Codice di Procedura Civile art. 624 - Sospensione per opposizione all'esecuzione (1).

Giorgia Viola

Sospensione per opposizione all'esecuzione (1).

[I]. Se è proposta opposizione all'esecuzione a norma degli articoli 615 e 619, il giudice dell'esecuzione [484], concorrendo gravi motivi, sospende, su istanza di parte, il processo con cauzione o senza [119, 625; 86 att.].

[II]. Contro l'ordinanza che provvede sull'istanza di sospensione è ammesso reclamo ai sensi dell'articolo 669-terdecies. La disposizione di cui al periodo precedente si applica anche al provvedimento di cui all'articolo 512, secondo comma.

[III]. Nei casi di sospensione del processo disposta ai sensi del primo comma, se l’ordinanza non viene reclamata o viene confermata in sede di reclamo, e il giudizio di merito non è stato introdotto nel termine perentorio assegnato ai sensi dell’articolo 616, il giudice dell’esecuzione dichiara, anche d’ufficio, con ordinanza, l’estinzione del processo e ordina la cancellazione della trascrizione del pignoramento, provvedendo anche sulle spese. L’ordinanza è reclamabile ai sensi dell’articolo 630, terzo comma.(2).

[IV]. La disposizione di cui al terzo comma si applica, in quanto compatibile, anche al caso di sospensione del processo disposta ai sensi dell’articolo 618 (3)

(1) L'art. 2 3 lett. e) n. 42 d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv., con modif., in l. 14 maggio 2005, n. 80, come modificato dall'art. 18 l. 24 febbraio 2006, n. 52, ha così sostituito, in sede di conversione, gli artt. 624 e 624-bis all'originario art. 624. Il testo recitava: «[I]. Se è proposta opposizione all'esecuzione a norma degli articoli 615, secondo comma, e 619, il giudice dell'esecuzione, concorrendo gravi motivi, sospende, su istanza di parte, il processo con cauzione o senza. [II]. Il giudice sospende totalmente o parzialmente la distribuzione della somma ricavata quando sorge una delle controversie previste nell'articolo 512». Per la disciplina transitoria v. art. 2 3-sexies d.l. n. 35, cit., sub art. 476.

(2) Comma così sostituito dall'art. 49, comma 3, della l. 18 giugno 2009, n. 69(legge di riforma 2009), con effetto a decorrere dal 4 luglio 2009, per i giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore. Il testo precedente recitava: «Nei casi di sospensione del processo disposta ai sensi del primo comma e non reclamata, nonché disposta o confermata in sede di reclamo, il giudice che ha disposto la sospensione dichiara con ordinanza non impugnabile l'estinzione del pignoramento, previa eventuale imposizione di cauzione e con salvezza degli atti compiuti, su istanza dell'opponente alternativa all'instaurazione del giudizio di merito sull'opposizione, fermo restando in tal caso il suo possibile promovimento da parte di ogni altro interessato; l'autorità dell'ordinanza di estinzione pronunciata ai sensi del presente comma non è invocabile in un diverso processo».

(3) Comma così sostituito dall'art. 49, comma 3, della l. 18 giugno 2009, n. 69. Il testo precedente recitava: «La disposizione di cui al terzo comma si applica, in quanto compatibile, anche al caso di sospensione del processo disposta ai sensi degli articoli 618 e 618-bis».

Inquadramento

La disposizione in esame disciplina il potere attribuito al giudice dell'esecuzione di sospendere la procedura esecutiva iniziata e, in particolare, il procedimento finalizzato all'emissione del provvedimento di sospensione dell'esecuzione.

La norma si applica alla sospensione disposta dal giudice dell'esecuzione nell'ambito dell'opposizione ex art. 615 c.p.c. ovvero di quella ex art. 619 c.p.c. e, dopo la riforma del 2005, alle controversie distributive ex art. 512 c.p.c. e a quelle ex art. 617 c.p.c.

Si ritiene, inoltre, applicabile alla sospensione disposta dal giudice investito dell'opposizione a precetto, cui va estesa l'operatività delle norme in ragione dell'affinità di tipo funzionale che accomuna la presente figura sospensiva a quella prevista dall'art. 624 c.p.c.

Per converso, le regole dettate dalla norma in esame non si applicano né alle ipotesi eccezionali di sospensione legale ex art. 623 c.p.c. né alla sospensione concordata, per la quale l'art. 624-bis c.p.c. prescrive una disciplina ad hoc.

Si tratta di una competenza di carattere funzionale attribuita al giudice dell'esecuzione, a cui è demandato il potere discrezionale ed esclusivo di sospendere la procedura, fatti salvi i casi in cui la sospensione sia disposta dalla legge o dal giudice davanti al quale è impugnato il titolo esecutivo (in questo senso Cass. n. 4107/1978; Cass. n. 6448/2003).

Come si vedrà di seguito, il Giudice non può provvedere d'ufficio alla sospensione.

La richiesta deve pervenire dall'opponente, a cui il legislatore ha fornito lo strumento per ottenere «l'arresto» della procedura, che in caso di prosecuzione potrebbe rendere vane e (comunque) non più attuabili le statuizioni contenute nella sentenza di accoglimento dell'opposizione.

Presupposti per l'accoglimento dell'istanza di sospensione

I presupposti per l'accoglimento della istanza di sospensione sono indicati dall'art. 624, comma 1, c.p.c., che richiede: a) la formulazione dell'istanza di parte; b) la sussistenza di gravi motivi; c) la (eventuale) prestazione di una cauzione da parte del soggetto che ha formulato l'istanza.

Istanza di parte

Come innanzi detto, il giudice può esercitare i suoi poteri sospensivi attraverso una richiesta che venga formulata con un'apposita istanza dalla parte interessata ad un arresto della procedura esecutiva.

Sicuramente soggetto legittimato alla richiesta è il soggetto passivo dell'espropriazione sia esso il debitore esecutato ovvero il terzo assoggettato ad esecuzione.

Vi è chi ritiene che la richiesta possa essere proposta eccezionalmente anche dal creditore opposto che intende assumere un comportamento di prudenza per non correre i rischi della responsabilità aggravata prevista nell'art. 96, comma 2, c.p.c. (In questo senso, Castoro, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, 2012).

L'istanza va proposta sotto forma di ricorso da depositarsi in cancelleria oppure può essere formulata oralmente in udienza. In entrambi i casi va proposta con il patrocinio del difensore munito di procura rilasciata ai fini dell'opposizione cui normalmente accede (in questo senso Cass. n. 78/2001).

Se l'istanza è proposta in sede di opposizione a precetto, essa può essere richiesta sia con l'atto di opposizione a precetto ovvero in corso di causa. Non è possibile che venga formulata ante causam (e tanto perché la sospensione in esame rientra nel potere del giudice della cognizione adito con l'opposizione a precetto).

Nel vigore del codice previgente in dottrina era pressoché consolidato l'orientamento che riteneva che in mancanza di una espressa previsione legislativa fosse preclusa all'opponente la facoltà di richiedere la sospensione al giudice dell'opposizione a precetto, che – invece – andava proposta al giudice dell'esecuzione una volta iniziata (così, Furno, La sospensione del processo esecutivo, 1956; Laserra, Opposizione di merito a precetto e sospensione del processo esecutivo da parte del giudice dell'esecuzione, nota a Pret. Barra, 12 dicembre 1959, in Dir. e giur., 1960; Luiso, Sospensione del processo civile: processo di esecuzione forzata, in Enc. dir., XLIII, 1990).

La stessa giurisprudenza era a favore di tale tesi (Cass. n. 3311/1953; Cass. n. 137/1962; Cass. n. 335/1988; Cass. n. 2040/1987; Cass. n. 6235/1986).

Tale orientamento è da ritenersi superato a seguito della novella del 2005, che prevede la possibilità di richiedere la sospensione nell'ambito dell'opposizione ex art. 615, comma 1, c.p.c.

Al riguardo, è da segnalare che l'avvio dell'azione esecutiva non impedisce al giudice preventivamente adito in sede di opposizione pre-esecutiva di provvedere sull'istanza di sospensione che gli sia stata rivolta in base all'art. 615, comma 1, c.p.c.

Tuttavia, la proposizione al giudice dell'opposizione a precetto di un'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo ai sensi dell'art. 615, comma 1, c.p.c., preclude all'opponente – per consumazione del potere processuale – di richiedere al giudice dell'esecuzione, per le medesime ragioni, la sospensione della procedura esecutiva ex art. 624 c.p.c., ancorché il giudice dell'opposizione a precetto non si sia ancora pronunciato.

La giurisprudenza che, da ultimo, ha approfondito tale questione, ha evidenziato che, qualora siano contemporaneamente pendenti – sulla base dello stesso precetto – sia l'opposizione a precetto che l'opposizione all'esecuzione e laddove le due opposizioni si basino su identici fatti costitutivi concernenti l'inesistenza del diritto a procedere ad esecuzione forzata, sussiste tra le due cause un rapporto di litispendenza (Cass. n. 26285/2019; Cass. S.U., n. 19889/2019).

In tale ipotesi e con specifico riferimento alla titolarità del potere di adottare provvedimenti di carattere sospensivo, la Cassazione – attraverso un articolato ragionamento – ha concluso che il giudice competente a decidere l'opposizione «preventiva» e quello competente sull'opposizione «successiva» hanno una competenza mutualmente esclusiva nel senso che, sebbene l'opponente possa in astratto rivolgersi all'uno o all'altro giudice, una volta presentata l'istanza interinale innanzi a quello con il potere «maggiore» (il giudice dell'opposizione a precetto), egli consuma interamente il suo potere processuale e, pertanto, non potrà più adire al medesimo fine il giudice dell'esecuzione, neppure se il primo non si sia ancora pronunciato.

Tale principio opera laddove vi sia identità di petitum e di causa petendi tra le due opposizioni, che va sempre accertata in concreto sulla base della prospettazione dell'opponente.

In questo senso, Cass. n. 26285/2019 secondo cui «Qualora siano contemporaneamente pendenti l'opposizione a precetto (art. 615 c.p.c., comma 1) e l'opposizione all'esecuzione già iniziata (art. 615 c.p.c., comma 2) sulla base di quello stesso precetto, i due giudici hanno una competenza mutuamente esclusiva quanto all'adozione dei provvedimenti sospensivi di rispettiva competenza, nel senso che, sebbene l'opponente possa in astratto rivolgersi all'uno o all'altro giudice, una volta presentata l'istanza innanzi a quello con il potere «maggiore» (il giudice dell'opposizione a precetto), egli consuma interamente il suo potere processuale e, pertanto, non potrà più adire al medesimo fine il giudice dell'esecuzione, neppure se l'altro non sia ancora pronunciato».

La Corte con la sentenza in esame ha, inoltre, precisato che l'identità di causa petendi e, di conseguenza, il rapporto di litispendenza tra le opposizioni, non è invece ipotizzabile nemmeno in astratto laddove l'opposizione abbia ad oggetto la pignorabilità dei beni, dato che tale domanda deve essere necessariamente introdotta con ricorso al giudice dell'esecuzione (così come espressamente previsto dall'art. 615, comma 2, c.p.c.), in quanto solo dopo che l'azione esecutiva ha avuto inizio è possibile affermare su quali, tra i tanti beni, si è effettivamente incentrata l'espropriazione forzata e sarà quindi possibile eccepirne l'impignorabilità.

In caso di diniego, è – dunque – possibile reiterare l'istanza al giudice dell'esecuzione ma solo se la richiesta si basi su doglianze diverse rispetto a quelle in precedenza addotte.

Gravi motivi

Sia l'art. 624, comma 1, c.p.c. che l'art. 615, comma 1, c.p.c. richiedono, ai fini dell'accoglimento dell'istanza di sospensione, la sussistenza di «gravi motivi».

I «gravi motivi» che giustificano la sospensione dell'esecuzione dovranno essere valutati con la massima attenzione dal giudice dell'esecuzione, tenuto conto dell'incontrovertibilità degli effetti della vendita o dell'assegnazione forzata (artt. 2927 e 2929 c.c.; art. 187-bis disp. att. c.p.c.), così Capponi, Cautele interinali contro l'esecuzione forzata, in Judicium.

Il tenore estremamente generico utilizzato dal legislatore ha portato la dottrina a dare diverse letture alla locuzione «giustificati motivi».

La tesi prevalente ritiene che il giudice può disporre la sospensione solo qualora le contestazioni sollevate con l'opposizione appaiano fondate e il diniego del provvedimento richiesto possa arrecare all'opponente un pregiudizio irreversibile o comunque di elevata entità. In altri termini,

– l'istanza di sospensione dell'esecuzione può essere fondata su gravi motivi risultanti dalla sintesi di due elementi: da una parte, la fondatezza dell'opposizione, dall'altra la comparazione tra il danno che riceverebbe il creditore procedente nell'attendere l'esito del processo di cognizione, con il danno che soffrirebbe l'opponente nel caso in cui l'esecuzione prosegua. Possono, pertanto, riscontrarsi motivi di carattere processuale (e, quindi, di puro diritto) o motivi relativi all'insussistenza della pretesa del creditore procedente per fatti impeditivi, modificativi o estintivi di essa verificatisi successivamente al formarsi del titolo esecutivo (così Luiso, voce Sospensione del processo di esecuzione forzata, in Enc. Dir., XLIII, Milano, 1990. Ritengono invece che i gravi motivi vadano ricercati nelle qualità̀ personali o alle condizioni patrimoniali delle parti, ossia nella difficoltà di restituzione o risarcimento danni da parte del creditore istante Carnelutti, Istituzioni; Zanzucchi, Vocino, Diritto processuale civile; Ferri in Comoglio, Ferri, Taruffo, Lezioni sul processo civile; Bellè, Titolo giudiziale e tutela esecutiva, in Riv. esecuz. forzata, 2005, dove si legge: «Quanto ai presupposti giuridici dell'inibitoria in esame, va detto che il richiamo da parte della norma ai ‘gravi motivi', va inteso, sotto il profilo del fumus boni iuris come inerente alla apparente fondatezza delle deduzioni in merito ai fatti impeditivi, estintivi o modificativi da parte dell'opponente e, sotto il profilo del periculum, con riferimento alla gravità del rischio, nel caso concreto e valutate tutte le circostanze, che deriverebbe da un esecuzione forzata illegittima».

– la concessione della tutela sospensiva è subordinata alla compresenza del fumus boni juris e del periculum in mora, che incidono in egual misura sulla determinazione finale dell'organo decidente (ex multis, Soldi, Manuale dell'esecuzione forzata, cit.).

Secondo un diverso indirizzo dottrinale, il concetto di gravi motivi si identifica esclusivamente nella fondatezza delle doglianze addotte con l'opposizione, essendo il periculum un requisito immanente alla situazione giuridica che l'istituto della sospensione mira a proteggere e, di conseguenza, non abbisogna di dimostrazione (Olivieri, Opposizione all'esecuzione, sospensione interna ed esterna, in Studi di diritto processuale civile in onore di Giuseppe Tarzia 2005; Castoro, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, cit.).

Dal canto suo la giurisprudenza dà preponderante rilevanza al requisito del fumus boni juris subordinando la concessione della misura sospensiva alla valutazione positiva circa la verosimiglianza dei fatti impeditivi, modificativi od estintivi sui quali si poggiano le censure dell'opponente (Cass. n. 405/2006; Cass. n. 707/2006; Cass. n. 74134/1997).

In particolare,

– Cass. n. 405/2006 ritiene che «l'istanza di sospensione può essere fondata sia su gravi motivi di carattere processuale (e, quindi, di puro diritto), sia sulla deduzione dell'insussistenza della pretesa del creditore procedente per fatti impeditivi, modificativi o estintivi di essa verificatisi successivamente al formarsi del titolo esecutivo (oltre che su particolari situazioni pregiudizievoli al debitore)»;

– Cass. n. 7413/1997 parla di «serietà delle questioni sollevate e, quindi, della possibilità che esse siano accolte dal giudice dell'opposizione all'esecuzione o dell'opposizione di terzo».

È in ogni caso necessario che il provvedimento di concessione della sospensione del processo esecutivo dia effettivamente conto di quali siano i «gravi motivi» che inducano a ritenere la probabile fondatezza dell'opposizione all'esecuzione (e/o la sussistenza del pregiudizio).

Cauzione

L'art. 624, comma 1, c.p.c. conferisce al giudice dell'esecuzione il potere discrezionale di subordinare la concessione della sospensione all'imposizione di una cauzione da parte dell'istante.

Benché l'art. 615, comma 1 c.p.c. non lo preveda, si ritiene che la disciplina in esame trovi applicazione anche con riguardo alla sospensione nell'opposizione a precetto, in quanto l'art. 624, comma 1, c.p.c. (così come riformato dalla l. n. 52/2006) estende la regola dell'imposizione della cauzione a tutte le ipotesi sospensive collegate alle opposizioni di cui all'art. 615, senza più limitarne l'operatività ai soli casi di opposizione richiesta dopo l'inizio dell'esecuzione ex art. 615, comma 2, c.p.c. (così Metafora, Sospensione dell'esecuzione, in Dig. civ., agg. 2007).

La cauzione risponde alla funzione di assicurare l'eventuale risarcimento del danno che il creditore può subire per effetto della sospensione (in questo senso, Recchioni, sub art. 624 c.p.c., in Codice di procedura civile commentato, a cura di Consolo, 2010; Soldi, Manuale dell'esecuzione forzata, cit.).

Se imposta, la cauzione assurge a condizione di efficacia della sospensione e il suo mancato versamento determina la prosecuzione del processo esecutivo e del processo di opposizione (Soldi, Manuale dell'esecuzione forzata, cit.).

La cauzione viene disposta con la stessa ordinanza con cui il Giudice dell'esecuzione accoglie l'istanza di sospensione.

In applicazione della regola generale di cui all'art. 119 c.p.c., l'ordinanza contenere tutti gli elementi essenziali e, dunque, l'oggetto, il modo di prestarla e il termine entro il quale la prestazione deve avvenire.

La cauzione viene normalmente svincolata in favore dell'opponente a seguito del passaggio in giudicato della sentenza che accoglie l'opposizione ovvero in caso di estinzione di detto giudizio a partire dal momento in cui l'ordinanza dichiarativa dell'estinzione diviene irretrattabile.

In caso di rigetto dell'opposizione, lo svincolo è effettuato in favore del creditore opposto al momento del passaggio in giudicato della sentenza di rigetto e di condanna dell'opponente al risarcimento dei danni (Soldi, Manuale dell'esecuzione forzata, cit.).

Si discute a quale giudice competa la liberazione dei beni oggetto di cauzione.

Al riguardo, vi è chi ritiene che tale attività debba essere compiuta dal giudice che ha imposto il versamento della cauzione e, dunque, dal giudice dell'esecuzione (in questo, Soldi, Manuale dell'esecuzione forzata, cit.) e chi ritiene che lo svincolo sia di competenza del giudice dell'opposizione nell'ambito della quale è stata imposta e prestata la cauzione (Castoro, Il processo di esecuzione, cit.).

Si ritiene che sia il provvedimento che impone la prestazione della cauzione sia quello che ne ordina lo svincolo, in quanto intrinsecamente connessi a quelli sulla sospensione, siano reclamabili ex art. 669-terdecies c.p.c. (così Soldi, Manuale dell'esecuzione forzata, cit.).

In giurisprudenza, si segnala l'orientamento – sviluppatosi nel quadro normativo anteriore a quello introdotto dal legislatore del 2005 – che ne afferma l'opponibilità ai sensi dell'art. 617 c.p.c. (Cass. n. 5406/1986; Cass. n. 2367/1978).

Sospensione nell'opposizione a precetto

Nell'impianto codicistico previgente al 2005, il debitore che proponeva l'opposizione a precetto ex art. 615 c.p.c. non aveva accesso alla tutela sospensiva.

L'art. 624, comma 1, c.p.c. disponeva, infatti, che il potere sospensivo spettasse al solo giudice dell'esecuzione nell'ambito dell'opposizione proposta ai sensi dell'art. 615, comma 2, c.p.c. (e, dunque, ad esecuzione avviata) e dell'opposizione di terzo.

Pochi erano i casi in cui era consentito al destinatario dell'atto di precetto di richiedere all'autorità giudiziaria di sospendere, in via preventiva, in tutto o in parte gli atti esecutivi (art. 56 Legge Assegni, r.d. n. 1736/1933; art. 64 Legge Cambiaria, r.d. n. 1669/1933); casi che, proprio per la loro specificità, erano considerati eccezionali e non suscettibili di estensione analogica.

La dottrina era decisamente compatta nel non riconoscere all'opponente tale possibilità, in quanto il potere inibitorio previsto dall'art. 623 c.p.c. era riconosciuto al giudice dell'impugnazione del titolo esecutivo (Furno, La sospensione, cit.; Andrioli, Appunti di diritto processuale civile, 1962; Alloro, Sospensione dell'esecuzione per consegna o rilascio, in Giur. it., 1946, I, 1, 111; Lipari, Sospensione dell'esecuzione, incidenti di esecuzione e competenze, in Giust. civ., 1962).

In giurisprudenza, si riteneva che il provvedimento di sospensione dell'esecuzione emanato dopo la notificazione del titolo esecutivo e del precetto ma prima dell'inizio della procedura non poteva «esplicare alcuna efficacia né nel procedimento in cui è stato emesso né in procedimenti futuri» (così, Cass. n. 10354/1991; Cass. n. 6543/1990; Cass. n. 4219/1983).

In buona sostanza, l'instaurazione del giudizio di opposizione a precetto non impediva di per sé al creditore di dare inizio all'esecuzione né legittimava il debitore, qualora il creditore nelle more del procedimento avesse proceduto al pignoramento, a chiedere al giudice dell'esecuzione la sospensione del processo esecutivo, non essendo configurabile un potere cautelare di tale giudice disgiunto dalla opposizione proponibile dal debitore, ai sensi dell'art. 615 c.p.c., comma 2, ovvero dal terzo, ai sensi dell'art. 619 c.p.c., dinanzi al medesimo giudice dell'esecuzione.

Nel tempo, tuttavia, sono emersi tutti i limiti di questa impostazione. Il debitore, infatti, non aveva alcuno strumento di tutela «preventiva» della propria sfera giuridico -patrimoniale e che avrebbe dovuto attendere l'avvio della procedura per chiedere l'emissione di un provvedimento sospensivo, trovandosi in tal modo in una posizione deteriore rispetto a chi si opponeva all'esecuzione dopo il suo inizio ovvero ad un'esecuzione minacciata in forza di una cambiale ovvero un assegno bancario, che potevano beneficiare di tale sospensiva sulla scorta del dato positivo.

Diversi sono stati i tentativi dei giudici di merito di sollevare la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto di cui agli artt. 615,623 e 624 c.p.c. per violazione degli artt. 3 e 24 della Cost. che però non hanno avuto buon fine. La Corte Costituzionale

– con la sentenza n. 234/1992 ha dichiarato l'inammissibilità della questione ritenendola esorbitante dai limiti del suo sindacato, in quanto spetta al legislatore e alla sua discrezionalità individuare i campi ed i limiti in materia di competenza e presupposti della sospensione;

– con la sentenza n. 82/1996 ha respinto il ricorso, ritenendo legittimo il disconoscimento del potere del giudice dell'opposizione a precetto di sospendere l'esecuzione.

Sulla scorta di tali elementi, in giurisprudenza si è diffuso l'orientamento secondo il quale, a seguito di notifica dell'atto di precetto, il debitore potesse avvalersi dello strumento previsto dall'art. 700 c.p.c. per ottenere un provvedimento che inibisse l'attivazione dell'esecuzione forzata (cfr. ex multis, Cass. n. 1372/2000; Cass. n. 2051/2000; Cass. n. 5683/2001; Cass. n. 5674/2001; Cass. n. 15220/2005).

La l. n. 80/2005 ha raccolto le istanze riformatrici della dottrina e della giurisprudenza, ritenendo meritevole di tutela la posizione del debitore nella fase intercorrente tra la notifica del precetto e l'inizio dell'esecuzione, con l'inserimento al comma 1 dell'art. 615 c.p.c. del potere del giudice dell'opposizione al precetto di disporre la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo.

La disposizione in esame è stata poi modificata dal d.l. n. 83/2015, convertito con modificazioni dalla l. n. 132/2015, nella quale il legislatore ha puntualizzato che «se il diritto della parte istante è contestato solo parzialmente, il giudice procede alla sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo esclusivamente in relazione alla parte contestata».

La precisazione (ritenuta da alcuni non strettamente necessaria) ha posto fine all'incertezza manifestata da taluni interpreti circa la possibilità di sospendere solo parzialmente l'efficacia esecutiva del titolo, nei casi in cui una parte del credito non sia contestata.

Infine, l'art. 615 c.p.c. è stato integrato anche dal d.l. n. 59/2016, convertito con modificazioni dalla l. n. 119/2016, nella parte in cui ha previsto un termine di decadenza alla possibilità di proporre opposizione ai sensi del comma 2 della disposizione in commento.

Solitamente si distingue se il titolo esecutivo sia di formazione giudiziale ovvero stragiudiziale.

Con riferimento a quest'ultima ipotesi, è principio consolidato che l'opponente può contestare sia l'esistenza del diritto ad ottenere tutela esecutiva per ragioni «di rito» sia l'esistenza stessa del diritto di credito di cui si domanda tutela (in questo senso, Luiso, L'esecuzione «ultra partes», 1984, e Liebman, Le opposizioni di merito nel processo d'esecuzione, 1936).

Discorso diverso per i provvedimenti giudiziali, per i quali operano il principio di conversione delle nullità in motivi di impugnazione ex art. 161, comma 1, c.p.c. e quello del nebis in idem, per cui l'opponente non può sollevare questioni che non potrebbero più essere sollevate in un qualunque successivo giudizio di merito.

In altri termini, qualora l'esecuzione venga promossa in base a titolo esecutivo di formazione giudiziale, la contestazione del diritto di procedere ad esecuzione forzata può essere fondata su vizi di formazione del provvedimento solo quando questi ne determinino l'inesistenza giuridica, atteso che gli altri vizi e le ragioni di ingiustizia della decisione possono essere fatti valere, ove ancora possibile, solo nel corso del processo in cui il titolo è stato emesso, spettando la cognizione di ogni questione di merito al giudice naturale della causa in cui la controversia tra le parti ha avuto (o sta avendo) pieno sviluppo ed è stata in esame (Cass. n. 3277/2015; Cass. n. 3667/2013). Peraltro, anche i fatti modificativi o estintivi del credito anteriori alla formazione del titolo giudiziale non possono essere fatti valere con l'opposizione esecutiva preventiva o successiva (Cass. n. 26089/2005).

La differenza trova la sua giustificazione nella diversa stabilità del diritto consacrato nel titolo esecutivo, perché i primi conseguono ad un processo di cognizione, mentre ai secondi manca ogni accertamento circa l'esistenza e l'ammontare del credito.

Il giudice dell'esecuzione non può mai sospendere l'efficacia esecutiva del titolo, ma soltanto l'esecuzione (art. 624, comma 1, c.p.c.), mentre il giudice dinanzi al quale è impugnato il titolo (art. 283, comma 1, c.p.c.), che è il giudice dell'impugnazione (o dell'opposizione a decreto ingiuntivo), può sospendere sia l'efficacia esecutiva del titolo sia l'esecuzione.

Si è discusso sul significato da attribuire all'espressione «efficacia esecutiva del titolo».

In dottrina taluni ne hanno dato una lettura restrittiva, ritenendo che l'ordinanza di sospensione emanata in sede di opposizione pre-esecutiva possa unicamente impedire l'avvio dell'esecuzione preannunciata con il precetto impugnato, ma non impedire al creditore procedente di coltivare distinte ed ulteriori procedure esecutive in virtù del medesimo titolo (Balena, Bove, Le riforme più recenti del processo civile, 2006; Longo, La sospensione nel processo esecutivo, in L'esecuzione forzata riformata, a cura di Miccolis e Perago, 2009).

Secondo l'orientamento maggioritario, invece, l'ordinanza di sospensione del giudice dell'opposizione a precetto, analogamente alle inibitorie del giudice del gravame, non si limita ad arrestare l'iter del procedimento esecutivo inciso in via diretta dal provvedimento de quo, ma preclude ogni futura utilizzazione di quel titolo ai danni del debitore opponente (per tutti, Metafora, Sospensione dell'esecuzione, cit.).

Così anche Proto Pisani, Le novità̀ in tema di opposizioni in sede esecutiva, secondo cui il provvedimento di sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo è un provvedimento a contenuto inibitorio a contenuto anticipatorio rispetto agli effetti della futura sentenza, da cui discendono due conseguenze: da una parte, l'ordinanza di sospensione potrà̀ essere oggetto di reclamo ai sensi dell'art. 669-terdecies, ciò̀ anche alla luce del generico richiamo operato dall'art. 624, comma 1 all'opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615 c.p.c. (pertanto non può che ritenersi improprio il riferimento al «giudice dell'esecuzione» di cui al 1° comma dell'art. 624 c.p.c.); dall'altra, in applicazione dei commi 7 e 8 dell'art. 669-octies (così come riformulato dal d.l. n. 35/2005, conv. con modif. nella l. n. 80/2005), il provvedimento di sospensione sopravvive nel caso di estinzione del giudizio di opposizione, ma l'autorità del provvedimento cautelare non è invocabile in un diverso successivo giudizio.

In giurisprudenza Cass. n. 26285/2019 ha statuito che la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo protegge il patrimonio del debitore dagli effetti vincolanti del pignoramento, qualora venga pronunciata prima della sua esecuzione, e – in ogni caso – inibisce qualsiasi futura azione esecutiva che il creditore possa intraprendere della minaccia formulata con il precetto in forza di quel titolo.

Che l'opposizione proposta ai sensi dell'art. 615 c.p.c., comma 1, non integri, in senso tecnico, un'impugnazione del titolo posto a base del precetto, essendo piuttosto volta a contestare – al pari dell'opposizione all'esecuzione già iniziata – il diritto del creditore ad agire in executivis è stato chiarito dalla Cass. S.U., n. 19889/2019, secondo cui «nonostante il potere conferito al giudice dall'art. 615, comma 1, c.p.c., riguardi testualmente l'efficacia esecutiva del titolo, non è però l'impugnazione di questo l'oggetto dell'opposizione pre-esecutiva. Nel caso di titolo esecutivo giudiziale, con l'opposizione non si possono addurre contestazioni su fatti anteriori alla sua formazione o alla sua definitività, deducibili esclusivamente coi mezzi di impugnazione previsti dall'ordinamento contro di quello. Le contestazioni per fatti posteriori alla definitività o alla maturazione delle preclusioni non integrano un'impugnazione del titolo, ma l'articolazione di fatti di cui quello non ha legittimamente potuto tener conto e per la cui omessa considerazione non potrebbe mai considerarsi inficiato: ed in entrambi i casi non può tecnicamente impugnarsi un titolo per un vizio non suo proprio».

Si ritiene che la sospensione della «efficacia esecutiva del titolo» disposta ai sensi dell'art. 615 c.p.c., comma 1, ha natura di «sospensione esterna» e con la stessa viene privato di efficacia esecutiva il titolo indicato nell'atto di precetto, che diviene inidoneo a sorreggere qualsiasi azione espropriativa che il creditore intenda porre in essere in base a quella intimazione (in questo senso, Cass. n. 26285/2019).

In tal modo, la tutela che l'opponente ottiene mediante il provvedimento di sospensione previsto dall'art. 615, comma 1, c.p.c. è analoga a quella che, anteriormente alla riforma del 2005, gli veniva offerta ex art. 700 c.p.c.: la protezione del suo patrimonio dall'apposizione di vincoli conservativi ed espropriativi che possano derivare dal portare ad esecuzione forzata contro di lui il titolo, la cui efficacia è oramai sospesa.

Concorso tra il potere sospensivo del giudice del titolo esecutivo e del giudice titolare dell'opposizione a precetto

In dottrina e nella giurisprudenza formatasi dopo la riforma si è discusso dei problemi di concorso tra il potere sospensivo del giudice del titolo esecutivo e del giudice titolare dell'opposizione a precetto e si è prospettata una sorta di alternatività tra la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo e la sospensione dell'esecuzione.

La dottrina esclude in modo unanime che il potere inibitorio del giudice dell'opposizione a precetto possa sovrapporsi con quello del giudice del gravame, sul presupposto della diversità dei fatti dedotti ovvero deducibili nei rispettivi giudizi di cognizione (cfr., ex multis, Barreca, La riforma della sospensione del processo esecutivo e delle opposizioni all'esecuzione e agli atti esecutivi, in Riv. esecuz. forzata, 2006; Finocchiaro, L'esercizio di poteri cautelari non implica valutazioni di merito, in Guida dir., 2006).

In giurisprudenza, si è consolidato il principio secondo il quale il titolo esecutivo giudiziale non può essere rimesso in discussione dinanzi al giudice dell'esecuzione, che non può effettuare alcun controllo intrinseco sullo stesso, del quale può controllare soltanto la persistente validità.

In altri termini con l'opposizione a precetto – al pari di quella all'esecuzione già iniziata – non si può giammai addurre alcuna contestazione su fatti anteriori alla sua formazione o alla sua definitività, poiché quelle avrebbero dovuto dedursi esclusivamente con gli specifici mezzi di impugnazione del titolo previsti dall'ordinamento (Cass. S.U., n. 1238/2015; Cass. n. 3712/2016; Cass. n. 6337/2014) ed il giudice dell'esecuzione può dare rilevanza soltanto a fatti posteriori alla sua formazione o, se successiva, al conseguimento della definitività (Cass. n. 12911/2012; Cass. n. 21293/2011; Cass. n. 3850/2011).

Potere sospensivo del giudice dell'opposizione a precetto ad esecuzione già iniziata

Si è posto il dubbio se il giudice dell'opposizione a precetto possa disporre la sospensione, in tutto o in parte, dell'efficacia del titolo esecutivo qualora, prima che egli si pronunci, il creditore abbia già eseguito il pignoramento.

Al riguardo si segnala un primo orientamento che riteneva che una volta eseguito il pignoramento, solo il giudice dell'esecuzione – e non più il giudice dell'opposizione a precetto – avesse il potere di disporre la sospensione del processo esecutivo.

Sulla non condivisibilità di tale impostazione, Cass. n. 26285/2019, secondo cui, da un lato, nessuna norma circoscrive la potestas del giudice, innanzi al quale è impugnato il titolo esecutivo, di pronunciare la sospensione «esterna» solo fino al momento in cui ha avuto inizio l'esecuzione (anzi l'art. 623 c.p.c. parla del potere di «sospensione dell'esecuzione», dunque, anche di quella già iniziata) e, dall'altro, la portata più ampia della sospensione adottata ai sensi dell'art. 615, comma 1, c.p.c. rispetto a quella che può essere disposta dal giudice dell'esecuzione ex art. 624 c.p.c.; con la conseguenza che «non risulterebbe coerente con il sistema ipotizzare che, iniziata l'esecuzione, l'ambito di tutela del debitore si restringa, potendo egli ottenere la sospensione della sola procedura esecutiva in corso, e non più un'inibitoria generale ad iniziare (e proseguire) azioni esecutive sull'intero suo patrimonio sulla base del titolo esecutivo e del precetto che sono stati opposti e concretamente azionati dal preteso creditore».

Da qui la conclusione che l'avvio dell'azione esecutiva non impedisce al giudice dell'opposizione pre-esecutiva di provvedere sull'istanza di sospensione rivoltagli in base all'art. 615, comma 1, c.p.c. (Cass. n. 26285/2019).

Sulla scia di tale sentenza, nella giurisprudenza di merito si segnala, da ultimo, Trib. Milano sent. 4 marzo 2020 secondo cui il provvedimento sospensivo pronunciato dal giudice dell'opposizione a precetto, ove sia intrapresa l'esecuzione forzata minacciata con il precetto opposto, determina la sospensione ex art. 623 c.p.c. di tutte le procedure esecutive nel frattempo promosse.

Potere sospensivo del giudice dell'esecuzione in pendenza di opposizione pre-esecutiva

Si pone il problema di verificare se in pendenza dell'opposizione pre-esecutiva e dell'opposizione all'esecuzione basate sui medesimi motivi, il giudice dell'esecuzione conservi comunque il potere di adottare l'eventuale provvedimento sospensivo ai sensi dell'art. 624 c.p.c.

In senso affermativo, Cass. n. 10121/2000 secondo cui la competenza del giudice dell'esecuzione a sospendere il processo, avendo carattere funzionale, non è derogabile per effetto dell'eventuale litispendenza tra due giudizi introdotti ai sensi dell'art. 615, commi 1 e 2, c.p.c.

Sempre in senso affermativo con articolate motivazioni Cass. n. 26285/2019, che ha stabilito il principio per il quale il giudice dell'esecuzione può provvedere sull'istanza di sospensione contenuta nel ricorso proposto ex art. 615 c.p.c., comma 2, che ricalca i medesimi motivi dell'opposizione a precetto, sempreché la richiesta di sospensiva non sia stata già rivolta al giudice adito per primo, ai sensi dell'art. 615, comma 1, c.p.c., in ossequio del principio «electa una via, non datur recursus ad alteram», che costituisce espressione dell'esigenza interna al sistema processuale di scongiurare tutte le ipotesi che possano dar luogo alla pronuncia di provvedimenti contrastanti.

Tuttavia, qualora, pendendo una causa di opposizione a precetto, il giudice dell'esecuzione – o il collegio adito in sede di reclamo ex art. 624 c.p.c., comma 2 e art. 669-terdecies c.p.c. – sospenda l'esecuzione per i medesimi motivi prospettati nell'opposizione pre-esecutiva, le parti non sono tenute ad introdurre il giudizio di merito nel termine di cui all'art. 616 c.p.c. che sia stato loro eventualmente assegnato, senza che tale omissione determini il prodursi degli effetti estintivi del processo esecutivo previsti dall'art. 624 c.p.c., comma 3, in quanto l'unico giudizio che le parti sono tenute a coltivare è quello, già introdotto, di opposizione a precetto, rispetto al quale una nuova causa si porrebbe in relazione di litispendenza.

Sospensione nell'opposizione all'esecuzione e nell'opposizione di terzo

L'opposizione all'esecuzione e l'opposizione di terzo rientrano tradizionalmente nelle opposizioni di merito, ossia quei giudizi di cognizione incidentali ove si contesta il diritto della parte a procedere ad esecuzione forzata ovvero la pignorabilità dei beni staggiti ovvero la legittimità delle modalità di esercizio dell'azione esecutiva.

Si tratta, tuttavia, di rimedi che hanno caratteristiche diverse.

La dottrina ha parlato di diversità oggettiva, funzionale e finale (così, Capponi, Manuale di diritto dell'esecuzione civile, 2010; Vellani, La disciplina della sospensione dell'esecuzione: c'è qualcosa di nuovo?, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2012), che si riverbera sul provvedimento di sospensione.

L'opposizione all'esecuzione ha per oggetto l'illegittimità del titolo in forza del quale il creditore ha minacciato di intraprendere ovvero ha intrapreso l'esecuzione forzata e il suo accoglimento dà luogo alla caducazione del titolo esecutivo e degli effetti da esso prodotti. In tal caso, la sospensione è volta a impedire il compimento di ulteriori atti esecutivi fino alla conclusione del processo di opposizione (ma non caduca gli atti già compiuti) e il suo oggetto – la singola esecuzione forzata – è più limitato rispetto all'opposizione a precetto ed è soltanto strumentale al rapporto tra cognizione e esecuzione.

L'opposizione di terzo e l'opposizione all'esecuzione nella quale si eccepisce l'impignorabilità dei beni hanno per oggetto l'ingiustizia dell'esecuzione proposta su beni facenti parte del patrimonio di terzi o dell'esecutato e il loro accoglimento ha come effetto quello di sottrarre al compendio pignorato il bene ingiustamente aggredito. In tal caso, la sospensione impedisce che il bene pignorato venga venduto a terzi prima che ne sia accertata, in una sede di ordinaria cognizione, l'effettiva proprietà ed è, quindi, volta a conservare lo stato esistente in attesa della definizione nel merito dell'opposizione. In altri termini, la sospensione lascia in vita gli atti già compiuti e inibisce la prosecuzione del processo esecutivo.

Sospensione nell'opposizione agli atti esecutivi

L'opposizione agli atti esecutivi è regolata dagli artt. 617 e 618 c.p.c. e riguarda la regolarità formale del titolo esecutivo, del precetto e dei singoli atti di esecuzione.

L'art. 618 c.p.c. (così come riformato dalla l. n. 52/2006) prevede la possibilità per il giudice dell'esecuzione di sospendere il processo esecutivo.

Nella normativa previgente mancava una disposizione in tale senso e questo ha portato ad un ampio dibattito sulla configurabilità o meno del potere del giudice dell'esecuzione di assumere un provvedimento di natura sospensiva in caso di opposizione agli atti esecutivi.

Gli orientamenti sviluppatesi nel tempo sono stati diversi con conclusioni diametralmente opposte.

Un primo orientamento, partendo dal presupposto che l'opposizione agli atti esecutivi mancasse di autonomia strutturale rispetto all'esecuzione, ha portato a ritenere di non potersi proprio profilare un problema di sospensione (Furno, La sospensione cit; Carnelutti, Istituzioni del processo civile italiano, III).

Altri sostenevano l'astratta possibilità di e concepire tale ipotesi sospensiva ma ne negavano in concreto l'ammissibilità (Proto Pisani, In tema di poteri del giudice dell'opposizione agli atti esecutivi, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1963).

Altri ancora affermavano che la mancanza di un riferimento diretto all'ordinanza di sospensione fosse dovuta all'appartenenza alla più ampia categoria dei provvedimenti indilazionabili adottabili dal giudice dell'esecuzione nel giudizio di opposizione ex art. 617 c.p.c. (Mandrioli, Opposizione all'esecuzione e agli atti esecutivi, in Enc. dir., XXX, 1955; Vaccarella, Opposizioni all'esecuzione, in Enc. giur., XXI, 1990, 2).

Questa tesi è stata recepita dalla giurisprudenza: Cass. n. 17452/2006; Cass. n. 986/1991; Cass. n. 2512/1996; Cass. n. 7979/1997; Cass. n. 6448/2003.

Il dibattito è venuto meno con la l. n. 52/2016, che, modificando l'art. 618 c.p.c., ha previsto che all'udienza di comparizione il giudice emette i provvedimenti indilazionabili ovvero sospende la procedura, se ritiene che il vizio da cui è affetto l'atto impugnato è insanabile, tale da investire l'intera procedura esecutiva e l'opposizione appare fondata.

È da rilevare che la disposizione in esame non prevede il potere di sospensione per le opposizioni preventive (dirette cioè a contestare – prima dell'avvio dell'esecuzione – la regolarità formale del titolo e del precetto ai sensi dell'art. 617 c.p.c.) ma solo con riguardo alle opposizioni agli atti esecutivi proposte ad esecuzione iniziata.

La mancanza di una disposizione in tal senso ha portato alcuni commentatori a individuare nel ricorso ex art. 700 c.p.c. lo strumento a disposizione del debitore per far valere le eccezioni di cui sopra (Capponi, Manuale di diritto dell'esecuzione civile, cit.) e altri a ritenere applicabile analogicamente l'art. 615, comma 1, c.p.c., che – per effetto della l. n. 80/2005 – conferisce al giudice dell'opposizione a precetto il potere di sospendere la vis executiva del titolo azionato (Menchini, Motto, Le opposizioni esecutive e la sospensione del processo di esecuzione, in AA.VV., Il processo civile di riforma in riforma, II, 2006).

Quanto al regime di impugnazione dell'ordinanza di sospensione di cui all'art. 618,2 comma, c.p.c., si ritiene che questa sia reclamabile ex art. 669-terdecies c.p.c.

Sospensione nelle controversie distributive

Le controversie distributive sono disciplinate dall'art. 512 c.p.c.

Con l'opposizione in esame non si contesta la legittimità dell'esecuzione in sé, ma le concrete modalità di ripartizione della somma ricavata.

L'accoglimento dell'opposizione distributiva non può mai comportare la declaratoria di illegittimità degli atti esecutivi compiuti e in particolare della vendita forzata (anche in applicazione dell'art. 187 disp. att. c.p.c.).

Nel sistema previgente alle riforme del 2005-2006, esse davano luogo ad un giudizio a cognizione piena, incidentale ma strutturalmente autonomo rispetto al processo esecutivo, istruito e deciso dal giudice dell'esecuzione, se competente, ovvero dal giudice competente ai sensi dell'art. 17 c.p.c., dinanzi al quale venivano rimesse le parti, fissando un termine perentorio per la riassunzione della causa.

L'avvio di tale giudizio era causa di sospensione necessaria del processo esecutivo; se la controversia non investiva l'intera somma ricavata dalla vendita o dall'assegnazione, il Giudice dell'esecuzione poteva disporre la sospensione parziale e distribuire gli importi residui non contestati.

Il legislatore della riforma ha profondamente innovato l'istituto, per effetto del quale:

a) le controversie in esame costituiscono un incidente esecutivo istruito e risolto dal Giudice dell'esecuzione mediante l'esercizio di attività cognitive sommarie e deformalizzate;

b) la sospensione diventa facoltativa, per cui il giudice dell'esecuzione deve procedere all'esame delle doglianze a sostegno dell'opposizione e, solo all'esito, provvedere alla concessione o meno della misura anche con l'ordinanza («di cui al comma 1» dell'art. 512 c.p.c.) con cui decide la contestazione.

Si è osservato che nell'ambito dell'opposizione in esame il giudice dell'esecuzione può provvedere sulla richiesta di sospensione effettuando una valutazione sulla fondatezza della contestazione proposta (Oriani, Titolo esecutivo, opposizioni, sospensione dell'esecuzione, in Foro it., 2005).

Quanto al regime di impugnazione dell'ordinanza di sospensione il comma 2 dell'art. 624 c.p.c. prevede l'esperibilità del reclamo cautelare.

Natura del provvedimento di sospensione

Il dibattito sulla natura cautelare o meno del provvedimento di sospensione comporta importanti implicazioni circa le regole da applicare nell'uno o nell'altro caso.

Nell'assetto normativo preesistente alle riforme del 2005 e del 2006, la dottrina prevalente negava la natura cautelare del provvedimento di sospensione emanato dal Giudice dell'esecuzione e la conseguente operatività delle norme di cui agli artt. 669-bis ss. c.p.c. (Tommaseo, Variazioni sulla clausola di compatibilità, in Riv. dir. proc., 1993; Montesano, Arieta, Diritto processuale civile, III, 1995, 125; Costantino, Provvedimenti urgenti per il processo civile, in Commentario a cura di Tarzia e Cipriani, 1992, 421).

Contra, vi era chi, facendo leva sull'introduzione del reclamo cautelare ex art. 669-terdecies c.p.c., riteneva che l'ordinanza di sospensione dovesse essere configurata strutturalmente e funzionalmente come un provvedimento cautelare, la cui emissione è subordinata alla verifica dei requisiti del fumus boni juris e del periculum in mora (Oriani, L'imparzialità del giudice e l'opposizione agli atti esecutivi, in Riv. esecuz. forzata, 2001).

In giurisprudenza numerose sono le pronunce che ritenevano tali i provvedimenti in esame come atti del processo esecutivo avente carattere ordinatorio, revocabile e modificabile da parte del giudice (in questo senso, Cass. n. 2459/1951; Cass. n. 2640/1982; Cass. n. 5932/1985; Cass. n. 5406/1986; Cass. n. 3032/1987; Cass. n. 6594/1991; Cass. n. 7134/1992) e impugnabili mediante opposizione agli atti esecutivi sia per motivi attinenti alla regolarità formale dell'atto e del relativo procedimento sia per motivi di merito (Cass. n. 12861/1992).

Con la riforma operata all'art. 624 c.p.c. (che prevede – al comma 2 – il reclamo cautelare quale strumento di controllo del provvedimento di concessione ovvero di diniego dell'invocata misura sospensiva e introduce – al comma 3 – un peculiare meccanismo sospensivo-estintivo diretto alla stabilizzazione dell'ordinanza di inibitoria in esame per effetto della tardiva o della omessa attivazione della fase oppositiva di merito ad opera delle parti interessate) il dibattito si è affievolito, andandosi a cristallizzare quella opinione dottrinale che già riteneva che il provvedimento di sospensione avesse natura cautelare.

Alle medesime conclusioni è giunta la giurisprudenza di legittimità. In questo senso

– Cass. n. 5368/2006 nella parte in cui afferma la natura cautelare della sospensione dell'efficacia del titolo esecutivo, in quanto volta a impedire l'inizio dell'esecuzione prima che si giudichi il merito delle ragioni poste alla base dell'opposizione a precetto;

– Cass. n. 22033/2011 che qualifica il provvedimento sospensivo emesso ai sensi dell'art. 624 comma 3 c.p.c. nella categoria dei provvedimenti cautelari anticipatori.

Le ricadute applicative della tesi che attribuisce natura cautelare alla sospensione non sono di poco conto soprattutto per quanto riguarda l'applicazione delle norme che riguardano i procedimenti cautelari exartt. 669 e ss. c.p.c.

Al riguardo, in dottrina vi è chi ha ritenuto applicabili ai provvedimenti di sospensione tutte le norme del procedimento cautelare, ad eccezione di quelle incompatibili. In questo senso, Oriani La sospensione dell'esecuzione (su combinato disposto degli artt. 615 e 624 c.p.c.) in AA.VV., Studi in onore di Carmine Punzi, III, Torino, 2008., nonché in Riv. esecuz. forzata, 2006; Metafora, Sospensione dell'esecuzione cit.

Secondo altri, gli artt. 623 e ss. c.p.c. si configurano come jus speciale e, quindi, prevalgono sulle norme che regolano il procedimento cautelare, che si applicano solo per colmare eventuali lacune con margini applicativi più ampi in ipotesi di sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo ex art. 615 c.p.c. e più contenuti o anche assenti in ipotesi di sospensione dell'esecuzione ex art. 624 c.p.c. In questo senso, Barreca, La riforma della sospensione cit.; Soldi, Manuale dell'esecuzione forzata cit.

Impugnabilità dei provvedimenti di sospensione

Nell'impianto originario del codice di rito, non era espressamente regolato il profilo inerente il controllo dell'esercizio del potere di sospensione da parte del giudice dell'esecuzione.

In dottrina, autori come Proto Pisani, La nuova disciplina del processo civile, 1991, 397; Luiso, Sospensione del processo civile, cit., 67; Gili, Sull'impugnabilità dell'ordinanza che dispone sull'istanza di sospensione del processo civile, in Nuova giur. civ., 1993, I, partendo dal presupposto della natura ordinatoria e non decisoria delle ordinanze di sospensione emanate dal giudice dell'esecuzione, ritenevano che l'unico strumento adottabile fosse l'opposizione agli atti esecutivi.

Contra, altri ritenevano lo strumento dell'opposizione esorbitante rispetto alla sommarietà ed alla strumentalità del provvedimento sospensivo e la dubbia compatibilità della soluzione anzidetta con il canone costituzionale della terzietà ed imparzialità del giudice, per tutti Oriani, L'imparzialità del giudice e l'opposizione agli atti esecutivi, cit.

La novella del 2005 ha posto fine al dibattito dottrinale, riformando il comma 2 dell'art. 624 c.p.c., che attualmente dispone che contro l'ordinanza che provvede sull'istanza di sospensione è ammesso reclamo ai sensi dell'art. 669-terdecies c.p.c.

Dopo il reclamo deve escludersi qualsiasi strumento di ulteriore controllo, in particolare il ricorso ex art. 111 Cost. In questo senso, Cass. n. 17266/2009.

La giurisprudenza di legittimità ha affermato che il reclamo è ammissibile solo in relazione ai provvedimenti emessi dopo il 1° marzo 2006 (ossia dalla data di entrata in vigore delle leggi di riforma) mentre quelli emessi successivamente erano impugnabili con opposizione agli atti esecutivi (Cass. n. 24736/2007; Cass. n. 13065/2007; Cass. n. 16601/2005; Cass. n. 21860/2007).

La dottrina pressoché unanime e la giurisprudenza di legittimità ritengono che il rimedio in esame si estenda a tutte le fattispecie di sospensione discrezionale contemplate dal libro III del c.p.c.

Invero, stando al suo tenore letterale, la disposizione in esame è certamente applicabile ai casi di sospensione disposta nell'ambito dell'opposizione all'esecuzione e dell'opposizione di terzo dal giudice dell'esecuzione, nonché all'ordinanza di sospensione emessa in esito alla decisione sommaria delle controversie distributive di cui all'art. 512 c.p.c.

I dubbi sorti per le ordinanze emesse dal giudice dell'opposizione a precetto ai sensi dell'art. 615, comma 1, c.p.c., ovvero dal giudice dell'esecuzione in sede di opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell'art. 618 c.p.c. sono stati superati dalla dottrina dominante con diverse motivazioni:

Balena, Bove, Le riforme più recenti del processo civile, cit., secondo cui la norma costituisce un principio generale da applicarsi a tutte le fattispecie previste dal libro III del codice;

Soldi, Manuale dell'esecuzione forzata, cit., che qualifica i provvedimenti di sospensione in esame come provvedimenti cautelari in senso stretto, per cui la mancata specificazione del rimedio nel comma 2 dell'art. 624 c.p.c. può essere supplita con l'applicazione diretta dell'art. 669-terdecies c.p.c.

Contra, Pisanu, Reclamabilità dei provvedimenti sospensivi in materia di esecuzione forzata, in Giur. mer., 2006, secondo cui la soluzione restrittiva si ricava proprio dal dato testuale dell'art. 624 c.p.c. in esame, in quanto il richiamo all'art. 618 c.p.c. è al solo scopo di estendere ai provvedimenti in esso contemplati il meccanismo sospensivo – estintivo disciplinato dal comma 3 della norma in esame.

La giurisprudenza, dal canto suo, ha aderito alla tesi della natura cautelare dei provvedimenti di sospensione e ha ritenuto lo strumento del reclamo applicabile a tutte le fattispecie e, dunque, anche a quelle previste dagli art. 615, comma 1, c.p.c. e 618 c.p.c. (in questo senso, Cass. n. 11243/2010).

Si segnalano, tuttavia, pronunce contrarie nella giurisprudenza di merito, tra queste Trib. Napoli 7 aprile 2015 (conformi Trib. Teramo 24 ottobre 2018; Trib. Fermo 28 gennaio 2019), secondo cui il reclamo sarebbe inammissibile, in quanto il rimedio non è stato previsto dal legislatore e ad esso non è applicabile analogicamente la disciplina dettata dall'art. 624 c.p.c. essendo implicitamente esclusa dall'art. 669-quaterdecies c.p.c., e comunque esclusa da ragioni di carattere ermeneutico e sistematico.

Contra, sulla estensibilità del reclamo anche al provvedimento cautelare di cui all'art. 615 co. 1 c.p.c., ancorché da quest'ultima norma non espressamente citato, Trib. Santa Maria Capua Vetere del 21 febbraio 2018 (conforme Trib. Vallo della Lucania 5 luglio 2017).

È poi intervenuta Cass. S.U., n. 19889/2019 stabilendo che il provvedimento con il quale il giudice dell'opposizione all'esecuzione, proposta prima che questa sia iniziata ed ai sensi del comma 1 dell'art. 615 c.p.c., decide sull'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo è impugnabile col rimedio del reclamo ai sensi dell'art. 669-terdecies c.p.c. al Collegio del tribunale cui appartiene il giudice monocratico – o nel cui circondario ha sede il giudice di pace – che ha emesso il provvedimento.

La scelta del rimedio (opposizione ex art. 617 c.p.c. ovvero il reclamo ai sensi dell'art. 624 c.p.c.) dipende dalla definitività del provvedimento. Così Cass. n. 4961/2019 secondo cui «Nei casi in cui il giudice dell'esecuzione dichiari l'improcedibilità (o l'estinzione cd. atipica, o comunque adotti altro provvedimento di definizione) della procedura esecutiva in base al rilievo della mancanza originaria o sopravvenuta del titolo esecutivo o della sua inefficacia, il provvedimento adottato in via né sommaria né provvisoria, a definitiva chiusura della procedura esecutiva, è impugnabile esclusivamente con l'opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell'art. 617 c.p.c.; diversamente, se adottato in seguito a contestazioni del debitore prospettate mediante una formale opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615 c.p.c., in relazione alla quale il giudice abbia dichiarato di volersi pronunziare, il provvedimento sommario di provvisorio arresto del corso del processo esecutivo, che resta perciò pendente, è impugnabile con il reclamo ai sensi dell'art. 624 c.p.c.».

In sede di pignoramento presso terzi, Cass. n. 27187/2016: «in tema di esecuzione forzata, quando l'istanza di sospensione della procedura esecutiva sia rigettata ai sensi dell'art. 624 c.p.c. e, con separato ma contestuale provvedimento, il giudice provveda alla assegnazione delle somme pignorate, il rimedio esperibile avverso quest'ultimo non è la sua impugnazione, ma il reclamo ai sensi dell'art. 669-terdecies c.p.c., in considerazione della unità logico-giuridica dei due provvedimenti emessi».

Quanto ai motivi, è inammissibile il reclamo ex art. 624 c.p.c. fondato sui medesimi motivi della precedente opposizione a precetto, nel cui ambito era stata chiesta la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo.

In questo senso Trib. Napoli 22 giugno 2020 secondo cui «il reclamo ex art. 624-bis c.p.c. è inammissibile se proposto avverso il provvedimento con il quale è stata rigettata dal giudice dell'esecuzione l'istanza di sospensione fondata sui medesimi motivi della precedente opposizione a precetto, nel cui ambito era stata chiesta la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo».

Revoca e modifica dell'ordinanza

Nel vigore della disciplina previgente alle riforme del 2005-2006 la revoca e la modifica dell'ordinanza di sospensione della procedura era un rimedio pacifico e supportato dall'art. 487 c.p.c.

L'introduzione del rimedio cautelare avverso i provvedimenti che decidono sulla sospensiva ha posto il problema di individuare la norma dell'attuale assetto normativo ne legittimi la modifica o la revoca da parte del giudice che lo ha emesso.

Le soluzioni sono state diverse.

Arieta, De Santis, L'esecuzione forzata cit., secondo cui la sospensione è tuttora revocabile e modificabile in base ai principi generali dettati in materia di ordinanza.

Petrillo, Sub art. 624 c.p.c. cit., secondo cui il potere va ricercato in base ad una lettura estensiva dell'art. 626 c.p.c.

Oriani, La sospensione dell'esecuzione (sul combinato disposto degli artt. 615 e 624 c.p.c.) cit.; Metafora, Sospensione dell'esecuzione, cit.; Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, cit., secondo cui, stante la natura cautelare del provvedimento in esame, la questione si risolve con l'applicazione dell'art. 669-decies c.p.c.

La giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che il provvedimento con il quale il giudice dell'esecuzione provvede in ordine alla sospensione del processo esecutivo – concedendola, negandola o revocandola – è modificabile e revocabile da parte dello stesso giudice che lo ha emesso.

In questo senso, Cass. n. 24736/2007, che ha confermato la sentenza di merito che aveva riconosciuto come legittimamente esercitato dal giudice dell'esecuzione il potere di revoca dell'ordinanza di sospensione dell'esecuzione a seguito di mancata riassunzione del giudizio di opposizione all'esecuzione, ai sensi dell'art. 616 c.p.c., nel testo originario. Conformi Cass. n. 15220/2005; Cass. n. 2620/2003).

Tuttavia, è d'obbligo segnalare che pronunce richiamate sono relative a fattispecie verificatesi in epoca precedente alle novità introdotte dal d.l. n. 35/2005, convertito in modificazioni nella l. n. 80/2005 e succ. modifiche, che – come detto in precedenza – hanno introdotto il rimedio del reclamo e procedimentalizzato la bifasicità necessaria dell'opposizione endo-esecutiva, fissando e stabilizzando gli effetti della mancata instaurazione del giudizio di merito.

Nella giurisprudenza di merito, si segnala Trib. Napoli 16 maggio 2022, che partendo proprio dalla riforma e dalla interpretazione giurisprudenziale sulla stessa sedimentatasi relativa alla natura cautelare del provvedimento di sospensione (Cass. S.U., n. 19889/2019 e Cass. n. 26285/2019) ha ritenuto di escludere la possibilità che il provvedimento emesso ex art. 615, comma 2, c.p.c. fosse revocabile o modificabile ex art. 487 c.p.c. ovvero impugnabile ex art. 669-decies c.p.c.

Stabilizzazione del provvedimento di sospensione dell'esecuzione e le conseguenze ad esso connesse

Prima dell'entrata in vigore della l. n. 52/2006, l'art. 624 c.p.c. stabiliva il potere del giudice dell'esecuzione di sospendere il processo esecutivo, su istanza di parte e in presenza di gravi motivi, qualora fosse stata proposta un'opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615 c.p.c. ovvero un'opposizione di terzo all'esecuzione ex art. 619 c.p.c.

La riforma del 2006 ha introdotto nella disciplina della sospensione all'esecuzione la previsione di una forma di stabilizzazione del procedimento di sospensione al dichiarato fine di ottenere una deflazione dei giudizi di opposizione esecutiva, e in particolare di quelli in relazione ai quali risulta operata in sede cautelare una sommaria valutazione di presumibile fondatezza (così equiparandosi la situazione a quella che di fatto anche in passato si determinava con riguardo alle opposizioni per le quali veniva operata in sede sommaria cautelare la contraria valutazione di presumibile infondatezza, molto frequentemente non coltivate dall'opponente).

Lo scopo è stato ottenuto con la previsione della possibilità di una sorta di «stabilizzazione evolutiva» del provvedimento di sospensione dell'esecuzione – che presuppone appunto una sommaria valutazione di presumibile fondatezza dell'opposizione stessa – attraverso l'attribuzione ad esso dell'effetto di determinare l'estinzione della procedura esecutiva, in mancanza della fase di merito dell'opposizione, e quindi in alternativa allo svolgimento di detto giudizio

Il terzo comma della norma in esame, che prevedeva che in presenza di determinati presupposti il provvedimento di sospensione del processo esecutivo, purché non definitivo (perché non reclamato ovvero pronunciato a seguito di reclamo) potesse portare alla estinzione del pignoramento, così disponeva: «nei casi di sospensione del processo disposta ai sensi del comma 1 e non reclamata, nonché disposta o confermata in sede di reclamo, il giudice che ha disposto la sospensione dichiara con ordinanza non impugnabile l'estinzione del pignoramento, previa eventuale imposizione di una cauzione e con salvezza degli atti compiuti, su istanza dell'opponente alternativa all'instaurazione del giudizio di merito sull'opposizione, fermo restando in tal caso il suo possibile promovimento da parte di ogni altro interessato; l'autorità dell'ordinanza di estinzione pronunciata ai sensi del presente comma non è invocabile in un diverso processo».

La poco felice formulazione della norma ha condotto i commentatori a un ampio dibattito che si è sostanziato in due diversi orientamenti.

Vi è chi, valorizzando la ratio legis e il contenuto della relazione al progetto di l. n. 52/2006, ha ritenuto che la ratio della riforma fosse quella di allineare il regime processuale dei provvedimenti sulla sospensione dell'esecuzione a quelli cautelari di tipo anticipatorio previsti dall'art. 669-octies c.p.c. recependo, anche in ambito esecutivo, il principio della c.d. «strumentalità attenuata».

Da tali premesse si è ritenuto che l'opponente fosse legittimato a richiedere l'estinzione del processo ogni qualvolta disposta la sospensione del processo esecutivo, ai sensi dell'art. 624 c.p.c., gli interessati non abbiano introdotto il merito nel termine perentorio assegnato dal giudice dell'esecuzione (Oriani, La sospensione dell'esecuzione, cit.).

Altri, facendo leva sul dato testuale della disposizione in esame, hanno ritenuto che l'estinzione pignoramento si sarebbe dovuta disporre tutti casi in cui il processo fosse stato sospeso ai sensi dell'art. 624 c.p.c. con un provvedimento definitivo, sempre dell'opponente ne avesse fatto richiesta e a condizione che quest'ultimo non avesse introdotto il giudizio di merito nel termine perentorio previsto dall'art. 616 c.p.c. (Amadei, Le opposizioni e la sospensione del processo esecutivo, in AA.VV. Il nuovo processo di esecuzione; Monteleone, Commento agli artt. 615, 624, 624-bis, in Nuove leggi commentate, 2006).

Il legislatore del 2009 ha riformato l'art. 624, comma 3, c.p.c. al fine di superare le ambiguità provocate dalla precedente stesura, stabilendo che il provvedimento di sospensione diviene idoneo a segnare in modo definitivo la sorte del processo di esecuzione, rendendo possibile la sua estinzione, quando nessuno dei soggetti interessati abbia introdotto la causa di merito nel termine perentorio di cui all'art. 616 c.p.c.

In altri termini, a seguito della modifica introdotta dalla legge di riforma del 2009 è evidente che, in caso di mancata instaurazione del giudizio di merito, il provvedimento di sospensione comporta l'estinzione del processo esecutivo cui si riferisce.

Proprio partendo dal principio dell'autosufficienza del provvedimento cautelare anticipatorio, in dottrina vi è chi ha osservato che il legislatore ha assimilato il provvedimento di sospensione del processo esecutivo assunto in pendenza di opposizione proposta ai sensi degli artt. 615 e 619 c.p.c. ai provvedimenti cautelari di natura anticipatoria sebbene con i necessari adattamenti (Capponi, Inibitorie e sospensione nella esecuzione forzata in Riv. esecuz. forzata, 2009).

La giurisprudenza sembra quella favorevole all'inquadramento del provvedimento sospensivo pronunciato ai sensi dell'art. 624, comma 3 c.p.c. tra quelli anticipatori (Cass. n. 22033/2011).

Ambito applicativo

L'istituto in commento si applica ad ogni processo esecutivo e, dunque, tanto ai processi di espropriazione forzata, quanto ai procedimenti di esecuzione in forma specifica, così come si ricava dalla attuale formulazione della norma che prevede che il giudice dell'esecuzione dichiari con l'estinzione con ordinanza «l'estinzione del processo» e non più «l'estinzione del pignoramento».

Del pari, l'art. 624 c.p.c. si ritiene astrattamente ed indistintamente applicabile a tutte le tipologie oppositive così come si ricava dal secondo e dal terzo comma della norma in esame.

Tuttavia, la sospensione va coordinata con le norme del processo esecutivo e delle controversie che possono sorgere nel corso dello stesso, nell'ambito delle quali il provvedimento in esame può essere emesso.

Per quanto riguarda la sospensione prevista dall'art. 618 c.p.c., si ritiene che l'istituto sia applicabile solo se il vizio da cui è affetto l'atto esecutivo opposto sia tale da inficiare l'intera procedura (perché in caso contrario l'esito vittorioso dell'opposizione determina la dichiarazione di invalidità dell'atto impugnato). In questo senso, si spiega la clausola di compatibilità tra tale sospensione e le norme contenute nella disposizione in esame prevista dal quarto comma dell'art. 624 c.p.c. (così, Barreca, La riforma della sospensione del processo esecutivo, cit.; Metafora, Sospensione dell'esecuzione, cit.).

Dubbi interpretativi sono sorti in merito alla sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo pronunciata ai sensi dell'art. 615, comma 1, c.p.c.

Nel senso dell'esclusione, Soldi, Manuale dell'esecuzione forzata, cit., secondo cui l'art. 624 c.p.c. nel profilare all'opponente l'alternativa tra coltivare il giudizio di opposizione e l'inerzia di tale soggetto funzionale all'estinzione del «processo», presuppone che la sospensione da questi ottenuta abbia avuto ad oggetto l'esecuzione, non già l'efficacia esecutiva del titolo.

La norma, inoltre, nulla dispone sulla sospensione pronunciata ai sensi dell'art. 512 comma 3 c.p.c. Nel senso dell'esclusione Soldi, Manuale dell'esecuzione forzata, cit.

Sorte del provvedimento sospensivo in presenza di altri creditori

Si discute su quale sia la sorte del provvedimento sospensivo (emesso a norma dell'art. 624, comma 1, c.p.c.) qualora siano presenti nel processo altri creditori muniti di titolo.

Al riguardo, si segnala Cass. S.U., n. 61/2014, secondo cui nel processo esecutivo le vicende relative al titolo esecutivo del creditore procedente non possono ostacolare la prosecuzione dell'esecuzione sull'impulso del creditore intervenuto il cui titolo abbia conservato la sua forza esecutiva. In altri termini, il provvedimento sospensivo, riferito alla posizione del creditore procedente, determina l'esclusione di quest'ultimo dalla procedura esecutiva, che può continuare dietro l'impulso di taluno dei concorrenti muniti di titolo.

Se il titolo esecutivo già sospeso riacquista efficacia esecutiva nel corso della procedura e, comunque, in data anteriore all'approvazione del riparto, Cass. n. 4034/2021 secondo cui «l'effetto preclusivo della partecipazione alla distribuzione delle somme ricavate dalla vendita deve ritenersi limitato alle distribuzioni avvenute medio tempore, dal momento che l'esigenza di rispetto del principio della par condicio creditorum e la necessità di evitare una irragionevole disparità di trattamento rispetto alla posizione del creditore pignorante (per il quale la perdita della provvisoria esecutività del titolo non determina l'inefficacia del pignoramento ma soltanto la sospensione c.d. «esterna» del processo esecutivo, in attesa che il titolo sia definitivamente revocato o confermato) impongono di riconoscere la legittimazione dell'interveniente a concorrere alle ulteriori fasi distributive».

Condizioni per l'applicazione dell'art. 624 comma 3 c.p.c.

Definitività del provvedimento di sospensione

Il provvedimento di sospensione può determinare la sospensione del processo, quando non è più soggetto a gravame.

Al riguardo, l'art. 624, comma 3, c.p.c. (ante riforma) faceva riferimento alla sospensione non reclamata ovvero disposta o confermata in sede di reclamo, mentre nell'attuale formulazione non contempla più l'ipotesi in cui la sospensione, negata in prima istanza, venga disposta per la prima volta in esito al reclamo al collegio.

In dottrina si è osservato che la mancata previsione di tale ipotesi sarebbe frutto di una mera svista del legislatore e che, pertanto, anche in quest'ultimo caso l'opponente possa invocare il beneficio dell'estinzione dell'esecuzione (In tal senso cfr. Capponi, Quer pasticciaccio brutto dell'art. 624, 3° co., c.p.c., in Riv. esecuz. forzata, 2009; Onniboni, sub art. 624 c.p.c., in Codice di procedura civile commentato, a cura di Consolo e De Cristofaro, La riforma del 2009, 2009; Soldi, Manuale dell'esecuzione forzata, cit.).

Contra Longo, La sospensione, cit., secondo cui dalla nuova formulazione della norma discende che la sospensione disposta per la prima volta nel corso del procedimento di reclamo non può avere il medesimo effetto di quella non reclamata ovvero sorretta da una doppia decisione conforme.

Si ritiene che, stando al tenore letterale della norma in esame, questa si riferisca alle sole ordinanze e non anche ai provvedimenti emessi in via d'urgenza che assumono la forma di decreto.

Invero, a tale conclusione, opinando sul carattere provvisorio del decreto ex art. 625, comma 2, c.p.c., si era già pervenuti già prima della riforma. In questo senso, Soldi, Manuale dell'esecuzione forzata, cit.

La norma lascia, invece, irrisolto il problema del rispetto del dies ad quem prescritto per il perfezionamento della fattispecie qualora avverso l'ordinanza di sospensione sia proposto il reclamo.

Diverse sono le posizioni assunte in dottrina.

Vi è chi ritiene che la norma stabilisca il principio secondo il quale il termine per l'introduzione del giudizio di merito debba essere fissato dal giudice che concede la misura sospensiva (Soldi, Manuale dell'esecuzione forzata, cit.). Altri, invece, ritengono che la pendenza del reclamo determini un effetto sospensivo che permane fino alla conclusione del relativo procedimento (Recchioni, Sub art. 624 c.p.c., cit.).

Mancata o tardiva introduzione dell'opposizione

Il giudice dell'esecuzione, oltre a provvedere sulla sospensione, deve fissare il termine perentorio per l'introduzione del giudizio di merito secondo quanto dispongono gli artt. 616 e 618 c.p.c.

La mancata introduzione della causa di merito nel termine da parte dei soggetti legittimati determina l'estinzione della procedura esecutiva (già sospesa) in virtù dell'art. 624, comma 3, c.p.c.

Sul punto, Cass. n. 7364/2015 secondo cui: «qualora a fronte della sospensione dell'esecutività del titolo esecutivo disposta dal giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo, il giudice dell'esecuzione, adito con ricorso in opposizione (nel caso di specie agli atti esecutivi), sospenda il processo esecutivo ai sensi dell'art. 624 c.p.c. e (in un successivo momento) fissi termine per l'introduzione del giudizio di merito, è onere delle parti interessate dare corso a tale giudizio, ove non propongano reclamo nei confronti dell'ordinanza; in caso di inutile decorso del termine perentorio per l'introduzione del giudizio di merito, il processo esecutivo si estingue in virtù dell'art. 624, comma 3, c.p.c.».

Nel novero dei soggetti interessati vanno compresi tutti i creditori che possono compiere atti di impulso nel processo esecutivo; mentre va escluso il debitore, che non ha alcun concreto interesse.

Sul punto, si segnala Trib. Salerno 17 giugno 2020 secondo cui «nel caso in cui sia disposta la sospensione del processo esecutivo ai sensi dell'art. 624 c.p.c. il debitore non ha un interesse concreto ed attuale ad instaurare la fase di merito dell'opposizione all'esecuzione».

Alla medesima conclusione (estinzione) si perviene i) in caso di tardiva instaurazione dell'opposizione, che – tra gli altri – è comunque inammissibile, e ii) in caso di estinzione del giudizio di merito sull'opposizione, pur tempestivamente introdotto o riassunto.

In tale ultimo caso, si segnala Trib. Campobasso 13 maggio 2013, in Riv. esecuz. forzata, 2013, 744, con nota critica di Vaccarella, Estinzione del giudizio di opposizione all'esecuzione e sorte dell'ordinanza di sospensione dell'esecuzione, secondo cui «qualora, proposta opposizione all'esecuzione e ottenuta la sospensione del processo esecutivo, il creditore procedente introduca tempestivamente il giudizio di opposizione ai sensi dell'art. 616 c.p.c. ma lo lasci estinguere, il provvedimento di sospensione viene meno e il processo esecutivo può riprendere il suo corso; nella specie, infatti, non può trovare applicazione l'art. 624, comma 3, c.p.c., in quanto l'estinzione del processo esecutivo ivi prevista si produce esclusivamente nel caso di mancata introduzione del giudizio di opposizione, e non anche nel caso di estinzione del giudizio tempestivamente introdotto».

Contra, Cass. n. 7043/2017 che ha stabilito che «l'estinzione del processo esecutivo sospeso, in caso di mancata introduzione o riassunzione del merito dell'opposizione, si determina (come espressamente previsto dalla disposizione, nella sua formulazione originaria) anche laddove il provvedimento di sospensione sia stato pronunciato dal tribunale in sede di reclamo, e non solo quando esso sia stato emesso direttamente dal giudice dell'esecuzione e non sia stato reclamato o sia stato confermato in sede di reclamo».

L'ultima parte del comma 3 dell'articolo in commento prevede espressamente che l'autorità dell'ordinanza di estinzione non sia invocabile in un diverso processo.

Secondo Proto Pisani, Le novità in tema di opposizioni in sede esecutiva, il riferimento dovrebbe essere oltre che all'ordinanza di estinzione del pignoramento, anche all'ordinanza di sospensione ai sensi dell'art. 669-octies ultimo comma.

Vi è chi ha osservato che tale previsione vanificherebbe l'utilità dell'estinzione del pignoramento non precludendo di fatto un nuovo pignoramento sulla base dello stesso titolo esecutivo (a meno che a seguito dell'estinzione del pignoramento non siano divenuti opponibili al creditore atti di disposizione del debitore eventualmente trascritti dopo la trascrizione del primo pignoramento (così Proto Pisani, Le novità in tema di opposizioni in sede esecutiva).

Si è discusso sulle conseguenze dell'omessa concessione del termine ex art. 616 c.p.c. da parte del Giudice dell'esecuzione.

In dottrina (Soldi, Manuale dell'esecuzione forzata cit.) si è osservato che le parti interessate potrebbero chiedere al Giudice dell'esecuzione l'integrazione dell'ordinanza, ai sensi dell'art. 289 c.p.c., con l'indicazione del termine perentorio per l'introduzione della casa di merito ovvero introdurre di iniziativa la causa di merito.

L'istanza di integrazione dell'ordinanza va proposta, a pena di estinzione della procedura, nel termine di sei mesi dalla sua adozione. Del pari, l'introduzione del giudizio di merito non può avvenire dopo tale termine.

In giurisprudenza si ritiene univocamente che il provvedimento assunto in merito all'istanza di sospensione non può essere impugnato con ricorso ex art. 111 Cost., in quanto non ha contenuto definitivo. Sul punto Cass. n. 25411/2019 secondo cui «è inammissibile il ricorso straordinario per cassazione avverso l'ordinanza pronunciata in sede di reclamo ai sensi dell'art. 669-terdecies c.p.c. avverso il provvedimento che decide sulla istanza di sospensione dell'esecuzione ex art. 624 c.p.c., trattandosi di ordinanza priva del carattere della decisorietà per essere sempre in facoltà delle parti l'introduzione del giudizio di merito sull'opposizione esecutiva» (conformi Cass. n. 22383/2009; Cass. n. 20532/2009).

Non si esclude, inoltre, che la decisione del giudice dell'esecuzione possa essere reclamata ex art. 669-terdecies c.p.c. anche solo per lamentare la mancata fissazione nel termine perentorio (Cass. n. 4760/2012).

Del pari, si rinvengono pronunce che, aderendo alla tesi dottrinale innanzi indicata, dispongono che l'opposizione si estingua per inattività delle parti ove gli interessati, nel termine di sei mesi dall'ordinanza che ha disposto sulla sospensione che non rechi l'indicazione del termine perentorio, non abbiano avanzato tempestiva istanza di integrazione ex art. 289 c.p.c. ovvero non abbiano introdotto la causa si merito di iniziativa (Cass. n. 5060/2014; Cass. n. 6026/2015).

Giudice competente e termine per provvedere

Nel vigore della normativa previgente, l'estinzione doveva essere pronunciata dal giudice che aveva disposto la sospensione e, dunque, dal Giudice dell'esecuzione in caso di sospensione exartt. 624,618 e 618-bis c.p.c. e dal collegio nel caso di sospensione ex art. 669-terdecies c.p.c.

Nella nuova formulazione la competenza ad emettere il provvedimento di estinzione spetta – ai sensi della disposizione in esame – al Giudice dell'esecuzione, il quale vi può provvedere anche d'ufficio.

Dalla declaratoria officiosa di estinzione deriva la considerazione che l'estinzione è la regola a cui il Giudice dell'esecuzione, d'ufficio o su richiesta degli interessati, provvede in tal senso, verificando esclusivamente la mancata (o tardiva) introduzione del giudizio di merito.

Il Giudice dell'esecuzione decide con ordinanza, che per la sua emissione necessita della preventiva instaurazione del contraddittorio tra le parti previa fissazione dell'udienza di comparizione.

L'ordinanza è impugnabile mediante reclamo al collegioex art. 630 comma 3 c.p.c.

Proprio partendo dalla circostanza che l'ordinanza che dichiara l'estinzione è reclamabile a norma dell'art. 630, comma 3, c.p.c., in dottrina si è osservato che la sospensione-estinzione integra a tutti gli effetti una nuova fattispecie di estinzione del processo esecutivo (considerato che le estinzioni atipiche o le chiusure «in rito» richiamano il rimedio dell'opposizione ex art. 617 c.p.c.), così Capponi, Cautele interinali contro l'esecuzione forzata, in Judicium.it.

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