Legge - 31/05/1995 - n. 218 art. 68 - Attuazione ed esecuzione di atti pubblici ricevuti all'estero.

Giuseppe Fiengo

Attuazione ed esecuzione di atti pubblici ricevuti all'estero.

1. Le norme di cui all'articolo 67 si applicano anche rispetto all'attuazione e all'esecuzione forzata in Italia di atti pubblici ricevuti in uno Stato estero e ivi muniti di forza esecutiva.

Inquadramento

Il riconoscimento delle decisioni rese all'estero (v. art. 64, l. n. 218/1995) consente alla decisione pronunciata in uno Stato di produrre effetti nel (diverso) Stato in cui è invocata. Esso è «fenomeno normativo» che si realizza esclusivamente in chiave statica «e quindi nei casi in cui nel processo si tratti unicamente di prendere atto delle decisioni straniere e del suo prodursi dei loro effetti nel foro» (Maresca, 1462).

Come si è visto, concorrendo i requisiti dell'art. 64, il riconoscimento della sentenza straniera è automatico e, in linea di principio, non richiede una pronuncia del giudice nazionale. Può tuttavia accadere che il riconoscimento della sentenza straniera sia contestato dalla parte interessata o di fatto contrastato mediante l'inottemperanza al dictum del giudice straniero.

In tali casi, così come ove si intenda procedere ad esecuzione forzata, ai sensi dell'art. 67 chiunque vi abbia interesse può chiedere all'autorità giudiziaria ordinaria l'accertamento dei requisiti del riconoscimento; accertamento che, pertanto, è solo eventuale (essendo destinato a venire in essere, si ribadisce, solo in caso di mancata ottemperanza, di contestazione del riconoscimento della sentenza straniera od ove si intenda procedere ad esecuzione forzata).

La natura del giudizio ex art. 67, l. n. 18/1995

Come già osservato, il procedimento regolato all'art. 67, l. n. 218/1995 è solo eventuale. Esso, infatti, andrà instaurato in caso di mancata ottemperanza, di contestazione del riconoscimento della sentenza straniera o di esecuzione forzata.

Nel tentativo di distinguere le contrapposte ipotesi di ottemperanza ed esecuzione forzata, in dottrina si è ritenuto che per esecuzione forzata l'art. 67 intenda l'esecuzione in senso stretto del libro III del codice di procedura civile, mentre per ottemperanza potrebbero intendersi le forme di esecuzione non forzata (si pensi, ad esempio, alla divulgazione della sentenza che particolare rilievo ha in materia di concorrenza), i casi di attuazione di obbligazioni infungibili ed i casi di applicazione di mezzi di coazione indiretta (Carpi, 1132).

A differenza di quanto accadeva nel sistema antecedente la l. n. 218/1995, il provvedimento giurisdizionale italiano contemplato dall'art. 67 non ha più natura di provvedimento (rectius, sentenza) di accertamento costitutivo (idoneo ad attribuire efficacia interna alla sentenza straniera previo positivo accertamento della sussistenza delle condizioni di legge). La decisione italiana, quindi, non è una condicio iuris per la manifestazione degli effetti della sentenza straniera la quale ultima gode in realtà nell'ordinamento italiano di una efficacia (a seconda dei casi, derivante dagli artt. 64, 65 e 66) preesistente alla sentenza resa ai sensi dell'art. 67 (Bariatti, 339).

In dottrina si è sottolineato che il provvedimento reso ai sensi dell'art. 67 ha natura di mero accertamento, ferma la possibilità di compiere alcune precisazioni a seconda dei casi concretamente verificabili (Bariatti, 339 ss.). In particolare, ove sia richiesta la dichiarazione della sussistenza dei requisiti contemplati dall'art. 64 (come sopra precisato non è in questa sede possibile esaminare anche gli artt. 65 e 66 – per i quali, pure, vale comunque quando di seguito si dirà), dovrà ritenersi proposta un'azione di mero accertamento (avente ad oggetto la vigenza, in Italia, del regolamento giudiziario risultante dal giudicato estero). Tale azione non risulta sottoposta a limiti temporali né con riferimento alla prescrizione (Bariatti, 339; Maresca, 1484 il quale ultimo indica, a conferma di tale conclusione, anche il fatto che l'esperimento di tale azione presuppone la contestazione, la non ottemperanza del giudicato straniero o la necessità di garantirne l'attuazione o l'esecuzione), né con riferimento alla decadenza (operante solo nei casi espressamente previsti dalla legge).

Altrettanto è a dirsi per il caso di azione tesa all'accertamento negativo della sussistenza dei requisiti previsti dall'art. 64. In dottrina (Bariatti, 340) si è peraltro svolta una precisazione quanto alla portata del giudicato italiano nel caso di accertamento positivo o negativo dei requisiti ex art. 64. Infatti, in caso di accertamento positivo la sentenza straniera cesserà di produrre effetti in Italia (cessazione che potrebbe essere eventualmente dichiarata con apposito giudizio o, comunque, esser fatta valere in sede di opposizione all'esecuzione); in caso di dichiarazione – da parte del giudice italiano – che la sentenza straniera non può produrre effetti in Italia per mancanza dei requisiti dell'art. 64 non necessariamente sarebbe invece impedita la successiva riproposizione della domanda (si pensi, ad esempio, al caso in cui il giudice italiano declini la giurisdizione nel procedimento di cui all'art. 64, lett. f) o al caso della revoca della sentenza italiana passata in giudicato – art. 64, lett. e).

Infine, la natura dichiarativa dell'azione non muta nel caso in cui sia richiesta l'esecuzione della sentenza.

Anche in questo caso, l'eventuale prescrizione del diritto azionato innanzi al giudice straniero (prescrizione «soggetta alla legge regolatrice del diritto stesso a causa della sua prevalente valenza sostanziale»), non rientrando tra i requisiti previsti dall'art. 64, non potrà essere esaminata nel procedimento per la dichiarazione di attuazione da instaurare innanzi alla Corte di appello, ma dovrà essere eccepita in sede di opposizione all'esecuzione. In tale sede sarà possibile anche far valere la prescrizione dell'actio iudicati in base alla legge dello Stato di origine del provvedimento (Bariatti, 342).

Anche sulla base dell'art. 67, l. n. 218/95 («che ha configurato un giudizio di delibazione a soli fini esecutivi»), Cass. n. 15023/23, ha ritenuto di dover aderire alla teoria per la quale quello di riconoscimento dell'efficacia delle sentenze straniere è un giudizio nel quale la decisione straniera è l'unica decisione statuente sulla causa di merito. Ne consegue, secondo quanto si legge in tale sentenza, che il rapporto sostanziale è «deciso solo dalla sentenza straniera a cui andrebbero attribuiti gli effetti giuridici, in funzione esecutiva, di formazione del giudicato e di prescrizione, mentre l'accertamento del giudice italiano, nel rimuovere un ostacolo all'efficacia della sentenza straniera (o, secondo le diverse elaborazioni, nell'integrare una condicio iuris dell'efficacia medesima), costituirebbe un controllo di natura pubblicistica avente natura di atto di giurisdizione oggettiva». Ancora, per effetto di una simile teoria «la richiesta di delibazione, quale istanza non concretante una vera e propria azione giudiziale, potrebbe essere formulata in qualsiasi momento e non sarebbe soggetta a termini prescrizionali» e non ha efficacia interruttiva della prescrizione del diritto sostanziale «poiché la domanda medesima non tenderebbe a far valere quel diritto, già accertato in via esclusiva dal giudicato straniero; al contrario, la prescrizione potrebbe reputarsi interrotta solo dalla successiva azione esecutiva, volta a porre in esecuzione quel giudicato».

Secondo Cass. S.U., n. 9006/2021, in sede di riconoscimento dell'efficacia del provvedimento giurisdizionale estero ex art. 67 della l. n. 218/1995, la verifica della compatibilità con i principi di ordine pubblico internazionale deve riguardare esclusivamente gli effetti che l'atto è destinato a produrre nel nostro ordinamento e non anche la conformità alla legge interna di quella straniera posta a base della decisione, né è consentito alcun sindacato sulla correttezza giuridica della soluzione adottata, essendo escluso il controllo contenutistico sul provvedimento di cui si chiede il riconoscimento.

Cass. I, n. 13662/2004 ha affermato che in caso di contestazione del riconoscimento della sentenza straniera, ai sensi dell'art. 67 della l. n. 218/1995, l'indagine relativa alla sussistenza dei requisiti del riconoscimento deve essere compiuta dal giudice anche d'ufficio (a prescindere, cioè, dai termini in cui la richiesta sia stata formulata dalla parte richiedente), ancorché tale indagine incontri i limiti delle risultanze processuali, restando a carico della parte che abbia chiesto il riconoscimento il mancato riscontro delle prescritte condizioni.

Cass. I, n. 11198/2018 , ha ritenuto che l'azione tesa al riconoscimento in Italia di atti pubblici rogati all'estero non è soggetta a prescrizione, trattandosi di un'azione autonoma tendente ad una pronunzia ad effetti meramente processuali, che non assume alcuna efficacia costitutiva, limitandosi ad accertare l'esistenza dei requisiti per procedere ad esecuzione forzata ai sensi dell'art 68 della l. n. 218/1995, fermo restando il diritto di ogni interessato a far valere gli eventuali vizi del titolo negoziale, opponendosi all'esecuzione forzata nelle forme consentite dall'ordinamento italiano.

Profili procedurali

La legittimazione a richiedere la pronuncia dichiarativa della sussistenza dei requisiti per il riconoscimento della decisione straniera è attribuita a «chiunque vi abbia interesse» (precedentemente la legittimazione era invece – prevalentemente – attribuita alle sole parti del giudizio svoltosi all'estero).

Avuto riguardo alla segnalata natura di mero accertamento dell'azione proposta ai sensi dell'art. 67, si è ritenuto che l'interesse ad agire (che potrebbe essere anche indiretto) potrà ravvisarsi anche a fronte della semplice affermazione della contestazione o della pretesa (Bariatti, 342).

Con riferimento al rito, fermo quanto si dirà per effetto del d.lgs. n. 149/2022, la nota lacuna dell'art. 67 in ordine alla delineazione del giudizio di riconoscimento delle sentenze straniere (Consolo, 515; Turatto, 679) aveva indotto a ritenere, in assenza di espressa deroga, applicabili le norme relative al processo di cognizione ordinario. Il d.lgs. n. 150/2011 ha invece espressamente previsto la trattazione dei giudizi ex art. 67 con il rito sommario di cognizione cui la relazione illustrativa al medesimo decreto guarda come ad una disciplina processuale adatta a giudizi connotati «da thema probandum semplice, cui consegue un'attività istruttoria breve, a prescindere dalla natura delle situazioni giuridiche soggettive coinvolte o delle questioni da trattare e decidere». Una simile scelta è stata definita come innovativa sotto il profilo formale, ma non eccentrica (Consolo, 517), in quanto in realtà conforme alle già ben affermatesi caratteristiche della massima parte dei giudizi instaurati ai sensi dell'art. 67; giudizi quasi sempre documentali e poco aperti all'acquisizione di prove costituende, salvo sporadiche necessità di interpello di esperti di diritto straniero ai sensi dell'art. 14 della medesima l. n. 218/1995 (Consolo, 517). La scelta del rito sommario è apparsa inoltre sintonica con il principio di automaticità del riconoscimento degli atti giurisdizionali stranieri accolto dalla l. n. 218/1995 (Consolo, 518). La sommarietà del rito, non può tuttavia esser rapportata all'attività cognitoria della Corte di appello (attività sotto questo profilo assimilabile a quella del rito ordinario di cognizione e del rito del lavoro), essendo gli effetti dell'ordinanza pronunciata ai sensi degli artt. 702-bis ss. c.p.c. quelli tipici delle sentenze.

Semplificate e duttili sono, invece, le forme del procedimento e dell'istruttoria stante anche la discrezionalità attribuita al giudice per tale fase (Consolo, 518). Nella massima parte dei casi, pertanto, la causa potrà essere immediatamente assunta in decisione. Resterebbe tuttavia ferma, secondo l'autore da ultimo citato (518-519), la possibilità, per il giudice, di ritenere necessario, avuto riguardo alle peculiarità del caso concreto, il ricorso a talune formalità tipiche del rito ordinario (la concessione, su richiesta di almeno una parte, dei termini previsti dall'art. 183, comma 6, c.p.c. o la concessione dei termini per il deposito degli scritti conclusionali), ferma la possibilità di conversione del rito (art. 3, comma 1, d.lgs. n. 150/2011).

La domanda, sino al 28 febbraio 2023, doveva essere proposta con ricorso innanzi alla Corte di appello (giudice funzionalmente competente) «del luogo di attuazione». La formula tralatizia utilizzata dall'art. 67 risulta analoga a quella già utilizzata dall'art. 796 c.p.c. ed è stata intesa (Bariatti, 342) come relativa al luogo ove devono prodursi gli effetti del provvedimento straniero, ovvero (per il caso in cui non sia possibile individuare un luogo specifico in Italia – perché, ad esempio, sia richiesta solo la conferma dell'efficacia di giudicato) agli ordinari criteri di competenza territoriale con la possibilità di individuare la competenza concorrente di più giudici nel caso di provvedimento straniero eseguibile in più luoghi. Altro autore ha fatto invece riferimento ai criteri di competenza territoriale tout court, ritenendo quindi competente la Corte di appello nel cui distretto il convenuto abbia la residenza, la sede o il domicilio (artt. 18 e 19 c.p.c.) o, residualmente, per il caso in cui il convenuto non abbia in Italia residenza, domicilio o dimora, il forum actoris ai sensi del capoverso dell'art. 18 c.p.c. (Consolo, 520 il quale osserva come sia stato ritenuto rilevante anche il luogo in cui la sentenza straniera debba essere trascritta o iscritta in pubblici registri).

Quanto al convenuto, questi, nella comparsa di costituzione (art. 702-bis, comma 4, c.p.c.) potrà eccepire l'esistenza di motivi ostativi al riconoscimento della sentenza straniera (spettando al ricorrente la prova della sussistenza dei requisiti previsti dall'art. 64, l. n. 218/1995), mentre dovranno ritenersi inammissibili (in quanto esulanti dal circoscritto oggetto del giudizio di riconoscimento) le eccezioni «di merito» fondate sul rapporto sostanziale oggetto del giudicato straniero e tese a far valere l'attuale inesistenza del diritto accertato. Ancora, inammissibili dovrebbero ritenersi le domande riconvenzionali e le domande cumulate, considerata anche la deroga al doppio grado di giurisdizione derivante dalla competenza funzionale della Corte di appello. Per i medesimi motivi si sono ritenuti inapplicabili i commi quarto e quinto dell'art. 702-ter c.p.c. (Consolo, 519-520).

Rilievo limitato alla sola statuizione sulle spese dovrebbe invece avere – con riferimento al giudizio qui in esame – la previsione dell'art. 702-ter, comma 6, c.p.c. relativa alla immediata efficacia esecutiva dell'ordinanza che definisce il giudizio nel merito. Tanto in considerazione della natura dichiarativa dell'ordinanza in esame. Ciò significa, tra l'altro, che il creditore potrà compiere atti esecutivi sulla base della sentenza straniera solo una volta che il provvedimento reso all'esito del giudizioexart. 67, l. n. 218/1995 sia passato in giudicato, ferma la possibilità per il creditore di richiedere, medio tempore , provvedimenti conservativi.

Quello appena descritto è il rito in vigore per le domande proposte sino al 28 febbraio 2023. Il d.lgs. n. 149/2022 ha, infatti, all'art. 3, comma 48, abrogato la disciplina del procedimento sommario di cognizione, introducendo (a partire dall'art. 281-decies c.p.c., il procedimento semplificato di cognizione. Tale procedimento dovrebbe trovare applicazione quanto ai giudizi ex art. 67, l. n. 218/1995 atteso che qualsiasi riferimento contenuto dal d. lgs. n. 150/2011 al rito sommario di cognizione deve ormai intendersi effettuato al procedimento semplificato di cognizione (Farina, 67).

Infine, va segnalato che, secondo quanto già previsto dall'art. 797, comma 2, c.p.c., i due provvedimenti (quello italiano e quello straniero) «concorrono a formare il titolo per l'attuazione o l'esecuzione forzata» (Bariatti, 343).

Secondo Cass. I, n. 21233/2021 l'azione di accertamento negativo dei presupposti per l'attuazione di una sentenza straniera è soggetta al rito sommario previsto dall'art. 30, d.lgs. n. 150/2011 (richiamato dall'art. 67, comma 2, l. 218/1995) anche quando si tratta di decisioni provenienti da Stati appartenenti all'Unione europea, atteso che la disciplina contenuta nel regolamento (CE) n. 44/2001 (applicabile ”ratione temporis”) si applica solo alle azioni proposte al fine del riconoscimento dell'efficacia nell'ordinamento interno delle medesime decisioni.

Cass. I, n. 220/ 2013 ha osservato che l'art. 31 della Convenzione di Lugano del 16 settembre 1988 (ratificata e resa esecutiva in Italia con l. n. 198/1992) il quale prevede la legittimazione «della parte interessata» a richiedere l'exequatur di una sentenza straniera, va interpretato nel senso che «parte interessata» non è soltanto una delle parti del processo che ha dato luogo alla sentenza da eseguire, ma anche il cessionario del diritto accertato con la medesima decisione, in considerazione anche del fatto che l'art. 67 della l. n. 218/1995 riconosce tale legittimazione «a chiunque vi abbia interesse».

Come precisato da Cass. S.U. , n. 27338/2008, l'interesse ad agire per l'accertamento dei requisiti del riconoscimento di sentenza straniera, ai sensi dell'art. 67 della l. n. 218/1995, sussiste tutte le volte in cui, in concreto, ricorra almeno uno dei presupposti di cui al comma 1 di tale norma, e cioè la mancata ottemperanza alla sentenza straniera, o la contestazione del suo riconoscimento, o la necessità di procedere ad esecuzione forzata (Nella specie, è stata cassata con rinvio la sentenza della Corte d'appello che aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano, reputando carente l'interesse all'azione per l'assenza di elementi atti a comprovare la presenza di beni in Italia che consentissero di valutare come possibile l'esecuzione). In senso conforme, Cass. I, n. 16991/2007.

Sempre Cass. S.U., n. 27338/2008 ha inoltre affermato che nel giudizio di riconoscimento di sentenze straniere in Italia ai sensi dell'art. 67 della l. n. 218/1995 quando si renda necessario procedere ad esecuzione forzata per la loro attuazione, sussiste la giurisdizione del giudice italiano anche se all'attualità manchino in Italia beni da sottoporre all'esecuzione. La Corte d'appello, attesa la natura ed i limiti di tale giudizio, deve limitarsi ad accertare, al fine di pronunciare il riconoscimento, la sussistenza dei soli requisiti per il riconoscimento automatico di cui all'art. 64 della legge citata (Nella specie, è stata cassata con rinvio la sentenza della Corte d'appello la quale aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano reputando insufficiente la allegazione delle parti attrici riguardante l'intenzione di eseguire la sentenza in Italia, in assenza della indicazione dei beni sui quali doveva essere effettuata l'esecuzione). In senso conforme, Cass. S.U., n. 22663/2006.

Secondo Cass. n. 12473/2018 in tema di procedimento sommario di cognizione, ex art. 702-bis c.p.c., (richiamato dall'art. 30 del d.lgs. n. 150/2011), che disciplina il giudizio di delibazione delle sentenze straniere, è legittimo, e non costituisce una rimessione in termine, benché sollecitato dal ricorrente, il provvedimento con cui il giudice, accortosi di aver fissato un termine eccessivamente breve per la notificazione alla controparte del ricorso e del decreto, differisce la data della prima udienza, così di fatto prorogando sia il termine ordinatorio originariamente concesso per la notifica del ricorso e del decreto, sia quello per la costituzione del convenuto. (Nella fattispecie, la S.C. ha escluso la ricorrenza di una illegittima rimessione in termine del ricorrente, in conseguenza del provvedimento con cui il presidente della corte di appello, accortosi, su sollecitazione di parte, che il termine concesso per la notifica del ricorso e del decreto coincideva con il giorno in cui il provvedimento di fissazione dell'udienza era stato comunicato telematicamente al ricorrente, aveva differito l'udienza per riconoscere a quest'ultimo un tempo ragionevole entro cui notificare alla controparte il ricorso con il decreto). Cass. S.U. , n. 22663/2006, ha affermato che nei giudizi di riconoscimento di sentenze straniere, a norma dell'art. 67 della l. n. 218/1995non sono ammissibili – data la natura speciale della prevista competenza in unico grado della corte d'appello, che deroga alla regola del doppio grado di giurisdizione, e attesi i limiti propri di tali giudizi – domande cumulate di natura diversa da quella del mero accertamento dei requisiti per il riconoscimento della sentenza.

L'attuazione e l'esecuzione degli atti pubblici ricevuti all'estero

L'attuazione e l'esecuzione degli atti pubblici ricevuti all'estero avviene secondo le medesime modalità previste dall'art. 67, l. n. 218/1995 (art. 68) e, nella sostanza, secondo le medesime modalità già previste nel precedente regime (Bariatti, 348).

In dottrina si è precisato che gli atti pubblici ricevuti all'estero cui fa riferimento l'art. 68 sono quelli in Italia riconducibili all'art. 2699 c.c. (Maresca, 1485), ricevuti all'estero da pubblici ufficiali stranieri o, in Italia, da consoli stranieri (Bariatti, 348) e muniti di efficacia esecutiva (Maresca, 1485). La qualità di pubblico ufficiale della persona che ha ricevuto l'atto, nonché la sua competenza e la regolarità delle forme utilizzate devono essere valutate alla luce della legge dello Stato straniero dal quale l'atto proviene, ferma la precisazione della relazione ministeriale secondo la quale sono considerati atti pubblici ai sensi dell'art. 68 la promessa di pagamento, le rinunce all'azione, il riconoscimento della fondatezza della domanda e gli atti di conciliazione ricevuti da giudici stranieri, cancellieri e autorità amministrative.

Il procedimento disciplinato all'art. 67 dovrà trovare applicazione anche nel caso in cui si intenda annotare o iscrivere l'atto in un pubblico registro (Maresca, 1485).

Bibliografia

Bariatti, Art. 67, in Pocar, Treves, Carbone, Giardina, Luzzatto, Mosconi, Clerici, Commentario del nuovo diritto internazionale privato, Padova, 1996, 318 ss.; Carpi, Dal riconoscimento delle decisioni all'esecuzione automatica, in Riv. dir. proc., 2005, 4, 1127 ss.; Consolo, il nuovo rito sommario (a cognizione piena) per il giudizio di accertamento dell'efficacia delle sentenze straniere, in Riv. dir. int. priv. proc., 2012, 513 ss.; Maresca; Artt. 64-68, in Bariatti (a cura di), in Nuove leggi civ. comm. 1996, 1460 ss.; Turatto, Problemi interpretativi sul riconoscimento delle sentenze straniere, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2005, 671 ss.

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