Codice di Procedura Civile art. 610 - Provvedimenti temporanei.

Rosaria Giordano

Provvedimenti temporanei.

[I]. Se nel corso dell'esecuzione sorgono difficoltà che non ammettono dilazione, ciascuna parte può chiedere al giudice dell'esecuzione (1), anche verbalmente, i provvedimenti temporanei occorrenti [183 att.].

(1) Le parole « giudice dell'esecuzione » sono state sostituite alla parola « pretore » dall'art. 93 d.lg. 19 febbraio 1998, n. 51, con effetto, ai sensi dell'art. 247 comma 1 dello stesso decreto quale modificato dall'art. 1 l. 16 giugno 1998, n. 188, dal 2 giugno 1999.

Inquadramento

L'intervento del giudice è solo eventuale nell'esecuzione per rilascio e può realizzarsi, ad istanza sia delle parti che dell'ufficiale giudiziario o di terzi interessati, ove siano sorte difficoltà, di ordine materiale o giuridico, circa l'esatta individuazione del bene o l'interpretazione del titolo, nel corso dell'esecuzione.

Il giudice emana i provvedimenti occorrenti, anche di differimento dell'esecuzione, con decreto, di regola non impugnabile.

Natura delle difficoltà che consentono di ricorrere al giudice dell'esecuzione

In dottrina, secondo un primo orientamento, giustificano una richiesta di intervento al giudice dell'esecuzione soltanto le difficoltà di carattere materiale dovendo, nelle altre ipotesi, essere proposte le opposizioni esecutive (Satta, 1971, 441).

Analogamente, anche all'interno della giurisprudenza di merito, si è affermato che la norma in commento non è finalizzata a risolvere questioni giuridiche in ordine al diritto di procedere all'esecuzione, bensì problemi di opportunità sul concreto modus prendendi, in fattispecie che presentano materialmente e non giuridicamente delle particolarità, che consigliano, anche nell'ambito dell'esecuzione per consegna e rilascio, l'ingresso di una determinazione delle modalità esecutive, sul tipo di quella prevista, nella procedura per obblighi di fare e non fare, dagli artt. 612 e 613 c.p.c. (Pret. La Spezia 3 ottobre 1988, in Giust. civ., 1989, I, 459). Più di recente, sempre in sede applicativa, si è osservato che le «difficoltà» di cui all'art. 610 c.p.c. abilitano le parti e l'ufficiale giudiziario a sollecitare al giudice provvedimenti temporanei anche per la soluzione di problemi interpretativi del titolo esecutivo, ai fini dell'individuazione della sua portata soggettiva o dell'identificazione dei beni, ma esclusivamente in vista dell'attuazione della tutela esecutiva; di conseguenza nella procedura di esecuzione per consegna o rilascio, posto che scopo della medesima è il trasferimento del potere di fatto sul bene indicato nel titolo dall'esecutato all'esecutante, di talché il suo effetto consiste in una modificazione della situazione materiale, il giudice dell'esecuzione è privo della potestà di risolvere questioni giuridiche in ordine al diritto di procedere in executivis ed il suo ambito di intervento è limitato alla soluzione di problemi pratici relativi al modus procedendi in concreto necessario per adeguare la realtà fattuale al comando da eseguire, con la conseguenza che le «difficoltà», le quali, a norma dell'art. 610 c.p.c., abilitano le parti e l'ufficiale giudiziario a sollecitare al giudice provvedimenti temporanei, possono implicare, per la loro soluzione, anche l'interpretazione del titolo esecutivo, ai fini dell'individuazione della sua portata soggettiva o dell'identificazione dei beni, ma esclusivamente in vista dell'attuazione della tutela esecutiva (Trib. Latina I, n. 1309/2020).

La giurisprudenza di legittimità tende a ritenere, tuttavia, che i provvedimenti di cui all'art. 610 c.p.c. sono esplicazione dei poteri del giudice di direzione del processo esecutivo e finalizzati a risolvere non solo difficoltà materiali, ma anche giuridiche, limitatamente, tuttavia, all'interpretazione del titolo esecutivo, ove necessaria rispetto a dubbi o divergenze di opinioni in relazione allo svolgimento del processo (Cass. n. 10865/2012; Cass. n. 20648/2006), fermo restando che il provvedimento, ove risolva questioni inerenti al diritto di procedere all'esecuzione forzata, ha, sebbene adottato con le forme ex art. 610, natura di sentenza ed è appellabile (Cass. n. 18257/2014, con riguardo ad una fattispecie nella quale il giudice non si era limitato a dirimere le difficoltà operative ma aveva autorizzato un consulente a svolgere, previo rilascio delle necessarie autorizzazioni edilizie, lavori di ripristino di un terrazzino, ancorché nulla risultasse dal titolo esecutivo).

Secondo un'opzione interpretativa intermedia le difficoltà che giustificano l'intervento del giudice ex art. 610 c.p.c. sono materiali, nel senso che, anche se riguardanti profili di diritto, tali questioni devono essere affrontate e risolte dal giudice in vista dell'obiettivo dell'attuazione della tutela esecutiva, i.e. senza che ciò implichi l'emanazione di una decisione sulle stesse idonea a passare in cosa giudicata (cfr. Luiso, 1990, 8, per il quale l'art. 610 c.p.c. predispone a favore delle parti un riesame della ricognizione effettuata dall'ufficiale giudiziario sui presupposti ed il contenuto di una siffatta attività senza che ciò comporti una decisione di tali questioni). Come pure è stato autorevolmente osservato, infatti, l'esistenza di rimedi oppositivi non può precludere una cognizione con effetti incidenter tantum di tali questioni da parte del giudice dell'esecuzione, il quale potrà così risolvere dubbi e divergenze sull'ulteriore corso del processo esecutivo (Denti, 116).

Nella giurisprudenza di legittimità, in senso analogo, è stato affermato che, poiché lo scopo della procedura di esecuzione per consegna o rilascio è il trasferimento del potere di fatto sul bene indicato nel titolo dall'esecutato all'esecutante, l'effetto della stessa consiste in una modificazione della situazione materiale, il giudice dell'esecuzione è privo della potestà di risolvere questioni giuridiche in ordine al diritto di procedere in executivis ed il suo ambito di intervento è limitato alla soluzione di problemi pratici relativi al modus procedendi in concreto necessario per adeguare la realtà fattuale al comando da eseguire, con la conseguenza che le «difficoltà», le quali, a norma dell'art. 610 c.p.c., abilitano le parti e l'ufficiale giudiziario a sollecitare al giudice provvedimenti temporanei, possono implicare, per la loro soluzione, anche l'interpretazione del titolo esecutivo, ai fini dell'individuazione della sua portata soggettiva o dell'identificazione dei beni, ma esclusivamente in vista dell'attuazione della tutela esecutiva (Cass. III, n. 10865/2012).

La legittimazione a richiedere l'intervento del giudice dell'esecuzione per risolvere le difficoltà sorte nel corso della procedura sono sia le parti del procedimento esecutivo, che l'ufficiale giudiziario ed i terzi coinvolti nell'esecuzione (Montesano, 557).

Casistica

La difficoltà materiale addotta dal conduttore nella documentazione da quest'ultimo allegata all'istanza di differimento dell'esecuzione dello sfratto, se ritenuta sussistente dal giudice dell'esecuzione con riguardo alle circostanze esposte nel ricorso, consente il differimento dell'esecuzione, disposta ai sensi dell'art. 610 (Trib. Bari 20 giugno 2005).

Il giudice può emettere un provvedimento di differimento dell'esecuzione, fondato anche su ragioni di mera opportunità (Trib. Bari 20 giugno 2005).

Il conduttore di immobile destinato all'esercizio pubblico del culto cattolico che, nel corso dell'esecuzione per il rilascio, voglia ottenere il differimento delle operazioni esecutive in attesa del provvedimento del vescovo di riduzione dell'immobile allo stato profano, può adire il pretore, ora giudice dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 610 c.p.c. (Pret. Roma 16 novembre 1987, in Giur. mer., 1988, 474, con nota di Pacilli).

Nella giurisprudenza di merito, si è ritenuto che poiché tra le «difficoltà» che sorgono nel corso dell'esecuzione di cui all'art. 610 c.p.c. rientra la soluzione di quelle questioni, anche di ordine giuridico, le quali, senza porre in discussione la validità del titolo, incidano sulla sua concreta eseguibilità, deve ritenersi che la previsione di cui all'art. 80, comma 20, ss. l. n. 388/2000 (c.d. legge finanziaria 2001), sulla sospensione ex lege di alcune procedure esecutive di sfratto di immobili urbani, influendo e limitando l'esecuzione dei provvedimenti di rilascio di immobili, possa annoverarsi tra le «difficoltà» citate, necessitando di interpretazione in ordine alla portata applicativa (Trib. Torino 12 febbraio 2001, in Arch. loc., 2001, 253).

In tema di rilascio di immobile ad uso commerciale, l'ufficiale giudiziario, ove l'esecutato non provveda all'asporto dei beni ed arredi, può disporne, oltre che con il trasporto in altro luogo, la custodia sul posto anche affidata ad un terzo: ne deriva che la richiesta immediata al giudice dell'esecuzione di decreto di distruzione dei beni che arredano un'unità immobiliare, ex art. 610 c.p.c., deve considerarsi indebita, vista la natura temporanea del provvedimento (Trib. Parma n. 1439/2018, in IUS - Condominio e Locazione, con nota di Frivoli).

Alla procedura di rilascio di un immobile a cui è stato riconosciuto lo status giuridico di «negozio storico», e avviato il procedimento di dichiarazione di interesse storico, va applicato il d.lgs. n. 42/2004, che prevede unicamente una particolare procedura da seguire nel caso di trasferimento ovvero spostamento dei beni da parte del Ministero, ma non anche un divieto di rilascio. La tutela garantita dal d.lgs. n. 42/2004 non può, infatti, costituire elemento idoneo a paralizzare il rilascio del bene, ma semmai può concretizzare una difficoltà nell'esecuzione, risolvibile con la procedura ex art. 610 c.p.c.; la necessità dell'autorizzazione ministeriale per la rimozione di beni di interesse storico non esclude dunque l'interesse ad agire del locatore dell'immobile per ottenerne il rilascio alla scadenza della locazione, ciò in quanto la mancanza di tale autorizzazione incide soltanto sull'eseguibilità del relativo provvedimento, non precluso da alcun vincolo di destinazione dell'immobile all'uso esclusivo del conduttore al fine di garantire la continuazione dell'esercizio della connessa attività culturale (Trib. Roma III, 1° agosto 2018, in IUS - Processo civile, 18 gennaio 2019).

Con riferimento all'esecuzione per rilascio di un fondo rustico, la competenza giurisdizionale del giudice ordinario anche per quanto riguarda l'adozione delle misure necessarie a superare le difficoltà che insorgano per la rimozione dei capi di bestiame presenti sull'immobile (art. 610), non viene meno per il fatto che tali capi siano stati oggetto di provvedimenti autoritativi presi dal sindaco per ragioni di vigilanza sanitaria (nella specie, sequestro ed isolamento di animali affetti da brucellosi), trattandosi di circostanza rilevante solo sui limiti interni delle attribuzioni del predetto giudice e, quindi, sulle modalità di esecuzione della disposta misura alla stregua del divieto di emettere decisioni che incidano direttamente sull'Azione della pubblica amministrazione (Cass. S.U., n. 5425/1986).

Provvedimenti

Il giudice dell'esecuzione assume, stante il disposto dell'art. 183 disp. att. c.p.c., i provvedimenti temporanei occorrenti per risolvere le difficoltà della procedura in corso nella forma del decreto.

La S.C. ha chiarito che, poiché i vizi del provvedimento adottato dal giudice dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 610 c.p.c., possono essere rilevati solo nel caso in cui influiscano sulla validità dell'atto esecutivo con cui il creditore è stato immesso nel possesso dei beni, il decreto con cui il giudice si limiti ad impartire i provvedimenti temporanei occorrenti, senza alcuna statuizione capace di provocare un giudizio di cognizione, non deve essere necessariamente emesso previa audizione dell'altra parte (Cass. n. 8079/1994).

Secondo l'impostazione tradizionalmente invalsa nella giurisprudenza di legittimità, il provvedimento con il quale il giudice dell'esecuzione, con riguardo ad un'esecuzione per consegna o rilascio, dispone la comparizione delle parti in vista dell'adozione dei provvedimenti temporanei previsti dall'art. 610 c.p.c., ancorché contenga l'ordine di sospensione dell'esecuzione, non è impugnabile con il ricorso per Cassazione ex art. 111 Cost. (Cass. n. 3735/1989). Occorre interrogarsi, peraltro, se tale provvedimento di sospensione, dopo l'introduzione di tale generale strumento ad opera della l. n. 80/2005, sia invece reclamabile ex art. 669-terdecies c.p.c., come prescritto dall'art. 624 c.p.c., fattispecie che appare problematica sol per il riferimento alla necessaria adozione della decisione sull'istanza di sospensione nell'ambito di un'opposizione esecutiva.

Il provvedimento emesso dal giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 610, in quanto diretto solo a superare le difficoltà materiali insorte durante l'esecuzione al fine di adeguare la realtà fattuale al comando da eseguire e non anche a risolvere questioni inerenti al diritto di procedere all'esecuzione forzata, non ha contenuto decisorio, è modificabile e revocabile dallo stesso giudice e non è idoneo al giudicato, con la conseguenza che avverso lo stesso provvedimento non è proponibile l'appello (Cass. n. 14640/2014) né il rimedio del ricorso straordinario per cassazioneexart. 111 Cost. (Cass. n. 10815/1993).

Secondo l'orientamento tradizionale della gurisprudenza nell'ipotesi in cui il relativo provvedimento, pur adottato nella forma prevista dal citato art. 610 c.p.c., risolva questioni inerenti al diritto di procedere all'esecuzione forzata, assume, stante il contenuto decisorio, natura di sentenza appellabile (v., tra le altre, Cass. n. 18257/2014; Cass. n. 20648/2006; Cass. n. 8874/1992; Trib. Cassino 19 settembre 2006). Questa situazione si verifica con riguardo ai provvedimenti mediante i quali il giudice dell'esecuzione non si limita a chiarire la localizzazione del bene di cui al titolo esecutivo, ma ne individua la stessa consistenza, in presenza di una discrepanza fra la situazione fattuale rilevata dall'ufficiale giudiziario e quella apparentemente risultante dal titolo stesso (Cass. n. 20648/2006).

Più di recente la S.C., rivisitando tale posizione interpretativa, ha chiarito che l'ordinanza emessaexart. 610 c.p.c. che, esorbitando dalla sua funzione tipica, decida in ordine alla portata sostanziale del titolo esecutivo ed all'ammissibilità dell'azione esecutiva non è mai appellabile, ma eventualmente reclamabile, exart. 624 c.p.c., qualora costituisca l'atto conclusivo della fase endo-esecutiva di un'opposizione e sia stata presa solo in vista di una mera sospensione della procedura (la quale resta pendente in attesa dell'esito dell'instaurando giudizio di merito), oppure opponibile, ex art. 617 c.p.c., nel caso in cui implichi la definitiva chiusura del processo esecutivo (Cass. n. 13530/2023).

Bibliografia

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