tali requisiti deve essere svolta caso per caso, attraverso una valutazione complessiva degli elementi in concreto rilevanti. In dottrina si è sostenuto che il requisito del rispetto dei diritti essenziali della difesa non è diretto a verificare il pedissequo rispetto di tutte le norme procedurali dell'ordinamento straniero, ma ad accertare il rispetto degli «elementi essenziali» del diritto di agire e di resistere; rispetto che si deve ritenere sussistente quando comunque emerga che le parti abbiano avuto una sufficiente possibilità di provvedere alla propria difesa (Turatto, 680).

Peraltro, se la lett. b) è sostanzialmente riproduttiva dell'art. 27, n. 2 della convenzione, le lett. a) e c) sono espressione di una maggiore analiticità, rispetto a quella convenzionale, della disciplina nazionale che contempla espressamente anche i requisiti relativi alla competenza giurisdizionale – secondo l'ordinamento italiano – ed alla regolare costituzione in giudizio o dichiarazione di contumacia (Marongiu Buonaiuti, 380).

Più in particolare, con riferimento al requisito previsto alla lett. a ) si è osservato come (secondo quanto già accadeva ai sensi dell'art. 797, n. 1, c.p.c.) esso imponga di effettuare un controllo della competenza internazionale del giudice straniero sulla base dei principi generali (quanto alla esatta portata del rinvio ai principi, v. Turatto, 686 ss.) e non di singole norme del nostro ordinamento (Bariatti, 323). Nello stesso senso si è precisato che la norma è tesa esclusivamente ad imporre una verifica, dal punto di vista dell'ordinamento italiano, dell'esistenza di un collegamento sufficientemente stabile tra la controversia oggetto della decisione straniera ed il giudice che l'ha definita (Turatto, 682 ss.) Collegamento che dovrà essere accertato secondo il c.d. «principio di specularità» mediante applicazione in via speculare o «rifrangente» delle «regole interne sulla competenza internazionale al giudice straniero, per verificare se il giudice straniero sarebbe stato munito di giurisdizione, qualora avesse dovuto applicare la normativa interna in tema di giurisdizione: se la risposta è positiva, significa che sussiste la competenza giurisdizionale c.d. «indiretta» del giudice straniero, secondo i principi dell'ordinamento italiano» (Turatto, 686).

Non rileva, invece, ai sensi dell'art. 64, lett. a) il (non rilevato) difetto di giurisdizione del giudice straniero secondo la propria legge nazionale (D'Alessandro, 88).

La lett. b ) richiede invece un accertamento (più ampio di quello precedentemente previsto all'art. 797, n. 2, c.p.c.) teso a tutelare «nel modo più completo possibile» (Bariatti, 323) i diritti della difesa mediante un controllo della regolarità dell'intero giudizio straniero.

Cass. S.U. , n. 8038/ 2011 , ha osservato che l'art. 64 lett. a ), l. n. 218/1995, richiede che il giudice che abbia pronunciato la sentenza fondi la sua competenza giurisdizionale sugli stessi principi in base ai quali, in casi corrispondenti, il giudice italiano esercita la sua giurisdizione nei confronti dello straniero. Ne consegue che può essere riconosciuta l'efficacia in Italia di una sentenza sull'affidamento di un minore, emessa in Cile, paese di residenza, al momento della domanda, dei due convenuti, (genitore e minore), di cui uno con doppia cittadinanza italiana e cilena (il minore), essendo unico giudice avente competenza giurisdizionale, ai sensi dell'art. 3 della legge richiamata, quello adito (il Tribunale della famiglia di Santiago del Cile), in quanto «poteva conoscere della causa secondo i principi della competenza giurisdizionale propri dell'ordinamento italiano» (art. 64 lett. a) l. n. 218/1995).

Cass. S.U. , n. 21946/2015 , ha ritenuto che in tema di riconoscimento di sentenze straniere, il difetto di «competenza giurisdizionale», secondo i principi propri dell'ordinamento italiano, ex art. 64, comma 1, lett. a), della l. n. 218/1995, non può essere invocato, per la prima volta, davanti al giudice italiano se il vizio, ove tempestivamente dedotto avanti al giudice straniero, ne avrebbe inficiato il giudizio. (Con riferimento al caso concreto la Corte ha ritenuto tempestiva l'eccezione, benché formulata per la prima volta davanti al giudice italiano, negando la sua utile proponibilità, in precedenza, innanzi a quello americano, atteso che la normativa interna statunitense sull'immunità giurisdizionale degli Stati ne escludeva la rilevanza per le richieste risarcitorie derivanti da fatto illecito quando – come nella specie – la relativa domanda fosse stata proposta da un cittadino statunitense e lo Stato convenuto fosse stato designato come sostenitore del terrorismo con atto del Governo statunitense).

Cass. I, n. 17519/ 2015 , ha ritenuto che in materia di riconoscimento di sentenze straniere, il giudice deve verificare se siano stati soddisfatti i principi fondamentali dell'ordinamento, anche relativi al procedimento formativo della decisione, dovendo precisarsi che non può ritenersi integrata una violazione del diritto di difesa in ogni inosservanza di una disposizione della legge processuale straniera a tutela della partecipazione della parte al giudizio, ma solo quando essa, per la sua rilevante incidenza, abbia determinato una lesione del diritto di difesa rispetto all'intero processo, ponendosi in contrasto con l'ordine pubblico processuale riferibile ai principi inviolabili a garanzia del diritto di agire e di resistere in giudizio, e non quando, invece, investa le sole modalità con cui tali diritti sono regolamentati o si esplicano nelle singole fattispecie. Secondo quanto si evince dalla giurisprudenza comunitaria (Corte giustizia CE 2 aprile 2009, causa C-394/2007), infatti, il diritto di difesa può subire una moderata limitazione nel caso in cui il provvedimento sia stato emesso nei confronti di un soggetto che abbia avuto comunque la possibilità di partecipare attivamente al processo, quantomeno nella fase precedente a quella conclusasi con l'emissione del provvedimento.

Con riferimento alla lett. b ) Cass. I, n. 9677/2013 ha ritenuto che l'art. 64 prevede come requisito, tra l'altro, che l'atto introduttivo del giudizio sia portato a conoscenza del convenuto in conformità a quanto previsto dalla legge del luogo in cui si è svolto il processo. A tal fine, ove sia in contestazione il riconoscimento, la corte d'appello non deve applicare pedissequamente i principi in tema di notificazione dettati dalla legge italiana, ma deve verificare se la comunicazione o la notificazione dell'atto introduttivo del giudizio abbiano rispettato le regole previste dal diritto straniero ed abbiano soddisfatto i principi fondamentali dell'ordinamento, in modo tale da non ledere i diritti essenziali della difesa, primo tra tutti quello al contraddittorio. Nello stesso senso, Cass. I, n. 19932/2011 ha affermato che l'art. 64, comma primo, lett. b), della l. n. 218/1995 prevede come requisiti che l'atto introduttivo del giudizio sia portato a conoscenza del convenuto in conformità a quanto previsto dalla legge del luogo in cui si è svolto il processo e che, nell'ambito del giudizio svoltosi dinanzi al giudice straniero, non siano stati violati i diritti essenziali della difesa; ne consegue che, in relazione ad una sentenza emessa da un tribunale albanese, è corretto il rifiuto di riconoscimento in Italia, ove risulti che l'atto introduttivo del giudizio sia stato notificato a persona non identificata o priva di relazione giuridica con l'ente convenuto in giudizio (nella specie, l'Ambasciata italiana in Albania) e che sia stato concesso l'incongruo termine a comparire di soli cinque giorni liberi prima dell'udienza. In senso conforme, Cass. I, n. 3919/2011 ha ritenuto che l'art. 64, comma 1, lett. b), della l. n. 218/1995, prevede come requisitiche l'atto introduttivo del giudizio sia portato a conoscenza del convenuto in conformità a quanto statuito dalla legge del luogo in cui si è svolto il processo e che, nell'ambito del processo svoltosi dinanzi al giudice straniero, non siano stati violati i diritti essenziali della difesa; conseguentemente, in relazione ad una sentenza emessa da un tribunale portoghese, ove il giudice italiano accerti che la notifica dell'atto introduttivo del giudizio sia rituale, non essendo necessaria la traduzione dello stesso in lingua italiana, è da ritenere regolarmente costituito il contraddittorio, anche secondo il diritto portoghese, con conseguente possibilità per la parte di esplicare le proprie difese.

I requisiti previsti alle lett. d ), e ) ed f ).

Il requisito della lett. d ) costituisce una delle maggiori differenze tra la disciplina nazionale e quella convenzionale in materia di riconoscimento delle sentenze straniere. Peraltro, tale requisito (che comporta una non insignificante limitazione del principio del riconoscimento automatico) pone anche alcuni problemi ricostruttivi, poiché la nozione di giudicato, non comune a tutti gli ordinamenti (Marongiu Buonaiuti, 381), dovrà essere individuata alla luce della legge straniera. Non dovrebbero incidere sulla nozione di giudicato rilevante ai fini della norma in esame eventuali mezzi di impugnazione straordinari contemplati nell'ordinamento di provenienza della decisione. Peraltro, in caso di accoglimento dell'impugnazione straordinaria proposta all'estero, deve ritenersi che la sentenza straniera sia – in via automatica – caducata anche per l'ordinamento italiano (beninteso, al concorrere dei requisiti previsti dall'art. 64, l. 218/1995 e, quindi, tra l'altro, in presenza del passaggio in giudicato della sentenza che statuisce sull'impugnazione straordinaria).

Gli obiettivi di uniformità delle soluzioni e di coordinamento tra diversi ordinamenti giuridici che – si è visto – caratterizzano l'art. 64, l. n. 218/1995, precludono la configurabilità di un contrasto tra giudicati. In questo senso viene in rilievo, in primis, il requisito della lett. e ) in relazione al quale si è peraltro osservato che la norma richiede il passaggio in giudicato della sentenza italiana in contrasto con quella (pure passata in giudicato) straniera, ma non precisa se la sentenza italiana deve aver pronunciato sulla stessa lite. In proposito si è ritenuta preferibile la soluzione (già prospettata con riferimento all'art. 797, n. 5, c.p.c. e contemplata dall'art. 27 della convenzione di Bruxelles del 1968) secondo la quale verrebbe in rilievo anche la semplice contrarietà (non anche, tuttavia, la mera difformità) tra la pronuncia straniera e quella italiana in quanto, pur in assenza di identità di petitum, causa petendi e parti, esse abbiano contenuto o effetti incompatibili (Bariatti, 326).

Ancora, l'art. 64, lett. e) nulla prevede espressamente per il caso in cui la sentenza straniera da riconoscere sia in contrasto con una sentenza pronunciata in un altro Stato. In tale ipotesi, sulla base di un requisito non esplicito, si è ritenuta prevalente la sentenza straniera per prima passata in giudicato stante sia la prevalenza della decisone per prima passata in giudicato, sia «perché la considerazione da parte del nostro ordinamento della litispendenza all'estero può operare come criterio interpretativo per dare rilevanza ai giudicati stranieri, che vengono comunque riconosciuti ex art. 64 in ordine di passaggio in giudicato» (Bariatti, 327). Infine, per il caso in cui sia chiesto il riconoscimento di una sentenza straniera passata in giudicato prima di altra sentenza straniera già dichiarata efficace in Italia o di altra sentenza italiana (e le parti non abbiano, in tali ultimi procedimenti, fatto valere il giudicato precedentemente formatosi all'estero), la sentenza per prima passata in giudicato potrebbe produrre effetti in Italia solo dopo l'annullamento del giudicato già operante in Italia (e formatosi successivamente) per effetto dell'accoglimento dell'azione di revocazione ex art. 395, n. 5, c.p.c. (Bariatti, 327-328).

La portata della lett. f ) (che, a differenza della lett. d ), richiede che i due giudizi abbiano medesimo oggetto e parti) deve invece essere precisata avuto riguardo all'art. 7, comma 2, l. n. 218/1995 (che rinvia alla legge dello Stato ove si è svolto il processo) quanto all'accertamento del momento dal quale decorre la pendenza del processo all'estero ai fini del riconoscimento della sentenza straniera (Bariatti, 328).

La contrarietà all'ordine pubblico

La lett. g ) prevede quale elemento ostativo al riconoscimento della sentenza straniera la produzione di effetti contrari all'ordine pubblico.

Nel rinviare a quanto osservato, in linea generale, con riferimento all'ordine pubblico in sede di esame dell'art. 45 del regolamento (UE) n. 1215/2012, è bene qui ribadire che il sindacato relativo a tale requisito non può comportare la violazione del divieto di riesame nel merito (Marongiu Buonaiuti, 380). Si è anche osservato che, rispetto al passato, la formulazione della norma nazionale precisa in modo più chiaro l'oggetto del controllo che viene espressamente limitato ai soli effetti del dispositivo della sentenza straniera (Bariatti, 323). La preclusione del riconoscimento automatico non potrebbe tuttavia realizzarsi per effetto del controllo di alcuni aspetti dello svolgimento del processo all'estero, quali la frode o la collusione nel giudizio straniero, che non si concretino in un contrasto delle disposizioni della sentenza con l'ordine pubblico (Bariatti, 324). Ancora, secondo l'autrice da ultimo citata, in assenza di un'esplicita previsione di legge, l'ordine pubblico non consentirebbe il controllo della legge applicata dal giudice straniero. Non v'è dubbio che la nozione di ordine pubblico sia, sovente, non facilmente determinabile. Mediante tale clausola, infatti, si fa tradizionalmente riferimento a quelli che sono fondamentali principi politici, sociali e giuridici che, in un determinato momento storico, connotano in modo tanto intenso un ordinamento da risultare per quello stesso ordinamento imprescindibili (v. art. 45, regolamento UE n. 1215/2012).

Piuttosto ampia è la casistica relativa all'ordine pubblico. In linea generale Cass. S.U. , n. 12193/2019, ha ritenuto che la compatibilità con l'ordine pubblico, ai sensi dell'art. 64, comma 1, lett. g), della l. n. 218/1995, deve essere valutata non solo alla stregua dei princìpi fondamentali della Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui detti princìpi si sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti e dell'interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale e ordinaria, la cui opera di sintesi e ricomposizione dà forma a quel diritto vivente, dal quale non può prescindersi nella ricostruzione della nozione di ordine pubblico, quale insieme dei valori fondanti dell'ordinamento in un determinato momento storico.

Di recente, Cass. I, n. 8462/2023 ha osservato che l'art. 64, comma 1, lett. g), l. n. 218/1995 non lascia al giudice, investito della verifica della compatibilità con l'ordine pubblico, alcun margine di valutazione sul merito della decisione adottata, «essendogli devoluto solo il controllo estrinseco dell'atto, limitato al “decisum”, cioè al contenuto precettivo della statuizione, sia pure ricostruita alla luce della parte espositiva della motivazione, e ciò in ragione della “ratio” sottesa a tale disciplina, volta a favorire la circolazione delle sentenze straniere che, all'opposto, sarebbe pregiudicata se il giudizio di riconoscimento assumesse i connotati di un riesame di merito».

La Suprema Corte ha in più occasioni escluso che la mancanza della motivazione della sentenza straniera costituisca causa ostativa al riconoscimento invocato. Cass. I, n. 10540/2019 e Cass. I, n. 597/2017 hanno in particolare ritenuto che quando il contraddittorio è stato assicurato e la sentenza è passata in giudicato (tanto da doversi presumere che i fatti e le questioni di diritto posti a fondamento della decisione siano non più discutibili), deve ritenersi che l'obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali non rientri tra i principi inviolabili fissati nel nostro sistema normativo a garanzia del diritto di difesa, sancendo l'art. 111 Cost., un obbligo attinente esclusivamente all'ordinamento interno.

Cass. I, n. 10540/2019 , ha osservato che il procedimento di accertamento dello stato passivo non costituisce l'unica modalità consentita per accertare eventuali ragioni di credito ammesse in una procedura concorsuale. Per tale motivo la citata sentenza ha escluso la contrarietà all'ordine pubblico della sentenza straniera che abbia accertato tale credito al di fuori della cognizione del giudice fallimentare, e ciò sia avuto riguardo alla disciplina nazionale – che conosce più di un caso in cui la decisione sull'esistenza e l'entità del credito sia devoluta alla giurisdizione di altri giudici (ad es. il giudice tributario, quello amministrativo e la Corte dei conti) – sia in relazione alla disciplina europea di cui al regolamento UE n. 848/2015 che – non contenendo alcuna disposizione vincolante per gli Stati membri in tema di verifica dei crediti, e rinviando alla disciplina dello Stato di provenienza – non esprime principi irrinunciabili che impongano a tutela della «par condicio creditorum» necessariamente l'accertamento dei crediti in sede concorsuale.

Cass. S.U. , n. 16601/2017 ha osservato che nel vigente ordinamento, alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subìto la lesione, poiché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile, sicché non è ontologicamente incompatibile con l'ordinamento italiano l'istituto, di origine statunitense, del risarcimento punitivo. Il riconoscimento di una sentenza straniera che contenga una pronuncia di tal genere deve, però, corrispondere alla condizione che essa sia stata resa nell'ordinamento straniero su basi normative che garantiscano la tipicità delle ipotesi di condanna, la prevedibilità della stessa ed i suoi limiti quantitativi, dovendosi avere riguardo, in sede di delibazione, unicamente agli effetti dell'atto straniero ed alla loro compatibilità con l'ordine pubblico.

In più occasioni è stata esclusa la contrarietà all'ordine pubblico della sentenza straniera recante condanna per un debito attinente al gioco d'azzardo legalmente esercitato, atteso che, tanto in ambito nazionale, quanto in ambito comunitario, non esiste un disfavore dell'ordinamento nei confronti del gioco d'azzardo in quanto tale, ove esso non sfugga al controllo degli organismi statuali e non si esponga, pertanto, alle infiltrazioni criminali (Cass. VI-I, n. 12364/2016; Cass. I, n. 16511/2012).

Cass. I, n. 11163/ 2011 , alla luce dei principi costituzionali italiani, espressi dagli art. 10, primo comma e 11 della Costituzione, e dei principi generali del diritto internazionale, in particolare in tema di conformazione dell'immunità giurisdizionale al nuovo ordine internazionale ed europeo, ha escluso che si ponga in contrasto con il rispetto dell'ordine pubblico italiano, richiamato dall'art. 64, comma 1, lett. g), l. n. 218/1995 l'esecuzione in Italia di una sentenza di uno Stato estero con la quale, dichiarata la sussistenza della giurisdizione civile, si è imposto ad un altro Stato estero (nella specie, entrambi aderenti alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e all'Unione europea) di risarcire le vittime (e, per loro, gli eredi) di gravissimi crimini di guerra che hanno negato i loro diritti personali inviolabili fra cui quello alla vita, in quanto tali crimini si concretano nella violazione di valori e di diritti fondamentali, la cui tutela è affidata a norme inderogabili, poste al vertice dell'ordinamento internazionale e prevalenti su ogni altra norma, sia di carattere convenzionale che consuetudinario, e, quindi, anche su quelle in tema di immunità.

Bibliografia

Bariatti, Art. 64, in Pocar, Treves, Carbone, Giardina, Luzzatto, Mosconi, Clerici, Commentario del nuovo diritto internazionale privato, Padova, 1996, 318 ss.; D'Alessandro, Limiti del sindacato della S.C. in ordine alla sussistenza della «competenza indiretta» del giudice straniero ex art. 64, lett. a), l. 218/95, in Int'l Lis, 2003; Maresca, Artt. 64-68, in Bariatti (a cura di), in Nuove leggi civ. comm., 1996, 1460 ss.; Marongiu Buonaiuti, Il riconoscimento e l'esecuzione, Riv. dir. int. priv. proc., 1998, 375 ss.; Turatto, Problemi interpretativi sul riconoscimento delle sentenze straniere, Riv. trim. dir. e proc. civ. 2005, 671 ss.

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