Codice di Procedura Civile art. 632 - Effetti dell'estinzione del processo.Effetti dell'estinzione del processo. [I]. Con l'ordinanza che pronuncia l'estinzione è disposta sempre la cancellazione della trascrizione del pignoramento. Con la medesima ordinanza il giudice dell'esecuzione provvede alla liquidazione delle spese sostenute dalle parti, se richiesto, e alla liquidazione dei compensi spettanti all'eventuale delegato ai sensi dell'articolo 591-bis (1). [II]. Se l'estinzione del processo esecutivo si verifica prima dell'aggiudicazione [503, 537 1, 574, 581 3] o dell'assegnazione [505, 530 2, 590 2], essa rende inefficaci gli atti compiuti [2945 3 c.c.]; se avviene dopo l'aggiudicazione o l'assegnazione, la somma ricavata è consegnata al debitore. [III]. Avvenuta l'estinzione del processo, il custode rende al debitore il conto [560 1, 593], che è discusso e chiuso davanti al giudice della esecuzione [484]. [IV]. Si applica la disposizione dell'articolo 310 ultimo comma. (1) Comma inserito dall'art. 12 l. 3 agosto 1998, n. 302. InquadramentoIn materia di processo esecutivo, l'art. 95 c.p.c., nel porre le spese a carico del debitore (nel senso che le stesse vengono dedotte, con il privilegio di cui all'art. 2770 c.c., dal ricavato della vendita: principio c.d. della tara del ricavato), presuppone che l'esecuzione si sia utilmente conclusa. Come è stato precisato dalla giurisprudenza, quindi, i principi che governano il carico delle spese sono diversi da quelli che si applicano in materia di processo di cognizione (da ultimo v. Cass. n. 24571/2018). In particolare, la S.C. ha osservato l'art. 95 c.p.c. è collocata nel Capo IV, del Titolo III, del libro primo del codice di rito civile, al pari, in particolare, dell'art. 91 c.p.c., che regola il principio di soccombenza, e diversamente dalle norme rinvenibili, al medesimo riguardo, negli artt. 611 e 614 c.p.c., con riferimento alle esecuzioni per consegna o rilascio ovvero degli obblighi di fare e non fare, situate rispettivamente nei titoli 3 e 4 del libro terzo dedicato al processo di esecuzione. Più in passato che attualmente, negli studi è stato discusso se la disposizione contenuta nell'art. 95 c.p.c., possa considerarsi applicazione del criterio generale della soccombenza, previsto dall'art. 91 c.p.c., o se, invece, l'esito obbligato del processo di esecuzione escluda la possibilità di configurare un soccombente in senso proprio. Progressivamente, la prevalente anche se non costante e unanime dottrina appare orientata nel senso che il principio della soccombenza è formulato con riguardo al giudizio di cognizione, vuoi quale declinazione dell'accertamento del diritto, vuoi, in chiave più strettamente procedimentale, quale conseguenza della violazione del regime morfologico o gestorio del processo. Questi studi concludono, perciò, che la regola generale propria del processo esecutivo è quella per cui le spese sostenute dal creditore procedente o intervenuto debbono restare a carico dell'esecutato, in quanto soggetto al procedimento che ha cagionato. Nella giurisprudenza di legittimità di questa Corte può dirsi costante l'affermazione per cui nel procedimento esecutivo l'onere delle spese non segue il principio della soccombenza come nel giudizio di cognizione, ma quello della soggezione del debitore all'esecuzione (cfr. da Cass. n. 3800/1958, a Cass. n. 789/1994, Cass. n. 4653/1998 e Cass. n. 14504/2011). Nel primo caso, infatti, la statuizione accede alla verifica processuale della fondatezza della posizione sostanziale quale oggettivamente e soggettivamente pretesa; nel secondo caso, solo in termini descrittivi può parlarsi di soggetto che soccombe rispetto all'azione esecutiva esercitata, mentre, in chiave propriamente ricostruttiva, risulta evidente che la parte subisce l'azione rimanendo incerta solo l'integrale soddisfazione del titolare di quella, ma non la fondatezza della posizione sostanziale sottesa. In altre parole, è vero che il processo esecutivo concreta l'accoglimento di una domanda attraverso un provvedimento giurisdizionale, ma è anche vero che rispetto a quella domanda non vi è compiuta ed effettiva dialettica processuale, ma solo soggezione, al netto di eccezioni come l'esercizio del diritto alla «mera» conversione del pignoramento che confermano «a contrario» quanto appena rilevato; e salvi i giudizi di opposizione che innescano una posizione realmente avversativa alla pretesa in parola ma che, non a caso, sono connessi e però distinti giudizi di cognizione. La logica conseguenza di quanto appena focalizzato, sottolineata dai medesimi arresti appena menzionati, è che, salvo eccezioni espresse sulla cui ratio ci si soffermerà più avanti, la liquidazione delle spese del giudice dell'esecuzione non può avere contenuto decisorio ma solo di verifica del relativo credito in funzione dell'assegnazione o distribuzione». Da tale pronuncia si evince chiaramente il principio per cui, se il g.e. liquida somme dovute a titolo di spese, queste ultime vanno a gravare, in definitiva, sul ricavato dell'esecuzione; ricavato che può considerarsi composto, giusta la disposizione dell'art. 509 c.p.c., anche dalle rendite o proventi della cosa pignorata. L'art. 632 c.p.c., anche considerata la relatio operata all'art. 310 c.p.c., prevede invece che laddove il processo esecutivo si estingua per una vicenda c.d. anomala le spese restano a carico della parte che le ha anticipate. Va evidenziato che – sulla scia di questi principi generali – la Corte di Cassazione ha chiarito che l'art. 95 c.p.c. non può trovare applicazione in caso di pignoramento negativo e di mancato inizio dell'espropriazione forzata, con la conseguenza che, divenuto inefficace il precetto per decorso del termine di novanta giorni, le spese di questo restano a carico dell'intimante in forza del combinato disposto degli artt. 310 e 632, ultimo comma, c.p.c., secondo cui le spese del processo estinto restano a carico delle parti che le hanno anticipate (Cass. n. 18676/2022). La disposizione contenuta nel prima comma dell'art. 632 c.p.c., apparentemente distonica rispetto al principio sopra indicato, è stata interpretata nel senso che la stessa si riferisce all'ipotesi in cui l'estinzione venga richiesta di comune accordo tra il creditore ed il debitore, con l'espressa previsione del relativo accollo in capo al debitore: in tal caso, quindi, il g.e., se richiesto, deve liquidare le spese sostenute dal creditore nonché l'eventuale compenso di custode e professionista delegato in deroga agli artt. 95 e 310, ultimo comma, c.p.c. (Cass. n. 5325/2003; Cass. n. 12701/2010; Cass. n. 15734/2011; Cass. n. 19540/2013); All'inverso le spese della fase cautelare vanno regolate secondo il principio della soccombenza (Cass. n. 22033/2011 e altre successive conformi). Di recente, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, laddove il g.e. adotti una ordinanza di estinzione del processo esecutivo per mancata introduzione del giudizio di merito, tale giudice non può procedere (ove non lo abbia fatto in precedenza) alla liquidazione delle spese di lite della fase sommaria dell'opposizione e ciò in quanto le spese indicate nella disposizione in esame concernono il solo processo esecutivo – tra le quali, necessariamente, i compensi spettanti agli ausiliari del giudice – e non anche quelle dell'opposizione; da tanto consegue che l'eventuale adozione di una statuizione siffatta potrà essere oggetto di impugnazione attraverso il reclamo ex art. 630 c.p.c. (Cass. n. 12977/2022). Nell'affermare questo principio, la S.C. ha significativamente affermato che qualora il giudice dell'esecuzione non liquidi le spese della fase sommaria del processo di opposizione con l'ordinanza con cui provvede sulla sospensione, la tutela delle parti in relazione a tale omissione è assicurata dalla possibilità di instaurare il giudizio di merito, anche al fine di ottenere in tale sede la liquidazione omessa, con la conseguenza che, in difetto, tale chance risulta definitivamente perduta. Implicazioni dei principi di cui sopra e spese prededucibiliTenuto conto di quanto sopra, si è posta nella giurisprudenza di merito (v. Trib. Napoli Nord 19 dicembre 2019, con nota di Pazzi) la questione se, a fronte della definizione anticipata del procedimento esecutivo (estinzione o chiusura anticipata), laddove il bene pignorato abbia prodotto delle rendite, tali risorse vadano tout court restituite al debitore oppure se sulle stesse possano esser fatte gravare le spese c.d. prededucibili, cioè quelle spese occorse per «l'esistenza» della procedura stessa. Il che richiede di verificare preliminarmente se, nel processo esecutivo, trovi cittadinanza la categoria della prededuzione in senso stretto. Tale categoria, come è noto, si fonda sul principio di inerenza delle spese all'interesse tutelato, che ispira l'intero sistema della gestione custodiale giudiziaria dei beni. La custodia dei beni pignorati è funzionale alla tutela dell'interesse dei creditori, attorno al quale l'intero processo esecutivo ruota; le spese collegate alla custodia del bene, considerato tale rapporto di strumentalità, nella distribuzione del ricavato, vengono soddisfatte a preferenza dell'interesse alla cui realizzazione sono funzionali. Ciò in quanto «al fine di ottenere un risultato, ovverosia la tutela di quell'interesse alla conservazione per la liquidazione, si deve previamente disporre dei mezzi a ciò necessari; e pertanto, la soddisfazione di quanto necessario a procurarsi tali mezzi, non può che prevalere sulla soddisfazione dei crediti che quegli stessi mezzi sono destinati a tutelare» (Bellè, Cardino, 371). Va da sé che, in virtù del menzionato principio, i costi prededuttivi sfuggono alla regola di cui all'art. 2916, n. 3, c.c. secondo cui, salvo espresse disposizioni di legge [si pensi ai costi dell'intervento nell'ambito del procedimento esecutivo], i privilegi non riguardano mai i crediti sorti dopo il pignoramento. Ciò accade, piuttosto che in virtù di una deroga a tale principio generale, in considerazione del rilievo «procedurale» e non «sostanziale» di tali crediti Vero è che con riferimento al processo esecutivo non vi è una norma che chiaramente disciplini (e quindi implicitamente riconosca cittadinanza in tale contesto al) la categoria della prededuzione; norma che invece sussiste con riferimento a diversi altri casi di «gestione liquidatoria»: si ricordino, a mero titolo esemplificativo, l'art. 111 l.fall., l'art. 61, comma 3, d.lgs. n. 159/2011 (c.d. Codice antimafia), 41, comma 3, TUB, l'art. 552, n. 1, cod. nav. Peraltro, anche nell'ambito delle gestioni liquidative disciplinate dal Codice civile troviamo affermati principi similari con riferimento all'eredità giacente: l'art. 508, comma 3, c.c. con riguardo alla liquidazione dei beni lasciati ai creditori e l'art. 530, comma 2, c.c. con riguardo al pagamento concorsuale effettuato dal curatore dell'eredità giacente annettono alle «spese della curatela» collocazione primaria. Una parte della dottrina ha ritenuto la predetta lacuna normativa non ostativa al riconoscimento della categoria in esame nel contesto del processo esecutivo. Più cauto l'atteggiamento della giurisprudenza, ancorata ad un remoto precedente (Cass. n. 2875/1976) secondo cui, se i beni pignorati non possono essere custoditi senza spese, queste sono anticipate dal creditore su provvedimento del g.e.; ove tale provvedimento non sia emesso od eseguito, le spese in questione debbono essere sopportate dal custode (ove non si dimetta), che ne potrà chiedere la liquidazione a titolo di rimborso in sede di liquidazione del compenso; in alternativa potranno essere utilizzate, sempre dietro espressa autorizzazione del g.e., le rendite ricavate dalla gestione del bene pignorato; ne consegue, secondo il menzionato precedente, che il custode non può assumere (in quanto titolare dell'Ufficio) obbligazioni con terzi. Nondimeno, dopo una lunga fase di chiusura può leggersi nel senso del riconoscimento della categoria della prededuzione nel processo esecutivo Cass. n. 12877/2016. Intervenuta sul (diverso) tema della individuazione del soggetto tenuto ad anticipare le spese occorrenti alla conservazione del bene nella sua integrità materiale (onde evitarne il perimento) e nel qualificare tali spese come «spese necessarie» del processo esecutivo (ex art. 8, d.P.R. n. 115/2002), la S.C. ha rilevato che tali spese, se onorate con i fondi della procedura, risulteranno in senso lato ‘prededucibili' nel senso che l'importo relativo non entrerà a far parte dell'attivo» (laddove, in caso di loro anticipazione da parte del creditore, saranno da questi recuperate ex art. 2770 c.c.). Si tratta – in altre parole – del riconoscimento del principio di inerenza sopra indicato che, a sua volta, fonda sulla idea – che trova qualche seguito nella giurisprudenza (Cass. n. 7147/2010; Cass. n. 7756/1997; Cass. n. 1877/1984) – per cui il bene pignorato costituisce «un patrimonio separato, che costituisce centro di impugnazione di rapporti giuridici attivi e passivi». Come è stato chiarito in dottrina, «se il compendio pignorato è un patrimonio separato cui devono essere imputati i rapporti obbligatori creati dal suo custode, pare logico concludere che delle obbligazioni non siano chiamati a rispondere in via diretta né il procedente, né l'esecutato, né lo stesso custode, bensì il patrimonio stesso; non si vede, perciò, un ostacolo al riconoscimento, in fase di distribuzione, della prededuzione, categoria – distinta da quella dei crediti ex art. 2770 c.c. (postergati ai crediti in prededuzione) – nella quale dovranno essere incluse tutte le spese di conservazione, amministrazione e, in generale, di custodia afferenti all'immobile aggredito». Ebbene, da quanto sopra emerge: – che le spese del processo esecutivo sono sempre sopportate, in ultima analisi, dal debitore; – che l'attivo utilizzabile per soddisfare, prioritariamente, le spese del processo esecutivo è composto da tutte le utilità patrimoniali distribuibili ex art. 509 c.p.c.; – che i crediti maturati in relazione alla gestione del bene possono essere soddisfatti in prededuzione con l'utilizzo di (ipotetici) fondi a disposizione della procedura, senza che la sopravvenuta improcedibilità dell'esecuzione (nella specie dovuta alla caducazione del titolo esecutivo) pregiudichi la stabilità di dette attribuzioni patrimoniali. 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