Codice di Procedura Civile art. 602 - Modo dell'espropriazione.

Emanuela Musi

Modo dell'espropriazione.

[I].Quando oggetto dell'espropriazione è un bene gravato da pegno [2784 ss. c.c.] o da ipoteca [2808 ss. c.c.] per un debito altrui [2858 ss., 2868 ss., 2910 2 c.c.], oppure un bene la cui alienazione da parte del debitore è stata revocata per frode [2901 c.c.], si applicano le disposizioni contenute nei capi precedenti, in quanto non siano modificate dagli articoli che seguono.

Inquadramento

L'art. 2910 c.c., al comma 1, stabilisce che il creditore può far espropriare i beni del debitore, secondo le regole del c.p.c. Per comprendere cosa debba intendersi per «beni del debitore», occorre necessariamente far riferimento (anche) all'art. 2740 c.c., che sancisce il principio della responsabilità patrimoniale, in forza del quale il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. In dottrina, si afferma che, mentre l'art. 2740 c.c., nel prevedere una garanzia patrimoniale generica, rende i beni del debitore assoggettabili ad esecuzione, l'art. 2910, invece, li collochi in una vera e propria situazione di «assoggettamento», tal che, se assoggettabile a espropriazione è l'intero patrimonio del debitore, senza alcuna limitazione né temporale né oggettiva, possono essere assoggettati all'espropriazione solo beni specificatamente individuati, che facciano parte del patrimonio del debitore al momento dell'inizio del procedimento esecutivo (Busnelli, in Bigliazzi Geri, Busnelli, Ferrucci, 1980, 258). L'individuazione dei beni specifici che sono sottoposti ad espropriazione avviene tramite il pignoramento, regolato in generale dall'art. 492 c.p.c., mercé la serie di atti che lo contraddistinguono, cosicché i beni del debitore, da generico e potenziale oggetto della garanzia, diventano, effettivamente ed attualmente, sottoposti alla sanzione espropriativa (Bonsignori, 2000, 5). In altre parole, l'espropriazione forzata ha la funzione di convertire mediante la vendita coatta i beni – strumento del debitore in beni – fine (somme di denaro), per la realizzazione dell'interesse economico-giuridico del creditore (Chiovenda, 1935, rist. 1960, I, 245).

Il comma 2 della norma in esame stabilisce che possono essere assoggettati all'esecuzione, a determinate condizioni, anche beni che appartengono a terzi. Come è stato sottolineato, c'è perfetta corrispondenza tra la norma da ultimo citata e quella di cui all'art. 602 c.p.c., dal momento che ambedue forniscono i presupposti in presenza dei quali il creditore può richiedere l'espropriazione di beni non appartenenti al patrimonio del debitore, al fine di ottenere soddisfazione dalla loro vendita coattiva (Luiso, 2017, 208).

Si è al cospetto di fattispecie particolari, in cui il terzo subisce, per debiti altrui, l'espropriazione di beni propri secondo regole ad hoc che il codice di rito detta per garantire la posizione del soggetto passivo dell'espropriazione ed accomunate dalla caratteristica che l'espropriazione forzata si compie sempre contro il terzo e mai contro il debitore (Busnelli, cit. 260). Il coinvolgimento del terzo nella espropriazione forzata è una diretta conseguenza della deroga alla perfetta coincidenza soggettiva (parti del rapporto obbligatorio – parti dell'espropriazione forzata) e oggettiva (titolarità del bene – strumento oggetto dell'obbligazione – titolarità del bene – strumento oggetto dell'espropriazione forzata che si trasforma in bene – fine oggetto dell'esecuzione) sussistente nel caso di espropriazione nei confronti del debitore (v. Miccolis, 1998, 9).

In primis ed ante omnia, va evidenziato come le ipotesi di cui occorre occuparsi debbano essere tenute distinte dalle fattispecie in cui un terzo sia titolare di una situazione giuridica connessa, per oggetto, al processo instaurato nei confronti di altri, nelle quali, dunque, la «connessione» dipenda da un'erronea individuazione dell'oggetto del processo di espropriazione ovvero dalla sussistenza di una relazione con l'obbligato (successione ex art. 477 c.p.c., vincolo di solidarietà e così via – così Vaccarella, 1986, 409). La distinzione a farsi è, dunque, tra i terzi illegittimamente pregiudicati dall'espropriazione forzata ed i terzi, i quali, invece, non possono impedire che il creditore, per ottenere il bene – fine oggetto dell'obbligazione, aggredisca un loro bene – strumento. Per il terzo illegittimamente coinvolto nella espropriazione, si rinvia ai commenti agli artt. 615 e 619 c.c.

Ad accomunare le varie fattispecie vi è, in particolare, la ricorrenza di un fenomeno di scissione fra debito e responsabilità, sebbene limitato ad alcuni beni, esattamente individuati, del patrimonio del terzo, diversamente da quanto accade per la responsabilità patrimoniale generale di cui all'art. 2740 c.c. [sul punto, cfr. Cass. n. 18790/2019 secondo la quale «da una parte esiste il debito, cioè il dovere di adempimento cui corrisponde il credito (per il quale risponde l'intero patrimonio del debitore ai sensi dell'art. 2740 c.c.), dall'altra, vi è la responsabilità, cioè lo «stato di assoggettamento» di beni determinati del responsabile non debitore che si concretizza a seguito dell'inadempimento dell'obbligato e consente al creditore l'azione esecutiva su tali beni specifici, estranei al patrimonio dello stesso debitore inadempiente»)] Al contempo, la legge non opera alcuna distinzione tra il terzo proprietario che abbia concesso una ipoteca o abbia dato in pegno un bene a garanzia di un debito altrui ed il terzo che abbia acquistato un bene già ipotecato o dato in pegno a garanzia di un debito altrui: il terzo datore di ipoteca, infatti, non assume la veste di debitore, ma si limita a destinare il suo immobile al soddisfacimento del credito per il caso di inadempimento, restando assoggettato, così come gli eventuali acquirenti del bene medesimo, all'azione esecutiva del creditore (in tal senso v. Cass. n. 1724/1980; in dottrina, Soldi, 2020, 1711-1712).

Ciò posto, solo il soggetto che sia effettivamente «terzo proprietario» potrà divenire parte del processo di espropriazione intrapreso nelle forme di cui agli artt. 602-604 c.p.c.; per converso, colui cui sia stato notificato il pignoramento immobiliare, che non sia proprietario dell'immobile sul quale è caduto il pignoramento, non sarà legittimato a proporre opposizione agli atti esecutivi, per far valere l'irregolarità del procedimento esecutivo, atteso che, a norma dell'art. 617 c.p.c., solo il debitore ed il terzo assoggettato all'esecuzione, in quanto proprietari dei beni staggiti, hanno interesse al corretto svolgimento del processo di esecuzione intrapreso nei loro confronti, mentre né il generico interesse a non essere esposto alla pubblicità di un procedimento esecutivo, né l'interesse a segnalare l'instaurazione di procedimenti esecutivi anomali configurano l'interesse ad agire, quale si ricava dall'art. 100 c.p.c. [Cass. n. 4282/1994 secondo cui «il soggetto cui sia stato notificato il pignoramento immobiliare, ancorché non sia proprietario dell'immobile sul quale è caduto il pignoramento, non è legittimato a proporre opposizione agli atti esecutivi, per far valere l'irregolarità del procedimento esecutivo, atteso che, a norma dell'art. 617 c.p.c., solo il debitore ed il terzo assoggettato all'esecuzione, in quanto proprietari dei beni staggiti (art. 2910 c.c.), hanno interesse al corretto svolgimento del processo di esecuzione che si svolge nei loro confronti, mentre né il generico interesse a non essere esposto alla pubblicità di un procedimento esecutivo, nell'interesse a segnalare l'instaurazione di procedimenti esecutivi anomali configurano l'interesse ad agire, quale si ricava dall'art. 100 del codice di rito»].

Profili generali

Se da un lato, la estraneità del terzo espropriando al rapporto obbligatorio presupposto fa sì che egli resti immune alla aggressione, ex art. 2740 c.c., al suo intero patrimonio, dall'altro, costituisce connotato peculiare delle ipotesi in esame che l'espropriazione venga condotta nei confronti di una persona diversa dal debitore (Mandrioli, 1954, 185; Tarzia, 1968, 967; Luiso, L'esecuzione ultra partes, Milano, 1984, 55) la quale, tuttavia, è destinata a divenire parte del processo esecutivo, in quanto titolare del diritto assoggettato all'espropriazione. La espropriazione de qua si compie congiuntamente nei confronti di due soggetti: il debitore, nella posizione di parte puramente formale sul piano processuale, ed il terzo, vero soggetto passivo dell'espropriazione, dovendo l'esecuzione essere diretta necessariamente contro colui nel cui ambito patrimoniale è destinata ad incidere (Tarzia, 1998, 214). Viene dettata una identica disciplina per tre figure accomunate, secondo autorevole dottrina, dal profilo della «responsabilità senza debito» (Carnelutti, 1929, vol. VI, n. 46, p. 82 e ss.), laddove il Codice previgente contemplava, unicamente, l'espropriazione contro il terzo possessore dell'immobile ipotecato (critica, in ogni caso, il mancato riferimento, nella dizione adottata dal legislatore, ai terzi titolari di alcuni diritti reali limitati Tarzia, op. cit., 967).

La scelta di individuare quale soggetto passivo del processo esecutivo il terzo «proprietario» esclude la rilevanza del mero possesso ai fini dell'applicazione della precipua disciplina di cui agli artt. 602 e ss. c.p.c.; altresì segna, da un lato, l'abbandono della concezione della ipoteca come vincolo di inalienabilità, dall'altro chiarisce come la revocatoria non privi il terzo del diritto trasmesso con l'atto revocato.

In base alla previsione codicistica, il terzo subisce l'espropriazione in luogo del debitore tutte le volte in cui si trovi in un particolare rapporto con il bene oggetto dell'azione esecutiva. Sono, infatti, terzi proprietari: 1) il datore di pegno o di ipoteca (cui va equiparato l'acquirente del bene dato in pegno o ipotecato); 2) l'acquirente del bene laddove l'atto di trasferimento sia stato revocato per frode. Mentre nella ipotesi sub 1) vi è, dal punto di vista del creditore, una positiva e specifica responsabilità del terzo, in quanto terzo, relativamente ad un suo bene, nella ipotesi sub 2) si è al cospetto di una espressione, sia pure particolare, della responsabilità patrimoniale del debitore, responsabilità perdurante malgrado l'atto di alienazione. Dal punto di vista del terzo proprietario, però, le due situazioni si pongono come strettamente affini, posto che il terzo è sempre colui che subisce l'espropriazione. Nondimeno, tanto la formula dell'art. 2910 comma 2 c.c. sopra riportata, quanto quella dell'art. 602 c.p.c., laddove fanno perno sul vincolo del bene per il debito altrui e tacciono in ordine al modo di costituzione del vincolo stesso e del diritto del terzo sul bene, consentono l'estensione della esaminanda disciplina a fattispecie nelle quali il vincolo del bene a garanzia del credito è strutturalmente affine al pegno o all'ipoteca (quali, ad es. il privilegio ex art. 2745 c.c., nonché tutte le situazioni nelle quali la revoca dell'atto non consegue dall'azione revocatoria ordinaria, ma trova la sua giustificazione causale nel danno che l'atto arreca al creditore: cfr. Tarzia, op. cit., 967). Da più parti è stato, in particolare, sottolineato come l'elencazione di cui alla norma in commento sia esemplificativa e non tassativa (Bonsignori, 1996, 293; in giurisprudenza, cfr. Cass. n. 1746/1975 ove la Corte afferma che l'art. 602 c.p.c. realizza sul piano processuale l'art. 2910 comma 2 c.c.).

L'espropriazione, per effetto del rinvio operato dall'art. 602, si svolgerà nelle forme di cui al capo II del titolo II del Libro III c.p.c. ovvero degli artt. 513 e ss. allorché si tratti di beni mobili; nelle forme di cui al Capo IV, ovvero degli artt. 555 e ss. c.p.c. allorché si tratti di beni immobili, e salve le disposizioni particolari di cui agli artt. 603 e 604 c.p.c. (per le peculiarità del procedimento a seconda dei beni che ne siano oggetto v. infra-sub commento art. 603). Il richiamo alle regole delle varie forme di espropriazione si rende necessario in quanto gli artt. 602-604 c.p.c. si palesano come disposizioni meramente integrative rispetto alla disciplina processuale ordinaria.

Le figure codicistiche di «terzo» classificate nel codice

Il terzo datore di pegno

Subisce l'espropriazione nelle forme di cui agli artt. 602 e ss. il terzo datore di pegno cui è equiparato, quoad effectum, colui che abbia acquistato il bene già gravato da pegno (per atto tra vivi o legato; l'acquirente dal debitore a titolo universale subentra, invece, nella posizione del debitore stesso e non ha, perciò, la qualità di terzo). Si tratta di colui che abbia prestato garanzia per altri su di un bene mobile, su di una universalità di mobili, su di un credito ovvero su altro diritto avente per oggetto beni mobili di sua proprietà (art. 2784 c.c.). Per effetto della costituzione del pegno, in favore del creditore sorge un vincolo reale di garanzia che si sostanzia nel diritto di prelazione (diritto di soddisfarsi sul ricavato con precedenza rispetto ad altri creditori – art. 2787 c.c.) ed in quello di espropriare il terzo acquirente (cd. diritto di seguito). Il pegno attribuisce al creditore il diritto di farsi pagare con prelazione sulla cosa ricevuta in pegno, senza, tuttavia, che tale garanzia assorba (costituendone, invece, un rafforzamento) quella generica che al creditore spetta a norma dell'art. 2740 c.c., su tutti i beni presenti e futuri del debitore; in forza di tale garanzia specifica «una parte del valore della cosa, corrispondente all'ammontare del credito, esce virtualmente dalla sfera patrimoniale del costituente ed entra in quella del creditore» (Cass. n. 10012/2004). La prelazione, in particolare, si esercita nei confronti degli altri creditori del terzo (per i quali la cosa data in pegno costituisce parte della garanzia generica di cui all'art. 2744 c.c.), se il pegno sia stato costituito dal terzo medesimo a garanzia del debitore di altri.

L'art. 2787 c.c. stabilisce le condizioni alle quali è destinata ad operare la prelazione: a) l'atto scritto avente data certa [la forma scritta sarebbe richiesta ad substantiam: così Cass. n. 1097/1999; diff. v. Cass. n. 23839/2007, per la quale il requisito formale rileverebbe ai soli fini della opponibilità della garanzia; vale, poi, evidenziare con particolare riferimento alla prelazione pignoratizia per i crediti bancari che il comma 4 dell'art. 2787 c.c. stabilisce un regime “agevolato” circa la prova del tempo della costituzione della garanzia (senza incidere sulla disciplina delle altre condizioni richieste dai commi 2 e 3 per l'operare della prelazione) che esenta le banche, regolarmente autorizzate all'esercizio dell'attività bancaria ex art. 14 T.U.B., dall'onere della data certa non per tutte le operazioni bancarie garantite (anche o solo) da pegno, ma per le sole operazioni di “credito su pegno”, previste dall'art. 48 T.U.B. e disciplinate dalla l. n. 745/1939, oltre che dal r.d. n. 1279/1939; inoltre, il comma 4 cit. non esclude che, per poter fruire della prelazione, le banche debbano fornire sufficiente indicazione scritta della cosa ricevuta in garanzia mediante la ”polizza” o “altra scrittura” di enti debitamente autorizzati al compimento di dette operazioni, documentazione non sovrapponibile alle scritture private con data certa di cui al comma 3. in tal senso cfr. Cass. n. 15421/2019)]; b) il possesso della cosa da parte del creditore ovvero del terzo designato (invero, per la nascita e la sussistenza della prelazione si rivela sufficiente che la cosa o il titolo rappresentativo siano stati messi e rimangano nella custodia comune del debitore e del creditore). Per il pegno di crediti, è l'art. 2800 c.p.c. a stabilire le condizioni della prelazione.

Le disposizioni di cui agli artt. 602 e ss. c.p.c. troveranno applicazione con riferimento al terzo datore di pegno, solo allorché il creditore non intenda avvalersi delle forme della vendita di cui all'art. 2797 c.c. (cd. esecuzione espropriativa privata), ma opti per quelle comuni (502 c.p.c.). Invero, sulla cosa data in pegno è costituito, per accordo delle parti, un vincolo di destinazione al pagamento del credito garantito che, in caso di inadempimento del debitore, si realizza con il soddisfacimento coatto attraverso due procedimenti espropriativi alternativi, a scelta del creditore, rappresentati, rispettivamente, dalla esecuzione espropriativa mobiliare giudiziale, secondo le regole sue proprie, escluso il pignoramento, e dall'esecuzione espropriativa privata, promossa dal creditore secondo le regole previste dall'art. 2797 c.c.

Il creditore pignoratizio (nonché, in virtù del rinvio alle norme sulla vendita del pegno contenuto nell'art. 2756, comma 3 c.c., il titolare di ritenzione privilegiata munito di titolo esecutivo) può dare corso, alternativamente, all'espropriazione forzata nelle forme previste dal codice di rito (con l'unica possibile deroga costituita dalla facoltatività del pignoramento) oppure accedere alla tutela apprestata in suo favore dagli artt. 2796 ss. c.c., della quale può altresì giovarsi il creditore pignoratizio non titolato, previa notifica dell'intimazione ad adempiere al debitore ed al terzo costituente il pegno (nonché al terzo acquirente, ma soltanto ove lo conosca o sia tenuto a conoscerlo) con l'effetto di inibire la vendita in via di autotutela. Invero, a differenza dell'ipoteca, non esiste un regime di pubblicità legale del pegno. La cessione del bene o del credito oppignorato non è, pertanto, conoscibile da parte del creditore mediante la consultazione di un pubblico registro. Tuttavia, se al creditore pignoratizio è stata notificata la cessione del credito costituito in garanzia, o se è stato notiziato dell'alienazione del bene, sussiste l'onere di notificare l'intimazione anche all'acquirente. La questione si pone anche se il creditore pignoratizio, munito di titolo esecutivo, si avvale dell'ordinaria tutela espropriativa: deve procedere nei confronti del terzo acquirente a norma degli artt. 602 ss. c.p.c., ma soltanto ove ne conosca (o sia tenuto a conoscerne) l'identità: sul punto v. in giurisprudenza, Cass. n. 10111/2000.

In dottrina, cfr. in particolare, Andrioli, 1957, 106, che così delinea il rapporto tra l'art. 502 c.p.c. e l'art. 2797 c.c.: il creditore pignoratizio non titolato può avvalersi esclusivamente dell'esecuzione prevista dal codice sostanziale, che costituisce una forma di autotutela privata; il creditore pignoratizio titolato può, invece, alternativamente giovarsi dell'una o dell'altra disposizione.

Il possesso del titolo esecutivo non costituisce, infatti, presupposto della vendita per autorità del creditore regolata dal codice civile (così, per tutti, Vaccarella, 1993, 49): difforme, Rubino, Il pegno, in Tratt. Vassalli, Torino 1952, 260, che ritiene necessaria anche la notifica del titolo esecutivo al debitore ed al terzo costituente. Si è, da taluno, esclusa finanche la necessità che il creditore pignoratizio debba munirsi di titolo esecutivo onde chiedere la vendita o l'assegnazione ai sensi dell'art. 502 c.p.c., ferma la necessità di notificare il precetto (Redenti, 1957, 205). La giurisprudenza sposa l'orientamento assolutamente prevalente nella dottrina (Cass. n. 11893/1988).

Mentre il termine per l'adempimento è implicitamente desumibile dall'art. 2797 c.c., a tenore del quale il creditore, decorsi cinque giorni dalla notificazione ed in difetto di opposizione, può procedere alla liquidazione della cosa data in pegno, non è previsto un termine finale di efficacia dell'intimazione, analogo a quello previsto dall'art. 481 c.p.c.; al riguardo, si è ritenuto che la protratta inattività del creditore possa equivalere, anziché ad una dilazione, ad una rinuncia agli effetti dell'intimazione (Gorla, 352 s.). Si discute, poi, della validità della clausola, contenuta nell'atto costitutivo di pegno, che riduca il termine dilatorio di cinque giorni od addirittura dispensi il creditore dall'osservarlo (per l'affermativa v. Costantino, 1984, p. 306 s. e la giurisprudenza unanime: Cass. n. 8721/2011; Cass. n. 13988/2008; per la negativa v. Gorla, 357 s., secondo il quale il termine non può essere convenzionalmente ridotto, né le parti possono escludere l'effetto sospensivo automatico dell'opposizione tempestiva, trattandosi di garanzie minime per il soggetto passivo, talché il patto contrario è da ritenersi nullo; ma v. anche Bongiorno, 1990, 1040 ss., che ritiene imprescindibili l'intimazione, il termine dilatorio e l'opposizione sospensiva, trattandosi di «strumenti diretti ad assicurare una forma di controllo sulla regolarità di una esecuzione stragiudiziale che si svolge senza l'autorizzazione del giudice», concludendo per la nullità dei patti in deroga).

Laddove il creditore pignoratizio opti per l'autotutela esecutiva, qualora la cosa mobile non abbia un prezzo di mercato e debba, pertanto, procedersi alla vendita al pubblico incanto, la gara deve essere preceduta, a pena di nullità, da una forma idonea di pubblicità, corrispondente, quanto meno, a quelle che l'art. 83, comma 2, disp. att. c.c. prescrive per la vendita in danno di cui all'art. 1515 c.c., ove è previsto, con criterio di carattere generale, che «la vendita all'incanto deve essere annunziata con le forme di una pubblicità commerciale adeguata alla natura ed al valore delle cose poste in vendita», senza che di conseguenza possa ritenersi equipollente la notificazione, al solo debitore, a mezzo di ufficiale giudiziario, di un «atto di preavviso di vendita di beni mobili» (così cfr. Cass. n. 6894/1987).

La differenza tra i due modi di vendita consiste, oltre che nella maggiore snellezza e rapidità delle forme speciali, nel fatto che la vendita nelle forme comuni viene effettuata da un organo statale o da persona incaricata dall'organo stesso, mentre la vendita ex art. 2797 c.c. si svolge a mezzo di pubblico ufficiale incaricato dal creditore o direttamente da quest'ultimo, quando ciò sia stato convenuto tra le parti.

Sulla natura della vendita ex art. 2797 c.c. e sulla sua disciplina cfr. Cass. n. 8881/2020 secondo cui «la vendita al pubblico incanto di cosa ricevuta in pegno, ai sensi dell'art. 2797 c.c., configura una forma di autotutela privata esecutiva, diversa e distinta dall'espropriazione forzata, sicché alla stessa non si applica la disciplina prescritta per la vendita forzata e, in particolare, l'art. 2922 c.c., che nega alla parte acquirente la possibilità di fare valere i vizi della cosa venduta, in quanto le cose ottenute in pegno non sono liberamente negoziabili dal creditore garantito, comunque tenuto al rispetto delle leggi speciali inerenti alle forme specifiche di costituzione del pegno. Deve, tuttavia, considerarsi lecita e meritevole di tutela, in ossequio al principio di autonomia privata ex art. 1322 c.c., la previsione regolamentare e convenzionale (desumibile anche in via implicita dal regolamento d'asta) di esclusione del diritto del partecipante all'asta di contestare i vizi redibitori e la mancanza di qualità della cosa venduta in base agli artt. 1490 e 1497 c.c., fatta salva la tutela riconosciuta in caso di vendita di aliud pro alio».

In argomento cfr. in dottrina Leanza, 2021, 1843, che esprime dubbi quanto alla soluzione adottata dalla Corte in ordine alla non applicabilità dell'art. 2922 c.c. L'A. in particolare sottolinea la mancata valorizzazione della ratio sottesa a tale norma, legata al carattere coattivo della vendita, volta ad impedire un eccessivo e ingiustificato aggravamento della responsabilità in capo al creditore procedente e a stabilizzare il trasferimento coattivo realizzatosi in seguito all'esperimento della vendita forzata. Invero, la ratio legis resterebbe ferma anche nella vendita effettuata ex art. 2796 c.c., perché, sebbene quest'ultima non costituisca una vendita giudiziale, l'art. 2922 c.c. si riferisce alla vendita forzata in genere e, dunque, ad una vendita provocata dal creditore che si qualifichi tale rispetto all'acquirente, qual è appunto la vendita in esame. Gravare il creditore della responsabilità per vizi della cosa finirebbe per comportare una diminuzione della garanzia pignoratizia rispetto alla garanzia comune posto che, ai sensi dell'art. 2922 c.c., il creditore non risponde dei vizi della cosa in coerenza con la ratio ispiratrice del pegno volta, per l'appunto, al rafforzamento dei poteri e delle tutele del creditore per garantire un sicuro soddisfacimento dello stesso e, peraltro, sottesa anche alla qualificazione dello strumento in esame quale forma di autotutela esecutiva del creditore.

Nella ipotesi in esame (nella quale la cosa data in pegno si appartiene a soggetto diverso dal debitore), l'intimazione di cui al comma 1 dell'art. 2797 c.c. dovrà essere rivolta anche al terzo, il quale potrà proporre opposizione (dinanzi al giudice competente per il giudizio di cognizione e non avanti al giudice dell'esecuzione; così Cass. n. 5381/1994) per questioni attinenti alla regolarità della intimazione o al diritto di procedere alla vendita, oppure al fine di limitare la vendita ad alcune delle cose pignorate (in tal senso Cass. n. 7179/1987; ma v. succ. Cass. n. 11893/1998 secondo cui il debitore – ed il terzo datore – possono proporre in sede di opposizione questioni non soltanto di rito, ma anche di merito, con riferimento al diritto ex adverso azionato, con conseguente preclusione della ulteriore proseguibilità della procedura de qua nel caso di contestazione della esistenza stessa del diritto vantato dal creditore privilegiato; conf. Cass. n. 27266/2008). In dottrina, cfr. Gorla, cit. 353, testo e nt. 3, il quale ritiene «ammissibile anche dopo i cinque giorni la opposizione (senza effetto sospensivo), quando essa verta sul diritto del creditore a procedere alla vendita: esistenza e esigibilità del credito, esistenza del pegno», argomentando per analogia dall'art. 615 c.p.c.; altresì, «è ammissibile dopo i cinque giorni anche l'opposizione concernente la irregolarità della notifica della intimazione, poiché questa è un presupposto del diritto di vendita», onde può applicarsi, per analogia, l'art. 617, comma 2, c.p.c., «né v'è un termine per proporla nel caso della vendita con le forme dell'art. 2797», mentre è inammissibile «l'opposizione dopo i cinque giorni fondata sulle irregolarità formali o di contenuto dell'intimazione», stante il disposto dell'art. 617, comma 1, c.p.c. [è appena il caso di sottolineare che il riferimento ai «5 giorni» per la opposizione (ex art. 617 c.p.c.) va oggi inteso ai «20 giorni», stante la modifica dell'art. 617 c.p.c. per effetto dell'art. 2 co. 3 lett. e) n. 41) del d.l. n. 35/2005, conv., con modif., in l. n. 80/2005].

Sull'ammissibilità dell'opposizione tardiva, benché priva di effetto sospensivo automatico, v., in termini adesivi, Realmonte, Il pegno, in Tratt. Rescigno, XIX, Torino 1985, 669; Bongiorno, p. 1041; dissente Tarzia, p. 21, nt. 49, contrario all'opposizione tardiva, se non all'effetto di conseguire l'accertamento dell'inesistenza del diritto del creditore pignoratizio e la condanna di costui al risarcimento del danno. Quanto alla sorte della vendita esperita prima dell'accoglimento dell'opposizione, Gorla, op. cit., p. 359 s. afferma che l'acquisto del terzo di buona fede resta salvo, mentre è caducato in caso di mala fede, così applicando per analogia l'art. 2920 c.c.

La S.C. si è espressa attribuendo natura sostanziale di opposizione (preventiva) all'esecuzione al rimedio impugnatorio previsto dal comma 2 dell'art. 2797 c.c. (Cass. n. 5475/2020; conf. Cass. n. 21908/2008), della quale condividerebbe la natura sostanziale, quanto a regole di competenza, forma ed impugnabilità della sentenza. Nel pervenire a tale conclusione, la Cassazione ha osservato che: a) pur non essendo espressamente richiesto il possesso del titolo esecutivo da parte del creditore pignoratizio, la necessità, imposta dall'art. 2787, comma 3, c.c. affinché abbia luogo la prelazione, che quando il credito garantito ecceda la somma di Euro 2,58 il pegno risulti da scrittura privata avente data certa, contenente sufficiente indicazione del credito e della cosa, potrebbe giustificare l'iscrizione di tale atto tra quelli ai quali la legge attribuisce efficacia esecutiva; b) «sia in ragione della corrispondenza funzionale fra la vendita cui allude l'art. 2797 c.c. (ma non diverso discorso vale per l'assegnazione cui allude l'art. 2798 c.c.) e la vendita forzata come momento del processo esecutivo, sia per l'espressa previsione di salvezza delle forme speciali di cui al codice civile e, quindi, di quella degli artt. 2796 e 2797 c.c., ben potrebbe ritenersi che il procedimento di cui a tali norme, quale procedimento finalizzato in difetto di opposizione a realizzare una forma speciale di esecuzione forzata, sia promuovibile sulla base di una fattispecie di titolo esecutivo ex lege rappresentata dal contratto di pegno, di norma ormai risultante da un atto scritto»; c) in ogni caso, l'assenza del titolo esecutivo (sia pure nella forma evincibile dall'art. 2787, comma 3, c.c.) non esclude che l'opposizione del debitore sia assimilabile all'opposizione a precetto, essendo la vendita del pegno «atto di esecuzione forzata», e vada, pertanto, introdotta dinanzi al giudice individuato ai sensi dell'art. 615, comma 1, c.p.c. Nel contempo, l'assimilazione funzionale dell'opposizione ex art. 2797 c.c. all'opposizione all'esecuzione comporterebbe, secondo la giurisprudenza di merito, l'inapplicabilità della sospensione feriale dei termini processuali (così Trib. Nola 10 maggio 2020). Si ritiene che l'effetto sospensivo (rectius, inibitorio) della vendita permanga fino al passaggio in giudicato della sentenza di rigetto dell'opposizione, avente natura meramente dichiarativa e, perciò, asseritamente inefficace prima di allora (così Castoro, 2013, p. 254).

Alternativa alla vendita, sarà l'assegnazione di cui all'art. 2798 c.c., che va richiesta al giudice e tanto allo scopo di evitare i tentativi di elusione del patto commissorio: sarà il giudice competente (per il giudizio di cognizione, non quello per l'esecuzione forzata; v. Cass. n. 2332/1973; diff. Cass. n. 1711/1963 la quale aveva ritenuto competente il giudice dell'esecuzione) a far stimare la cosa ovvero a stabilire se la stessa abbia un prezzo di mercato (così in dottrina Gorla, Zanelli, Del pegno. Delle ipoteche. Comm. SB., 141 s.; in giurisprudenza, in ordine al potere del giudice di procedere egli stesso alla valutazione del bene secondo dati obiettivi che rendano superfluo l'incarico ad un perito cfr. Cass. n. 1711/1963). Questi gli argomenti che escluderebbero la competenza del giudice dell'esecuzione: a) il creditore, per ottenere l'assegnazione del pegno, non deve essere già munito di titolo esecutivo; b) l'efficacia traslativa e satisfattiva di un provvedimento giurisdizionale non è incompatibile con l'appartenenza del provvedimento al processo di cognizione, tanto più che la ratio dell'attribuzione di competenza consiste nel consentire al giudice di controllare che sia stato rispettato il divieto del patto commissorio. Detta soluzione, sposata dalla Corte (e non superata da successive pronunce difformi) è stata criticata in dottrina, nella parte in cui costringe il creditore pignoratizio privo di titolo esecutivo ad avvalersi di un processo di cognizione che si concluderà con una sentenza soggetta agli ordinari mezzi di impugnazione per far valere il proprio diritto all'assegnazione: l'esistenza di un titolo esecutivo sarebbe destinata a spiegare la propria influenza nell'ambito delle eventuali contestazioni e nella possibilità della sospensione dell'esecuzione, ma laddove il debitore nulla avesse ad obiettare alla pretesa del creditore pignoratizio, contrasterebbe con lo scopo di una rapida tutela far carico al detto creditore, istante per l'assegnazione, di instaurare un processo ordinario di cognizione (Picardi, cit., 642: l'Autore conclude nel senso che il creditore pignoratizio potrebbe procedere alla vendita ovvero chiedere l'assegnazione senza essere munito di titolo esecutivo secondo una procedura che, nell'ipotesi di vendita, prescinde del tutto dall'intervento del giudice dell'esecuzione, mentre, nell'ipotesi di assegnazione, fa capo ad un provvedimento di detto giudice, competente secondo la regola dell'art. 16 c.p.c.).

Il creditore pignoratizio che, munito di titolo esecutivo, abbia promosso l'espropriazione nelle forme ordinarie, dovrà proporre l'istanza di assegnazione al giudice dell'esecuzione mobiliare, ossia con il procedimento di cui agli artt. 502,505 e 507 c.p.c.

L'assegnazione ex art. 2798 c.c. non ha natura di provvedimento esecutivo, dovendo essere disposta con sentenza, pronunciata all'esito di un ordinario giudizio di cognizione promosso dal creditore (Cass. n. 2332/1973, in R. d. proc., 1974, p. 638, con nota di Picardi, cit., secondo il quale si tratta, invece, di misura espropriativo-satisfattiva, contro la quale il debitore può proporre opposizione ex art. 615 c.p.c.; ma, in contrario, è sufficiente osservare che l'istanza di assegnazione deve provenire, ai sensi dell'art. 529 c.p.c., dal creditore titolato e tale può non essere quello pignoratizio, che si avvalga dell'art. 2798 c.c.; e merita di essere aggiunto che, con l'assegnazione, l'esecuzione è ormai conclusa, talché l'opposizione sarebbe comunque improponibile; il debitore può, invece, resistere alla domanda di assegnazione costituendosi in giudizio per contestare l'esistenza o l'ammontare del credito, ma questa non integrerebbe un'opposizione, introduttiva di un autonomo processo). Il creditore può chiedere l'assegnazione anche dopo la notifica dell'intimazione e può procedere alla vendita (in assenza, s'intende, di opposizione) anche dopo aver domandato l'assegnazione e finché questa non sia stata pronunciata (Gorla, op. cit., 363).

Il legislatore non sembra aver operato alcuna distinzione tra pegno costituito dal debitore e pegno costituito dal terzo: differentemente da quanto accade con riferimento al terzo datore di ipoteca (per cui v. infra), nulla viene stabilito in relazione alla garanzia pignoratizia costituita su beni altrui, ben potendosi, dunque, sostenere che, quand'anche costituito da un terzo, il pegno non sia regolato da disposizioni speciali, integrative di quelle dettate per il pegno costituito sui beni del debitore (Follieri, 2007, 10, 1425). In questa prospettiva, deve essere affrontato il tema dell'applicabilità dell'art. 2911 c.c. alle garanzie specifiche costituite sui beni di terzi: sul punto, vi è chi esclude l'applicabilità al caso in cui il bene oggetto di pegno appartenga ad un terzo (Rubino, 1956, 379) e chi invece propende per l'applicabilità anche all'ipotesi in cui i beni vincolati a garanzia del creditore siano di proprietà di terzi, in virtù della identità di ratio (Travi, 1992, 29). In giurisprudenza, cfr. Cass. n. 1033/2007 ove si esclude l'applicabilità dell'art. 2911 c.c. nella indicata ipotesi, deponendo in tal senso sia l'interpretazione letterale della disposizione che si riferisce esplicitamente al debitore, sia l'individuazione della ratio della norma che vuole evitare una duplice aggressione dei beni del debitore a garanzia di quest'ultimo e degli altri creditori chirografari, esigenza che non ricorre quando il pegno è costituito sul bene di un terzo. Quando il pegno grava sul bene di un terzo, il creditore può espropriare, a suo piacere, la cosa data in pegno o un bene del debitore, pervenendosi a tale conclusione sia traendo argomenti, anche a contrario, dall'art. 2868 c.c. (che disciplina il beneficio di escussione per il terzo datore di ipoteca) nonché evidenziando come, essendo distinte le persone del debitore e del concedente, manchi qualsiasi ragione di analogia con la situazione in cui il pegno sia costituito dal debitore su propri beni. All'indomani della pubblicazione della detta pronuncia, è stato sostenuto in dottrina come la Suprema Corte, accogliendo la soluzione dell'inapplicabilità dell'art. 2911 c.c., abbia sacrificato gli interessi dei creditori (chirografari) del debitore, a vantaggio del terzo datore di pegno (o di ipoteca) e dei creditori di quest'ultimo, con una soluzione equilibrata, se ci si colloca nella (esclusiva) prospettiva dei rapporti fra i creditori del debitore e i creditori del terzo datore (di pegno o di ipoteca) e della netta separazione dei patrimoni dell'obbligato e del terzo garante del debito altrui. Tuttavia, si sottolinea che, se è vero che manca, nell'ipotesi del pegno costituito da un terzo, quella duplice aggressione dei beni del debitore che – nell'opinione della Suprema Corte – costituisce la ratio dell'art. 2911 c.c., è anche vero che, quoad expropriationem, i beni di un terzo vincolati a garanzia del credito sono equiparati dalla legge (art. 2910 c.c.) a quelli del debitore. In tale prospettiva, continua la dottrina, nel giudicare dell'applicabilità dell'art. 2911 c.c. al pegno di un terzo, la Corte di nomofilachia avrebbe dovuto, forse, considerare che detta norma regola un conflitto che si determina nella fase esecutiva tra creditori chirografari e creditori privilegiati; e che, in questa prospettiva, la nozione di patrimonio da tenere presente è quella «allargata», ossia di quel patrimonio in cui rientrano tutti i beni aggredibili ai fini espropriativi (così Follieri, 2007, 10, 1419 ss.).

Per alcuni beni e diritti che sono soggetti a forme particolari di pubblicità diverse da quelle tradizionali, la garanzia reale che si caratterizza per l'iscrizione in un pubblico registro e per l'assenza dello spossessamento del bene vincolato è maggiormente assimilabile all'ipoteca. È il caso ad es. del pegno sui prosciutti a denominazione di origine tutelata disciplinato dalla l. n. 401/1985 che si costituisce, oltre che con le modalità previste dall'art. 2786 c.c., con l'apposizione sulla coscia a cura del creditore pignorante, in qualunque fase della lavorazione, di uno speciale contrassegno indelebile e con la contestuale annotazione su appositi registri vidimati annualmente. In considerazione delle particolari caratteristiche del bene, il quale è destinato ad essere consumato in breve tempo, il terzo acquirente assoggettato alla garanzia reale, in virtù dell'art. 3 della legge citata, risponde dell'adempimento dell'obbligazione garantita con tutti i suoi beni e non soltanto con quello oggetto di pegno acquistato dal debitore (ad analoga conclusione giunge la giurisprudenza in tema di trasferimento di beni mobili, quali bestiame o frutti, oggetto dei privilegi agrari; cfr. Cass. n. 3025/1973). Si sostiene, in dottrina, che l'acquirente del prosciutto a denominazione di origine tutelata oggetto di pegno, a beneficio del quale venga eseguita la traditio senza il consenso del creditore pignoratizio, è responsabile con tutto il suo patrimonio limitatamente a quella parte di obbligazione corrispondente al valore dei beni acquistati, conseguendone che, nell'espropriazione forzata, l'acquirente del prosciutto «vincolato» a garanzia del credito non assume la posizione del terzo proprietario, ma, pur se nei limiti di valore del bene acquistato, è considerato debitore al pari del fideiussore o del coobbligato.

Una particolare disciplina (introdotta dal d.l. n. 59/2016), è, poi, prevista per il cd. pegno non possessorio mobiliare (limitato ai beni inerenti all'esercizio dell'impresa), finalizzata a coniugare l'esigenza del finanziamento dell'impresa con la tutela dei creditori non solo alla realizzazione del loro diritto, ma anche alla certezza dei tempi di soddisfazione del credito. Trattasi di una nuova forma di garanzia, connotata dai caratteri della specialità (rispetto alla figura generale del pegno) e della settorialità (data la stretta inerenza di tale garanzia ai crediti inerenti all'esercizio dell'impresa). Caratteristica essenziale della tipologia di pegno in esame è la mancanza di spossessamento, che costituisce, nell'ambito della figura generale del pegno, il requisito che assicura la pubblicità in senso lato della garanzia reale nei confronti dei terzi o comunque, è espressione dell'assoggettamento al creditore della cosa, sottratta così agli atti dispositivi del debitore (Bianca, 2012, 195). Un altro archetipo normativo del pegno mobiliare non possessorio ex art. 1 d.l. n. 59/2016 è costituito dal pegno sui prodotti lattiero-caseari ex art. 7 l. n. 122/2001 (Bianca, cit.).

Oltre ad essere caratterizzato per l'inerenza dei beni mobili (ad eccezione di quelli registrati, che rimangono soggetti ad ipoteca) oggetto di garanzia all'attività d'impresa, il pegno mobiliare non possessorio può avere ad oggetto anche beni futuri. Nell'ipotesi del pegno mobiliare non possessorio ex art. 1 d.l. n. 59/2016 è la c.d. pubblicità costitutiva a determinare, quanto meno, l'opponibilità della garanzia non possessoria nei confronti dei terzi (anche in relazione, ad es., ad un'eventuale sentenza dichiarativa di fallimento, ancorché in tale ipotesi, possa venire in rilievo il possibile esercizio delle azioni revocatorie ex art. 66 e 67 l.fall., non a caso evocate nell'ultimo comma dell'art. 1 d.l. n. 59/2016).

Il legislatore ha individuato, quale modalità costitutiva del pegno mobiliare non possessorio, la duplice formalità dell'atto scritto e dell'iscrizione nel registro dei pegni non possessori. In primo luogo, viene previsto il contratto scritto a pena di nullità. Si tratta, quindi, di una forma ad substantiam, come emerge dal tenore letterale dell'art. 1, comma 3, d.l. n. 59/2016. Il pegno non possessorio è, pertanto, riconducibile ad una fattispecie negoziale non di carattere reale [come il pegno ordinario (Bianca, cit., 183)], bensì consensuale. Non è, tuttavia, sufficiente il solo accordo scritto tra debitore (o terzo datore) e creditore, necessitando altresì una formalità pubblicitaria, che assume carattere di pubblicità costitutiva, come emerge dal tenore letterale dell'art. 1, comma 4, d.l. n. 59/2016 realizzata tramite l'istituzione di un nuovo registro tenuto presso l'Agenzia delle Entrate, cioè il registro dei pegni non possessori, sicché, anche in presenza di eventuali contestuali atti costitutivi, l'opponibilità nei confronti dei terzi, così come i conflitti tra più creditori pignoratizi, è regolata dall'iscrizione nel registro dei pegni non possessori. L'art. 1, comma 7, d.l. n. 59/2016 prevede, poi, le modalità di escussione del pegno, imponendo un preventivo avviso scritto al datore della garanzia e agli eventuali titolari di un pegno non possessorio trascritto successivamente. In particolare, il creditore ha una triplice possibilità, potendo procedere: a) alla vendita dei beni oggetto del pegno, trattenendo il corrispettivo a soddisfacimento del credito fino a concorrenza della somma garantita, nondimeno con una serie di cautele stabilite a garanzia non solo del debitore, ma anche a tutela degli altri creditori che possano vantare diritti sul residuo valore del bene [1. il creditore ha l'obbligo di informare immediatamente per iscritto il datore della garanzia dell'importo ricavato e di restituire contestualmente l'eccedenza; 2. la vendita deve avvenire tramite procedure competitive (non tipizzate) anche avvalendosi di soggetti specializzati, sulla base di stime effettuate, salvo il caso di beni di non apprezzabile valore, da parte di operatori esperti; inoltre, deve essere assicurata a cura del creditore, la pubblicità sul portale delle vendite pubbliche di cui all'art. 490 c.p.c.; 3. l'operatore esperto che deve eseguire la stima è nominato di comune accordo tra le parti o, in mancanza, è designato dal giudice. L'intervento residuale del giudice, in mancanza di accordo delle parti, evidenzia l'importanza del momento della stima del bene]; b) alla escussione dei crediti oggetto di pegno fino a concorrenza della somma garantita; c) alla locazione del bene oggetto del pegno imputando i canoni a soddisfacimento del proprio credito fino a concorrenza della somma garantita, qualora sia previsto nel contratto di pegno e iscritto nel registro delle imprese; d) all'appropriazione dei beni oggetto del pegno fino a concorrenza della somma garantita, a condizione che il contratto (che deve essere iscritto nel registro delle imprese) consenta tale possibilità e preveda anticipatamente i criteri e le modalità di valutazione del bene oggetto di pegno e dell'obbligazione garantita. Il creditore pignoratizio deve comunicare immediatamente per iscritto al datore della garanzia il valore attribuito al bene ai fini dell'appropriazione.

Quanto ai rapporti con il fallimento, a differenza di quanto avviene nell'ipotesi di pegno ordinario, per il quale, ai sensi dell'art. 152 CCI (nella legge fallimentare, la disciplina – per vero analoga – è contenuta nell'art. 53), il creditore pignoratizio può vendere la cosa oggetto di pegno solo su autorizzazione del giudice delegato – con la seguente procedimentalizzazione: il creditore fa istanza al giudice delegato, il quale, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, stabilisce con decreto il tempo della vendita, determinandone le modalità a norma dell'articolo 216. Il giudice delegato può assegnare i beni al creditore che ne ha fatto istanza. Il giudice delegato provvede acquisita la valutazione dei beni oggetto del provvedimento di autorizzazione o di assegnazione. Se il ricavato della vendita, al netto delle spese o, in caso di assegnazione, il valore di stima è superiore all'importo del credito ammesso al passivo con prelazione, il creditore lo versa al curatore; l'unico requisito chiesto per la realizzazione stragiudiziale del pegno non possessorio è costituito dall'ammissione allo stato passivo. L'autotutela esecutiva del creditore è, pertanto, piena, a differenza di quanto avviene nell'ambito dell'art. 152 CCI (art. 53 l.fall.), essendo necessario solo il passaggio prodromico dell'accertamento del credito in sede di formazione dello stato passivo.

La partecipazione in una società a responsabilità limitata può, pure, costituire oggetto di pegno (art. 2471-bis c.c.). Le norme che disciplinano la costituzione del pegno sulle partecipazioni a s.r.l. e, soprattutto, l'efficacia e l'opponibilità della garanzia reale nei confronti dei terzi aventi causa dal debitore – socio hanno contenuto identico a quelle che disciplinano gli analoghi effetti relativamente al trasferimento o alla costituzione del diritto di proprietà o del diritto di usufrutto. Si pone, dunque, la questione della rilevanza, oltre che della data certa degli atti dispositivi, dell'annotazione nel registro della società: l'adempimento della iscrizione nel registro delle imprese appare necessario per consentirne la evidenza e la sua opponibilità, una situazione alla quale si correla la realità del pegno. La iscrizione serve, perciò, allo scopo di rendere opponibile il pegno e solo se questo presupposto si concreta, esso potrà essere passibile di revoca. La disposizione dell'art. 2787, comma 3, c.c. resta norma insuperabile, ma il suo rispetto è condizione necessaria per la costituzione della garanzia reale di pegno, sebbene non sufficiente per la sua rilevanza esterna, indispensabile allorché il creditore munito di pegno si confronti con altri creditori o aventi causa del costituente (ovvero in sede di esecuzione individuale e concorsuale). Cfr. Cass. n. 31051/2019 secondo cui «le quote di società a responsabilità limitata, che non possono essere formate da titoli azionari e perciò non sono beni mobili, rappresentano la «partecipazione» dei soci al contratto sociale e allo svolgimento dell'impresa che da questo promana, esulando dall'ambito dei semplici diritti di credito; ne consegue che la costituzione in pegno di dette quote è soggetta alla regola residuale dell'art. 2806 c.c., riguardante i diritti diversi dai crediti, e il diritto di pegno risulta pertanto costituito con l'iscrizione del relativo atto nel registro delle imprese».

Il terzo datore di ipoteca

Nella fattispecie disciplinata dagli artt. 2868-2871 c.c., il terzo proprietario è colui che concede volontariamente, a favore del creditore del debitore, diritto di ipoteca su un proprio bene a garanzia dell'altrui rapporto di debito-credito. Si ritiene che al terzo datore non possano applicarsi tout court le norme dettate per il fideiussore, essendo necessario, di volta in volta, un espresso richiamo legislativo (Cass. n. 4022/1999): così, sarebbe inestensibile il diritto di rilievo previsto per il fideiussore dall'art. 1953 c.c. (Cass. n. 4420/1994); in altri casi, si è, invece, osservato che, essendo i rapporti tra terzo datore e debitore gli stessi che nella fideiussione si instaurano tra garante e debitore principale, a quei rapporti sarebbero applicabili gli artt. 1950,1952,1953 1° e 3° comma c.c. (Rubino, 1956, 477 ss.), e, secondo altri, addirittura tutte le norme dettate per la fideiussione, salvo quella di cui all'art. 1957 comma 1 c.c. (Gorla, Zanelli, 460; cfr. anche Cass. n. 2200/1982; conf. Cass. n. 4033/1999 per cui «non trova applicazione, in difetto di espressa previsione, con riguardo al caso dell'ipoteca concessa da un terzo, l'onere, imposto dall'art. 1957 cod. civ. al creditore, perché possa conservare la garanzia prestatagli dal fideiussore, di agire contro il debitore principale entro sei mesi dalla scadenza dell'obbligazione»). Al terzo datore si applica il cd. beneficium cedendarum actionum che non spetta, invece, al terzo acquirente cui sono attribuiti i rimedi di cui agli artt. 2866 e 2899 c.c.: l'ipoteca costituita dal terzo si estingue, se per fatto del creditore, non può avere effetto la surrogazione del terzo nei diritti, nel pegno, nelle ipoteche e nei privilegi del creditore (art. 2869 c.c.). Il fatto del creditore può essere omissivo (mancata rinnovazione di altra iscrizione) o commissivo (rinuncia ad altre garanzie, postergazione di un grado), può essere anche non imputabile a dolo o colpa, così come può trattarsi anche di un fatto che importi, se non una perdita totale, un indebolimento delle garanzie del credito (Rubino, op. ult. cit. 475)

La norma dell'art. 2869 c.c. esclude, invece, che il datore di ipoteca possa richiedere a proprio favore il beneficio di escussione, salvo specifico accordo (nel quale caso troverà applicazione l'art. 1944 c.c. quanto al modo in cui il beneficio deve attuarsi).

Il vincolo sul bene comporta: a) dal lato attivo, che al creditore ipotecario è attribuito un diritto potestativo di duplice contenuto: espropriare e far vendere la cosa per, poi, soddisfarsi sul ricavato con preferenza rispetto agli altri creditori del proprietario del bene ipotecato (Fragali, 749); b) dal lato passivo, che il vincolo inerisce alla cosa e la segue, ma non ne impedisce o limita l'attuale godimento o disposizione, importando solo la possibilità di una sua espropriazione futura (Tamburrino, 55 ss.).

L'ipoteca può avere ad oggetto non solo il diritto di proprietà su beni immobili o sui beni mobili registrati di cui all'art. 2810 c.c. comma 2, ma anche diritti reali minori quali ad esempio l'usufrutto, la superficie, il diritto dell'enfiteuta e quello del concedente sul fondo enfiteutico (art. 2810 comma 1 c.c.).

Il creditore, titolare della garanzia reale su un diritto diverso dalla proprietà, può sempre sottoporre a pignoramento (mobiliare, immobiliare o presso terzi) e fare espropriare il diritto che costituisce oggetto della propria garanzia reale. Se il diritto pignorato appartiene ad un terzo, il creditore in ipotesi di inadempimento del proprio debitore, può agire esecutivamente per far espropriare il diritto oggetto della garanzia nei confronti del terzo nelle forme di cui agli artt. 602 ss.

Il terzo datore può evitare il procedimento espropriativo pagando integralmente il debito, ma non può giovarsi della facoltà di rilascio e di quella della purgazione (per cui v. infra-sub commento art. 604), né, in generale, salvo espresso richiamo, delle facoltà concesse al terzo acquirente di beni ipotecati (Tamburrino, 99). L'espropriazione contro il terzo datore si svolge, nelle sue linee generali, con il procedimento di cui agli artt. 602 e ss. c.p.c.

Ai sensi degli artt. 2808 e 2809 c.c., il terzo datore di ipoteca garantisce, fino all'espropriazione forzata, un debito altrui con un proprio bene immobile per una determinata somma in danaro che, salvo l'ipotesi di cui all'art. 2838 c.c. e quanto statuito dal legislatore con riferimento agli accessori all'art. 2855 c.c., deve risultare dagli atti sulla scorta dei quali essa verrà iscritta (in tal senso cfr. Trib. Roma 13 gennaio 2021). Taluno ritiene che il terzo datore debba pagare, in via esecutiva, tutte le spese e tutti gli interessi arretrati e non soltanto quelli previsti nell'art. 2855 c.c. poiché la limitazione ivi contenuta sarebbe stabilita nel solo interesse degli altri creditori e dei terzi acquirenti (Gorla, Zanelli, cit.); secondo altri, invece, la collocazione va limitata alla somma iscritta con i soli interessi di cui all'art. 2855 c.c. (Rubino, cit., 476). In giurisprudenza, cfr. Cass. n. 1815/1981 ove si legge che «quando il medesimo credito sia assistito da ipoteche concesse dal debitore e da un terzo, il soddisfacimento dell'intero credito garantito, nei limiti di cui all'art 2855 c.c. attraverso la espropriazione forzata – individuale o concorsuale – in danno del debitore estingue anche l'ipoteca del terzo datore, alla quale egualmente si applica la disposizione suddetta. Pertanto, il creditore non può agire nei confronti del terzo datore di ipoteca per conseguire il pagamento di interessi esclusi dalla prelazione, in quanto relativi ad annualità non assistite dalla garanzia ipotecaria concessa dal debitore e ciò neppure attraverso una diversa imputazione del pagamento coattivo, che non è consentita né nei confronti del debitore, né nei confronti del terzo datore di ipoteca, poiché i criteri di imputazione di cui agli artt. 1193 e 1194 c.c. si applicano solo ai pagamenti eseguiti volontariamente».

Il terzo datore che abbia pagato i creditori iscritti o abbia sofferto l'espropriazione gode, ex art. 2871 c.c., del diritto di regresso nei confronti del debitore. La dottrina modella la detta azione su quanto previsto in materia di fideiussione, applicandosi di conseguenza: a) l'art. 1950 c.c. che limita la somma ripetibile a quella conseguita dal creditore maggiorata di interessi e di spese; b) l'art. 1952 c.c. per il caso di pagamento volontario. Legittimati passivi sono il debitore singolo, i debitori obbligati in solido contro i quali il terzo datore che ha costituito l'ipoteca a garanzia di tutti ha regresso verso ciascuno pro-rata, i fideiussori del debitore per l'intero, gli altri terzi datori, per la loro rispettiva porzione. Nei confronti dei terzi acquirenti sarà esercitabile il subingresso, a condizione che questi ultimi abbiano trascritto il loro titolo di acquisto dopo l'iscrizione dell'ipoteca del terzo datore.

Sotto il profilo dei rimedi processuali azionabili dal terzo datore, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che va rigettata, per difetto di interesse, l'opposizione a precetto proposta dal terzo volta a far accertare di non essere obbligato al pagamento della somma indicata nel precetto, se dall'interpretazione del precetto si evinca che esso non presuppone l'obbligazione diretta del terzo al pagamento del debito, né l'intenzione del creditore di procedere esecutivamente nei suoi confronti, in caso di mancato pagamento (cfr. Cass. n. 7249/2020; Cass. n. 5507/2003 ove in motivazione si legge che «nel caso in cui il precetto intimi il pagamento al terzo datore di ipoteca, primo compito del giudice dell'opposizione è interpretare il precetto, siccome questo è l'atto che contiene l'annuncio dell'azione esecutiva che la parte istante dichiara di voler esercitare. Perché, se, dato il contenuto del precetto, l'esecuzione che il terzo ha motivo di ritenere minacciata in suo confronto è quella che ne presuppone la sua obbligazione di pagare, la stessa potrebbe cadere anche su altri suoi beni e lo stesso terzo, a ragione, ben potrebbe chiedere al giudice di dichiarare che la parte istante non ha diritto di procedere ad esecuzione nei suoi confronti. Mentre, se il precetto è invece da porre in riferimento ad una esecuzione minacciata in confronto del terzo quale responsabile per la garanzia data, il diritto a procedere ad esecuzione forzata in suo confronto sussiste»; conf., nella giur. di merito, Trib. Trani 11 dicembre 2020). Più di recente v. nello stesso senso Cass. n. 17343/2023.

Dal caso in cui il terzo proprietario conceda volontariamente l'ipoteca su un bene proprio a garanzia di un credito altrui va, poi, tenuto radicalmente distinto il caso in cui il debitore conceda l'ipoteca su un bene di altri (art. 2822 c.c.), ipotesi nella quale le norme sulla espropriazione forzata contro il terzo proprietario non saranno applicabili, in quanto l'iscrizione ipotecaria potrà essere validamente presa soltanto allorché il bene sia acquistato dal debitore ed il creditore dovrà agire in executivis nei confronti del debitore proprietario secondo le regole ordinarie.

Il terzo acquirente di bene ipotecato o sottoposto a pegno.

L'espressione utilizzata nell'art. 2910 c.c.vincolati a garanzia del credito») autorizza a ricondurre, nell'alveo applicativo delle norme in commento, anche il caso del terzo acquirente, a titolo particolare, del bene sul quale il debitore aveva costituito ipoteca (volontaria o legale) ovvero pegno. Le disposizioni previste per l'acquirente del bene ipotecato non sono, invece, applicabili all'acquirente a titolo universale dal debitore proprietario ovvero a beneficio dell'avente causa che abbia ricevuto in legato o in donazione il bene ipotecato, con l'onere del pagamento del debito garantito. Questi ultimi sono personalmente obbligati e, dunque, rispondono, oltre che col bene ipotecato, con tutto il loro patrimonio ex art. 2740 c.c.

Tutte le volte in cui il debitore alieni il diritto di proprietà sul quale era già stato precedentemente costituita la garanzia reale (pegno o ipoteca), il titolare di quest'ultimo può pignorare il bene giuridico oggetto della garanzia, anche se esso è ormai uscito dal patrimonio del proprio debitore. Se il debitore proprietario, dopo aver concesso ipoteca sull'immobile, lo venda a terzi, anche se la vendita sia trascritta prima del pignoramento, il creditore, in forza della titolarità del diritto di seguito sul bene, mantiene il diritto di pignorarlo ed espropriarlo. Si è soliti affermare che la garanzia reale specifica rafforza la garanzia generica di cui all'art. 2740 c.c. proprio con il diritto di seguito, grazie al quale il creditore ha titolo per espropriare il bene ipotecato anche in pregiudizio del terzo acquirente (Andrioli, Dei privilegi, cit. 71 ss.). Nondimeno, l'espropriazione dovrà seguire le forme e la disciplina di cui agli artt. 602 e ss.

Allo stesso modo, il processo di esecuzione andrà promosso nelle forme da ultimo indicate quando la garanzia reale sia stata costituita su un diritto diverso dal diritto di proprietà e tale diritto abbia costituito oggetto di una vicenda traslativa posteriore alla costituzione della garanzia reale, con le precisazioni di qui a poco esplicitate. La posizione del terzo acquirente del diritto limitato non dovrebbe differenziarsi da quella del terzo acquirente del diritto di proprietà: tuttavia, sussistendo sullo stesso bene più diritti reali, suscettibili di essere assoggettati ad ipoteca e passibili di circolazione separata, potrà accadere che sullo stesso bene concorrano più espropriazioni forzate con diversi legittimati passivi. Dal che, mentre per l'espropriazione del diritto reale limitato troverà applicazione la disciplina in esame, il diritto di proprietà seguirà le forme dell'espropriazione diretta nei confronti del debitore.

Più precisamente, nel caso di costituzione di servitù, usufrutto, uso e abitazione, troverà applicazione il disposto dell'art. 2812 comma 1 prima parte, c.c., in forza del quale il creditore ipotecario, quando il diritto reale limitato indicato sia trascritto successivamente all'iscrizione dell'ipoteca, può far subastare la cosa come libera ed i relativi titolari sono ammessi a far valere le proprie ragioni sul ricavato con preferenza rispetto alle ipoteche iscritte posteriormente alla trascrizione dei diritti medesimi. La dottrina civilistica ritiene che il legislatore abbia previsto la inopponibilità di cui all'art. 2812 c.c. solo per il caso in cui i diritti reali limitati rechino pregiudizio alla garanzia ipotecaria, cosicché al terzo acquirente del diritto reale limitato si estende l'esercizio della facoltà di cui agli artt. 2859 e 2860 c.c., escludendosi, viceversa, la legittimazione all'esperimento del rimedio di cui agli artt. 2889 ss. c.c. (Gorla, Zanelli, 246) e fatta salva la possibilità di adempimento.

Il procedimento di cui agli artt. 602 e ss. dovrà, invece, trovare applicazione per l'acquirente del diritto di superficie o di enfiteusi sui beni soggetti all'ipoteca (che abbia trascritto successivamente): in questa ipotesi, evidentemente, il legislatore ha escluso che la vendita del diritto reale limitato separata dal diritto di proprietà potesse pregiudicare il creditore ipotecario; in tal caso, il diritto di seguito che assiste la garanzia reale consentirà al creditore ipotecario di agire per escutere la garanzia come se il diritto non fosse uscito dal patrimonio del debitore, ma nelle forme di cui agli artt. 602 e ss. c.p.c., nondimeno, poiché il vincolo della garanzia ipotecaria opera in danno del terzo acquirente dell'immobile ipotecato solo nei limiti della somma per la quale è iscritto e delle ulteriori somme alle quali la garanzia è estesa ai sensi dell'art. 2809 c.c., il creditore che abbia eseguito il pignoramento dell'immobile presso il terzo proprietario non può far valere il suo credito sulla somma ricavata dalla vendita per somme eccedenti i predetti limiti (in tal senso cfr. Cass. n. 6471/1995).

La giurisprudenza ha stabilito che il creditore ipotecario può sottoporre ad esecuzione il bene vincolato alla garanzia anche se divenuto di proprietà di un terzo, ed il terzo acquirente dell'immobile ipotecato è destinato a subire l'esecuzione sul bene nella stessa posizione ed allo stesso modo in cui la subisce il debitore pignorato in relazione al bene gravato dal vincolo, in quanto egli è il soggetto passivo allo stesso modo in cui lo è il debitore originario. Pertanto, nel caso in cui il soggetto divenuto proprietario del 50% dell'immobile, sia rimasto assoggettato egli stesso, ad impulso del creditore ipotecario, alla esecuzione forzata che ha colpito l'intero immobile, e quindi, anche la sua quota, per effetto della regola della prevalenza della ipoteca sul diritto successivamente acquistato sul bene dal terzo, se ne ricava: a) che l'immobile legittimamente viene venduto nella sua interezza, con destinazione dell'intero ricavato al soddisfacimento, in primo luogo, delle ragioni del creditore ipotecario; b) che correttamente il decreto di trasferimento attribuisce all'aggiudicatario la proprietà dell'intero immobile espropriato, ai sensi dell'art. 2919 c.c., e quindi anche i diritti spettanti sullo stesso al soggetto indicato, atteso che, al pari dei debitori originari, egli stesso era rimasto assoggetto all'esecuzione, subendo l'espropriazione per il solo fatto dell'esistenza dell'ipoteca a carico del bene; c) che nessun diritto il terzo proprietario conserva sull'immobile a seguito della espropriazione, residuando allo stesso solo la possibilità di far valere le proprie ragioni nell'ambito della procedura esecutiva ovvero con separata azione nei confronti dei promittenti venditori della quota. Va escluso che l'aggiudicatario possa subire l'evizione per effetto della azione esercitata dal terzo titolare del diritto di comproprietà sull'immobile, ai sensi dell'art. 2921 c.c.: detta ultima disciplina viene in rilievo soltanto con riferimento al terzo estraneo e non con riguardo alla fattispecie del terzo che subisca l'esecuzione in dipendenza del diritto di sequela proprio dell'ipoteca (cfr. App. Bari 9 gennaio 2012).

Il terzo acquirente in forza di atto revocato per frode.

In virtù degli artt. 2740,2910, comma 1, 2913 e 2914 c.c. n. 1 per i beni immobili, n. 2 per i crediti, n. 3 per le universalità di mobili e n. 4 per i beni mobili, gli atti di alienazione anteriori al pignoramento sono idonei a sottrarre i beni alla garanzia generica patrimoniale del debitore. Al fine di evitare tale pregiudizio, il creditore non munito di garanzia specifica con diritto di seguito, né legittimato all'espropriazione forzata, può avvalersi di una serie di strumenti apprestati dal legislatore, tra i quali si colloca l'azione prevista dall'art. 2901 c.c. (ovvero dall'art. 67 l.fall., oggi art. 166CCI.): in tal caso, il trasferimento del bene dal debitore al terzo, pur essendo pienamente efficace erga omnes, è inefficace nei confronti del creditore del dante causa che ottenga una sentenza ai sensi delle richiamate disposizioni [sulla natura della inefficacia, v. per tutti Carnelutti, 1947, 210 ss.; De Martini, 1968, 152 ss.)] Mentre nel caso dell'ipoteca, è l'art. 2808 c.c. ad attribuire al creditore il diritto di espropriare, anche nei confronti del terzo acquirente, i beni vincolati a garanzia del suo credito, nella fattispecie in esame il detto diritto è insito nelle disposizioni che determinano la prevalenza sostanziale del creditore rispetto al proprietario del bene «vincolato» al soddisfacimento del credito. In mancanza, alcuna utilità rivestirebbe la sentenza di accoglimento dell'azione revocatoria per il creditore del dante causa nel contratto revocato (così Punzi, Responsabilità patrimoniale ed oggetto dell'espropriazione, in Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ., 1989, 745 s.). Nel caso dell'azione revocatoria non si pone l'esigenza di tutela del terzo che, inconsapevolmente, acquista un bene destinato ad essere assoggettato ad espropriazione forzata per un debito altrui: invero, quantomeno per gli atti a titolo oneroso, il terzo acquirente del bene oggetto di un atto revocato per frode ai creditori non può che essere consapevole del rischio dell'acquisto, poiché, in caso contrario, mancherebbe di una delle condizioni necessarie per il suo accoglimento (la consapevolezza del pregiudizio ovvero, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, la dolosa preordinazione). Soltanto i creditori che abbiano ottenuto la revoca dell'atto possono servirsi del rimedio promuovendo la espropriazione di quei beni che sono ancora nella titolarità (e possesso) del terzo in forza del titolo esecutivo ottenuto contro il debitore. Il terzo acquirente diviene, così, soggetto passivo immediato dell'azione esecutiva che compete al creditore per la tutela del proprio diritto, una volta ottenuta la revoca dell'atto, che, tuttavia, non dà luogo al ritorno del bene nel patrimonio del debitore: ben vero, l'azione ha solo la funzione di ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del debitore ex art. 2740 c.c., ed in coerenza con tale sua unica funzione, non determina il travolgimento dell'atto di disposizione posto in essere dal debitore, ma, semplicemente, l'inefficacia di esso nei soli confronti del creditore che la abbia vittoriosamente esperita, per consentire allo stesso di esercitare sul bene oggetto dell'atto l'azione esecutiva ai sensi degli artt. 602 ss. per la realizzazione del credito (Cass. n. 11491/2014; Cass. n. 3676/2011; Cass. n. 7127/2001; Cass. n. 1227/1997 dove, significativamente, si è avuto modo di affermare che l'interesse del creditore alla prosecuzione dell'azione revocatoria non viene meno per effetto del decesso del debitore nelle more del giudizio, giacché l'accoglimento di detta azione non comporta l'invalidità dell'atto di disposizione dei beni ed il rientro di questi nel patrimonio del debitore alienante, con conseguente devoluzione degli stessi ai suoi eredi, ma l'inefficacia dell'atto stesso nei soli confronti del creditore che abbia agito per ottenerla, con conseguente possibilità per quest'ultimo di promuovere l'azione esecutiva nei confronti dei terzi acquirenti dei beni divenutine proprietari). Sarà, dunque, la sentenza del giudice, a legittimare il creditore al successivo esperimento di un'azione esecutiva nei confronti dell'acquirente dei beni assoggettati a revocatoria; con la precisazione ulteriore che solo i creditori che abbiano ottenuto la revoca potranno partecipare alla espropriazione (non così gli altri creditori, cui la revoca non giova) avendo la precedenza anche sull'acquirente stesso, che, da parte sua, avrà invece il diritto di recuperare dall'alienante quanto a lui corrisposto in conseguenza dell'acquisto revocato, ma solo sul residuo, dopo che siano stati soddisfatti gli altri creditori. Diversamente, nella ipotesi di accoglimento della revocatoria fallimentare, vi sarà la restituzione del bene medesimo alla amministrazione del fallimento, tenuto conto che l'azione si inserisce in una procedura esecutiva (collettiva) già in atto, caratterizzata dalla acquisizione di tutti i beni che devono garantire le ragioni dei creditori (Cass. n. 3757/1985). Quando, invece, il curatore esperisca, in ambito concorsuale, la revocatoria ordinaria (ex art. 165 c.c.i.i., 66 l.fall.) per paralizzare gli effetti di un atto compiuto al di fuori dello stretto arco temporale previsto dall'art. 67 l.fall. – art. 166CCI), il curatore vittorioso dovrà intraprendere l'esecuzione di cui all'art. 602 c.p.c., ciò perché la liquidazione concorsuale può avere come oggetto solo i beni che appartengano al debitore insolvente, non già, anche, quelli che appartengono a terzi.

Giova, poi, evidenziare come, nel caso di due alienazioni consecutive del medesimo immobile, l'accoglimento dell'azione revocatoria proposta con riferimento alla prima alienazione sia inopponibile al secondo acquirente, quand'anche in mala fede, se questi abbia trascritto il proprio acquisto prima della trascrizione della domanda di revocazione. In tal caso, il creditore, ove assuma che anche la seconda vendita sia stata eseguita in frode del suo diritto, dovrà promuovere una nuova azione revocatoria nei confronti del secondo acquirente, oppure proporre tale azione in via riconvenzionale, nell'eventuale giudizio di opposizione all'esecuzione proposto dal subacquirente (Cass. n. 6278/2012; conforme Cass. n. 34214/2023 per cui «nel giudizio per revocatoria ordinaria proposto nei confronti dell'acquirente, il creditore non può, ove si verifichi una alienazione successiva del medesimo immobile, inserire un'ulteriore domanda nei confronti del terzo subacquirente, poiché la domanda nei confronti di quest'ultimo non può dirsi né di garanzia né comune a quella inizialmente introdotta, secondo quanto richiesto dall'art. 106 c.p.c. per la chiamata del terzo, potendo il suo acquisto essere pregiudicato solo in presenza dei presupposti di cui all'art. 2901, comma 4, c.c., e tenuto conto che solo al curatore fallimentare è consentito, ai sensi dell'art. 66, comma 2, l.fall., ampliare “a cascata”, l'ordinaria azione revocatoria contro tutti i successivi subacquirenti, al fine di assicurare, in ragione della superiore difficoltà di recupero, una più intensa tutela dei creditori dell'alienante caduto in fallimento»; v. anche, in tema di revocatoria fallimentare, Cass. n. 18370/2010 secondo la quale «l'art. 67 della l.fall., non facendo alcun riferimento alla sorte dei diritti di coloro che abbiano subacquistato dal primo acquirente del debitore fallito, è inapplicabile agli atti di acquisto di tali subacquirenti, applicandosi in tale ipotesi il regime giuridico dell'azione revocatoria ordinaria con salvezza dei diritti acquistati a titolo oneroso da terzi di buona fede. Ne consegue che il curatore fallimentare che abbia convenuto in giudizio il creditore ipotecario dell'acquirente del bene alienato dal fallito, non può giovarsi dell'inversione dell'onere della prova ai sensi dell'art. 67 l.fall. ma è tenuto a dimostrare la malafede del predetto creditore, in qualità di terzo subacquirente, secondo le regole dell'onere della prova dell'azione revocatoria ordinaria»; ma v. anche Cass. n. 16293/2016 secondo cui «l'accoglimento dell'azione revocatoria proposta con riferimento alla prima alienazione è opponibile al secondo acquirente, non importa se di buona o mala fede, ove la trascrizione della domanda di revoca sia precedente a quella del secondo acquisto, mentre quando la trascrizione della domanda di revoca segua quella del secondo acquirente questi non è pregiudicato se di buona fede e a titolo oneroso»).

Sotto altro rilevante profilo, la procura alle liti conferita all'avvocato per l'esercizio dell'azione revocatoria può legittimare il difensore (se conferita «per ogni fase del giudizio») ad agire in executivis nei confronti dei soli soggetti che abbiano partecipato al giudizio intrapreso dal creditore ai sensi degli artt. 2901 ss. c.c.; se, invece, l'esecuzione deve essere promossa nei confronti del terzo, che nelle more del giudizio di revocazione abbia subacquistato il bene oggetto dell'atto revocato e che non abbia partecipato a detto giudizio, sarà necessaria una nuova procura al difensore, a nulla rilevando che la sentenza sia opponibile anche al terzo proprietario, siccome trascritta prima della trascrizione del subacquisto da parte di quest'ultimo (v. Cass. n. 6282/2012).

Sulla necessità del previo esperimento dell'azione revocatoria, quale condizione di esercizio dell'azione esecutiva nei confronti dei terzi proprietari, cfr. Cass. n. 6836/2017 riguardante il caso in cui sia stato disposto, ai sensi dell'art. 316 c.p.p., un sequestro conservativo penale di beni di terzi acquirenti a titolo oneroso dall'imputato condannato con sentenza penale al risarcimento dei danni in favore della parte civile, ove si afferma che, affinché la conversione del sequestro in pignoramento ai sensi dell'art. 320 c.p.p. possa dare luogo (in forza della sentenza penale di condanna) ad un'azione esecutiva per espropriazione degli immobili dei terzi, è necessario che l'alienazione sia stata previamente revocata ai sensi degli artt. 2901 ss. c.c. (critica in dottrina la soluzione prescelta dalla Corte, nel citato precedente, in punto di assenza di nesso di pregiudizialità tra i giudizi, Alunni, 2017, 1591, posto che una sentenza di accoglimento della domanda revocatoria comporterebbe un esito ben diverso del giudizio di opposizione e, soprattutto, la sua sospensione, sempre in caso di accoglimento della revocazione, permetterebbe di salvare atti ed effetti già posti in essere nel processo esecutivo, con un evidente difesa del principio di economia processuale; ma v. anche Cass. n. 20595/2015 per la quale «nel caso in cui il debitore alieni un immobile di sua proprietà in pregiudizio del diritto del creditore, costui può cumulativamente agire sia con l'azione revocatoria dell'atto traslativo, sia con il pignoramento, presso il terzo acquirente, del credito spettante all'alienante in relazione al pagamento del prezzo di acquisto, trattandosi di strumenti di tutela alternativi, riconosciuti al creditore e tra loro non confliggenti, che gli consentono, rispettivamente, di aggredire – nel primo caso – il bene con una azione esecutiva immobiliare ex art. 602 c.p.c. nei confronti del terzo acquirente, ovvero di conseguire – nel secondo – una ordinanza di assegnazione del corrispettivo ancora da pagare, ex art. 553 c.p.c.». Trattasi pacificamente di strumenti alternativi di tutela del creditore nei confronti del debitore onde ottenere, tramite il ricorso a due distinte procedure esecutive, il pagamento del medesimo credito, entrambi consentiti dall'ordinamento, e regolati in termini tali da escludere che l'uno possa entrare in conflitto con l'altro, fintantoché le ragioni del creditore nei confronti del proprio debitore non siano interamente soddisfatte).

Il legislatore ha disposto che il creditore-attore deve espropriare il bene oggetto dell'atto revocato nelle forme dell'espropriazione contro il terzo proprietario, non considerando l'ipotesi in cui il debitore per sottrarre il bene alla garanzia dei creditori, anziché trasferirlo, costituisca sul medesimo un diritto reale limitato. Anche in tal caso si verifica quell'eventus damni che legittima l'azione revocatoria del creditore, l'accoglimento della quale renderà necessaria l'effettuazione di una espropriazione del diritto di proprietà nei confronti del debitore e di una espropriazione contro il terzo con riferimento al diritto reale limitato. Devesi, tuttavia, ricordare che i diritti di servitù, di uso e di abitazione non sono suscettibili di essere espropriati autonomamente: parte della dottrina, in tal caso, propugna l'applicazione dell'art. 2812 comma 1 e 2 c.c. quale norma contenente un principio generale, suscettibile di operare non soltanto quando il bene sia gravato da ipoteca ma anche in tutte le ulteriori ipotesi affini a quella espressamente considerata dalla disciplina positiva (v. per l'operatività della disposizione nelle procedure concorsuali, Cass. n. 3722/1993).

L'art. 2902 c.c. consente al creditore, che ha ottenuto la dichiarazione di inefficacia, di «promuovere nei confronti dei terzi acquirenti le azioni esecutive o conservative sui beni che formano oggetto dell'atto impugnato». Di fronte al fallimento del terzo acquirente, il creditore incorre, pertanto, nei medesimi problemi di colui che è garantito da ipoteca iscritta sul bene di un terzo fallito (per cui v. supra).

Un tradizionale orientamento giurisprudenziale, richiamando le sentenze di legittimità concernenti il creditore ipotecario e precedenti la riforma fallimentare del 2006, parificava le due situazioni. Al creditore vincitore in revocatoria veniva negata l'esperibilità dell'insinuazione al passivo, ed era riconosciuto un diritto di prelazione sul bene oggetto dell'atto revocato con attribuzione del potere di intervenire in sede di vendita per partecipare alla ripartizione delle somme ricavate dalla liquidazione del bene dopo la notifica dell'avviso ai sensi dell'art. 108 l.fall. previgente: cfr. Cass. n. 25950/2011 secondo cui «l'art. 602 c.p.c., introduttivo del capo 6, titolo 2, libro 3, del c.p.c., intitolato ‘espropriazione contro il terzo proprietario', equipara infatti l'espropriazione sui beni gravati da pegno od ipoteca per un debito altrui a quella sui beni la cui alienazione da parte del debitore è stata revocata per frode. Ne consegue che in caso di accoglimento della domanda revocatoria trascritta in data anteriore al fallimento, la sentenza costituirà titolo per partecipare al riparto: in base ad essa, l'attore vittorioso potrà ottenere, in sede di distribuzione del ricavato della vendita del bene, la separazione della somma corrispondente al proprio credito verso l'alienante, di cui ha diritto ad ottenere il soddisfacimento in via prioritaria rispetto ai creditori concorsuali.» In forza di tale orientamento, era esclusa la possibilità per il creditore revocante sia di insinuarsi al passivo fallimentare del terzo acquirente, non essendo diretto creditore dello stesso, sia di agire autonomamente in via esecutiva nei confronti della procedura concorsuale. Sulla scorta di detta impostazione, il creditore vincitore in revocatoria non avrebbe potuto inserirsi al passivo del fallimento del convenuto perdente, non vantando nei confronti di questo alcuna pretesa creditoria: la tutela del suo diritto, alla stregua di quanto previsto per il diritto del creditore ipotecario, si sarebbe dovuta concretizzare nell'esercizio in via autonoma di un'azione esecutiva contro la procedura fallimentare ai sensi degli artt. 602 e ss. c.p.c. Successivamente, con l'ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, n. 1894/2018 (nello stesso senso va, poi, Cass. n. 2657/2019 quanto al regime dell'ipoteca), la Sezione I della Cassazione ha espressamente affermato che l'unico «sbocco» possibile per il creditore vincitore in revocatoria è l'insinuazione del credito da restituzione, corrispondente al valore del bene oggetto dell'atto revocato, nel passivo fallimentare del convenuto perdente.

Con la sentenza Cass.S.U. , n. 30416/2018 le Sezioni Unite addivengono alla conclusione che, nei confronti dell'imprenditore sottoposto ad un procedimento concorsuale, non sia esercitabile né l'azione revocatoria ordinaria (exartt. 2901 e ss. c.c. o ex art. 66 del r.d. n. 267/1942) né quella c.d. fallimentare (ex art. 67 del detto r.d.): in sostanza, l'actio pauliana non sarebbe esercitabile successivamente al fallimento del soggetto che dall'atto pregiudizievole ai creditori abbia tratto vantaggio. Due le ragioni che sorreggono la soluzione: il principio di c.d. cristallizzazione dello status patrimoniale dell'imprenditore al momento dell'apertura del concorso e la natura costitutiva dell'azione revocatoria, natura che implica la validità e l'efficacia dell'atto revocando sino al momento nel quale il giudice accoglie la domanda. Dalla combinazione di questi due assiomi deriva, appunto, che l'azione revocatoria promossa dopo la dichiarazione di fallimento (quand'anche gli effetti del suo accoglimento vengano fatti risalire retroattivamente al giorno di proposizione della domanda) avrebbe l'effetto di incidere sul patrimonio del fallito (comportando una modifica ex post di una situazione giuridica preesistente ed una lesione della par condicio creditorum), dovendone conseguire l'inammissibilità dell'azione. L'impostazione della sentenza del 2018 viene completamente rivista attraverso un nuovo pronunciamento delle Sezioni Unite (n. 12476/2020), ove si afferma che «oggetto della domanda revocatoria, sia essa ordinaria che fallimentare, non è il bene trasferito in sé, ma la reintegrazione della generica garanzia patrimoniale dei creditori, mediante il suo assoggettamento ad esecuzione forzata, sicché quando l'azione sia stata promossa dopo il fallimento dell'accipiens, non potendo essere esperita con la finalità di recuperare il bene ceduto – stante l'intangibilità dell'asse fallimentare –, i creditori del cedente (ovvero il curatore in caso di suo fallimento) potranno insinuarsi al passivo del fallimento del cessionario per il valore del bene oggetto dell'atto di disposizione». In particolare, secondo la sentenza in parola, in tema di revocatoria dell'atto di trasferimento di un bene, la sopravvenienza del fallimento dell'accipiens assume rilevanza a causa del principio di «cristallizzazione» non del passivo, bensì dell'attivo o cd. asse fallimentare.

Dunque, l'azione revocatoria di un atto di trasferimento di un bene in favore dell'accipiens poi fallito, va ritenuta ammissibile a condizione che essa non venga esercitata mediante una azione costitutiva tesa al recupero del bene venduto, bensì con una domanda di insinuazione allo stato passivo del medesimo accipiens esattamente per il suo controvalore; e sempre che, naturalmente, il creditore del cedente (ovvero, in caso di fallimento di quest'ultimo, il curatore che ne rappresenta la massa) chieda al giudice delegato del fallimento del cessionario «la delibazione della pregiudiziale costitutiva».

Dichiaratamente in continuità con l'arresto del 2020 si pone la successiva Cass. n. 34391/2022, che ribadisce come in ipotesi di fallimento del terzo acquirente l'azione revocatoria non sia ammissibile «perché non è consentito incidere sul patrimonio del fallimento recuperando il bene alla sola garanzia patrimoniale del creditore dell'alienante ed onde esercitare su questo l'azione esecutiva» cosicché ai creditori dell'alienante resta solo la possibilità de «l'esercizio della pretesa volta a ottenere la reintegrazione per equivalente nelle forme indotte dalle regole della concorsualità», ovvero l'insinuazione al passivo del fallimento del terzo acquirente per il controvalore della reintegrazione per equivalente.

Allorché l'atto di disposizione incidente sulla garanzia patrimoniale generica sia posto in essere dal debitore imprenditore commerciale cagionandone o contribuendo ad aggravarne l'insolvenza, sì da comportarne la dichiarazione di fallimento, il pregiudizio che giustifica l'esercizio dell'azione revocatoria si riverbera necessariamente sulla posizione dello intero ceto creditorio, le cui ragioni devono essere soddisfatte secondo le regole del concorso: in tal senso si giustifica la legittimazione del curatore all'esercizio dell'azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c., nell'interesse della massa in aggiunta all'azione revocatoria fallimentare. Afferma la S.C. come si tratti di una legittimazione – non derivante da norme di diritto comune – ma prevista da una specifica disposizione positiva – ad esperire un'azione che, seppur postulante i medesimi presupposti di quella regolata dall'art. 2901 c.c., deriva da una procedura d'insolvenza ed è con essa strettamente connessa (così Cass. S.U., n. 10233/2017), dal che discende la impraticabilità di autonome iniziative da parte dei creditori, non abilitati neppure ad intervenire o permanere nel giudizio avviato o proseguito dal curatore.

Quanto alle ipotesi del concorso dell'azione revocatoria ordinaria promossa dal curatore con identica azione esperita dal singolo creditore nonché del fallimento del debitore in pendenza di azione revocatoria promossa dal creditore cfr. Cass. S.U., n. 29420/2008, ha puntualizzato il duplice, alternativo modo di declinazione della legittimazione all'azione revocatoria ordinaria conferita al curatore fallimentare dall'art. 66 I.fall.: in via, per dir così, autonoma e principale, cioè con l'introduzione ex novo della domanda giudiziale, oppure come prosecuzione della lite già intrapresa dal singolo creditore e pendente all'epoca del fallimento del debitore. In quest'ultima evenienza, si realizza, dal punto di vista soggettivo, il subentro del curatore nella posizione processuale del creditore originario attore, con accettazione della causa in statu e terminis, mentre, dal punto di vista oggettivo, si determina un ampliamento degli effetti della contesa e della pronuncia, in quanto la domanda d'inopponibilità dell'atto di disposizione compiuto dal debitore, inizialmente proposta a vantaggio soltanto del singolo creditore che ha proposto l'azione, viene ad essere estesa a beneficio della più vasta platea costituita dalla massa di tutti i creditori concorrenti. Ne discende che, effettuato il subentro nella lite del curatore, la legittimazione e l'interesse ad agire del creditore individuale vengono meno (restando l'esigenza di tutela della sua posizione assorbita in quella della massa dei creditori) e la domanda da lui proposta diviene improcedibile: «perché non si è in presenza di due azioni, ma sempre dell'unica azione originaria, nella quale il curatore è subentrato avvalendosi di una speciale legittimazione sostitutiva rispetto a quella de/singolo creditore».

L'espropriazione di beni immobili e mobili registrati nella ipotesi dell'art. 2929-bis c.c.

Il d.l. n. 83/2015, convertito in l. n. 132/2015, recante «misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell'amministrazione giudiziaria» ha introdotto, immediatamente dopo il gruppo di norme (artt. 2919-2929) disciplinanti gli effetti della vendita forzata e dell'assegnazione, l'art. 2929-bis rubricato «espropriazione di beni oggetto di vincoli di indisponibilità o di alienazioni a titolo gratuito».

In virtù di tale disposizione, il creditore munito di titolo esecutivo, che si ritenga pregiudicato da un atto del debitore a titolo gratuito di alienazione o di costituzione di un vincolo di indisponibilità relativo a beni immobili o mobili registrati, compiuto successivamente al sorgere del credito, può procedere ad esecuzione forzata, ancorché non abbia preventivamente ottenuto sentenza dichiarativa di inefficacia, se trascrive il pignoramento entro un anno dalla trascrizione dell'atto dispositivo pregiudizievole. Dunque, l'intento perseguito dal legislatore della riforma è quello di sollevare il creditore che intenda agire in executivis dall'onere di intraprendere preliminarmente l'azione revocatoria, allorquando, in considerazione delle circostanze temporali e della natura degli atti posti in essere, possa presumersi esistente la consapevolezza del pregiudizio arrecato ai creditori.

All'indomani della novella legislativa si registrava una tendenza interpretativa volta ad identificare tale azione alla stregua di una sorta di revocatoria semplificata e/o anticipata ex lege, riconducendosi, dunque, la stessa al novero dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale.

Tale tesi viene reputata non condivisibile dalla dottrina più recente secondo cui il nuovo istituto deve essere inteso come una forma speciale di aggressione esecutiva – azione esecutiva revocatoria, per l'appunto – che potrà assumere le forme dell'espropriazione contro il terzo proprietario, laddove l'atto pregiudizievole abbia trasferito la proprietà sul bene, ovvero dell'espropriazione contro il debitore laddove l'atto abbia unicamente costituito un vincolo di indisponibilità (Cirulli). Criticabile l'opinione dottrinale primigenia anche sotto il versante sistematico, posto che la qualificazione dell'art. 2929-bis c.c. quale azione revocatoria presupporrebbe una collocazione ideale all'interno del libro VI dedicato agli strumenti di garanzia patrimoniale, non certo nel titolo IV del Libro IV (Capponi, 2016, pag. 60).

Dunque, onerando il creditore della sola trascrizione del pignoramento entro il termine previsto, il legislatore inaugura una fattispecie processuale complessa in cui l'azione esecutiva assume una efficacia costitutiva, idonea a determinare ex se l'inefficacia relativa dell'atto di disposizione del patrimonio nei confronti del creditore procedente e degli interventori.

Preliminarmente, occorre evidenziare la finalità protezionistica perseguita dal legislatore con la disposizione normativa in commento che, nell'ottica del generale principio del favor creditoris, solleva il creditore che intenda promuovere espropriazione forzata su beni costituenti oggetto di atti di disposizione del debitore dall'onere di introdurre apposita domanda revocatoria ex art. 2901 c.c., e, dunque, di attendere la sentenza declaratoria dell'inefficacia dell'atto dispositivo.

Secondo l'orientamento dottrinale prevalente, la norma persegue un obiettivo di semplificazione processuale, posto che l'azione ex art. 2929-bis sostituisce la sentenza di revoca dell'atto pregiudizievole compiuto dal debitore esecutato in frode delle ragioni creditorie, efficace solo dopo il passaggio in giudicato, con la mera affermazione da parte del creditore procedente titolato della sussistenza dei presupposti legittimanti richiesti dalla norma (Miccolis, 2016, III, pag. 336).

L'art. 2929-bis, c.c. inaugura, così, un'architettura processuale fondata su tre elementi:

a) ampliamento dell'efficacia soggettiva del titolo esecutivo, riconoscendo al creditore la possibilità di pignorare beni di proprietà di un terzo ovvero beni costituenti un patrimonio separato;

b) inversione del rapporto tra processo di cognizione e processo esecutivo, quest'ultimo instaurabile sin da subito, relegando, pertanto, l'instaurazione del primo all'eventuale scelta del debitore o del terzo di introdurre opposizioni all'esecuzione;

c) onus probandi a carico degli opponenti, chiamati a provare l'insussistenza dei presupposti giustificanti il ricorso alla azione esecutiva speciale.

La legittimazione ad avvalersi dell'azione inaugurata con l'art. 2929-bis spetta al creditore munito di titolo esecutivo, il cui diritto di credito sia sorto antecedentemente alla trascrizione dell'atto dispositivo a titolo gratuito avente ad oggetto beni immobili o mobili registrati. Il comma I riconosce, inoltre, al creditore anteriore titolato la legittimazione ad esperire atto di intervento nell'esecuzione forzata intrapresa da terzi, entro un anno dalla trascrizione dell'atto pregiudizievole [non a caso si parla di «vincolo a porta aperta o, meglio, semiaperta» (Tedoldi, 2/2016, 158)]

Sullo sfondo, resta un requisito non espressamente contemplato nella disposizione neointrodotta, rappresentato dalla presunzione juris tantum del pregiudizio arrecato dall'atto dispositivo alla garanzia patrimoniale generica. Sul punto, occorre evidenziare che, se il comma 1 dell'art. 2929-bis non menziona i requisiti della scientia damni (o consilium fraudis), tale riferimento viene recuperato al comma 3 in ordine alla definizione dell'ambito oggettivo delle opposizioni esperibili dal debitore, dal terzo esecutato ovvero da ogni altro soggetto interessato. Vanno intesi quali indici dell'intento fraudolento del debitore, tanto la consapevolezza dell'esistenza del credito al momento di compimento dell'atto, quanto lo stretto lasso temporale intercorso tra l'atto dispositivo ed il pignoramento. Tale profilo evidenzia come i requisiti costitutivi imprescindibili per la revocatoria ordinaria restino inespressi nell'ambito dell'azione ex art. 2929-bis c.c., requisiti potenzialmente emergenti nella fase di cognizione inaugurata con il giudizio di opposizione all'esecuzione, posto che l'opponente potrebbe contestare proprio la conoscenza del pregiudizio (cd. presupposto soggettivo; così Capponi, op. cit., 60-61).

Il coacervo di tali elementi determina la maturazione della presunzione giusta la quale l'atto di disposizione, già ex se idoneo a determinare una depauperazione del patrimonio a danno del ceto creditorio, sia stato compiuto nella consapevolezza di cagionare un pregiudizio ai creditori, nell'intenzione di sottrarre beni al probabile pignoramento, stante la minaccia di un'esecuzione incombente.

Trattasi, dunque, di fattispecie di stretta applicazione, tenuto conto che il potere d'azione riconosciuto al creditore in presenza dei presupposti ex lege può esercitarsi solo in talune delle fattispecie riconducibili all'art. 2901 c.c., ossia soltanto per affrancarsi dall'azione revocatoria, altrimenti necessaria per procedere all'espropriazione forzata (Miccolis, op. ult. cit., 338).

L'istituto in commento, finalizzato com'è a fornire tutela al creditore avverso atti dispositivi, trova un prossimo referente nell'art. 64 l.fall. e, dunque, nella disciplina dell'inefficacia degli atti a titolo gratuito compiuti dal fallito nel biennio anteriore alla dichiarazione di fallimento. Invero, l'art. 64 l.fall. introduce un'ipotesi di inefficacia ex lege degli atti dispositivi indicati, sollevando il curatore dall'onere di introdurre un'azione revocatoria fallimentare. L'apparente similitudine non è sufficiente a superare le sostanziali divergenze esistenti tra i due istituti in commento. In particolare: a) l'inefficacia ex art. 64 l.fall. ha carattere eminentemente oggettivo, rilevando unicamente il profilo temporale, trattandosi di atti compiuti nel biennio antecedente al fallimento; irrilevanti sono la qualità di imprenditore commerciale del fallito, lo stato di insolvenza irreversibile o l'effettivo pregiudizio arrecato ai creditori; b) l'art. 2929-bis c.c. riconosce al debitore, al terzo ovvero agli interessati la possibilità di contestare che l'atto abbia arrecato danno alle ragioni creditorie o che il debitore fosse a conoscenza della potenzialità pregiudizievole; c) entrambi gli istituti si fondano sull'inversione dell'onere dell'iniziativa processuale, trasferito dal curatore o dal creditore, i quali non devono preliminarmente esercitare l'azione revocatoria, al beneficiario dell'acquisto o del vincolo, legittimati ad opporsi all'acquisizione coatta del bene al patrimonio fallimentare (realizzata mediante la trascrizione della sentenza dichiarativa) ed all'espropriazione forzata.

Vale la pena di evidenziare che, nel CCI, la disciplina degli atti a titolo gratuito trova la sua collocazione nell'art. 163 che sostanzialmente riproduce il testo dell'art. 64 l.fall., regolando una ipotesi di inefficacia ex lege dell'atto subordinata alla presenza del presupposto dell'atto a titolo gratuito e del relativo compimento nel periodo sospetto. In ordine alla posizione dei terzi che acquistino dal soggetto in favore del quale l'imprenditore soggetto a liquidazione giudiziale ha posto in essere l'atto gratuito, l'acquisto del terzo subacquirente a titolo oneroso resta salvo se questi sia stato in buona fede al momento dell'acquisto, trovando applicazione analogica la regola di cui all'art. 2901 comma 4 c.c.; per contro, l'acquisto a titolo gratuito del terzo subacquirente deve ritenersi anche esso travolto con obbligo per il subacquirente di restituire il bene (salvi gli effetti della trascrizione dell'atto se compiuta anteriormente alla sentenza che ha aperto la liquidazione). Trattasi di azione la cui legittimazione spetta esclusivamente al curatore ed avente natura dichiarativa, come tale non soggetta a prescrizione. Il secondo comma della disposizione in esame disciplina la cd. revocatoria semplificata: nel caso dei beni soggetti a meccanismi di pubblicità, l'acquisizione avviene mediante trascrizione della sentenza che apre la liquidazione giudiziale, rimettendo al terzo (o agli altri interessati) l'onere di contestare tale acquisizione per il tramite del reclamo ex art. 133. Il meccanismo tradizionale di proposizione dell'azione di inefficacia resta limitato ai soli beni non assoggettati a regimi di pubblicità. La novità, contenuta nel comma 2, è rappresentata dalla circostanza che i beni oggetto degli atti a titolo gratuito vengono acquisiti in automatico al patrimonio della liquidazione giudiziale per effetto della trascrizione della sentenza dichiarativa, senza necessità di intraprendere alcuna iniziativa giudiziale per la declaratoria di inefficacia.

Quanto al rapporto tra il meccanismo previsto dalla norma in esame e l'azione revocatoria, secondo una prima tesi (Dominici, L'art. 2929 bis c.c. e l'azione esecutiva revocatoria, in Giur. it., 2016, 2046), il rapporto tra il nuovo mezzo di tutela del credito e la revocatoria è tale per cui, laddove l'ambito di applicazione dell'uno e quello dell'altra coincidono, il creditore non può più agire in revocatoria. Ciò in quanto, considerato che «sul piano della successione delle leggi nel tempo, l'art. 2929-bis, c.c., si presenta come una norma di natura speciale o eccezionale rispetto all'art. 2901 c.c. e quindi, in base al principio espresso nel brocardo lex posterior derogat priori, parzialmente abrogativa della stessa disposizione», l'eventuale azione revocatoria sarebbe inammissibile per difetto di una disposizione a tutela della posizione giuridica vantata dall'attore, oppure in quanto, considerato che il meccanismo dell' art. 2929-bis consente di aggredire direttamente il bene alienato o vincolato e rende la revocatoria «superflua», l'eventuale azione revocatoria, oltre ad integrare un «abuso del processo» (Tedoldi, cit. 157), andrebbe incontro ad una sentenza di rigetto in rito per difetto della condizione di cui all'art. 100 c.p.c. A prevalere è, tuttavia, la tesi opposta, in forza della quale, pur dopo l'introduzione del nuovo istituto, il creditore ha la facoltà di ricorrere all'azione revocatoria ordinaria anche nell'ipotesi in cui l'atto pregiudizievole rientri fra quelli che legittimano l'immediato pignoramento ex art. 2929-bis c.c. e l'attore risulti munito di titolo esecutivo per un credito anteriore al suo compimento (Proto Pisani, 2016, 137). Tale impostazione si basa in primis sulla lettera dell'art. 2929-bis, c.c. laddove è previsto che il creditore, in presenza delle condizioni stabilite nella prima parte del primo comma della norma, può precedere ad esecuzione forzata «ancorché non abbia preventivamente ottenuto sentenza dichiarativa di inefficacia» (se trascrive il pignoramento nel termine di un anno dalla data in cui l'atto è stato trascritto): trattasi di disposizione sì speciale rispetto a quella contenuta nell'art. 2901 c.c., pur tuttavia non incompatibile con la norma generale né, quindi, tacitamente abrogativa della stessa. Ulteriormente i fautori della detta tesi svolgono, a supporto dei propri argomenti, considerazioni relative all'interesse ad agire in revocatoria per il creditore legittimato ex art. 2929-bis: nei casi in cui vi sia incertezza sulla sussistenza dei presupposti dell'esecuzione immediata ed, in ogni caso, nella ipotesi in cui sia stata proposta opposizione ai sensi dell'art. 2929-bis, comma 3, il creditore, agendo esecutivamente beneficia degli effetti della trascrizione del pignoramento ma, solo proponendo la revocatoria (anche in via riconvenzionale rispetto all' opposizione), potrà beneficiare degli effetti della trascrizione della domanda giudiziale, di cui agli artt. 2901, comma 4 c.c., e dell'art. 2952 c.c., così evitando di soccombere nell'eventuale conflitto con il terzo subacquirente dall'avente causa del debitore o con il terzo creditore ipotecario o creditore pignoratizio dell'avente causa del debitore, che abbiano trascritto il loro titolo o il pignoramento dopo la trascrizione della domanda, ove l'opposizione sia accolta (sul punto v. Miccolis, 2016, 339 ss).

Ulteriore questione sorge con riferimento alla possibilità di esperire l'azione revocatoria per il creditore che non abbia agito ex art. 2929-bis, c.c. entro l'anno dalla trascrizione dell'atto pregiudizievole: secondo una tesi, la risposta dovrebbe essere negativa o perché, trascorso l'anno, vi sarebbe un legittimo affidamento delle parti del negozio pregiudizievole sulla ormai acquisita stabilità dello stesso (Pagliantini, 2017, 172) o perché, trascorso l'anno, «il soddisfacimento del creditore non è stato pregiudicato dall'alienazione a titolo gratuito effettuata dal debitore, ma dall'inerzia del creditore che, pur potendo eseguire il pignoramento ex art. 2929-bis c.c. in virtù della temporanea inopponibilità ex lege, non ha proceduto all'esecuzione entro l'anno dalla trascrizione» (Federico, 2016, 805.). Critica l'impostazione Mondini, L'art. 2929 bis c.c. («espropriazione di beni oggetto di vincoli di indisponibilità o di alienazioni a titolo gratuito»): spunti di carattere processuale, su Judicium, 2017, per il quale al primo argomento si può obiettare non solo che esso finisce per porre ingiustificatamente il creditore legittimato ad agire ex art. 2929-bis c.c. in una posizione peggiore rispetto al creditore privo di titolo esecutivo – posto che quest'ultimo, a differenza del primo, potrebbe agire ex art. 2901 c.c. anche dopo l'anno – ma soprattutto che esso presuppone un legittimo affidamento delle parti del negozio pregiudizievole, che non è postulabile perché l'atto rimane sottoponibile a revocatoria per iniziative di altri creditori, mentre con riferimento al secondo argomento evidenzia che esso confonde tra causa del pregiudizio e mancata attivazione per rimuovere il pregiudizio (il pregiudizio deriva, in effetti, dall'atto e non dal mancato esercizio del potere esecutivo finalizzato a rimuovere gli effetti dell'atto stesso).

Altro problema si pone quando il creditore, dopo avere agito ex art. 2901 c.c., ovvero dopo aver ottenuto una sentenza di revoca non ancora definitiva, agisca con l'esecuzione immediata ex art. 2929-bis, c.c. In primo luogo, vi è da chiedersi se il creditore abbia o non, questa possibilità di agire. In senso contrario, è stato affermato che il creditore, agendo in revocatoria, abbia consumato il potere di agire in via esecutiva immediata perché il pignoramento diretto determina la «pendenza virtuale» – e suscettibile di divenire concreta con la proposizione dell'opposizione all'esecuzione- del petitum revocatorio (De Cristofaro, La prospettiva processuale della Pauliana (note sull'introduzione del nuovo art. 2929-bis c.c.) (art. 12 D.L. 27 giugno 2015 n. 83 con modificazioni L. 6 agosto 2015 n. 132), in Le Nuove Leggi Civili Commentate, 2016, 453). Critica Mondini, cit., per il quale l'affermazione non può essere condivisa: oltre al rilievo per cui la coincidenza di oggetto tra eventuale opposizione e oggetto della revocatoria è possibile ma non necessaria, perché l'opposizione potrebbe riguardare presupposti specifici dell'art. 2929-bis, c.c. quali l'anteriorità del credito o la tempestività della trascrizione del pignoramento, viene evidenziato che, proprio perché l'opposizione è solo un'ipotesi, non può ritenersi che essa osti al ricorso all'art. 2929-bis; ove poi l'opposizione venga effettivamente proposta e riguardi gli stessi profili oggetto della revocatoria, vi sarà la necessità di disporre la riunione della cause ai sensi dell'art. 39 c.p.c. o dell'art. 273 c.p.c. Né potranno sorgere difficoltà per il caso in cui, a seguito della opposizione all'esecuzione, vi siano i presupposti per la sospensione dell'esecuzione: una volta che il giudice abbia sospeso l'esecuzione nell'esercizio della sua competenza funzionale a provvedere sul punto, l'opposizione non dovrebbe essere a sua volta sospesa ma dovrà essere dichiarata la litispendenza o la connessione per pregiudizialità rispetto alla revocatoria, con conseguente applicazione dell'art. 39 c.p.c. e dell'art. 273 c.p.c. (ma v. nel senso della possibilità in tal caso di valutare la sospensione facoltativa ex art. 337 comma 2, c.p.c.; Cass. n. 20189/2024).

Le disposizioni del Codice della Navigazione

L'espropriazione contro il terzo può riguardare anche navi (e galleggianti) ed aeromobili.

Il caso della nave è preso in considerazione dall'art. 670 cod. nav. che, riproducendo sostanzialmente gli artt. 603 e 604 del c.p.c., disciplina l'azione esecutiva dei creditori dell'armatore non proprietario che siano muniti di privilegio sulla nave: non ha, dunque, natura innovativa, sotto l'aspetto sostanziale, la disciplina dettata dal codice della navigazione in merito all'espropriazione forzata diretta nei riguardi del proprietario-non armatore (e quindi terzo perché non debitore) di una nave o di un aeromobile soggetto ad esecuzione da parte di chi agisce in base ad un credito (verso l'armatore) assistito da privilegio marittimo o da ipoteca. L'art. 670 cod. nav. (al quale rinvia, per l'aeromobile, l'art. 1070 cod. nav.) ripropone i precetti e le garanzie fissati nel rito comune con riguardo all'espropriazione contro il terzo proprietario (non debitore) dagli artt. 602 ss. c.p.c. Si assiste, anche in tal caso, ad una scissione tra la proprietà e l'esercizio della nave ed alla correlativa contrapposizione tra le posizioni del proprietario e dell'armatore. Benché, infatti, il mero proprietario, in quanto tale, non sia il principale obbligato per l'attività inerente all'esercizio della nave (a meno che tale esercizio non sia dallo stesso assunto, o presunto in capo al medesimo proprietario, e che quindi questi venga a rivestire anche la qualità di armatore), può accadere che egli sia ordinariamente soggetto a responsabilità patrimoniale verso i terzi per svariate obbligazioni afferenti al detto esercizio, pur posto in essere da altro soggetto, ossia dall'armatore.

I privilegi speciali determinano, così, una sorta di confusione tra proprietà ed esercizio della nave, tanto che parecchi debiti inerenti all'esercizio sono in grado di colpire direttamente il bene – nave e ledere così il distinto diritto di proprietà. Ben vero, l'assoggettamento del proprietario-non armatore ad una garanzia patrimoniale, rappresentata dal bene nave, per un debito altrui, risulta anche dal sistema di diritto uniforme introdotto nell'ordinamento italiano, imperniato sul riconoscimento del diritto a procedere a sequestro conservativo della nave al fine di garantire la successiva realizzazione di determinati crediti, qualificati come crediti marittimi dalla Convenzione di Bruxelles del 105-1952 in tale materia.

L'elenco dei detti privilegi è contenuto nell'art. 552 del medesimo codice: trattasi di privilegi destinati ad operare per definizione anche a carico del proprietario non armatore, salva l'eccezione indicata nell'art. 560 e che «seguono la nave presso il terzo proprietario» nel caso di alienazione. Per «nave» ai sensi dell'art. 136 del cod. nav. si intende «qualsivoglia costruzione destinata al trasporto per acqua, anche a scopo di rimorchio, di pesca, di diporto o altro scopo. Le navi si distinguono in maggiori e minori e le disposizioni che si applicano alle navi si applicano, in quanto non sia diversamente disposto anche ai galleggianti mobili adibiti a qualsiasi servizio attinente al traffico in acque marittime o interne». Tutte le navi o galleggianti mobili sono iscritti nei pubblici registri e tale iscrizione risulta necessaria, fondandosi su di essa ogni atto di espropriazione, che, in assenza dell'iscrizione, non potrà essere compiuto se non nelle forme del procedimento ordinario. La specificità della registrazione consente di trattare il bene mobile alla stregua di un bene immobile, affiancando la notifica del pignoramento alla trascrizione dello stesso, senza alcuna materiale apprensione del bene. Giudice competente per la espropriazione deve essere considerato quello ove la nave si trova o quello costiero più vicino al presumibile scalo se la nave si trova in corso di navigazione e naturalmente deve trovarsi in luogo ove lo Stato esercita la sua sovranità. Il foro territoriale dell'esecuzione forzata di cui all'art. 643 cod. nav., ha carattere funzionale inderogabile e pertanto non concorre con il foro generale dell'art. 18 c.p.c. La giurisprudenza (cfr. Cass. n. 8247/2003) ha precisato che l'esecuzione forzata che abbia ad oggetto navi, galleggianti e le loro pertinenze è disciplinata esclusivamente dalle disposizioni speciali contenute nel Codice della Navigazione (salvo espresso richiamo alle norme previste in tema di esecuzione dal codice di procedura civile). Ne consegue che il termine del precetto è di 30 giorni ex art. 648 cod. nav. ed il pignoramento ex art. 650, comma 2 cod. nav., si esegue su istanza del creditore, mediante notificazione dell'atto al proprietario ed al Comandante; in caso di nave in corso di navigazione la notifica al Comandante può essere eseguita a mezzo telegramma collazionato con avviso di ricevimento o tramite comunicazione radiotelegrafica.

Non tutti i creditori sono legittimati ad aggredire un bene per debiti altrui, ma solo coloro i quali assumano la titolarità di privilegi navali(artt. 552 cod. nav. e 2750 c.c.). Come si evince dall'art. 653 cod. nav. non prima di trenta giorni e non oltre novanta giorni dal pignoramento, il creditore pignorante o uno dei creditori muniti di titolo esecutivo può chiedere la vendita della nave o del carato (particella in cui si suole dividere la nave: una nave vale ventiquattro carati) con ricorso al giudice competente ai sensi dell'art. 643. Nel termine di giorni trenta dalla notificazione e non oltre novanta dal pignoramento, il creditore istante è tenuto a depositare presso la cancelleria del giudice competente, il ricorso notificato e l'estratto del registro di iscrizione; di essi si forma il fascicolo insieme con l'atto di pignoramento con le osservazioni degli interessati sulle condizioni di vendita. Pur se la normativa non disciplina esattamente l'aspetto, si deve ritenere ammissibile l'intervento dei creditori che vantino crediti nei confronti del proprietario della nave, nei limiti stabiliti dal codice della procedura civile. La gran parte delle modalità di vendita non sono molto differenti da quelle stabilite dal codice di rito, salvo una maggiore precisione nella indicazione dello svolgimento delle aste successive per evitare che eccessivi ribassi possano pregiudicare le ragioni creditorie.

Il caso dell'aeromobile è, invece, regolato dall'art. 1070 che attribuisce ai creditori privilegiati dell'esercente la possibilità di esperire l'azione esecutiva nei confronti del terzo esercente non proprietario ovvero del terzo acquirente.

Il terzo acquirente della nave può liberare la nave da ogni ipoteca trascritta e da ogni privilegio per credito sorto anteriormente alla trascrizione del suo titolo di acquisto seguendo la procedura disciplinata dagli artt. 674-679 cod. nav., procedura analoga a quella di liberazione dell'immobile ipotecato per cui v. infra (procedura applicabile ex art. 1072 anche all'acquirente dell'aeromobile). Non è prevista, invece, la possibilità di rilascio della nave o dell'aeromobile.

La procedura dell'espropriazione di aeromobile (artt. 1061 e ss. cod. nav.) rinvia alle norme del codice della navigazione stabilite per l'esecuzione sulla nave (artt. 650 e ss. cod. nav.). In particolare, il creditore non appena eseguita la notificazione o ritirata la ricevuta regolamentare della comunicazione telegrafica o radiotelegrafica, invia copia autentica dell'atto all'ufficio di iscrizione dell'aeromobile, il quale provvede alla trascrizione nel registro di iscrizione e all'annotazione sul certificato di immatricolazione, per gli aeromobili che ne sono provvisti. Se l'aeromobile è in costruzione, la trascrizione del pignoramento si esegue nel registro degli aeromobili in costruzione. Il detto ufficio è tenuto a consegnare al creditore un certificato dal quale risulti l'espletamento delle formalità indicate nel precedente comma.

Le figure dottrinali

L'acquirente del bene su cui gravi un privilegio.

Tra le figure affini a quelle ricavabili dal dato positivo, come sopra enunciate, la dottrina inserisce quella dell'acquirente del bene sul quale gravi un privilegio ex art. 2745 e ss. c.c. Il privilegio è una causa di prelazione che la legge accorda in considerazione della causa del credito, ovvero dello scopo pratico o della giustificazione economica del credito stesso, differenziandosi, per ciò solo, dal pegno e dalle ipoteche che trovano la propria ragion d'essere nell'autonomia dei privati. La ratio della maggior parte dei privilegi risiede nella particolare inerenza economica di alcuni crediti alla cosa gravata, per un vantaggio che gli stessi crediti hanno procurato alla cosa per l'erogazione di energie di lavoro e di utilità delle quali il credito rappresenta il corrispettivo, ovvero è da ravvisarsi nelle esigenze finanziarie dello Stato o degli enti pubblici minori o in altre esigenze di pubblico interesse (Pratis, 1976, 121; in giurisprudenza Cass. n. 6319/1996 secondo cui «poiché nel vigente ordinamento i privilegi sono basati, non già su un unico presupposto, bensì su tanti presupposti quante sono le situazioni ritenute degne di maggior tutela dalla legge, la deduzione – in sede di opposizione avverso il decreto di esecutività dello stato passivo del fallimento – (sia pure in via subordinata) di un diverso titolo legato ad una attività di lavoro dipendente, rispetto alla richiesta originaria basata sulla natura professionale dell'attività da cui il credito si asseriva essere derivato, comporta un mutamento della causa petendi, la prospettazione cioè di una domanda nuova, come tale inammissibile in sede di opposizione al predetto decreto del giudice fallimentare, attesa la natura impugnatoria del procedimento di opposizione allo stato passivo»). Dalla peculiare natura dei privilegi discende che: a) non sono ammesse ipotesi al di fuori di quelle esplicitamente e tipicamente previste dalla legge, derivandone la nullità delle convenzioni con cui le parti costituiscano o amplino l'oggetto del privilegio (Cass. n. 1584/1980); b) le norme che prevedono privilegi hanno carattere eccezionale e come tali sono insuscettibili di applicazione analogica (Cass. n. 643/2018; Cass. n. 4549/1992; ma v. Cass. S.U., n. 11930/2010 secondo cui «le norme del codice civile che stabiliscono i privilegi possono essere oggetto di un'interpretazione estensiva che sia diretta ad individuarne il reale significato e la portata effettiva in modo da delimitare il loro esatto ambito di operatività, anche oltre il limite apparentemente segnato dalla formulazione testuale, tenendo in considerazione l'intenzione del legislatore e la causa del credito che, ai sensi dell'art. 2745 c.c., rappresenta la ragione giustificatrice di qualsiasi privilegio»); c) per individuare, in caso di dubbio, l'oggetto del privilegio e determinarne l'estensione soggettiva si deve avere riguardo alla causa del credito; sul punto, si è ritenuto, in giurisprudenza di merito, che il privilegio non possa trasferirsi al fideiussore il quale assume una obbligazione la cui causa è diversa da quella principale (Trib. Milano 17 maggio 1968; contra v. Trib. Ferrara 26 maggio 1992). I privilegi, in quanto causa di prelazione, costituiscono sempre una deroga al concorso dei creditori, tal che, per esercitare la loro efficacia pratica, presuppongono una espropriazione forzata, individuale o concorsuale, con più creditori concorrenti ovvero procedimenti alla stessa assimilabili (quali ad es. la liquidazione del patrimonio delle persone giuridiche private di cui agli artt. 30 e 11 disp. att., ovvero il procedimento di liberazione degli immobili dalle ipoteche ex art. 794 c.p.c.).

Il privilegio può essere generale o speciale (art. 2746 c.c.). L'art. 2747 c.c. sancisce, al comma 2, che il privilegio speciale sui mobili, sempre che sussista la particolare situazione alla quale è subordinato, può esercitarsi in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi posteriormente al sorgere di esso. La norma regola i conflitti tra i privilegi speciali sui mobili ed i diritti di proprietà o di godimento dei terzi ed assicura al titolare del credito privilegiato il cd. diritto di seguito che consiste nella inopponibilità dei diritti successivamente acquistati dai terzi; questi ultimi, per opporsi al diritto del creditore privilegiato, dovranno fornire la prova della anteriorità del loro diritto, la quale dovrà risultare da atto avente data certa, quando si tratta di mobili non registrati e dalle opportune trascrizioni nei pubblici registri, nel caso di beni mobili registrati. Quanto ai privilegi sui beni immobili, si ritiene che anche essi siano dotati di ius sequelae (Cass. n. 6637/1988) e che il conflitto con i diritti reali di godimento vada risolto con l'applicazione della regola prior in tempore potior in iure, salva diversa disposizione di legge. Al riguardo, cfr. Cass. n. 10580/2007. Il terzo acquirente del bene gravato da privilegio non può essere condannato in proprio al pagamento in favore del creditore: questi, una volta accertata giudizialmente l'esistenza del credito e del privilegio, può agire in executivis contro il terzo acquirente per soddisfarsi del credito nei limiti del valore della somma gravata ed entrando eventualmente in concorso con gli altri creditori (Cass. S.U. , n. 1553/1970). La nota caratterizzante del privilegio speciale risiede nella particolare relazione con la res su cui si esercita la prelazione, diversamente da quanto accade per il privilegio generale, alla cui sorte è completamente estraneo ogni mutamento della condizione della cosa (potendosi esercitare la prelazione, infatti, in ipotesi di privilegio generale, egualmente su altre cose di proprietà del debitore). La distinzione incide, inoltre, sul diverso onere probatorio gravante sul creditore: invero, mentre nel privilegio generale si deve dimostrare soltanto la natura privilegiata, in quello speciale si devono individuare i beni e dimostrare la relativa assoggettabilità all'espropriazione (Cass. n. 2091/1975). È appena il caso di sottolineare che, in sede fallimentare, la verifica dell'esistenza del bene oggetto del privilegio, attenendo all'accertamento dei limiti di esercitabilità della prelazione, è demandata alla fase del riparto (così Cass. n. 6849/2011; Cass. n. 20550/2005; Cass. S.U., n. 16060/2001). Il privilegio generale non costituisce una garanzia reale e, dunque, non può essere esercitato in pregiudizio del terzo avente causa dal debitore (art. 2747 comma 1 c.c.); il privilegio speciale costituisce, invece, una garanzia reale con diritto di seguito, conferendo al creditore, salva l'applicabilità del principio generale sancito dall'art. 1153 c.c. comma 2, il diritto a soddisfarsi sul bene «vincolato», anche se di proprietà di un terzo non debitore (art. 2910 c.c. comma 2). Per i privilegi speciali mobiliari, il legislatore non si occupa dei rapporti tra il creditore privilegiato ed il terzo acquirente del bene oggetto di privilegio, cosicché questi ultimi dovranno essere regolati, in via analogica, in virtù delle norme che disciplinano i rapporti tra il creditore ipotecario o pignoratizio ed il terzo acquirente del bene ipotecato o gravato da pegno (così v. Miccolis, cit., 96). Se la legge non dispone diversamente, il privilegio speciale sui mobili può esercitarsi in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi posteriormente al sorgere di esso: il criterio in base al quale stabilire l'anteriorità dell'atto di acquisto del bene vincolato rispetto al sorgere del privilegio non può che fare riferimento alla disciplina della data certa della scrittura nei confronti dei terzi (art. 2704 c.c.). Rispetto ai terzi già titolari del diritto di proprietà al momento del sorgere del privilegio, posto che la regola generale è nel senso che il privilegio non potrà essere fatto valere in pregiudizio del terzo, occorre aver riguardo, ad es., alle disposizioni di cui agli artt. 2756 comma 2, 2757 comma 3, 2761 comma 4, 2756 comma 2, 2760 comma 2, 2764 comma 6, 2765 comma 3 c.c., costituenti « eccezioni » nelle quali la prevalenza della garanzia reale è subordinata alla buona fede del creditore privilegiato (in relazione alla fattispecie prevista dall'art. 2756 c.c. cfr. Cass. n. 18684/2017, nonché Cass. n. 14533/2009 secondo cui «il credito di colui che abbia in buona fede eseguito prestazioni o sostenuto spese per la conservazione o il miglioramento di una cosa è garantito dai diritti di ritenzione e di vendita, cui soggiace il proprietario della stessa cosa, anche se persona diversa dal committente obbligato. La buona fede del creditore si identifica con l'ignoranza non già del difetto di titolo dell'affidante a trasferire il dominio, ma del difetto di capacità di affidare la cosa per la conservazione o per il miglioramento»). Si è, tuttavia, sostenuto che l'efficacia del privilegio subordinata alla situazione locale del bene sia, in realtà, la regola generale, mentre il diritto di seguito sia l'eccezione [Gaetano, Privilegi (diritto civile e tributario), in Nss.mo dig. It., vol. XIII, Torino 1966, 962 e ss.)] Per situazione locale si intende sia una particolare relazione che il bene ha con il creditore (cd. privilegi possessuali) con il riconoscimento a questi del diritto di ritenzione (es. artt. 2756,2761 c.c.), sia la presenza del bene in un determinato luogo (cd. privilegi quasi possessuali) che il più delle volte è la casa o l'azienda del debitore (artt. 2757, 2759, 2763, 564 cod. nav.).

Il creditore assistito da privilegio mobiliare speciale sulle macchine soggiace – anche in sede di riparto attinto dal ricavato della vendita del macchinario oggetto del privilegio speciale – al previo pagamento dei privilegiati generali, di grado successivo, atteso che il privilegio speciale oggi subisce il concorso dei privilegiati generali in base alla nuova gerarchia ordinante fissata dall'art. 2777 c.c. e richiamata dall'art. 2778 c.c. La giurisprudenza di legittimità ha, dunque, ritenuto che la contabilizzazione della intera massa mobiliare, per un verso e la tenuta di un conto autonomo per le vendite di beni oggetto di prelazioni speciali (art. 111-ter l.fall.), dall'altro, rafforzino il principio per cui la estensione della collocazione satisfattiva, a favore del privilegiato generale, altresì sul ricavato del bene oggetto di privilegio speciale operi come regola di presidio economico e solo eventualmente di tipo organizzativo. È, dunque, ben possibile che alla liquidazione mobiliare si proceda senza un ordine di priorità che rifletta la graduazione dei crediti che sui singoli beni vantino una prelazione speciale e, corrispondentemente, non vi siano preclusioni, per intanto, a dar corso al riparto del corrispondente attivo netto conseguito in favore di chi, come il creditore generale ai sensi degli artt. 2777-2778 c.c., possa godere del ricavato liquidatorio anche da masse dedicate; ma, una volta soddisfatto, e per intero il ceto creditorio assistito da privilegio mobiliare generale, destinando per il pagamento risorse tratte dalla liquidazione di beni oggetto di privilegio speciale, occorre tener conto del criterio regolatore del conflitto stesso fra creditori privilegiati generali o speciali sul medesimo bene, sia applicando la relativa graduatoria, sia evitando che un privilegiato di grado successivo trovi soddisfazione integrale, a scapito del privilegiato speciale di grado anteriore, solo perché l'oggetto della prelazione di quest'ultimo sia stato già realizzato ed il ricavo abbia avuto impiego in un piano di riparto temporalmente anteriore (Cass. n. 9018/2018).

L'art. 2772 c.c. prevede il credito per ogni tributo indiretto, nonché quelli derivanti dall'applicazione dell'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili, sopra gli immobili ai quali il tributo si riferisce. La norma instaura un rapporto diretto tra lo Stato (creditore) e l'immobile a garanzia del credito di imposta; in ragione di ciò, i terzi acquirenti del bene sono soggetti all'esecuzione fino a concorrenza del valore del bene, e, laddove il terzo adempia il debito di imposta, subentra in tutte le ragioni, azioni e privilegi dell'Amministrazione (Cass. n. 3431/2016; Trib. Milano 2 marzo 2011).

L'imposta di registro colpisce l'atto di trasferimento di ricchezza e, di riflesso, il privilegio speciale si estende sul bene immobile che ha costituito oggetto dell'atto o del fatto sottoposto a tassazione. La giurisprudenza ha chiarito che, con riguardo all'imposta di registro su atto di fusione di società, si deve escludere che il credito dello stato sia assistito da privilegio speciale sugli immobili di dette società, atteso che l'art. 2772 c.c. contempla gli immobili cui il tributo si riferisce, cioè quelli che costituiscono specificatamente oggetto della pretesa tributaria, e che siffatta relazione non è ravvisabile rispetto alla fusione, anche a prescindere dalla sua tassazione con aliquota rapportata all'ammontare del capitale e delle riserve (art. 7, l. n. 904/1977), perché la fusione medesima non trasferisce beni individualmente considerati, ma segna la confluenza in uno solo di patrimoni sociali nella loro globalità (Cass. n. 5171/1989).

Il privilegio garantisce, altresì, il credito per l'imposta sulle successioni e sulle donazioni. La posizione del terzo acquirente di un immobile gravato dal privilegio di cui all'art. 45, comma 2, r.d. n. 637/1972 (ora art. 41, comma 1, d.lgs. n. 346/1990), in relazione all'art. 2772 c.c. è del tutto assimilabile a quella del terzo proprietario di immobile oggetto di ipoteca – soggetto che, al pari del primo, non può considerarsi personalmente obbligato, pur essendo assoggettabile all'azione esecutiva del creditore –, e diverge, pertanto, da quella del responsabile d'imposta di cui all'art. 64, d.P.R. n. 600/1973, con la conseguenza che egli non può essere chiamato a rispondere, in qualità di obbligato (o di coobbligato), del debito d'imposta, essendo il suo vincolo limitato al bene gravato dalla garanzia, da destinarsi prioritariamente al soddisfacimento del credito privilegiato (Cass. n. 1484/1999).

I crediti previsti dall'art. 39 del r.d. n. 1775/1933, e dall'art. 23 del r.d. n. 899/1937, sono privilegiati ex art. 2774 c.c.

Precisamente, sono privilegiati i crediti dello Stato per canoni dovuti dai concessionari di acque pubbliche o acque derivate dai canali demaniali, ovvero per il corrispettivo di lavori eseguiti d'ufficio.

Il comma 2 stabilisce che tale privilegio, che assiste i crediti dello Stato per tributi indiretti o per canoni di concessione di acque, non si può esercitare in pregiudizio dei diritti che i terzi hanno anteriormente acquistato sugli immobili. Tale deroga è ispirata alla diversa regola della prevalenza in base alla data di trascrizione o di iscrizione (Cass. n. 21045/2009).

L'art. 2775-bis c.c., disposizione introdotta dall'art. 3, comma 4, d.l. n. 669/1996, conv., con modif., dalla l. n. 30/1997, prevede una nuova ipotesi di privilegio speciale immobiliare, che assiste i crediti del promissario acquirente, sul bene immobile oggetto del contratto preliminare, nel caso di mancata esecuzione del contratto preliminare trascritto ai sensi dell'art. 2645-bis c.c., sempre che gli effetti della trascrizione non siano cessati al momento della risoluzione del contratto risultante da atto avente data certa.

Il privilegio in esame ha come primo ed indefettibile presupposto la trascrizione del contratto preliminare; di conseguenza, la prelazione non spetta qualora la trascrizione non abbia riguardato il contratto preliminare, ma la successiva domanda giudiziale di esecuzione in forma specifica dell'obbligo di concludere il contratto ai sensi dell'art. 2932 c.c. (Trib. Milano 26 novembre 2013). Tale privilegio, siccome subordinato ad una particolare forma di pubblicità costitutiva (come previsto dall'ultima parte dell'art. 2745 c.c.), resta sottratto alla regola generale di prevalenza del privilegio sull'ipoteca, sancita, se non diversamente disposto, dal comma 2 dell'art. 2748 c.c., e soggiace agli ordinari principi in tema di pubblicità degli atti. Ciò comporta l'applicazione della regola del prior in tempore, potior in jure, conseguendone che l'ipoteca iscritta prima della costituzione del privilegio dovrà su quest'ultimo prevalere (Cass. n. 20974/2012; Cass. n. 21045/2009). La giurisprudenza ha, in ragione di ciò, affermato che, nel caso in cui il curatore del fallimento della società costruttrice dell'immobile scelga lo scioglimento del contratto preliminare (ai sensi dell'art. 72 l.fall.; ora art. 173 CCI), il credito del promissario acquirente, benché assistito da privilegio speciale, debba essere collocato con grado inferiore, in sede di riparto, rispetto a quello dell'istituto di credito che, precedentemente alla trascrizione del contratto preliminare, abbia iscritto sull'immobile stesso ipoteca a garanzia del finanziamento concesso alla società costruttrice (Cass. n. 17141/2016; Cass. n. 17270/2014; Cass. n. 6574/2013).

Nel domandarsi quale tutela abbia il terzo acquirente dell'immobile gravato da privilegio speciale, posto che, salvo in alcune ipotesi, il legislatore non prevede alcuna forma di pubblicità, la dottrina evidenzia come vada considerato che il privilegio speciale immobiliare è per lo più limitato a garanzia di obbligazioni nei confronti dell'amministrazione finanziaria che conseguono ad attività delle quali l'acquirente diligente può chiedere conto all'alienante prima del trasferimento (basti considerare che, ai sensi dell'art. 13-terl. n. 165/1990 a partire dal 1° gennaio 1991, gli atti pubblici tra vivi e le scritture private formate o autenticate di trasferimento della proprietà di unità immobiliari urbane o di costituzione o trasferimento di diritti reali sulle stesse, con esclusione di quelli relativi a parti comuni condominiali di immobili urbani e relative aree di pertinenza, nonché dei diritti di garanzia, devono contenere o avere allegata la dichiarazione della parte o del suo rappresentante legale o volontario dalla quale risulti che il reddito fondiario dell'immobile è stato dichiarato nell'ultima dichiarazione dei redditi per la quale il termine di presentazione è scaduto alla data dell'atto, ovvero l'indicazione del motivo per cui lo stesso non è stato dichiarato ...), cosicché, se è vero che il terzo acquirente non è in grado di leggere dalle visure ipocatastali il privilegio dell'amministrazione finanziaria, è altrettanto vero che sarà in grado di dedurre l'esistenza di tale privilegio attraverso il controllo dell'adempimento delle obbligazioni previste dalla legge. Per quanto attiene ai rapporti tra il terzo acquirente del bene gravato da privilegio immobiliare e il creditore privilegiato si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste per l'ipoteca (così Miccolis, cit., 126-127). In particolare, non sembra possa negarsi al creditore privilegiato la facoltà di avvalersi dell'art. 2812 c.c. per evitare che sullo stesso bene concorrano più espropriazioni forzate con diversi legittimati passivi: l'applicazione dell'art. 2812 determina che il creditore privilegiato potrà dar vita ad una unica espropriazione forzata del bene, anche se successivamente al sorgere del privilegio speciale venga trascritta la costituzione di un diritto di usufrutto.

L'attore vittorioso in giudizi aventi ad oggetto l'accertamento o la costituzione del diritto di proprietà

Va qualificato come «terzo acquirente», ai fini delle disposizioni in commento, anche colui il quale, ottenuta una sentenza di accoglimento avente ad oggetto, in via mediata o immediata, l'accertamento o la costituzione del diritto di proprietà sul bene immobile (o mobile registrato), subisca gli effetti dell'ipoteca iscritta, prima della trascrizione della domanda giudiziale ai sensi dell'art. 2652 c.c., dal convenuto soccombente: è l'ipotesi, ad es.: a) del promissario acquirente e del mandante che abbiano ottenuto una sentenza ex art. 2932 c.c. di esecuzione in forma specifica dell'obbligo di concludere un contratto ad effetti reali, allorché il promittente venditore ed il mandatario abbiano iscritto ipoteca prima della trascrizione della domanda giudiziale ai sensi dell'art. 2652 c.c. n. 2 (ma v. Cass. n. 14532/2000 secondo cui «qualora, dopo la conclusione di un preliminare di compravendita immobiliare, il bene venga gravato, da parte del promittente venditore, da garanzie reali, il giudice, accolta la domanda, nello stabilire le modalità ed i termini entro i quali l'attore deve adempiere la propria obbligazione di pagare il residuo prezzo, può – per l'esigenza di salvaguardare l'equilibrio sinallagmatico dei contrapposti interessi – subordinare tale pagamento all'estinzione, da parte del promittente venditore, della garanzia o del vincolo»); b) dell'acquirente con scrittura privata che abbia ottenuto una sentenza di accertamento della sottoscrizione apposta dal venditore, qualora quest'ultimo abbia iscritto ipoteca prima della trascrizione della domanda giudiziale ex art. 2652 n. 3 c.c. (la giurisprudenza afferma che la soluzione del conflitto, sulla base della norma de qua, prescinde da ogni indagine sulla buona o mala fede delle parti; Cass. n. 352/1974); c) dell'acquirente con contratto orale del bene mobile registrato, che abbia ottenuto una sentenza di accertamento dell'avvenuto trasferimento, qualora il venditore abbia iscritto ipoteca prima della trascrizione della domanda giudiziale ai sensi dell'art. 2652 n. 3 c.c. (v. Cass. n. 17391/2004; conf. Cass. n. 213/1994; Cass. n. 10434/1993); d) dell'attore vittorioso nei giudizi di risoluzione, rescissione, revocazione, risoluzione della disposizione testamentaria o della donazione modale ai sensi degli artt. 648 comma 2 e 793 comma 4 c.c. nel caso in cui il convenuto soccombente abbia iscritto ipoteca prima della trascrizione della domanda ai sensi dell'art. 2652 n. 1 c.c. (nel senso dell'esclusione del rilievo della buona fede cfr. Cass. n. 12959/2014); e) dell'attore vittorioso nel giudizio di simulazione (sia assoluta che relativa) nel caso in cui il simulato acquirente abbia iscritto ipoteca prima della trascrizione della domanda ai sensi dell'art. 2652 n. 4 c.c. (cfr. Cass. n. 1752/2018 secondo cui può essere trascritta ogni domanda di accertamento della simulazione dei contratti aventi ad oggetto il trasferimento della proprietà di beni immobili, non rilevando né la distinzione tra simulazione assoluta e relativa né, all'interno di quest'ultima, tra simulazione relativa attinente ai soggetti del contratto e simulazione relativa concernente altri elementi negoziali; cfr. altresì Cass. n. 2134/1966 secondo cui il creditore che abbia esperito vittoriosamente azione di simulazione assoluta della vendita di un bene del suo debitore e che voglia garantirsi per le spese giudiziarie derivanti da tale processo, deve iscrivere apposita ipoteca giudiziale. Se a ciò non provvede, egli non ha azione per il recupero del credito contro il terzo che, successivamente all'accertamento della simulazione, abbia acquistato il bene dal finto alienante). Il terzo, infatti, non è tenuto a rispondere di un debito del proprio dante causa e, d'altra parte, la sentenza che pronuncia la simulazione non costituisce titolo con efficacia reale contro il terzo che abbia acquistato da chi sia stato riconosciuto proprietario effettivo). Né l'azione di simulazione può essere assimilata a quella revocatoria in ordine alla quale l'art. 602 c.p.c. consente che il creditore possa espropriare il bene oggetto di alienazione, poi revocata per frode, nei confronti dei successivi acquirenti di esso. L'azione di simulazione e l'azione revocatoria sono, invero, ben distinte, avendo la prima lo scopo e l'effetto di far rientrare il bene nel patrimonio del debitore (da cui, del resto, era uscito solo apparentemente), mirando, invece, la seconda solo a rendere possibile la sottoposizione del bene ad esecuzione forzata, quantunque la proprietà di esso continui a restare validamente trasferita ad un terzo. Quanto al requisito della buona fede, si ritiene che lo stesso debba essere valutato per i creditori ipotecari e per i pignoratizi al momento dell'acquisto del diritto di prelazione; il creditore chirografario dell'alienante non può fare espropriare il bene in danno del titolare apparente (con esecuzione contro questi come terzo), ma può far valere la simulazione sia agendo per la relativa dichiarazione sia intervenendo nel processo esecutivo intrapreso su impulso di un creditore del simulato acquirente [cfr. sul punto Andrioli, 1951, vol. II, 442 ss.] D'altra parte, ancorché pendano azioni dichiarative di simulazione assoluta dell'acquisto, il creditore ipotecario può espropriare i beni vincolati a garanzia del suo credito nei confronti del terzo acquirente e la forma dell'esecuzione è quella diretta contro il debitore (cfr. Trib. Mantova 2 gennaio 2005). Giova, poi, segnalare, in tema di sistema tavolare, Cass. n. 15879/2019 secondo cui «l'effetto prenotativo dell'annotazione del contratto preliminare di compravendita immobiliare – previsto dall'art. 12 r.d. n. 499 del 1929, così come modificato dall'art. 3, comma 8 d.l. n. 669/1996, conv. in l. n. 30/1997 – viene meno in caso di accoglimento della domanda di simulazione assoluta del medesimo preliminare, anch'essa annotata agli effetti dell'art. 2645-bis c.c., con la conseguenza che le ipoteche «prenotate» dopo l'annotazione del preliminare, ma anteriormente all'intavolazione del contratto definitivo, risultano prevalenti rispetto a quest'ultimo»; f) dell'attore vittorioso nel giudizio di nullità o annullamento per incapacità legale, nel caso in cui il convenuto soccombente abbia iscritto ipoteca prima della trascrizione della domanda ai sensi dell'art. 2652 n. 6 c.c., questa sia avvenuta decorsi cinque anni dalla trascrizione dell'atto impugnato e il creditore ipotecario sia in buona fede (il termine quinquennale viene considerato di decadenza e non di prescrizione, tenuto conto che esso decorre a partire dalla trascrizione dell'atto invalido, prescindendo dalla possibilità o meno che il diritto possa essere fatto valere; cfr. Cass. n. 2390/1953); g) dell'attore vittorioso nel giudizio di annullamento per una causa diversa dall'incapacità legale, nel caso in cui il convenuto soccombente, a garanzia contestuale di un proprio debito, abbia iscritto ipoteca prima della trascrizione della domanda ai sensi dell'art. 2652 n. 6 c.c. e il creditore ipotecario sia in buona fede; h) dell'attore vittorioso in un giudizio di riduzione delle donazioni e delle disposizioni testamentarie per lesione di legittima, nel caso in cui il convenuto soccombente abbia iscritto ipoteca a garanzia contestuale di un proprio debito prima della trascrizione della domanda ai sensi dell'art. 2652 n. 8 c.c. da leggersi in combinato disposto con l'art. 561 c.c. e questa sia avvenuta decorsi dieci anni dall'apertura della successione (cfr. Cass. n. 18280/2017 per gli effetti dell'omessa trascrizione della domanda di riduzione nei confronti dei terzi acquirenti); i) dell'attore vittorioso in un giudizio di revocazione straordinaria e di opposizione di terzo revocatoria, nel caso in cui il convenuto soccombente abbia iscritto ipoteca prima della trascrizione della domanda ai sensi dell'art. 2652 n. 9 c.c., questa sia avvenuta decorsi cinque anni dalla trascrizione della sentenza impugnata ed il creditore ipotecario sia in buona fede; l) dell'attore vittorioso in un giudizio diretto ad accertare la nullità della donazione fatta in riguardo di matrimonio successivamente annullato, nel caso in cui il donatario abbia concesso ipoteca tra il giorno del matrimonio ed il passaggio in giudicato della sentenza che dichiara la nullità del matrimonio e il creditore ipotecario sia in buona fede (i pegni e le ipoteche, i privilegi del beneficiario dell'atto restano in vita. I creditori del donatario che abbiano acquistato in buona fede il diritto di pegno o di ipoteca tra il giorno del matrimonio ed il passaggio in giudicato della sentenza che dichiara la nullità del matrimonio conservano l'azione esecutiva privilegiata sul bene (art. 785 c.c.; diversamente nel caso di riversibilità della donazione, art. 792 c.c.; così Tarzia, op. cit., 968). All'annullamento del matrimonio non sarebbe equiparabile la separazione dei coniugi (Carnevali, 1997, 570), né il divorzio (Palazzo, Atti gratuiti, Tr. Sacco, 236; v. anche Cass. n. 11370/1991; Cass. n. 2963/1977), né la dispensa in caso di matrimonio rato non consumato (Cass. n. 403/1967).

Le altre figure di terzi proprietari

La affinità con le conseguenze dell'azione revocatoria, in termini di inefficacia di un atto di disposizione rispetto a taluni creditori, ha indotto a ritenere che la esecuzione debba essere promossa nelle forme della espropriazione in esame anche nei seguenti casi: a) erede che abbia accettato dopo la rinuncia del coerede o del precedente chiamato, quando i creditori di questi abbiano impugnato la rinuncia ai sensi dell'art. 524 c.c. e siano stati autorizzati ad accettare l'eredità in nome e luogo del loro debitore per soddisfarsi sui beni ereditari fino alla concorrenza dei loro crediti. L'esecuzione, in tal caso, si svolgerà nei confronti del coerede o dell'erede in sostituzione, ovvero del curatore dell'eredità giacente, se nessuno dei chiamati in subordine abbia ancora accettato. Autorevole dottrina assimila l'impugnazione della rinuncia all'eredità alla revocatoria, stante il comune effetto di rendere assoggettabili ad espropriazione, per i debiti del rinunziante, i beni ereditari che pure rimangono in proprietà del coerede in cui favore vi sia stato l'accrescimento o del chiamato in sostituzione che aveva accettato (cfr. Coviello, 1936, I, 257 ss.; del tutto irrilevante ai fini della impugnazione in esame il consilium fraudis). Sono fatti salvi i diritti acquistati dai terzi sui mobili ereditari mediante valido titolo o sugli immobili con atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda di cui all'art. 524 c.c. [in giurisprudenza, cfr. Cass. n. 7735/2007 secondo cui «in caso di rinuncia all'eredità o di inutile decorso del termine all'uopo fissato, per impugnare la rinuncia e renderla inefficace i creditori debbono esperire l'azione prevista dall'art. 524 c.c., proponendo e trascrivendo la domanda anche nei confronti di chi si affermi quale avente causa degli altri chiamati all'eredità rispetto al medesimo immobile. Poiché tale azione produce in rapporto ai creditori del chiamato rinunciante i sostanziali effetti dell'azione revocatoria, al sequestro richiesto per assicurare gli effetti dell'accoglimento della domanda prevista dall'art. 524 è applicabile la disciplina dettata dall'art. 2905 c.c., potendosi trascrivere il sequestro tanto nei confronti del dante causa del debitore che nei confronti di quest'ultimo al solo scopo di far accertare l'esistenza del credito vantato verso di lui; non è invece idonea al medesimo fine la semplice richiesta di sequestro conservativo dei beni oggetto della delazione ereditaria, atteso che verrebbe altrimenti elusa la disciplina degli effetti della trascrizione, la quale ha riguardo a situazioni tipiche, e considerato che detti beni non appartengono a chi è chiamato all'eredità», nonché Cass. n. 15468/2003 per la quale «in caso di conflitto tra i creditori dell'erede che abbia deciso di rinunziare all'eredità (i quali, come noto, hanno diritto di agire, ex art. 524 c.c., onde sentirsi autorizzare ad accettare in nome e in luogo del debitore rinunziante) e gli aventi causa di colui che, a sua volta in qualità di erede, abbia accettato l'eredità in luogo del rinunziante, perché possa conseguirsi l'effetto previsto dall'art. 2652 n. 1 c.c. è necessario che la domanda con la quale si eserciti l'impugnazione ex art. 524 c.c. sia trascritta nei confronti di colui al quale l'eredità è devoluta, che deve essere necessariamente convenuto in giudizio insieme al rinunciante. In mancanza di trascrizione della domanda nei confronti del successivo chiamato al quale l'eredità è devoluta per effetto della rinuncia, il conflitto tra creditori del rinunciante ed aventi causa dell'accettante si risolve in favore di questi ultimi, indipendentemente dalla circostanza che il loro acquisto sia stato trascritto successivamente alla trascrizione della domanda ex art. 524 c.c. proposta nei confronti del rinunciante»]; b) azione di separazione dei creditori del defunto rispetto ai beni costituenti il legato di specie, nel qual caso il legatario figura quale terzo proprietario; nel senso che gli eredi debbano essere coinvolti quali debitori nella esecuzione promossa dai creditori separatisti contro il legatario di specie – riconducibile al paradigma della espropriazione contro il terzo – si veda Redenti, op. cit., 134). L'espropriazione dei mobili separati non iscritti in pubblici registri dovrà aver luogo contro il terzo legatario, solo ove questi ne abbia conseguito il possesso (art. 649 c.c.) o comunque ne abbia la materiale detenzione (art. 513 c.c.); c) usufrutto di eredità, o di quota di eredità (art. 1010, comma 4, c.c.) in caso di ipoteca gravante sui beni in usufrutto per i debiti ereditari: in tal caso, l'usufruttuario, che si è soliti considerare legatario (Miccolis, op.t cit. 136 ma anche in nota n. 204), è, ai sensi dell'art. 1010 comma 4 c.c., terzo responsabile per debito altrui a prescindere dalla ipoteca antecedentemente iscritta sul bene oggetto di usufrutto per i debiti gravanti sull'eredità. La norma dispone che, se per il pagamento dei debiti ereditari si rende necessaria la vendita dei beni, questa è fatta d'accordo tra proprietario ed usufruttuario, salvo ricorso all'autorità giudiziaria in caso di dissenso e l'espropriazione dovrà svolgersi contro ambedue. In tal caso, il vincolo sull'usufrutto è posto direttamente dalla legge, anziché come nel caso esposto sub b), dall'esercizio di un'azione simile alla revocatoria da parte del creditore del de cuius e sopravvive fintanto che l'erede nudo proprietario ed il legatario usufruttuario non vendano l'intero bene ai sensi dell'art. 1010 comma 4 prima parte c.c.; d) revoca della donazione per ingratitudine o per sopravvenienza di figli: salvi gli effetti della trascrizione della domanda, i creditori ipotecari non sono pregiudicati dal ritorno del bene nel patrimonio dell'alienante e potranno, pertanto, promuovere l'espropriazione nei confronti dell'alienante quale terzo titolare; e) l'erede che abbia recuperato i beni ereditari dall'erede apparente, dopo che i terzi creditori di questi abbiano acquistato, in buona fede, a titolo oneroso e per effetto di convenzione, un diritto di pegno o di ipoteca sui beni stessi, salvo il particolare regime della trascrizione ove si tratti di immobili o beni mobili registrati (artt. 534 e 2652 n. 7 c.c.; v. Cass. n. 2653/2010 secondo cui «in tema di petizione ereditaria, ai fini della salvezza dei diritti acquistati dal terzo per effetto di convenzione a titolo oneroso contratta con l'erede apparente, è necessario che lo stesso terzo, ai sensi dell'art. 534, comma 2, c.c., assolva all'onere di provare la sua buona fede all'atto dell'acquisto, consistente nella dimostrazione dell'idoneità del comportamento dell'alienante ad ingenerare la ragionevole convinzione di trattare con il vero erede, nonché dell'esistenza di circostanze indicative dell'ignoranza incolpevole di esso acquirente circa la realtà della situazione ereditaria al momento dell'acquisto»); f) il coerede nella cui quota cada l'immobile ipotecato, che sarà responsabile ipotecariamente per l'interoex art. 754 c.c. (oltre ad essere obbligato pro quota hereditaria al pagamento del debito). In tal caso, egli può chiedere agli altri coeredi soltanto ciò che dovevano secondo la ripartizione interna ex art. 752 c.c. e ciò anche se si sia fatto surrogare nel diritto del creditore, ad eccezione dei casi in cui non opera il principio della divisione del credito (si pensi ad es. all'ipotesi in cui il creditore ipotecario avesse ipoteca anche su beni assegnati ad altri coeredi). L'estensione alla fattispecie delle norme di cui agli artt. 602 e ss. c.p.c., al di là della possibilità di attribuire al coerede la posizione sostanziale di terzo acquirente (contra, Rubino, cit., 416), si impone in ragione della circostanza che trattasi di soggetti debitori che, pertanto, devono essere presenti nel processo. Laddove il creditore garantito intenda espropriare il bene per l'intero credito dovrà notificare il titolo esecutivo ed il precetto anche agli altri coeredi, promuovendo, quindi, l'espropriazione contro il coerede proprietario (ma v. funditus sub commento art. 603); g) il terzo dichiarato o costituito proprietario o titolare di diritto reale limitato o di credito, con la sentenza contro la quale sia stata vittoriosamente esperita, dal creditore della controparte nel giudizio l'opposizione di terzo revocatoria (art. 404 comma 2 c.p.c.); con l'accoglimento della opposizione, l'espropriazione seguirà nei confronti del debitore-proprietario soccombente nel processo fraudolento; h) il coniuge cui sia stata attribuita la proprietà dei beni costituiti in fondo patrimoniale da un terzo (artt. 167 e ss. c.c.). Due argomenti militano in tal senso: 1) il disposto dell'art. 169 comma 3 c.c. per il quale la inalienabilità dei beni formanti il patrimonio familiare non è opponibile ai creditori il cui diritto sia sorto anteriormente alla trascrizione del vincolo sugli immobili o alla sua costituzione sui titoli di credito; 2) a contrario l'ultimo comma della medesima norma che, quando la costituzione sia fatta a un terzo, dichiara opponibile l'inalienabilità ai creditori del coniuge cui sia attribuita la proprietà dei beni. I creditori del terzo anteriori alla costituzione potranno, quindi, espropriare i beni nei confronti del coniuge, terzo proprietario rispetto a loro (così Tarzia, op. cit., 969 nt. 2).

Le figure escluse

L'acquirente del bene pignorato nel corso del processo esecutivo

Ai fini dell'applicazione delle norme in esame dovrà essere considerato terzo proprietario soltanto chi abbia acquistato e trascritto, ove necessario, il suo diritto prima del pignoramento (ma v. Cass. n. 10609/2009 in una ipotesi di acquisto per usucapione accertato dopo il pignoramento). In caso contrario, la fattispecie dovrà essere esaminata avuto riguardo alle norme che disciplinano il pignoramento, ovvero gli artt. 2913 e ss. c.c., in base ai quali il mutamento della titolarità del diritto sui beni oggetto di espropriazione sarà inopponibile al creditore procedente.

È affermazione ricorrente in dottrina quella secondo cui l'alienazione del bene pignorato sarebbe in grado di «ostacolare» il processo esecutivo e che, per questo, l'ordinamento interviene, con gli artt. 2913 ss. c.c. rendendo l'acquisto del terzo «inefficace» rispetto al creditore pignorante ed ai creditori intervenuti (Pugliatti, 1935, 147; Carnacini, 1934, I, 368 ss.; Verde, 1983, 799 ss., secondo cui non sarebbe conforme al principio del «minimo mezzo» l'interpretazione degli artt. 2913 e ss. che renda assolutamente inopponibile al processo l'atto di disposizione della cosa pignorata). Divergenze si riscontrano nella dottrina quanto alla estensione della inefficacia disposta dall'art. 2913 c.c., posto che, secondo alcuni, l'atto di acquisto sarebbe inidoneo già sul piano sostanziale a trasferire la proprietà (o gli altri diritti costituito dal debitore sul bene pignorato) nei confronti dei creditori, pur essendo pienamente efficace sia inter partes, che verso tutti gli altri terzi (tesi della inefficacia sostanziale relativa che fa capo a Lazzaro, 1969, I, 1269; Satta, 1933, 104 ss.). Secondo altri, invece, l'atto di alienazione sarebbe idoneo ad investire il terzo della proprietà (o degli altri diritti) anche nei confronti dei creditori, solo che il diritto verrebbe acquistato gravato dal vincolo esecutivo, sicché l'acquirente non potrebbe sottrarlo all'esecuzione e, correlativamente, il debitore esecutato assumerebbe la veste di sostituto processuale dell'acquirente (tesi dell'efficacia sostanziale assoluta che fa capo a Carnacini, cit., 125 ss.; Laserra, 1979, 2226, Pugliatti, cit, 148; opina in senso diverso Luiso, 1986, 453, ss. nell'affermare che non potendo la vendita forzata avere ad oggetto i diritti dell'acquirente, bensì solo quelli dell'esecutato, l'alienazione del bene pignorato, a processo esecutivo in corso, è sostanzialmente efficace, ma processualmente irrilevante nei confronti dei creditori e dell'esecuzione in genere). Si discute, in giurisprudenza, in ordine alla possibilità che il terzo acquirente partecipi al processo esecutivo avente ad oggetto il bene acquistato (senza che, tuttavia, incomba sul creditore l'onere di chiamarlo in causa), al fine di prendere parte allo svolgimento di attività processuali esecutive ovvero al fine di proporre contestazioni circa la legittimità sostanziale o formale dell'esecuzione.

L'orientamento maggioritario è nel senso che il terzo non assume la qualità di parte del processo esecutivo in quanto, in virtù del principio di cui all'art. 2913 c.c., l'atto dispositivo è inefficace rispetto al creditore pignorante ed agli intervenuti nel processo esecutivo. Sul punto, si veda Cass. n. 8936/2013, nonché Cass. n. 15400/2010; Cass. n. 14003/2004. Ne discende, quale corollario, che a tale terzo non possa essere riconosciuta la legittimazione a contestare l'azione esecutiva per il tramite della opposizione all'esecuzione, ma, sussistendone i presupposti egli è legittimato a proporre opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c. Diverse, invece, le conclusioni cui la Corte è giunta in altro precedente, ove aderendo alla tesi della cd. inefficacia processuale relativa, stabilisce che, dovendosi ritenere operanti i principi di cui all'art. 111 c.p.c., da un lato il processo debba proseguire nei confronti delle parti originarie, ma, dall'altro, all'acquirente vada riconosciuta la facoltà di svolgere nel corso del medesimo le attività processuali inerenti al subingresso nella qualità di titolare del bene soggetto all'esecuzione (Cass. n. 4612/1985). In particolare, si è riconosciuta a tale terzo non solo la facoltà di interloquire in ordine alle modalità dell'esecuzione, ma anche quella di spiegare in essa intervento, opposizione agli atti esecutivi e all'esecuzione per impignorabilità del bene, nonché di proporre in via di surrogazione al debitore esecutato, opposizione all'esecuzione per inesistenza o sopravvenuta cessazione del diritto di procedere all'esecuzione medesima.

Il terzo proprietario, ovvero acquirente della cosa pignorata pendente il processo esecutivo, avrebbe dunque: a) la possibilità di contestare ex art. 619 c.p.c. il diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata per impignorabilità del bene; b) la possibilità di proporre opposizione all'esecuzione in proprio e non in via surrogatoria rispetto all'alienante (così Cass. n. 4856/2000; contra Cass. n. 8936/2013); c) la possibilità di eccepire l'estinzione del processo esecutivo (così Cass. n. 5539/2012, Cass. n. 12762/2000); c) la possibilità di far valere le stesse invalidità che, all'interno del processo esecutivo, legittimano la parte a proporre una opposizione agli atti esecutivi (così Oriani, 1981, 303 ss.); d) la possibilità di essere sentito ex art. 485 c.p.c. come soggetto interessato allo svolgimento della procedura, tutte le volte in cui ne ravvisi l'opportunità; e) la possibilità di spiegare intervento in sostituzione ex art. 511 c.p.c. tutte le volte in cui al debitore spetti un residuo della distribuzione (così Cass. n. 16440/2006).

Trascrizione di domande giudiziali ex art. 2652 c.c.

Ci si è chiesti quale sia la forma di espropriazione da seguire se, dopo la costituzione della garanzia reale da parte del debitore su un bene proprio ma prima del pignoramento, sia trascritta una domanda giudiziale che, ove accolta, determinerebbe l'accertamento della proprietà del terzo sul bene in danno del debitore. Con particolare riferimento alla trascrizione della domandaex art. 2932 c.c. eseguita dopo l'iscrizione dell'ipoteca, ma prima del pignoramento, la S.C. ha affermato il principio per cui il creditore deve seguire la forma dell'espropriazione diretta contro il debitore sul bene gravato dalla garanzia reale, non potendo il terzo che abbia trascritto la domanda giudiziale essere equiparato al terzo proprietario [così Cass. n. 1324/1995; cfr. conf. Cass. n. 18325/2014 secondo cui «il creditore ipotecario, per soddisfare i suoi diritti, deve seguire le forme ordinarie dell'esecuzione diretta contro il debitore che risulta dai registri immobiliari e non deve procedere esecutivamente con le forme dell'espropriazione contro il terzo proprietario (artt. 602 e 604 c.p.c.) nei confronti di colui che, dopo l'iscrizione dell'ipoteca, ma prima del pignoramento, abbia trascritto la domanda diretta ad ottenere l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di trasferimento dell'immobile, salvo il diritto del successivo acquirente di proporre opposizione di terzo all'esecuzione»]. Allo stesso modo, il creditore dovrà seguire le forme dell'espropriazione diretta nei confronti del debitore quando, dopo l'iscrizione dell'ipoteca, il debitore abbia alienato il bene in base a scrittura privata ed il terzo, prima del pignoramento, abbia trascritto la domanda giudiziale per l'accertamento dell'autenticità della sottoscrizione (art. 2952 n. 3 c.c.). In entrambi i casi gli effetti traslativi dell'atto dispositivo del debitore non sono opponibili al creditore ipotecario, perché – solo dopo che la sentenza di accoglimento della domanda giudiziale trascritta passi in giudicato – il terzo potrà rivestire a tutti gli effetti la qualità di terzo proprietario mentre – antecedentemente – egli è solo titolare di una mera pretesa fatta valere in giudizio e non può essere, quindi, equiparato al terzo proprietario né ai fini dell'applicazione della disciplina di cui agli artt. 602 ss. c.p.c. (cfr. sul punto Cass. 2641/1970), né ai fini del riconoscimento delle prerogative che l'ordinamento consente al terzo assoggettato all'espropriazione (art. 2858 e ss. c.c.). Ne consegue che, a fronte della mera trascrizione della domanda giudiziale per ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso ovvero di accertamento dell'autenticità della sottoscrizione, pur eseguita prima della trascrizione del pignoramento, il creditore, finché non sia passata in giudicato e trascritta la sentenza che l'accoglie, dovrà procedere ad esecuzione forzata diretta nei confronti del solo debitore, e non già all'esecuzione forzata per espropriazione contro il terzo proprietario. Se l'azione esecutiva, viceversa, sia promossa dopo che sia stata trascritta la sentenza che accoglie la domanda proposta ex art. 2932 c.c. ovvero dopo che sia stata trascritta la domanda di cui all'art. 2652 n. 3 c.c. il creditore ipotecario dovrà procedere ad esecuzione forzata contro il terzo proprietario. Non si ha espropriazione contro il terzo proprietario, bensì espropriazione contro il debitore quando si tratta di un bene che il creditore pignorante può considerare come appartenente in modo puro e semplice al debitore: il che avviene in mancanza di accertata proprietà di un terzo, nel caso di mobile non registrato che sia rinvenuto nella casa del debitore o negli altri luoghi a lui appartenenti o sulla persona del debitore (art. 513 comma 1 c.p.c.). Se, poi, l'eventuale terzo proprietario si opporrà al pignoramento e vedrà riconosciute le sue ragioni, il bene pignorato non sarà trattato nei modi stabiliti per l'espropriazione contro il terzo, ma uscirà del tutto dall'ambito dell'espropriazione.

Il terzo proprietario responsabile per le obbligazioni personali contratte dal coniuge.

Parte della dottrina ha sostenuto che, dal punto di vista processuale, il coniuge non obbligato potrebbe essere tutelato sia partecipando al processo esecutivo nelle forme di cui alle norme in commento, sia avendo diritto a percepire, in sede di riparto, la metà della somma ricavata dalla vendita coatta (così Miccolis, op. cit., 170; Acone, 2013, I, 663 ss.). Detta impostazione non ha avuto seguito nella giurisprudenza di legittimità che, invece, ha sposato la tesi della necessaria espropriazione del bene, per l'intero, e con notifica del pignoramento e trascrizione anche nei confronti del coniuge non obbligato (Cass. n. 6575/2013; conf. più di recente v. Cass. n. 150/2023 per la quale non può riconoscersi al coniuge non obbligato il diritto di caducare gli atti della procedura né di ottenere la separazione di parti o quote del bene staggito, salva la corresponsione, in sede di distribuzione, della metà del ricavato lordo della vendita, dovuta in dipendenza dello scioglimento, limitatamente a quel bene, della comunione senza quote; nonché Cass. n. 9536/2023 ove si chiarisce che dovrà darsi conto della natura di cespite in comunione legale nel quadro “D” della nota di trascrizione).

Invero, l'espropriabilità dei beni del coniuge non obbligato scaturisce da un vincolo lontanamente assimilabile a quello del terzo datore di pegno o ipoteca o acquirente con atto revocabile: il creditore è legittimato ad agire sul bene in comunione perché quel bene rientra nel perimetro della responsabilità patrimoniale generica del coniuge-debitore e, pertanto, così come il coniuge non intestatario del cespite potrebbe alienarlo quand'anche intestato esclusivamente all'altro coniuge, attraverso un atto impugnabile ex art. 184 c.c., ma efficace nei confronti dei terzi, analogamente deve essere consentito, in conformità ai principi di comunanza e solidarietà familiare, che il medesimo bene venga sottoposto ad esecuzione forzata da parte del creditore del coniuge non intestatario esattamente nelle stesse forme e con le stesse modalità in cui si agirebbe se l'esecuzione venisse svolta su beni formalmente appartenenti al coniuge-debitore (così Leuzzi).

Peraltro, di recente, la giurisprudenza di merito ha esteso al coniuge non debitore, inteso quale soggetto esecutato, il divieto di cui all'art. 571 c.p.c. (Trib. Siracusa 26 luglio 2019), che, per quanto si dirà infra nel commento all'art. 604 c.p.c., non si applica al terzo proprietario: il coniuge non debitore, infatti, in base al su citato approdo della S.C., è soggetto passivo dell'espropriazione, dotato di diritti e gravato di doveri assimilabili a quelli del coniuge debitore esecutato, tal che, qualora fosse ammesso a partecipare alla vendita, si innescherebbero anomalie quali la formulazione di un'offerta di acquisto per un bene da parte di un soggetto che ne è già titolare, l'acquisto di una quota nel contesto di una comunione per definizione è «senza quote» e a «mani riunite», la restituzione all'acquirente della quota di metà del valore di liquidazione, con un inevitabile travolgimento del meccanismo della gara.

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